Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 4 febbraio 2025, n. 858
Presidente: De Nictolis - Estensore: Bernardini
FATTO
1. L'odierno appellante aveva chiesto allo Sportello unico per l'immigrazione di Roma (SUI) l'accesso agli atti della procedura di emersione, avviata in data 4 luglio 2020 dal suo datore di lavoro. Non avendo ricevuto alcuna risposta, e ritenendo formato il silenzio-rigetto, ai sensi dell'art. 25, comma 4, della l. n. 241 del 1990 aveva interposto ricorso.
2. Il T.A.R., con la sentenza impugnata, ha accolto il gravame "sussistendo i presupposti di legittimazione del ricorrente nonché l'interesse meritevole di tutela a conoscere gli atti endoprocedimentali che sono stati formati nell'ambito della procedura di emersione ancora in corso riguardante l'istante; questo, in particolare, perché nella nota dell'Amministrazione datata 16.5.2023 si fa riferimento ad un parere negativo dell'I.T.L. e ad un preavviso di rigetto... sebbene la procedura sia stata avviata dal datore di lavoro, riguarda comunque l'istante e, pertanto, va riconosciuta la legittimazione di quest'ultimo all'accesso procedimentale... il ricorso va accolto con conseguente condanna dell'amministrazione resistente all'ostensione degli atti richiesti entro 30 gg... le spese del giudizio, tuttavia, possono essere compensate tra le parti, in ragione del notorio carico di lavoro che grava sull'amministrazione resistente, relativamente alle istanze di emersione dal lavoro irregolare".
3. Con l'appello qui in scrutinio viene contestato il solo capo di sentenza relativo alla compensazione delle spese. L'appellante lamenta che "la dichiarazione della soccombenza dell'amministrazione e contestuale condanna a pagare le spese del procedimento è la logica conseguenza della condotta omissiva della stessa, anche perché, come chiarito dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1145/2016, "Posto - infatti - che il ricorrente aveva titolo per esperire l'azione giudiziaria a sua tutela (ricorrendo tutte le condizioni all'uopo richieste), non appare giusto né equo - in mancanza di ogni e qualsiasi sua responsabilità - che le spese di giudizio alle quali è andato incontro per ottenere la realizzazione di un suo diritto soggettivo (o comunque la soddisfazione di un suo interesse legittimo) e per sopperire alla prolungata inerzia amministrativa, debbano restare a suo carico". Se l'amministrazione non venisse condannata a sobbarcarsi le spese di giudizio in caso di inadempimento all'obbligo di legge di esibizione documentale a richiesta formale della parte interessata, sarebbe vanificata la tutela effettiva dell'istante nei casi di silenzio/rifiuto del diritto di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione, o comunque si addosserebbe un ingiusto e ingente onere sul cittadino per ottenere quanto gli aspetta di diritto. Da quanto esposto si evince che la sentenza impugnata è ingiusta ed è stata emessa in violazione di legge in quanto il TAR, avendo dichiarato la soccombenza dell'amministrazione, avrebbe dovuto anche condannarla alle spese e onorari di lite, seguendo il principio in base al quale le spese di giudizio seguono la soccombenza".
L'appellante chiede di condannare l'amministrazione resistente al pagamento delle spese, diritti ed onorari di tutti e due i gradi di giudizio, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, ai sensi dell'art. 93 c.p.c.
4. L'Amministrazione si è costituita con atto di mero stile.
5. Alla camera di consiglio del 12 dicembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L'appello è fondato.
2.1. In materia di attribuzione delle spese di giudizio, va preliminarmente richiamato quanto affermato da questa Sezione con la sentenza n. 4603/2022, laddove afferma che «Dal testo dell'art. 26, primo comma, c.p.a. e degli artt. 91, comma 1, e 92, comma 2, c.p.c. (questi ultimi, come interpretati dal giudice delle leggi: Corte costituzionale, sentenza n. 77/2018), emerge che: 6.1. il rinvio del c.p.a. al c.p.c. comporta che, ex art. 91 c.p.c., il giudice sia vincolato alla condanna alle spese della parte soccombente: non sussiste pertanto alcun potere discrezionale, e meno che mai latissimo, proprio perché la statuizione sulle spese "è processualmente accessoria alla pronuncia del giudice che la definisce in quanto tale ed è anche funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.)" (Corte cost., sentenza n. 77/2108); 6.2. Tale vincolo conosce un'unica eccezione, che è quello della compensazione per le ipotesi tassative indicate dall'art. 92, secondo comma (cui la sentenza additiva delle Corte ha parificato "altre analoghe, gravi ed eccezionali ragioni"). 6.3. Sia le due originarie ipotesi tipiche, che la clausola generale aggiunta dalla Corte, sono comunque eccezionali (la terza ipotesi peraltro non è neppure propriamente atipica: essa in tanto è configurabile in quanto la ragione della compensazione sia "analoga" alle prime due, "grave", ed "eccezionale"), e dunque non è dato costruire attorno ad esse un potere ampiamente discrezionale. 6.4. Come chiaramente indicato dalla Corte costituzionale, la garanzia del sistema è data dalla motivazione della statuizione compensatoria: tanto più rilevante quanto il potere di compensare si legittimi in funzione di ipotesi comunque eccezionali. Dunque la motivazione può e deve essere sindacata, ove dedotto in sede di gravame, specie quando essa è di mero stile (come recentemente chiarito dalla Sezione nella sentenza n. 2198/2022)».
2.2. In secondo luogo, per consolidata giurisprudenza la statuizione sulle spese è sindacabile in sede d'appello solo quando risulta abnorme, cioè incoerente con le statuizioni contenute nella sentenza (C.d.S., III, n. 6766/2022).
3.1. Quanto detto è integralmente applicabile al caso qui in scrutinio, nella considerazione che non si rileva dalla disamina degli atti di causa alcuna motivazione che possa rientrare nei casi eccezionali, di cui al dictum della Corte costituzionale e alla normativa dianzi citata, tali da poter disporre la compensazione delle spese.
3.2. Più precisamente, la statuizione sulle spese del Giudice di prime cure appare, a parere del Collegio, ricondursi ad una formula generica ("in ragione del notorio carico di lavoro che grava sull'amministrazione resistente, relativamente alle istanze di emersione dal lavoro irregolare"), certamente non idonea a giustificarne la compensazione.
3.3. Giova, al riguardo, ricordare che «la valorizzazione delle "peculiari condizioni operative dell'Amministrazione... caratterizzate da un numero esorbitante di pratiche da sbrigare" si risolve "in una formula di stile, del tutto generica, sganciata da riferimenti specifici e concreti a situazioni contingenti, potenzialmente spendibile in modo indifferenziato per qualunque ipotesi di attività amministrativa e, come tale, sostanzialmente elusiva dell'obbligo di adeguata esternazione della "eccezionalità" e "gravità" dei motivi derogatori, pure pretesa dall'art. 92 c.p.c.» (C.d.S., Sez. III, n. 90/2025; 18 aprile 2023, n. 3931).
3.4. Va, altresì, considerato che tra le eccezionali ragioni, che ai sensi dell'art. 92 c.p.c. consentono la compensazione delle spese, rientrano ragioni inerenti il processo e non l'organizzazione interna di una delle parti processuali, e che l'imputazione delle spese di lite in base alla soccombenza risponde all'esigenza oggettiva che la parte vincitrice non debba sopportare i costi del processo, restando estranea alla previsione normativa ogni valutazione circa la sussistenza o meno di una colpa nella condotta omissiva o nel ritardo dell'Amministrazione (C.d.S., sez. III, n. 10368/2024).
4. In conclusione, il ricorso è fondato e come tale deve essere accolto, con condanna della parte soccombente (sia in primo grado che in appello) al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, condanna il Ministero dell'interno a rifondere all'appellante le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in euro 700 (settecento/00) per ogni grado di giudizio, per un totale di euro 1.400 (millequattrocento/00) oltre accessori di legge, da distrarsi a favore del procuratore della parte appellante, dichiaratosi antistatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e degli artt. 5 e 6 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell'appellante.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. I-ter, sent. n. 15026/2023.