Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 10 gennaio 2025, n. 157
Presidente: Lopilato - Estensore: Carrano
FATTO E DIRITTO
1. La società Calò Roberto s.r.l. - titolare dell'impianto di trattamento rifiuti pericolosi (veicoli fuori uso), sito in Roma, via Pio Spezi, n. 60 - ha impugnato la determinazione dirigenziale con cui Roma Capitale aveva concluso negativamente la conferenza di servizi indetta ai fini dell'autorizzazione ex art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 «con effetto di rigetto» della relativa istanza.
2. Successivamente l'amministrazione comunale ha depositato in atti la nota del proprio dipartimento tutela ambientale, in cui si riferisce come, a fronte della presentazione di una nuova istanza avanzata dalla società sempre ai sensi dell'art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, Roma Capitale abbia concluso positivamente la relativa conferenza di servizi, rilasciando la suddetta autorizzazione unica per la realizzazione dell'impianto di autodemolizione in questione.
3. La società ricorrente, nel confermare tale circostanza, ha insistito per l'accoglimento del ricorso rappresentando che «permane l'interesse della Società ricorrente alla rimozione dell'atto dal mondo giuridico anche per fini risarcitori».
Sul punto, Roma Capitale ha eccepito l'improcedibilità del gravame, avendo la ricorrente ottenuto l'autorizzazione ed avendo continuato ad esercitare l'attività di autodemolizione anche successivamente all'avvenuta scadenza dell'ultima autorizzazione provvisoria.
4. Con la sentenza impugnata, il T.A.R. ha dichiarato il ricorso improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, escludendo anche la sussistenza di un interesse a fini risarcitori, solo genericamente allegato e comunque smentito dalla stessa parte ricorrente che avrebbe affermato di aver continuato a svolgere l'attività nonostante il diniego.
5. Con atto di appello, la società ha impugnato la sentenza.
5.1. In particolare, con il primo motivo di appello (pag. 11-14) ha contestato la parte di sentenza in cui il primo giudice ha escluso l'intervenuta chiusura dell'attività a seguito del provvedimento di diniego impugnato, in quanto la società si sarebbe limitata ad affermare di aver proseguito l'attività fino alla conclusione negativa del procedimento.
5.2. Con il secondo motivo di appello (pag. 14-16), ha censurato la parte di sentenza in cui è stata esclusa la sussistenza di una prospettazione risarcitoria idonea ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., oltre alla mancanza di prova del danno, in quanto già allegato in atti; ha ribadito in punto di diritto, la sufficienza di una mera richiesta di parte in tal senso.
5.3. Infine, ha riproposto le censure di primo grado non esaminate (pag. 16-21), facendo valere dei vizi di tipo meramente formale e procedurale.
6. Con apposite memorie, si sono costituiti l'INAIL, che ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, nonché Roma Capitale e Città metropolitana di Roma Capitale, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.
7. All'udienza pubblica del 25 luglio 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione.
8. L'appello è fondato.
9. Preliminarmente, il Collegio ritiene di poter trattare congiuntamente i due motivi di appello in quanto strettamente connessi.
10. Con la sentenza impugnata, il primo giudice ha dichiarato il ricorso di primo grado «improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse ai sensi dell'articolo 35, comma 1, lett. c, del c.p.a., risultando agli atti di causa che la Calò, successivamente alla proposizione del presente giudizio, abbia presentato una nuova istanza ai sensi dell'art. 208, con riferimento alla quale Roma Capitale, con determinazione dirigenziale n. 1463 del 26 novembre 2019, prot. QL93366 (in atti), ha concluso positivamente la Conferenza di Servizi al riguardo indetta, "con effetto di accoglimento dell'istanza" medesima, per l'effetto rilasciando la pretesa autorizzazione unica per l'impianto per cui è causa, con la conseguenza che alcuna utilità potrebbe derivarne alla parte ricorrente dall'eventuale accoglimento nel merito delle doglianze proposte», rilevando, inoltre, come «allo stato non residui, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., in capo a quest'ultima alcun interesse ad un accertamento dell'illegittimità del provvedimento di diniego impugnato, nemmeno ai fini risarcitori, osservando al riguardo come tale domanda non sia stata mai avanzata nell'ambito del presente giudizio ed il relativo interesse sia stato soltanto nell'ultima memoria genericamente richiamato con riferimento ad una non meglio specificata chiusura dell'attività che - a ben vedere - non solo non risulta in alcun modo documentata bensì smentita (oltre che da Roma Capitale) dalla stessa Calò che, infatti, contestualmente riferisce di aver "regolarmente e (in tesi) legittimamente proseguito l'attività nelle more della conclusione del procedimento... in conformità a quanto previsto dall'art. 208, comma 12, d.lgs. 152/2006" (in tal senso quanto si legge nella memoria del 13 ottobre 2021). La società, per sua stessa ammissione, non ha dunque mai sospeso l'attività di autodemolizione bensì continuato ad esercitarla pur a fronte del diniego impugnato, né altro danno è stato nemmeno astrattamente prospettato dalla ricorrente rispetto a quello derivante dalla chiusura (come visto, mai avvenuta) dell'attività» (pag. 4 della sentenza impugnata).
In particolare, il primo giudice ha ritenuto che l'art. 34, comma 3, c.p.a. «pone comunque a carico del ricorrente medesimo l'onere di dimostrare la sussistenza in concreto di un siffatto interesse alla decisione a soli fini risarcitori, essendo necessario che la parte prospetti almeno per sommi capi il danno di cui intende chiedere il ristoro, deducendo, quantomeno in nuce, gli elementi strutturali della fattispecie di danno ingiusto, sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo. Tale previsione potrà, dunque, essere applicata soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio, oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo, non essendo a tal proposito sufficienti mere manifestazioni generiche di interesse» (pag. 5 della sentenza impugnata).
11. Orbene, la decisione impugnata non si pone in linea con i principi di diritto affermati dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato con la sentenza del 13 luglio 2022, n. 8, la quale, in ordine alla corretta interpretazione dell'art. 34, comma 3, c.p.a., ha statuito che la manifestazione dell'interesse risarcitorio una volta venuto meno quello all'annullamento dell'atto impugnato «è condizione necessaria ma nello stesso tempo sufficiente» perché sorga l'obbligo per il giudice di accertare l'eventuale illegittimità dell'atto impugnato (punto 15 della motivazione), per cui è «sufficiente una semplice dichiarazione, da rendersi nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 c.p.a.», a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti, con la quale a modifica della domanda di annullamento originariamente proposta (c.d. emendatio della domanda) il ricorrente manifesta il proprio interesse affinché sia comunque accertata l'illegittimità dell'atto impugnato (punto 17 della motivazione), con l'ulteriore corollario per cui «l'accertamento richiesto è esattamente quello che il giudice avrebbe dovuto svolgere nell'esaminare nel merito la domanda di annullamento» (punto 18 della motivazione).
12. La sentenza impugnata, invece, ha ritenuto insufficiente la manifestazione dell'interesse risarcitorio nella apposita memoria ex art. 73 c.p.a., ritenendo altresì necessario «che la parte prospetti almeno per sommi capi il danno di cui intende chiedere il ristoro, deducendo, quantomeno in nuce, gli elementi strutturali della fattispecie di danno ingiusto, sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo [...] non essendo a tal proposito sufficienti mere manifestazioni generiche di interesse» (pag. 5 della sentenza impugnata).
Tale statuizione, però, si pone in diretto contrasto con i principi esposti dalla suddetta Adunanza plenaria a cui occorre dare continuità.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere riformata sul punto.
13. Ciò posto, la domanda di accertamento dell'illegittimità ai fini risarcitori ex art. 34, comma 3, c.p.a. deve ritenersi fondata.
Invero, dalla lettura del provvedimento impugnato emergono alcune contraddizioni, in quanto, da un lato, tale provvedimento determina la conclusione negativa della conferenza di servizi «con effetto di rigetto dell'istanza di autorizzazione ai sensi dell'art. 208 del Dlgs 152/06» (punto A) e, dall'altro lato, si determina «di richiedere la presentazione, entro 90 giorni dalla notifica della presente, di una revisione del progetto definitivo dell'impianto che risponda alle prescrizioni della Conferenza di Servizi» (punto B), chiedendo contestualmente alla Regione Lazio di esprimersi nel termine di 10 giorni in merito ad eventuali ulteriori adempimenti a carico del gestore in ordine all'accertamento di compatibilità paesaggistica e di valutazione di assoggettabilità a VIA (punto C).
In altri termini, non si comprende se l'atto impugnato abbia natura meramente interlocutoria con finalità istruttoria oppure se costituisca una vera e propria determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi (cfr. art. 14-quater l. n. 241 del 1990).
In tale ultimo caso, peraltro, la determina sarebbe priva di sufficiente motivazione in quanto non contiene alcun giudizio in ordine alle posizioni prevalenti poste a fondamento della decisione.
Pertanto, alla luce delle suddette considerazioni, deve dichiararsi l'illegittimità del provvedimento impugnato ai soli fini risarcitori ex art. 34, comma 3, c.p.a., con la precisazione che, in un eventuale e futuro giudizio risarcitorio, l'onere di dimostrare gli ulteriori elementi costitutivi dell'illecito (tra cui, il nesso di causalità materiale, l'elemento soggettivo del dolo o della colpa, il danno effettivamente subito) spetterà comunque alla parte ricorrente non rientrando nell'ambito di cognizione della presente controversia analizzare i fatti eccepiti dall'amministrazione resistente relativi all'assenza di prova in ordine al danno subito, con particolare riferimento alla prova della mancata prosecuzione dell'attività in conseguenza dell'adozione del provvedimento impugnato.
14. Le spese di lite per il doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti alla luce della citata sentenza dell'Adunanza plenaria del 13 luglio 2022, n. 8, intervenuta solo successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata (T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 gennaio 2022, n. 148).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado dichiarando l'illegittimità del provvedimento impugnato ai soli fini risarcitori ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a.
Compensa le spese di lite per il doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. II, sent. n. 148/2022.