Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 26 novembre 2024, n. 1908
Presidente: Boni - Estensore: Centofanti
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce, giudicando sui gravami interposti avverso la sentenza emessa il 12 maggio 2023, in rito abbreviato, dal Giudice dell'udienza preliminare del locale Tribunale, adottava - per quanto di ulteriore interesse in questa sede - le seguenti statuizioni:
- accoglieva la proposta di concordato ex art. 599-bis c.p.p., avanzata, previa rinuncia ai motivi non direttamente incidenti sul trattamento sanzionatorio, dall'imputato Marco C. - condannato in primo grado per i reati, uniti in continuazione, di partecipazione ad associazione di stampo mafioso di cui al capo a), usura di cui al capo l), estorsione in forma consumata e tentata di cui ai capi m), n), o), s) e t), e detenzione e porto illegali di arma comune da sparo di cui al capo w) - e, riconosciute le attenuanti generiche, riduceva la pena principale al medesimo inflitta alla misura di sette anni e otto mesi di reclusione, fermo il resto;
- ribadiva la penale responsabilità dell'imputato Sergio T. in ordine al reato di usura di cui al capo d) e confermava la pena principale al medesimo inflitta, pari a tre anni di reclusione e 8.000 euro di multa;
- ribadiva la confisca, disposta ai sensi dell'art. 240-bis c.p., di un immobile, formalmente intestato al terzo Yari Ca., ma ritenuto nella effettiva disponibilità dell'imputato Alì F., nonché di provenienza lecita non accertata e di valore sproporzionato rispetto ai redditi e alle attività economiche di quest'ultimo imputato; F. era stato condannato, in primo grado, per i reati di partecipazione ad associazione di stampo mafioso di cui al capo a), usura di cui capi c), e) e g) ed estorsione di cui al capo f), e la sua posizione in appello era stata definita mediante concordato sulla pena ai sensi dell'art. 599-bis c.p.p.
2. Avverso la decisione della Corte di appello propongono ricorso per cassazione, per il tramite dei rispettivi difensori di fiducia, gli imputati C. e T. e il terzo intestatario Ca.
3. Il ricorso di Marco C. è strutturato in due motivi.
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della legge processuale. Obietta che la sentenza impugnata non farebbe menzione degli elementi ostativi all'adozione, in suo favore, di una pronuncia di proscioglimento, ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione della legge processuale e vizio della motivazione. Sostiene che egli avrebbe dovuto essere assolto, non risultando elementi di reità a suo carico e non potendo essere affermata «oltre ogni ragionevole dubbio» la sua penale responsabilità.
4. Il ricorso di Sergio T. è incentrato su un unico articolato motivo.
In esso è denunciata la violazione di legge e il vizio di motivazione.
Il motivo esordisce affermando che un'unica conversazione tra presenti, non ricomprendente l'imputato, starebbe alla base dell'affermazione di penale responsabilità. Si tratterebbe della conversazione, intercettata il 21 febbraio 2020, tra Fernando R. - imprenditore, presunta vittima dell'usura di cui al capo d) - e i coimputati Alì F. e Vitangelo Cam., dalla quale si dovrebbe comprendere l'esistenza del prestito usurario da T. a R.
Tale conversazione avrebbe, per il ricorrente, natura meramente indiziaria e, come tale, sarebbe priva dei caratteri di gravità, precisione e concordanza idonei a conferirle adeguata forza dimostrativa. Quanto narrato da R. a F. sarebbe verosimilmente inattendibile, in quanto strumentalmente diretto a giustificare la difficoltà di R. ad onorare il distinto debito contratto dal medesimo con il clan Coluccia, di cui F. era esponente.
La sentenza impugnata avrebbe escluso i citati dubbi di inattendibilità e strumentalità, facendo leva su ulteriori conversazioni captate, aventi questa volta il ricorrente stesso a protagonista, nelle quali tuttavia non si farebbe mai riferimento ad interessi, ma sempre e solo al rimborso del capitale incontestabilmente mutuato.
La sentenza impugnata sarebbe affetta da criticità motivazionali ulteriori. Il riferimento al passaggio di proprietà di un'automobile, contenuto in una delle predette ulteriori conversazioni, sarebbe stato, a torto, valorizzato in senso accusatorio, così come i riferimenti, impliciti o espliciti, a dazioni di denaro, operati in altro dialogo, il cui tenore sarebbe stato equivocato.
Dal compendio captativo, e dagli atti di indagine, non emergerebbe insomma alcuna conferma della natura usuraria del debito di R., ritenuta dalla Corte territoriale. T. avrebbe sempre e solo insistito perché gli fosse restituita la somma capitale e avrebbe messo, vanamente, all'incasso assegni di importo strettamente corrispondente. R. non si sarebbe mai trovato in rapporto di soggezione con l'imputato, essendosi anzi posto, ripetutamente, in aperto atteggiamento di sfida nei di lui confronti.
5. Il ricorso di Yari Ca. è articolato in sette motivi.
5.1. Nel primo motivo si deduce violazione della legge processuale.
Il ricorrente ricorda che, nella qualità di terzo intestatario di un bene immobile suscettibile di confisca, è stato citato nel processo penale, a norma dell'art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., dopo che era stato già disposto il rito abbreviato. Sostiene di essere rimasto così coinvolto, suo malgrado e nonostante la sua opposizione, in un iter processuale a prova contratta, che lo avrebbe sottratto al suo giudice naturale e avrebbe pregiudicato, sotto numerosi profili, i diritti e le garanzie a lui spettanti in base all'art. 6 CEDU.
Sarebbe stato violato, nei suoi confronti, il principio di oralità del giudizio, comprendente il diritto di far esaminare in aula propri testimoni, di controesaminare i testimoni a carico e di non essere giudicato sulla base di prove dichiarative formatesi in assenza di contraddittorio. Sarebbe stato violato il principio di immediatezza, che avrebbe imposto la corrispondenza tra l'organo giudiziario davanti a cui si era formata la prova e l'organo decidente. Sarebbero state violate le regole di imparzialità del giudizio, che avrebbero richiesto di mantenere distinti tra loro il giudice che aveva disposto il sequestro e quello investito della pronuncia sulla confisca.
Nei confronti del ricorrente si sarebbe dunque svolto un processo non equo, che la Corte di appello avrebbe indebitamente omesso di riconoscere tale, e di invalidare in conseguenza. Il ricorrente avrebbe dovuto, infatti, essere estromesso sin dall'inizio dal giudizio abbreviato, a somiglianza delle posizioni della parte civile, che subisce tale sorte se non accetta il rito alternativo (art. 441, comma 4, c.p.p.), e del responsabile civile, escluso in ogni caso (art. 87, comma 3, c.p.p.).
Per quanto possa occorrere, il ricorrente eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., se interpretato nel senso che esso non consenta al terzo il diritto al contraddittorio dibattimentale in fase di formazione della prova in uno scenario di fisiologica inutilizzabilità degli atti preliminari di indagine, per contrasto con l'art. 111 Cost. e, tramite il parametro interposto rappresentato dal citato art. 6 CEDU, con l'art. 117, primo comma, Cost.
5.2. Nel secondo motivo si deduce, anzitutto, violazione di legge.
Erroneamente la sentenza impugnata avrebbe escluso di poter sindacare i profili inerenti i presupposti generali di applicazione della confisca estesa, ossia l'esistenza del reato-spia, la responsabilità dell'imputato in ordine ad esso, la correlazione temporale tra la commissione del reato e l'acquisto del bene, nonché la sproporzione tra il valore di quest'ultimo e la capacità reddituale ed economica dell'autore del reato.
Esisterebbe in realtà, nella giurisprudenza di legittimità, un indirizzo favorevole ad ammettere un sindacato siffatto, e a tale indirizzo il ricorrente intende richiamarsi per affermare la sua possibilità di contraddire in ordine all'asserita inesistenza di lecite e proporzionate fonti di guadagno dell'autore del reato rispetto all'acquisto.
Su quest'ultimo aspetto il motivo di ricorso si sviluppa ulteriormente, allo scopo di far risaltare le pretese incongruenze motivazionali, riguardo all'esclusione di tali fonti, in cui sarebbe incorsa la decisione impugnata.
5.3. Nel terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Il ricorrente richiama i principi espressi dalle Sezioni unite nella sentenza n. 8052 del 2024, Rizzi, secondo cui il divieto previsto dall'art. 240-bis c.p., introdotto dall'art. 31 l. 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificazione della legittima provenienza dei beni oggetto della confisca per sproporzione, o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, non si applicherebbe ai beni acquistati nel periodo compreso tra il 29 maggio 2014, data della sentenza delle Sezioni unite n. 33451 del 2014, Repaci, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della l. n. 161 del 2017.
La sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con tali principi.
5.4. Nel quarto motivo si deduce formalmente la violazione di legge.
Il motivo riafferma, in primo luogo, il diritto del terzo di contraddire in ordine all'eventuale difetto di correlazione temporale tra l'acquisto del bene confiscato e la data di consumazione del reato-spia.
Di seguito, il ricorrente contesta che una tale correlazione possa essere istituita rispetto all'acquisto dell'appartamento di causa. Le condotte illecite di F., quali risultanti dalle investigazioni, si sarebbero esaurite almeno un decennio prima dell'anno 2014, al quale risalirebbe la primitiva manifestazione di interesse dell'imputato all'acquisto stesso.
5.5. Nel quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine all'affermata riconducibilità ad Alì F. dell'appartamento di causa.
Il ricorrente muove dalle ragioni che la sentenza impugnata aveva addotto a sostegno dell'assunto.
La sentenza in discorso aveva ritenuto che il prezzo di acquisto dell'immobile, pari a 130.000 euro, fosse stato pagato per intero dall'imputato: quanto all'acconto di 51.951 euro, in quanto versato dalla originaria promissaria acquirente (per sé o per persona da nominare), Vittoria L., con provvista fornita direttamente da F.; quanto al saldo di 78.049 euro, in quanto versato da Ca. (designato da L. quale acquirente finale) previo finanziamento bancario, nel mentre l'immobile veniva locato all'imputato dietro un corrispettivo di importo maggiore della rata stessa di mutuo. Era dunque F., secondo la Corte di appello, che si era accollato l'intero costo dell'operazione, e che godeva dell'immobile.
Secondo il ricorrente, il subentro di Ca. a L. quale compratore dell'appartamento si doveva - piuttosto - alla rottura della relazione sentimentale tra F. e la signora, a beneficio della quale il primo intendeva in origine acquistare. Venuta meno una tale necessità, F. aveva individuato altra persona interessata all'appartamento nell'attuale ricorrente, che si era impegnato a rimborsargli l'acconto già corrisposto. A dire del ricorrente, le conversazioni intercettate e i documenti in atti avvaloravano l'assunto. Il mancato rimborso dell'acconto si doveva a mera inadempienza contrattuale. La locazione del bene, ad un prezzo maggiore della rata di mutuo, costituiva d'altra parte l'esito di un buon investimento e non rappresentava un indice univoco di simulazione proprietaria.
5.6. Nel sesto motivo si deduce violazione di legge, in rapporto alla negata capacità reddituale ed economica del ricorrente in ordine all'acquisto.
La situazione patrimoniale del medesimo ricorrente avrebbe dovuto essere indagata con cura ad opera della sentenza impugnata, come non sarebbe avvenuto.
Il motivo si intrattiene, quindi, sugli elementi di capacità patrimoniale, che la Corte di appello avrebbe indebitamente trascurato.
5.7. Nel settimo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in rapporto all'estensione della confisca.
La sentenza impugnata non avrebbe considerato, in via subordinata, la possibilità di disporre una confisca solo parziale, limitata alla quota ideale corrispondente alla somma di 51.951 euro, effettivamente versata non dal ricorrente ma da Vittoria L.
Quanto meno nella restante parte, infatti, la realtà della situazione proprietaria, in capo al ricorrente, sarebbe incontestabile.
Del resto, se la confisca fosse confermata per l'intero, Ca., pur perdendo la proprietà dell'immobile, resterebbe obbligato a pagare alla banca le rate residue del mutuo; la situazione, che ne deriverebbe, non sarebbe accettabile in uno Stato di diritto.
6. Il Procuratore generale requirente ha depositato rituale memoria, nella quale ha anticipato e argomentato le conclusioni di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di Marco C. - in entrambi i suoi motivi, tra loro connessi e congiuntamente esaminabili - è inammissibile.
Per pacifica opinione, nel perimetro dell'istituto regolato dall'art. 599-bis c.p.p. (c.d. patteggiamento della pena in appello) le parti esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione, salva l'ipotesi di illegalità della pena concordata (Sez. un., n. 5466 del 28 gennaio 2004, Gallo, Rv. 226715-01), qui non dedotta e non sussistente.
La rinuncia parziale ai motivi di appello determina, d'altra parte, il passaggio in giudicato della sentenza gravata sui capi e punti oggetto di rinuncia, di talché sono precluse in Cassazione le censure attinenti ai motivi di appello rinunciati (Sez. 5, n. 29243 del 4 giugno 2018, Casero, Rv. 273194-01; Sez. 4, n. 53565 del 27 settembre 2017, Ferro, Rv. 271258-01; Sez. 4, n. 9857 del 12 febbraio 2015, Barra, Rv. 262448-01; Sez. 2, n. 3593 del 3 dicembre 2010, dep. 2011, Izzo, Rv. 249269-01).
Ne deriva anche che il giudice di appello, rilevata la rinuncia dell'imputato ai motivi diversi da quelli ricadenti o influenti sulla pena, correttamente ne omette l'esame, anche ai fini dell'applicazione dell'art. 129 c.p.p., in quanto, ai sensi dell'art. 597, comma 1, dello stesso codice, l'effetto devolutivo dell'impugnazione circoscrive la cognizione del giudice del gravame ai soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti che, una volta rinunciati, non possono essere presi in ulteriore considerazione; né è proponibile ricorso per cassazione, avendo la rinuncia effetti preclusivi sull'ulteriore svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità (Sez. 5, n. 2791 del 22 ottobre 2014, dep. 2015, Ferlito, Rv. 262682-01; v. anche Sez. 2, n. 3593 del 3 dicembre 2010, dep. 2011, Izzo, Rv. 249269-01).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso di Marco C. consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila euro.
2. Il ricorso di Sergio T. è infondato.
2.1. La prova, valutata a suo carico, non ha - anzitutto - natura indiziaria.
È indiziaria la prova basata non già su una rappresentazione storica diretta del fatto principale oggetto di dimostrazione, ma su tracce o altri elementi indiretti e secondari, materiali o ideali, detti appunti indizi, idonei a far emergere, tramite un ragionamento logico-induttivo, l'esistenza del fatto medesimo. Tali elementi possono, peraltro, legittimamente sorreggere il convincimento giudiziale, a patto che siano certi, plurali e concordanti e che il procedimento di derivazione logica sia ispirato a correttezza e rigore, come prescritto dall'art. 192, comma 2, c.p.p. (tra le molte, Sez. 5, n. 1987 dell'11 dicembre 2020, dep. 2021, Piras, Rv. 280414-01).
Nel presente processo T. non è tuttavia attinto da prova indiziaria nel senso sopra delineato, ma da elementi obiettivi, risultanti da servizi di osservazione di polizia giudiziaria, nonché da elementi a contenuto narrativo tratti da intercettazioni di conversazioni ed idonei a fornire una raffigurazione immediata del fatto-reato investigato, in quanto correlata sia alla conoscenza diretta già acquisita al riguardo dai soggetti narranti, sia alla viva voce dell'imputato, che la vittima aveva pre-registrato e aveva fatto ascoltare, nei dialoghi captati, al suo interlocutore.
Nella ricostruzione giudiziale, basata su tale materiale probatorio, rientrante dunque nel genus delle prove rappresentative, l'imprenditore Fernando R., commerciante di scarpe, era taglieggiato da esponenti del clan Coluccia e da altri creditori, tra cui l'odierno imputato. Quest'ultimo gli aveva imprestato, nel 2019, 30.000 euro e pretendeva da lui un interesse pari al 10% mensile. R., colloquiando con F., intraneo al clan, preannunciava di non essere in grado di onorare il relativo debito e, contemporaneamente, di fare fronte alle esose pretese di T. F. opponeva che avrebbe dovuto essere quest'ultimo a moderare le sue pretese, atteso che il sodalizio di stampo mafioso aveva necessità di rientrare in possesso, quanto meno, della somma capitale.
2.2. La sentenza impugnata ha operato una puntuale e approfondita analisi di tale compendio probatorio.
I corrispondenti esiti valutativi sono attinti, in questa sede, da censure meramente reiterative di quelle prospettate con l'atto di appello, dalla Corte di merito già adeguatamente confutate e in nessun modo idonee ad infirmare la stringente capacità esplicativa del ragionamento giudiziale.
La Corte di appello, infatti, si è anche fatta carico della versione difensiva, secondo cui R. si sarebbe fittiziamente dichiarato vittima della condotta usuraria di T., allo scopo di calmierare le pretese di F. e del clan Coluccia. Tale versione è stata considerata insostenibile, perché contrastata da molteplici altre conversazioni captate, che documentano le insistenti pressioni dell'imputato per essere pagato, le larvate minacce da lui proferite, gli incassi di somme di denaro e di altri beni in misura sproporzionata all'entità del prestito. Gli incontri, funzionali agli incassi, sono talora caduti sotto la diretta osservazione del personale di polizia giudiziaria.
2.3. A fronte di apprezzamenti giudiziali al riguardo impeccabili, destinato all'insuccesso è il tentativo del ricorrente di servirsi del giudizio di legittimità per accreditare e valorizzare la ricostruzione alternativa dei fatti da lui propugnata (imperniata sulla natura disinteressata del prestito e sul mendacio della vittima sul punto), dopo che essa è stata oggetto, come nella specie, di motivata disamina e di argomentata confutazione da parte del giudice di appello (Sez. 1, n. 5517 del 30 novembre 2023, dep. 2024, Lombardi, Rv. 285801-01; Sez. 2, n. 29480 del 7 febbraio 2017, Cammarata, Rv. 270519-01; Sez. 1, n. 53512 dell'11 luglio 2014, Gurgone, Rv. 261600-01).
La sentenza impugnata supera dunque il vaglio di questa Corte, al quale resta estranea ogni rivalutazione di merito sul significato della prova, giacché la decisione di appello appare frutto della ponderazione, logica ed esaustiva, di elementi adeguatamente convergenti verso la ricostruzione dell'occorso che, in entrambi i gradi di giudizio, è stata conclusivamente accreditata.
2.4. Né può, infine, dubitarsi della bontà dell'inquadramento giuridico nella fattispecie legale contestata, posto che il delitto di cui all'art. 644 c.p., come riconfigurato sin dalla l. 7 marzo 1996, n. 108, è integrato, in capo al beneficiario, da qualunque pattuizione o dazione, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altre utilità, di interessi o vantaggi usurari, e questi ultimi sono tali per il fatto stesso di essere superiori al saggio legalmente predefinito, come puntualmente accertato nella specie.
Le condizioni personali della persona offesa, o lo stato dei rapporti tra essa e il colpevole, su cui il motivo di ricorso indugia nella parte terminale, possono incidere sulla dimensione offensiva della condotta usuraria, ma non influiscono sulla consumazione e in nessun caso la precludono.
Né lo stato di bisogno della vittima, che ricorre nel caso in cui sussista un impellente assillo di natura economica alla base della scelta del soggetto passivo di accedere al credito a condizioni vessatorie, né l'eventuale suo stato di soggezione, tale da porre il soggetto stesso in una situazione psicologica ulteriormente deteriore rispetto a quella nascente dalla mera precarietà economica, concorrono in realtà alla definizione del modello legale di incriminazione; entrambi possono rilevare, a certe condizioni, solo quali fattori aggravatori della responsabilità penale dell'autore del reato (Sez. 2, n. 1255 del 4 ottobre 2022, dep. 2023, Perciballi, Rv. 284286-01; Sez. 2, n. 47414 del 29 ottobre 2003, Guido, Rv. 227583-01), fattori che, tuttavia, non sono stati in questo processo concretamente contestati.
2.5. Il ricorso di Sergio T. deve essere pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
3. Il ricorso di Yari Ca. deve essere partitamente esaminato, in relazione ai singoli motivi con esso proposti.
4. L'esame del primo motivo presuppone un sintetico inquadramento sistematico delle tematiche in esso sollevate.
4.1. La tutela delle ragioni del terzo - estraneo al reato, in quanto non accusato di essere coinvolto, né come autore, né come compartecipe, nell'attività illecita per la quale è in corso il giudizio penale, ma che sia titolare di diritti reali o personali di godimento sui beni appresi al processo in rapporto all'imputazione, passibili di confisca - è oggetto di un complesso di disposizioni, che il legislatore ha inteso recentemente rivisitare allo scopo di raggiungere un più soddisfacente equilibrio tra i delicati e confliggenti interessi in gioco.
Il limite alla confiscabilità, derivante dall'appartenenza della res al terzo, non vale nel caso in cui si tratti di cose intrinsecamente pericolose, ai sensi dell'art. 240, secondo comma, n. 2), c.p., né vale in casi predeterminati di confisca per sproporzione (già prevista dall'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. dalla l. 7 agosto 1992, n. 356, riprodotto ora nell'art. 240-bis c.p.), concernente beni privi di collegamento causale con la commissione del reato e diretta piuttosto a colpire forme di accumulazione illecita di ricchezza, per lo più sotto forma di reimpiego, anche per interposta persona, fisica o giuridica, di utilità provenienti dalle condotte criminose sub iudice.
La posizione del terzo è, nei casi riferiti, intrisa di potenziale pregiudizio e al terzo non può essere imposto di subire il provvedimento ablativo, senza che gli sia consentito, in via preventiva o successiva, di opporre sul piano sostanziale le sue ragioni e di esplicare le sue difese processuali.
4.2. Tale tutela ha trovato, per lungo tempo, prevalente esplicazione nella fase dell'esecuzione.
In tale fase, il terzo è tradizionalmente ammesso a dimostrare - mediante la proposizione di apposito incidente, nelle forme previste dall'art. 676 c.p.p. - la sua posizione di estraneità, il suo diritto di proprietà o di godimento sulla cosa confiscata e l'effettività e prevalenza di esso, senza peraltro poter rimettere in discussione, in linea di massima, i presupposti applicativi che avevano giustificato la misura ablatoria, ostandovi il principio di intangibilità del giudicato (Sez. 3, n. 50363 del 29 ottobre 2019, Zecchi, Rv. 277940-01; Sez. 3, n. 58444 del 4 ottobre 2018, Siem s.p.a., Rv. 275459-01; Sez. 1, n. 47312 dell'11 novembre 2011, Lazzoi, Rv. 251415-01).
Non essendo il rimedio dell'incidente di esecuzione disponibile nei riguardi della sentenza, non ancora definitiva, che abbia disposto la confisca della res, la giurisprudenza ha peraltro apprestato un meccanismo di intervento surrogatorio, riconoscendo al terzo estraneo, formalmente proprietario del bene già in sequestro e oggetto della confisca anzidetta, il diritto di chiedere al giudice della cognizione, a processo pendente, la restituzione del bene e, in caso di diniego, la possibilità di proporre appello dinanzi al tribunale individuato dall'art. 322-bis c.p.p. (Sez. un., n. 48126 del 20 luglio 2017, Muscari, Rv. 270938-01; Sez. 1, n. 3031 del 20 settembre 2022, dep. 2023, Giordano, Rv. 283946-01; Sez. 2, n. 27889 dell'11 maggio 2022, Aloe, Rv. 283634-01; v. anche Corte cost., n. 253 del 2017).
4.3. L'assetto così delineato non poteva definirsi totalmente appagante, per le limitazioni probatorie cui il terzo andava soggetto nell'ambito delle procedure camerali azionabili, per il vuoto di tutela che rimaneva nel caso in cui la res fosse stata assoggettata a confisca solo in sentenza e senza essere dunque preceduta da un provvedimento di sequestro autonomamente impugnabile, nonché a cospetto delle più garantistiche previsioni in materia di confisca di prevenzione, ove l'art. 23 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, assicura al terzo controinteressato il diritto di essere citato nel procedimento e di intervenirvi.
Le aporie appena menzionate non erano di poco conto, stante lo spessore dei valori coinvolti. Sul piano sostanziale, esse privavano il sistema di quelle caratteristiche di tempestività ed effettività dei controlli giurisdizionali nelle materie incidenti sul diritto di proprietà, protetto dall'art. 42, terzo comma, Cost., e dall'art. 1, protocollo addizionale n. 1 CEDU. Sul piano formale, a rischio di compromissione erano il diritto di difesa e i principi del giusto ed equo processo (artt. 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost.; art. 6, § 1, CEDU).
4.4. Il legislatore ha così deciso di innalzare il livello di protezione.
Con la l. 17 ottobre 2017, n. 161, la tutela giurisdizionale del terzo, nell'ambito della confisca per sproporzione, è stata rimodellata sulla falsariga del procedimento di prevenzione.
L'art. 31, comma 1, della l. n. 161 ha, tra l'altro, interpolato il comma 4-bis dell'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, cit. - stabilendo così che le norme in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro, oltre a quelle di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, previste dal d.lgs. n. 159 del 2011 per le misure di prevenzione, si applicassero altresì ai casi di sequestro e confisca per sproporzione, nonché agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. - e ha introdotto, sempre in seno all'art. 12-sexies, un nuovo comma 4-quinquies, in base al quale, nel processo di cognizione, devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in stato di sequestro, di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo.
Tali specifiche norme sono state poi abrogate e il loro contenuto precettivo è stato trasfuso nell'art. 104-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, disp. att. c.p.p., mentre lo stesso art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992 è stato pressoché interamente assorbito nell'art. 240-bis c.p. di nuovo conio, per effetto degli artt. 6 (commi 1 e 3), e 7 (comma 1), d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, attuativo del principio della riserva di codice in materia penale.
L'assimilazione della confisca per sproporzione alla confisca di prevenzione, per quanto concerne la tutela del terzo e la sua partecipazione al procedimento, derivante dalle menzionate modifiche legislative, ha comportato che - ove si tratti di confisca in casi particolari, ricadente nell'ambito applicativo dell'art. 240-bis c.p., quale quella che viene in rilievo in questa sede - i terzi controinteressati debbano essere citati già nel processo di cognizione.
4.5. Si è dato vita, così, ad un modello di tutela anticipata, rispetto allo schema del mero incidente di esecuzione, delle ragioni del terzo, cui la confisca risulterà all'esito, se per lui insoddisfacente, pienamente opponibile (sul punto da ultimo, in materia di prevenzione, Sez. 1, n. 5050 del 10 dicembre 2019, dep. 2020, Lafleur, Rv. 278469-02). L'incidente di esecuzione resta confinato ad ipotesi residuali, in cui l'interlocuzione preventiva con il terzo non abbia potuto, fisiologicamente o in via patologica, avere luogo (Sez. 2, n. 38855 del 28 settembre 2021, Meloce, Rv. 282196-01, ha di recente statuito che l'eventuale mancata citazione, nel giudizio di cognizione, del terzo interessato al provvedimento ablatorio, ai sensi dell'art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., non integra una nullità processuale, né è prevista alcuna facoltà del terzo di costituirsi, ove non citato).
La tutela anticipata, prevista dalle nuove disposizioni a regime, non realizza soltanto esigenze di economia e celerità dei giudizi, ma è indirizzata alla massima espansione delle garanzie del terzo, al quale in tal modo:
- è riconosciuta la possibilità di interloquire sulla confisca minacciata nei suoi confronti in un contesto unitario, in cui i presupposti generali di applicabilità della misura sono oggetto di pregiudiziale rilievo e trattazione, nonché la possibilità di valersi e giovarsi altresì delle eventuali difese, di tipo argomentativo ed istruttorio, prospettate dall'imputato;
- è riconosciuto, anche a prescindere dalle iniziative dell'imputato, sia pure entro i confini in cui le difese e le contestazioni del terzo debbano ritenersi ammesse, il pieno diritto al contraddittorio e alla prova, secondo le modalità procedimentali del giudizio al quale il terzo si trova a partecipare, anziché entro i più angusti confini disegnati dall'art. 666, comma 5, c.p.p.
4.6. Se il giudizio ha luogo secondo l'ordinario rito dibattimentale, la formazione della prova sarà regolata dai principi di oralità e immediatezza propri del processo accusatorio, estensivamente riferibili alla posizione del terzo, che legittimamente vi partecipa con pari attribuzioni e diritti. Né sarebbe concepibile applicare al terzo, in proposito, uno statuto processuale differenziato rispetto a quello in vigore per l'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato.
Se il giudizio ha luogo, per scelta dell'imputato, nelle forme del rito abbreviato, il diritto di difesa del terzo, chiamato a parteciparvi, dovrà essere necessariamente rimodulato secondo le peculiarità del rito stesso, senza che l'essenza del diritto ne resti, per ciò soltanto, intaccata e pregiudicata.
4.7. In caso di celebrazione del giudizio abbreviato, la legge non prevede l'estromissione dal medesimo del terzo, citatovi in quanto titolare di diritti reali o personali di godimento incompatibili con la preannunciata confisca.
Né è ipotizzabile, nel sistema processuale attuale, per difetto di qualsiasi referente normativo invocabile, un giudizio di cognizione, riguardante soltanto il terzo, svincolato dalla posizione e dalla partecipazione dell'imputato, da svolgersi nelle ordinarie forme dibattimentali.
Tale estromissione non sarebbe, del resto, coerente con la filosofia che ha concorso ad ispirare la riforma, che è quella dell'accertamento unitario, rispetto all'imputato e al terzo, nell'interesse anzitutto di quest'ultimo, dei presupposti di confiscabilità del bene. L'unitarietà dell'accertamento amplia le chances del terzo di far prevalere le sue ragioni, dato che la fase di cognizione rappresenta la sede più idonea per una valutazione a largo spettro, a contraddittorio ampliato, sulla ricorrenza delle condizioni per l'adozione della misura di rigore, mentre il resuscitato intervento del giudice dell'esecuzione - il terzo, una volta evaso dal giudizio abbreviato, potrebbe tornare ad interloquire giusto in tale sede - incontrerebbe, come visto, per tutto ciò che non attiene al profilo della fittizietà dell'intestazione, o dell'opponibilità in genere della confisca al terzo, il limite delle determinazioni già adottate con la sentenza irrevocabile (da ultimo, Sez. 3, n. 50304 del 10 novembre 2023, Guidi, Rv. 285695-02), oltre che i limiti probatori già evidenziati.
La situazione data è dunque difforme dal caso in cui, disposto il rito abbreviato, la parte civile dichiari di non accettarlo e ne venga pertanto esclusa (art. 441, comma 4, c.p.p.), come dal caso del responsabile civile, escluso senz'altro d'ufficio (art. 87, comma 3, c.p.p.). In entrambe le ipotesi, il giudizio di responsabilità civile, dal lato attivo e passivo, potrà avere il suo regolare corso nella separata - ma non meno garantita - sede civile, che anzi costituisce, nell'odierno sistema processuale, la sede di elezione al riguardo (per l'opzione di fondo dell'ordinamento processuale vigente in favore della separazione delle azioni, v. già rel. prog. prel., in G.U. n. 93 del 24 ottobre 1998, pag. 33).
La diversità di situazioni a confronto, e l'esito di maggior favore per il terzo che il quadro normativo restituisce rispetto ad una previsione che ne avesse sancito l'esodo dal processo, rende implausibile ogni dubbio sulla tenuta costituzionale del quadro stesso, in rapporto all'art. 3, primo comma, Cost.
Né può affermarsi che, per il fatto di essere citato e di doversi difendere, in abbreviato, dinanzi al giudice dell'udienza preliminare, anziché dinanzi al giudice del dibattimento, il terzo sia sottratto al suo giudice naturale, in violazione dell'art. 25, primo comma, Cost., posto che la relativa garanzia è soddisfatta in tutti i casi in cui l'ufficio giudiziario investito della reiudicanda risulti predeterminato dalla legge, con previsioni generali il cui contenuto è rimesso alla discrezionalità, non arbitrariamente esercitata, del legislatore (Corte cost., n. 41 del 2006, n. 469 del 2002, n. 460 del 1994), come è a dirsi in relazione al caso di specie.
4.8. Il processo prosegue dunque, anche nei confronti del terzo che non vi abbia consentito, nelle forme del rito abbreviato.
Al terzo tuttavia, una volta che l'abbreviato sia stato disposto, devono essere comunque assicurati i diritti di iniziativa probatoria e di contraddittorio sulla prova, quali componenti ineludibili del diritto di difesa ai sensi dell'art. 24, secondo comma, Cost., rientranti nella garanzia del giusto processo (sancita nell'art. 111, primo e secondo comma, Cost.), corrispondente a quella del fair trial, o processo equo, riconosciuta dall'art. 6, § 1, CEDU.
Un'interpretazione, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, delle disposizioni che regolano il rito alternativo avalla tale impostazione.
4.8.1. Il giudizio abbreviato è un rito a prova contratta, nel quale la decisione di regola è assunta, rispetto all'imputato che lo abbia richiesto, al pubblico ministero che lo abbia impostato e alla parte civile che lo abbia accettato, sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, includenti le eventuali investigazioni difensive.
Nuove iniziative istruttorie sono ammesse, tuttavia, nel casi regolati dagli artt. 438, comma 5, e 441, comma 5, c.p.p., ossia allorché il giudizio abbreviato sia stato dall'imputato espressamente condizionato ad una integrazione probatoria (valutata compatibile, in sede di ammissione, con la fisionomia spedita del rito), ovvero allorché l'integrazione in discorso sia stata disposta dal giudice, avendo questi ritenuto, anche all'esito della sollecitazione di parte (Sez. 6, n. 31683 del 31 marzo 2008, Reucci, Rv. 240779-01), di non poter comunque decidere allo stato degli atti.
4.8.2. Le limitazioni probatorie, che la legge ricollega alla celebrazione del rito abbreviato, hanno dunque, per le parti private, una base consensualistica, che le rende giustificabili secondo i principi costituzionali e convenzionali, oltre che sensate in rapporto alla maggiore rapidità e concentrazione dell'accertamento che il rito stesso persegue, bilanciata altresì dalla premialità notoriamente riconosciuta all'imputato in caso di condanna.
Le limitazioni non sarebbero, invece, giustificabili - e non possono dunque, in chiave ricostruttiva, ritenersi consentite ed operanti - se riferite a soggetti ulteriori, coinvolti nell'iter processuale a prescindere dal loro consenso e verosimilmente privi di interesse a rilasciarlo, quali i terzi citati nel giudizio penale nella veste di titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni suscettibili di confisca.
Posto che solo la rinuncia al diritto di difendersi provando rende possibile, secondo le linee guida del codice, la rigida contrazione delle prerogative difensive al riguardo, una tale contrazione deve considerarsi sistematicamente preclusa rispetto a soggetti processuali, quali i terzi controinteressati alla confisca, che a tale rinuncia non abbiano acconsentito.
4.8.3. L'ordito normativo non impone, del resto, una diversa conclusione.
Il rito abbreviato non costituisce infatti, come si è evidenziato, un modello processuale chiuso in assoluto ai nova istruttori, ove essi si impongano in relazione ad esigenze superiori, che sono la salvaguardia del diritto di difesa (in rapporto all'espressa riserva di ammissione delle nuove prove, formulata dall'imputato e recepita dal giudice), o anche la realizzazione delle finalità costituzionali della giurisdizione (in ragione dell'essenziale strumentalità delle nuove prove ad assicurare una decisione basata su una piattaforma valutativa realmente esaustiva).
Questi regolati ambiti di iniziativa probatoria, di parte o del giudice, sono dunque essenziali per garantire la tenuta dell'istituto dell'abbreviato, quando sono in gioco, anche nei confronti dei soggetti che hanno assentito al mutamento di rito, valori fondamentali dell'ordinamento.
Questi stessi ambiti, e le disposizioni che li disciplinano, sono allora suscettibili di integrazione analogica, nella misura necessaria ad assicurare, nel giudizio abbreviato, il rispetto dei medesimi valori (l'integrità del diritto di difesa e la pienezza della giurisdizione) rispetto ad una parte eventuale del giudizio stesso che, come il terzo coinvoltovi a norma dell'art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., non sia dotata di strumenti processuali per opporsi alla sua celebrazione.
4.8.4. Il terzo, in tale veste, può dunque svolgere le sue deduzioni in udienza per il tramite del suo difensore, può contraddire sugli elementi di prova già in atti e può richiedere l'acquisizione di ogni elemento utile, nella prospettiva obiettiva che lo riguarda, ai fini della decisione sulla confisca, incluse le produzioni documentali o l'audizione di eventuali soggetti informati sui fatti del procedimento, da esaminare nelle forme previste dall'art. 438, comma 6, c.p.p.
Il giudice dell'abbreviato, pronunciando sui mezzi istruttori richiesti dal terzo, è tenuto ad ammettere le prove rilevanti, escludendo invece quelle vietate dalla legge o superflue.
Il compendio istruttorio così formato è valutabile rispetto al terzo, all'esito del contraddittorio, in uno con gli atti e documenti già presenti nel fascicolo delle indagini preliminari.
4.9. Nel giudizio abbreviato in discorso non risultano viceversa applicabili, neppure nei riguardi del terzo, le garanzie che l'art. 111, terzo e quarto comma, Cost., e l'art. 6, § 2 e 3, CEDU, riferiscono specificamente alla figura dell'imputato.
Né i citati parametri costituzionali, né quelli convenzionali, pur evocati dall'odierno ricorrente, sono in realtà pertinenti - onde l'infondatezza manifesta delle sollevate eccezioni di legittimità costituzionale - posto che, anche secondo la giurisprudenza della Corte EDU (24 ottobre 1986, Agosi c. Regno Unito, §§ 65-66; 5 maggio 1995, Air Canada c. Regno Unito, § 53), le misure di confisca che ledono i diritti di proprietà di terzi, in assenza di minacce di procedimenti penali contro questi ultimi, non equivalgono alla «determinazione della fondatezza di una accusa in materia penale».
Le misure di confisca a danno dei terzi rientrano piuttosto nel profilo civile dell'art. 6 (Corte EDU, 10 aprile 2012, Silickien c. Lituania, §§ 45-46) e la loro adozione mette dunque in gioco le sole tutele accordate dal § 1 della citata disposizione convenzionale, nel quadro del giusto processo voluto dall'art. 111 Cost., e non le tutele ulteriori, che, in base alle citate fonti, presidiano in modo esclusivo i giudizi in materia penale.
Non sono dunque, nello specifico, applicabili al terzo, che difende nel rito abbreviato la sua posizione dominicale o il suo diritto, i principi dell'oralità e del contraddittorio già nella fase di formazione della prova (la cui integrale declinazione imporrebbe di escludere l'utilizzabilità del materiale probatorio formato in fase pre-processuale), né il principio di immediatezza (con la necessaria corrispondenza tra l'organo davanti a cui si forma la prova e l'organo giudicante), né il principio di alterità tra il giudice che abbia svolto attribuzioni nella fase preliminare e quello investito della definizione del processo.
Questi principi riguardano il solo soggetto "accusato" del reato e non devono essere necessariamente assicurati al terzo, in prospettiva costituzionale e convenzionale, nella procedura giudiziaria in esame. Neppure la necessaria identità tra il giudice che abbia disposto la misura cautelare del sequestro e quello investito della decisione sulla confisca è, infatti, imposta nelle procedure giudiziarie a sfondo patrimoniale, giacché una tale identità non si traduce affatto, in sé, in un vizio di parzialità dell'organo decidente.
4.10. Il primo motivo del ricorso Ca. deve giudicarsi infondato, alla stregua delle considerazioni che precedono.
Nei confronti del ricorrente si è celebrato, nelle forme del rito abbreviato, un processo giusto ed equo, nel quale le garanzie dovute in base alle norme della Costituzione e della CEDU sono state assicurate.
Il giudizio si è infatti svolto in piena interlocuzione con la parte privata interessata e - come sul punto osservato dalla sentenza impugnata - nessuna iniziativa istruttoria, diversa dalle produzioni documentali regolarmente accettate, è stata intrapresa nell'interesse di Ca. A dispetto della lamentata violazione del diritto di difesa, il ricorso non illustra, in effetti, quali mezzi di prova siano stati dedotti e non ammessi, e sotto quali specifici e concreti profili la violazione si sia verificata.
Nessuna lesione al diritto stesso, o ai principi della prova e del contraddittorio, come a quelli di indipendenza, terzietà, imparzialità e precostituzione del giudice, è dunque riscontrabile nell'iter processuale svoltosi.
5. Il secondo motivo del ricorso Ca. è inammissibile.
Quale che sia l'esatta latitudine delle contestazioni che il terzo possa astrattamente avanzare a sostegno delle sue rivendicazioni (sul punto v. infra, § 7), la prospettazione oggetto del motivo in esame, facente leva sulla adeguata capacità economica e reddituale dell'imputato F. rispetto all'acquisto, si rivela autocontraddittoria rispetto alla premessa che sostiene l'interesse ad agire dell'odierno ricorrente, che si afferma reale titolare dell'immobile di causa.
Argomentando a sostegno della tesi secondo cui l'autore del reato possedesse i mezzi patrimoniali necessari per effettuare un regolare e legittimo acquisto, il motivo si muove lungo la direttrice che il bene acquistato appartenga in realtà all'imputato. Di fatto, il motivo avvalora l'assunto della fittizietà dell'intestazione, che è il presupposto fondativo della confisca disposta ai suoi danni.
6. Il terzo motivo del ricorso Ca. è inammissibile, perché esso sviluppa considerazioni che attengono, esse stesse, all'affermazione della adeguata capacità economica e reddituale dell'imputato.
Valgono dunque, in senso ostativo, le osservazioni di cui al paragrafo che precede.
7. Il quarto motivo del ricorso Ca. è manifestamente infondato.
Nella giurisprudenza di legittimità si rinviene un contrasto di opinioni sulla proponibilità, da parte del terzo, delle eccezioni che sostanziano il motivo stesso.
La tesi - secondo cui, in tema di confisca ex art. 240-bis c.p., o di sequestro ad essa prodromico, il terzo intestatario del bene aggredito sia legittimato a contestare, oltre alla fittizietà dell'intestazione, anche la mancanza dei presupposti legali per la misura di rigore, tra cui la ragionevolezza temporale tra l'acquisto del bene e la commissione del reato che legittima l'intervento giudiziale - è avvalorata da alcuni arresti di questa Corte (Sez. 6, n. 15673 del 13 marzo 2024, Pezzi, Rv. 286335-01; Sez. 1, n. 19094 del 15 dicembre 2020, dep. 2021, Flauto, Rv. 281362- 01), contrastati da altro e maggioritario indirizzo (Sez. 3, n. 23713 del 23 aprile 2024, Ruggiero, Rv. 286439-01; Sez. 3, n. 36347 dell'11 luglio 2019, Pica, Rv. 276700-01; Sez. 6, n. 42037 del 14 settembre 2016, Tessarolo, Rv. 268070-01; Sez. 2, n. 15804 del 25 marzo 2015, Buonocore, Rv. 263390-01).
Anche ad accedere alla tesi che ammette il terzo ad interloquire sulla correlazione temporale, il difetto di quest'ultima è palesemente insostenibile nel caso di specie, come inappuntabilmente rilevato dalla Corte di appello, a fronte di acquisto immobiliare programmato e perfezionato in perfetta coincidenza con l'epoca di protratta consumazione del reato associativo addebitato a F. su cui è sceso il giudicato, epoca che il ricorrente pretende di retrodatare (di ben dieci anni) attraverso una rilettura, unilaterale e di puro merito, di elementi processuali e investigativi che appare tuttavia estranea al campo del giudizio di legittimità.
8. Il quinto motivo del ricorso Ca. è infondato.
8.1. La sentenza impugnata ha ineccepibilmente indagato sul presupposto della coincidenza tra l'intestazione formale al ricorrente dell'appartamento sito in Surbo, frazione Giorgilorio, e l'impiego da parte sua di risorse proprie, o comunque diverse da quelle provenienti dal soggetto condannato, trattandosi di presupposto idoneo a rivelare, se comprovato, la "realtà" dell'acquisto del bene in capo al ricorrente medesimo (in termini, con riferimento alla confisca di prevenzione, Sez. 1, n. 6745 del 5 novembre 2020, dep. 2021, Scerra, Rv. 280528-01, § 2.3 del Considerato in diritto).
Il titolare formale, che impieghi per l'acquisto disponibilità economiche proprie, è infatti immune da confisca, perché tale condizione (la titolarità effettiva, e non apparente, della posizione dominicale, conseguita a titolo oneroso) dissolve il nesso di riferibilità del bene alla persona che ha commesso il reato qualificato. In tal caso, la confisca, intesa come strumento di inibizione della pericolosità "trasferita" al bene in forza della ragionevole constatazione di una sua genesi illecita, non avrebbe più ragion d'essere. Il bene rappresenta una proiezione della pericolosità del soggetto condannato solo se, e in quanto, immobilizzi ricchezze correlate alle attività contra legem del soggetto stesso, entrando nel suo patrimonio occulto, e non se le risorse finanziarie impiegate risalgano veramente a terze persone.
8.2. Ciò posto, la riconducibilità a F. delle risorse economiche impiegate nell'acquisto di causa e la fittizietà della relativa intestazione immobiliare sono saldamente ancorate, nel ragionamento giudiziale, all'attenta ricostruzione delle vicende che hanno preceduto e accompagnato il trasferimento dominicale, che il motivo stesso richiama (§ 5.5 della narrativa in fatto, che precede).
Un consistente acconto sul prezzo di compravendita era stato inizialmente corrisposto con provvista pacificamente risalente all'imputato, e a lui mai rimborsata, mentre Ca. era stato designato come acquirente, ai sensi dell'art. 1401 c.c., solo in vista del rogito, dopo il quale l'appartamento era stato subito locato all'imputato medesimo. Il canone periodico di locazione, versato in tal modo al ricorrente, era di importo superiore al rateo corrispondente di mutuo, dall'acquirente stipulato con la banca ai fini del versamento del saldo.
La valutazione di fittizietà dell'intestazione formale dell'immobile, non accompagnata da alcun reale esborso a carico del ricorrente, privo altresì della disponibilità del bene, appare in linea con i principi di diritto suesposti e risulta esente da criticità motivazionali rilevabili in questa sede.
Il ricorrente si limita a ribadire, nel proposto motivo, l'alternativa prospettazione facente perno sulle sue doti di scaltro investitore, già giudicata totalmente implausibile dalla Corte territoriale con insuperate argomentazioni.
9. Il sesto motivo del ricorso Ca. è infondato.
Con esso il ricorrente ripropone gli argomenti, già spesi in sede di merito, a sostegno dell'esistenza di una sua adeguata capacità economica e reddituale rispetto all'acquisto, senza avvedersi che il dato, quand'anche dimostrato, sarebbe privo di rilievo nel contesto quale ricostruito dalla Corte di appello.
L'operazione, culminata nell'acquisizione della formale titolarità dell'appartamento, disgiunta dalla sua reale disponibilità, è stata portata a termine a costo zero ed è stata ritenuta per questo fittizia. Non inciderebbe su tale valutazione la titolarità, in capo al ricorrente, di separata ricchezza non impiegata.
10. Il settimo motivo del ricorso Ca. è infondato, giacché l'accertata fittizietà di intestazione riguarda, per le ragioni esposte, la totalità dell'assetto proprietario, giustificandone l'ablazione nella misura dell'intero.
I successivi rapporti economici tra il ricorrente e F., su cui cadono gli effetti riflessi della misura ablativa, dovranno essere regolati tra le parti e non pregiudicano la ritualità della confisca.
11. Il ricorso di Yari Ca. deve essere conclusivamente rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di C. Marco e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Rigetta i ricorsi di T. Sergio e Ca. Yari e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 16 gennaio 2025.