Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 14 gennaio 2025, n. 258

Presidente: Chieppa - Estensore: Rotondano

FATTO

1. Con il presente appello, il ricorrente in primo grado Giuseppe F., erede di P. Francesco (deceduto in data 11 aprile 2012) e P. Rosa (deceduta in data 15 novembre 2014), ha impugnato la sentenza in epigrafe con cui il T.A.R. della Campania - sede di Napoli, ammesso l'intervento ad opponendum proposto da L. Maria, P. Giuseppe e P. Vincenzo, previo avviso alle parti, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., di possibili profili di ne bis in idem in riferimento al ricorso principale, ha dichiarato inammissibile il gravame avverso l'ordinanza dirigenziale r.o. prot. n. 8361/2019, resa dal Comune di Torre del Greco (VII Settore urbanistica - Servizio anti abusivismo edilizio), in data 4 febbraio 2019 e notificata in data 29 aprile 2019 contenente diffida a demolire opere abusive.

2. In particolare, con tale ordinanza di cui si è domandato al T.A.R. l'annullamento, deducendone l'illegittimità per due motivi di gravame [mediante i quali si era lamentato eccesso di potere per difetto di istruttoria e presupposto erroneo, inesistenza dei sanzionati abusi, presenza di regolari titoli abilitativi, da un lato, e violazione dell'art. 41, comma 2, lett. a), della Carta dei diritti dell'Unione europea e violazione del diritto al contraddittorio procedimentale, dall'altro] era stato ingiunto al ricorrente, a seguito della sentenza del T.A.R. Napoli, III, n. 373/2017, e in esecuzione delle ordinanze dirigenziali n. 35/R.O. del 23 gennaio 2007 e n. 397/R.O. del 14 aprile 2008, emesse a carico di P. Francesco e P. Rosa (deceduti, rispettivamente, in data 11 aprile 2012 e il 15 novembre 2014), nonché delle successive ordinanze dirigenziali n. 699/R.O. dell'1 agosto 2016 e n. 902/R.O. del 24 ottobre 2016, emesse a carico della ricorrente ed altri, in qualità di eredi, la demolizione, entro il termine di giorni quindici dalla notifica, delle opere abusive realizzate su suolo pubblico in Torre del Greco alla via Nazionale n. 738, consistenti in:

"1) muro di recinzione avente misure pari a ml. 3,00, con recinzione metallica di altezza mt. 1,20 ed un cancello scorrevole con passaggio pedonale con apertura complessiva mt. 4,00;

2) muro di lunghezza ca. ml. 6,90 ed altezza media ca. mt. 0,65, completo di sovrastante ringhiera in ferro di altezza ca. mt. 1,40;

3) muro a forma di L di lunghezza totale circa ml. 6,40 ed altezza media ca. mt. 0,65, completo di sovrastante ringhiera in ferro di altezza ca. mt. 1,40;

4) inoltre, l'area di circa mq. 52,00, delimitata dai suddetti muri di recinzione e ricadente sul marciapiede di proprietà comunale come risulta da certificazione del 3.3.2008 a firma del dirigente servizio opere pubbliche, è stata pavimentata con piastrelle in cotto mentre sul cancello pedonale è stata installata una pensilina costituita da struttura in ferro e tegole in plastica, con avvertimento di esecuzione in danno in caso di inottemperanza".

3. Nel giudizio di primo grado intervenivano ad opponendum i signori Maria L., Giuseppe P. e Vincenzo P., rappresentando di non essere eredi né di P. Francesco né di P. Rosa, per cui alcuna responsabilità avrebbero avuto in ordine alla realizzazione delle opere abusive oggetto dell'impugnata diffida a demolire prot. n. 8361 del 4 febbraio 2019, e chiedendo che il ricorso fosse rigettato.

4. Il Comune intimato, costituitosi in resistenza, depositava, invece, la sentenza del Tribunale amministrativo per la Campania n. 4270 del 23 giugno 2022, passata in giudicato per mancata proposizione del relativo appello, con cui parte ricorrente aveva già impugnato le ordinanze presupposte, espressamente richiamate nella diffida a demolire impugnata in primo grado.

In particolare, l'Amministrazione evidenziava che le ordinanze di demolizione n. 35 R.O. del 23 gennaio 2007 e n. 397 R.O. del 14 aprile 2008 a seguito della mancata impugnazione sarebbero diventati atti inoppugnabili, con la conseguenza che non sarebbe stato possibile dedurre censure dirette a contestare la legittimità di tali provvedimenti demolitori non impugnati.

5. Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo ha dichiarato inammissibile il ricorso, essenzialmente in forza del principio del ne bis in idem.

6. L'appello avverso la sentenza è affidato a due motivi di diritto, con cui si lamenta l'erroneità della decisione per "error in iudicando in relazione all'art. 28 del Codice del processo amministrativo - inammissibilità dell'intervento ad opponendum da parte dei cointeressati" e, inoltre, l'inesistenza dei presupposti per l'applicazione del principio del ne bis in idem.

6.1. Si è costituito in resistenza il Comune intimato, eccependo l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. per mancata riproposizione delle censure e delle domande non esaminate e assorbite in primo grado e argomentando comunque l'infondatezza dei motivi proposti avverso la sentenza.

6.2. All'udienza del 24 settembre 2024, all'esito della discussione, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

7. Come anticipato in fatto, l'appello proposto avverso la sentenza in epigrafe contesta: a) le statuizioni che hanno disposto l'ammissibilità dell'intervento ad opponendum; b) la declaratoria di inammissibilità per violazione del principio del ne bis in idem.

8. L'appello è infondato.

9. In primo luogo, la sentenza è corretta, non meritando le critiche che le sono rivolte, nella parte in cui ha preliminarmente dichiarato ammissibile l'atto di intervento ad opponendum proposto da L. Maria, P. Giuseppe e P. Vincenzo.

9.1. Questi ultimi, infatti, pur rivestendo la qualità di cointeressati, essendo l'atto impugnato indirizzato anche nei loro confronti, e avendo rappresentato di non essere eredi né di P. Francesco né di P. Rosa, per cui alcuna responsabilità avrebbero in ordine alla realizzazione delle opere abusive oggetto della diffida a demolire prot. n. 8361 del 4 febbraio 2019, hanno comunque chiesto che il ricorso fosse rigettato. In particolare non hanno censurato l'atto di demolizione e non ne hanno chiesto l'annullamento, ma si sono costituiti ritenendo che il muro oggetto di contestazione leda il legittimo accesso alla loro proprietà e hanno chiesto, pertanto, il rigetto del ricorso.

9.2. Ne consegue che correttamente il T.A.R. ha ritenuto sussistente il loro interesse ad opporsi e quindi la loro legittimazione a proporre l'intervento ad opponendum, alla stregua dei principi richiamati.

9.3. Ed invero nel processo amministrativo, l'intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale (C.d.S., Ad. plen., 14 dicembre 2022, n. 16).

Per costante giurisprudenza, nel giudizio amministrativo non è infatti previsto il c.d. intervento autonomo (invece contemplato dall'art. 105, comma 1, c.p.c.), ma solo interventi ex artt. 28 e 50 c.p.a., riconducibili al c.d. intervento adesivo dipendente ad adiuvandum vel opponendum (cfr. C.d.S., Sez. IV, n. 4636 del 2016; n. 2446 del 2013; Sez. V, n. 1640 del 2012; Sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8363; arg. pure da Ad. plen., nn. 1, 2 e 9 del 2015), e prevedendosi, altresì, il ricorso incidentale per proporre "domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale" (art. 42, comma 1, c.p.a.), ovvero, per i casi di giurisdizione esclusiva, la possibilità di proporre le sole domande riconvenzionali nei termini e con le modalità del ricorso incidentale (art. 42, comma 5, c.p.a.) (si veda C.d.S., Sez. IV, 14 febbraio 2022, n. 1040 e giurisprudenza ivi richiamata).

Ed infatti, come condivisibilmente rilevato dal primo giudice, le condizioni che legittimano la proposizione dell'intervento adesivo sono rappresentate:

- dalla alterità dell'interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, visto che l'intervento è volto a tutelare un interesse diverso, ma collegato, rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale: con la conseguenza che la posizione dell'interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della parte principale;

- e dalla configurabilità di un vantaggio derivante, anche in via mediata e indiretta, dall'accoglimento del ricorso principale.

Per apprezzare tali elementi, è necessario guardare alla effettiva causa petendi, come desumibile dal complesso delle affermazioni del soggetto che agisce in giudizio, e non già in concreto all'esito del giudizio.

10. È parimenti infondato il secondo motivo di appello.

10.1. Anche sul punto la sentenza è, infatti, esente da censure.

10.2. Il ragionamento della pronuncia impugnata muove anzitutto da una corretta premessa: ovvero che l'atto impugnato ha ad oggetto "Sentenza 3^ sez. TAR Campania n. 373/2017 - Demolizione di opere edilizie abusive realizzate su suolo pubblico in Torre del Greco (Na) alla Via Nazionale n. 738. DIFFIDA A DEMOLIRE" e risulta adottato nei confronti dell'odierno appellante F. Giuseppe, nonché nei confronti di F. Elena e degli interventori ad opponendum, L. Maria, P. Giuseppe e P. Vincenzo. Con tale atto il Comune di Torre del Greco, in esecuzione delle ordinanze dirigenziali n. 35/R.O. del 23 gennaio 2007, n. 397/R.O. del 14 aprile 2008 emesse a carico di P. Francesco (deceduto l'11 aprile 2012) e P. Rosa (deceduta il 15 novembre 2014) e n. 699/R.O. del 1° agosto 2016, n. 902/R.O. del 24 ottobre 2016, emesse a carico dei destinatari, in qualità di eredi di P. Francesco e P. Rosa, ha comunicato agli interessati che "è in itinere la procedura per la demolizione delle opere edilizie abusive realizzate su suolo pubblico in Torre del Greco (Na) alla Via Nazionale n. 738", come descritte in narrativa, rappresentando che, in mancanza, si sarebbe attivata la procedura in danno per l'abbattimento delle suddette opere.

10.3. In effetti, la diffida a demolire impugnata in primo grado è atto privo di autonoma lesività in quanto adottato in mera esecuzione della sentenza di rigetto del precedente ricorso n. 373 del 2017, indicato erroneamente quale sentenza nella diffida stessa, deciso con sentenza del T.A.R. della Campania, sede di Napoli, Sez. III, n. 4270 del 23 giugno 2022, depositata in giudizio dal Comune resistente e proposto avverso le ordinanze presupposte, espressamente richiamate nello stesso atto impugnato (dunque, concernente la medesima vicenda contenziosa).

10.4. Trattasi, come correttamente rilevato dal Tribunale, di un atto atipico che il Comune avrebbe potuto non adottare in quanto con esso sostanzialmente, come si evince dal suo contenuto sopra richiamato, l'ente locale resistente, nel rappresentare che era in itinere la procedura per la demolizione, ha invitato ulteriormente parte appellante e gli ulteriori destinatari a provvedere a proprie cure perché in mancanza si sarebbe attivata la procedura in danno, in riferimento alla quale viene indicata anche la quantificazione della somma per l'abbattimento.

10.5. Peraltro, anche a voler ritenere la sua autonoma lesività, come sostenuto nell'appello, ove si assume che si tratterebbe dell'impugnativa di un atto autonomo trattandosi di diverso provvedimento, correttamente il primo giudice ha dichiarato il ricorso inammissibile per la violazione del principio del ne bis in idem, avendo parte ricorrente riproposto nel giudizio le stesse censure - volte a dimostrare la non abusività delle opere nell'attuale consistenza - dedotte con il precedente ricorso, proposto avverso le ordinanze presupposte espressamente richiamate nello stesso provvedimento impugnato, immediatamente lesive nei suoi confronti, e deciso con la citata sentenza del T.A.R. Campania n. 4270 del 23 giugno 2022, passata in giudicato in quanto non risulta proposto appello.

Quest'ultima decisione già si era occupata delle opere edilizie in questione, oggetto di ingiunzione di demolizione, e aveva infatti concluso che "la violazione della normativa, richiedente per le opere descritte complessivamente considerate il rilascio del permesso di costruire, comporta, necessariamente, secondo il disposto di cui all'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, la sanzione dell'obbligo di demolizione".

Da qui è scaturita correttamente la declaratoria di inammissibilità del ricorso per l'avvenuta formazione del "giudicato sostanziale" di cui all'art. 2909 c.c.

10.6. Anche con riferimento a tale profilo, la sentenza appellata ha dunque correttamente applicato i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza: la quale al riguardo ha statuito che il passaggio in giudicato di una pronuncia del giudice ordinario o del giudice amministrativo recante statuizioni sul merito di una pretesa riferita ad un determinato rapporto estende i suoi effetti al presupposto della sussistenza della giurisdizione di quel giudice su detto rapporto, a prescindere da un'esplicita declaratoria in tal senso, sicché le parti non possono più contestarla nelle successive controversie tra le stesse, fondate sul medesimo rapporto e instaurate davanti ad un giudice diverso, in quanto il giudicato esterno ha la medesima autorità di quello interno, perseguendo entrambi il fine di eliminare l'incertezza delle situazioni giuridiche e di garantire la stabilità delle decisioni (cfr. C.d.S., Sez. IV, 8 febbraio 2018, n. 821).

10.7. Anche nel giudizio amministrativo, in virtù del rinvio esterno contenuto nell'art. 39, comma 1, c.p.a., si applica, infatti, il principio del ne bis in idem, di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. che, per esigenze comuni a qualsiasi ordinamento processuale, vieta al giudice di pronunciarsi due volte sulla medesima controversia (C.d.S., Sez. III, 7 novembre 2018, n. 6281; Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1558).

10.8. Invero, il divieto di giudicare due volte sulla medesima regiudicanda si traduce quindi nell'onere per il ricorrente di dedurre in giudizio il dedotto ed il deducibile, e cioè di formulare tutte le domande necessarie a tutelare la posizione giuridica azionata, sulla quale è destinato a formarsi il giudicato ai sensi del citato art. 2909 c.c.

10.9. Conseguentemente, in applicazione del divieto in questione è preclusa non solo la riproposizione di domande già definite con la sentenza passata in giudicato, ma anche la proposizione per la prima volta di quelle che di tale giudicato costituiscono il presupposto logico e indefettibile e come tali assoggettate all'effetto previsto dal citato art. 2909 c.c. (si veda ex multis C.d.S., Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1558 cit. e giurisprudenza ivi richiamata).

11. Ad abundantiam e per mera aspirazione alla completezza espositiva, si osserva in ultimo che, come eccepito dalla difesa del Comune appellato il proposto mezzo di tutela non si sarebbe sottratto, peraltro, ad ulteriore valutazione di inammissibilità in ragione della mancata riproposizione, nell'atto introduttivo del giudizio, delle doglianze dalla parte articolate in prime cure avverso gli atti impugnati dinanzi al T.A.R. della Campania.

11.1. È infatti noto che nel giudizio amministrativo, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., devono intendersi rinunciate le censure, le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell'atto di appello.

11.2. L'onere di riproposizione dei motivi di ricorso ex art. 101, comma 2, c.p.a. si ricollega alla previsione contenuta nell'art. 105, comma 1, c.p.a. che, nell'enunciare il principio di tassatività dei casi di annullamento con rinvio al primo giudice, stabilisce (implicitamente, ma univocamente) che, in tutti gli altri casi, il Consiglio di Stato si pronunci nel merito dei ricorsi proposti in primo grado, anche se il giudizio innanzi al T.A.R. si sia concluso con una erronea dichiarazione di inammissibilità, improcedibilità o irricevibilità; il che si lega al principio generale secondo cui è preclusa al giudice di appello la conoscenza, di propria iniziativa, dei motivi di ricorso di primo grado dichiarati assorbiti e non riproposti, pena il vizio di ultrapetizione della pronunzia (cfr. C.d.S., Sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2880; Sez. V, 20 giugno 2019, n. 4243).

11.3. Conseguentemente, l'esame dei motivi di ricorso assorbiti (o, comunque, non valutati) in primo grado, è consentito al giudice di appello solo se la parte appellante indichi specificamente le censure che intende devolvere alla sua cognizione, al fine di consentirgli una compiuta conoscenza delle relative questioni, ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse (cfr. C.d.S., Sez. IV, 12 giugno 2013, n. 3261).

12. In conclusione, l'appello deve essere respinto.

Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico di parte appellante, nell'importo liquidato nel dispositivo, in favore del Comune appellato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma la sentenza impugnata.

Condanna l'appellante al pagamento delle spese di giudizio a favore del Comune di Torre del Greco che liquida in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre oneri accessori se per legge dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Campania, sez. III, sent. n. 4901/2023.