Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 15 gennaio 2025, n. 30

Presidente: Giovagnoli - Estensore: La Ganga

FATTO E DIRITTO

1. Gli appellanti hanno impugnato la sentenza n. 858/2022 con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sez. staccata di Catania, ha respinto il ricorso dagli stessi proposto in primo grado per l'annullamento:

a) dell'ordinanza del Comune di Barrafranca n. 8 in data 19 maggio 2021, con cui è stata disposta la demolizione del fabbricato sito in Contrada Chiancatella, foglio 7, particella 2283, in ragione del contestato mutamento di destinazione d'uso determinato dal diverso utilizzo dell'immobile (da deposito di mezzi ed attrezzi agricoli a deposito di mezzi per attività artigianale);

b) del verbale di accertamento del 27 gennaio 2021.

2. La vicenda cui inerisce il presente giudizio può essere sintetizzata nei termini che seguono:

- i ricorrenti sono proprietari di un capannone destinato a deposito di mezzi e attrezzi agricoli;

- l'amministrazione ha accertato che il locale sarebbe adibito a ricovero di mezzi della ditta, la quale provvede alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti e ciò a seguito di un solo sopralluogo che, come si vede dalle foto allegate al relativo verbale, ha rinvenuto un locale sostanzialmente vuoto e la presenza di due soli mezzi di piccole dimensioni, nonché di alcuni scatoloni.

3. La sentenza appellata dopo aver richiamato il verbale di accertamento del 27 gennaio 2021, in occasione del quale, oltre alla contestazione relativa alla modifica di destinazione d'uso, è stato rilevato un intervento effettuato in assenza di comunicazione di inizio dei lavori asseverata e consistente nella trasformazione di un vano autorizzato come ripostiglio in locale WC, precisa, inoltre, che l'area in questione risulta soggetta a vincolo, ai sensi dell'art. 142, lett. c), del d.lgs. n. 42/2004.

Il T.A.R. ha ritenuto infondato il ricorso in primo grado sostenendo che il rinvenimento di mezzi e altri oggetti non funzionali all'esercizio dell'attività agricola, quanto piuttosto a quella di raccolta e smaltimento dei rifiuti, non consentita nell'area in questione, comprovi la contestata modificazione della destinazione d'uso del locale, ritenendo che sarebbe stato onere della parte fornire prova della mera occasionalità di tale circostanza.

Infine, il T.A.R. ha chiarito che l'ordinanza impugnata, sebbene abbia ingiunto la "demolizione delle opere", debba essere interpretata ai sensi degli artt. 1362 e 1361 c.c. secondo criteri sostanziali trascendendo dal significato letterale delle parole per cui in virtù del detto provvedimento la parte ricorrente è semplicemente obbligata a ripristinare la destinazione d'uso originaria, nonché a convertire nuovamente il locale WC in ripostiglio.

4. L'appello è affidato ai seguenti motivi:

I) omesso esame di un motivo di ricorso.

I ricorrenti in primo grado avevano eccepito l'illegittimità dell'ordinanza impugnata per violazione di legge avendo l'amministrazione omesso di inviare loro la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e 9 della l. n. 241/1990, in quanto, nel caso in esame, il provvedimento di demolizione impugnato non è fondato su una difformità tra l'immobile per il quale era stata richiesta e ottenuta la concessione edilizia e quello realizzato, ma su un presunto uso difforme dello stesso rispetto a quello consentito.

Tra l'altro, sostengono gli appellati, che quest'ultimo uso difforme non sia stato accertato a seguito di una corretta attività istruttoria ma derivi da una verifica occasionale del tutto inidonea a dimostrare l'avvenuta modifica di destinazione d'uso del locale, in quanto dal rinvenimento di due mezzi di piccole dimensioni non può farsi derivare il cambio di destinazione d'uso del locale;

II) gli appellanti rilevano l'erroneità del T.A.R. nell'aver ritenuto le risultanze dell'unico sopralluogo svolto idonee a comprovare la contestata modifica di destinazione d'uso, ritenendo che l'amministrazione avrebbe dovuto in sede istruttoria verificare l'esistenza di più elementi univocamente attestanti la stabile diversa utilizzazione dell'immobile.

Sotto altro profilo, la sentenza sarebbe erronea anche nell'individuazione del soggetto sul quale gravava l'onere della prova, ritenendo che non spetti al proprietario, ma più correttamente all'amministrazione dimostrare il costante uso difforme del locale;

III) violazione dell'art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001 secondo il quale la modifica della destinazione d'uso deve essere tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati a una diversa categoria funzionale.

Pertanto, non è sufficiente a giustificare un provvedimento demolitorio una sporadica diversa utilizzazione dell'immobile ma necessita l'assegnazione ad una diversa categoria funzionale e, quindi, una stabilità nell'uso (difforme) dell'immobile.

5. Il Comune anche in appello non si è costituito sebbene abbia ricevuto regolarmente la notifica del ricorso.

6. All'udienza del 12 dicembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. L'appello è fondato e il primo motivo di gravame, non vagliato dal T.A.R., va accolto.

La natura vincolata dell'atto impugnato non costituisce valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative in situazioni peculiari e inoltre, i principi della collaborazione e della buona fede, che certamente trovano applicazione anche ai rapporti fra amministrazione e privati impongono, in alcuni casi anche in materia edilizia, di dare un'interpretazione quanto più garantista alle norme sulla partecipazione.

Questo collegio, tenuto conto della particolarità della vicenda, nella quale non ci si trova difronte a un'oggettiva edificazione abusiva o difforme dal titolo autorizzatorio di un immobile, ritiene che l'amministrazione avrebbe dovuto assicurare le garanzie partecipative al procedimento, e quindi, notificare agli interessati la comunicazione dell'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della l. n. 241/1990, adempimento questo che avrebbe consentito un approfondimento della vicenda in contraddittorio tra le parti, consentendo agli appellanti di rappresentare le loro ragioni prima che l'amministrazione adottasse il provvedimento di demolizione.

Questo Consiglio è consapevole che la giurisprudenza in materia sia conforme nel ritenere che l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo sia un provvedimento tipizzato e vincolato, dal contenuto interamente predeterminato dal legislatore, da assumere previo accertamento della natura abusiva dell'opera in concreto realizzata mediante un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime e che, come tutti gli atti sanzionatori in materia edilizia, non richieda una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione.

Certamente tale avviso non è necessario tutte le volte che sia indubbia la natura abusiva delle opere e la loro entità, diversamente l'avviso può risultare sostanzialmente utile per agevolare l'istruttoria e l'accertamento del comportamento illegittimo; come nel caso di specie avente ad oggetto un cambio di destinazione d'uso in cui la pretesa partecipativa del privato riguardi anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (C.d.S., Sez. VI, 20 aprile 2000, n. 2443). Tale principio è stato riaffermato anche dal C.G.A.R.S. (Sez. giurisd., 26 agosto 2020, n. 750) che ha sostenuto che «è illegittimo il provvedimento vincolato emesso senza che sia stata offerta al destinatario dello stesso provvedimento la preventiva "comunicazione di avvio del procedimento" ex art. 7 l. n. 241/1990, ove dal giudizio emerga che l'omessa comunicazione del procedimento avrebbe consentito al privato di dedurre le proprie argomentazioni, idonee a determinare l'emanazione di un provvedimento con contenuto diverso».

La partecipazione è un principio dell'ordinamento consistente nel diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento, questo principio assolve a molteplici funzioni: può avere scopo collaborativo, consentendo all'amministrazione di conoscere meglio la realtà e, quindi, individuare l'interesse pubblico da tutelare a favore dell'efficienza dell'azione amministrativa; può avere scopo difensivo, garantendo gli interessi dell'interessato che partecipando al procedimento può indirizzare l'amministrazione a determinazioni conformi al suo interesse, intervenendo sulla decisione finale (C.G.A.R.S., n. 584 del 23 luglio 2024).

D'altro canto i principi della collaborazione e della buona fede, che certamente trovano applicazione anche ai rapporti fra amministrazione e privati, peraltro, impongono di dare un'interpretazione quanto più garantista alle norme sulla partecipazione (C.G.A.R.S., n. 584 del 23 luglio 2024).

Nel caso di specie, ritiene il Collegio, che l'omissione procedimentale, lungi dall'integrare un mero vizio formale, abbia di fatto precluso un idoneo approfondimento istruttorio circa l'effettivo mutamento della destinazione d'uso del locale; di conseguenza, la violazione dell'art. 7 della l. n. 241 del 1990 ha esplicato un effetto invalidante sull'ordinanza di demolizione impugnata.

Di fatto non può essere sottaciuta l'incertezza sull'effettivo mutamento di destinazione d'uso del capannone non essendo sufficiente in un unico episodio il rinvenimento di qualche scatolone e di due piccoli mezzi, ritenendosi piuttosto che la situazione avrebbe richiesto da parte dell'amministrazione un'attività istruttoria più articolata e completa che certamente non può ora essere colmata in sede giudiziaria.

Pertanto, il fatto che ci si trovi in presenza di un provvedimento avente natura vincolata non significa che la mancata comunicazione di avvio del procedimento debba ritenersi per ciò solo, irrilevante.

Né può ritenersi che il Comune, che non si è costituito in nessuno dei due giudizi, abbia fornito la prova richiesta dall'art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, ovvero, che il provvedimento non avrebbe comunque potuto essere diverso, rimanendo il dubbio serio che una più attenta valutazione delle circostanze di fatto avrebbe potuto condurre a un diverso esito procedimentale.

Il primo motivo di appello va, pertanto, accolto e, per l'effetto, va annullata l'ordinanza del Comune di Barrafranca n. 8 del 19 maggio 2021.

8. Sussistono i presupposti per compensare le spese del doppio grado di giudizio, considerata la possibilità che il potere venga riesercitato all'esito di una più approfondita istruttoria.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla l'ordinanza del Comune di Barrafranca n. 8 del 19 maggio 2021.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Sicilia, Catania, sez. III, sent. n. 858/2022.