Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 3 febbraio 2025, n. 67

Presidente: Giovagnoli - Estensore: Cogliani

FATTO

Il Ministero appellante espone che, in data 31 luglio 2018, comunicava all'appellato l'avvio del procedimento di cui all'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001 per il recupero di somme percepite dal pubblico dipendente per l'espletamento di incarichi retribuiti non previamente autorizzati.

In seguito alla segnalazione effettuata dall'Amministrazione, in data 25 gennaio 2021, la Procura regionale presso la Corte dei conti per la Regione Siciliana a sua volta notificava all'appellato un invito a dedurre, contestando lo svolgimento di attività esterna non previamente autorizzata ed il conseguente danno erariale. Ciononostante, in pendenza del termine per contro dedurre innanzi alla Procura della Corte dei conti, il Ministero appellante emetteva ingiunzione di pagamento n. [omissis] - adottata ai sensi dell'art. 2 del r.d. n. 639/1910 - con la quale era ingiunto al dipendente il pagamento della somma di euro 224.543,50.

L'appellato, pertanto, impugnava la citata ingiunzione dinanzi al T.A.R., parallelamente, in data 18 maggio 2021, il Procuratore regionale presso la Corte dei conti notificava l'atto di citazione in giudizio, chiedendo al giudice contabile di condannare l'appellato alla refusione in favore dell'Erario della somma di euro 317.373,00 a titolo di risarcimento del danno erariale (importo totale riferito a 53 incarichi non autorizzati). La Corte dei conti riteneva ammissibile la richiesta di definizione del giudizio con rito abbreviato (ex art. 130 c.g.c.), cosicché nelle more del giudizio dinanzi al T.A.R. interveniva il decreto n. 25/2021, con il quale la Corte dei conti, accertato il danno erariale, condannava l'odierno appellato al pagamento, in favore dell'Erario, della somma di euro 101.433,00 (ca. il 32% dell'originaria richiesta di euro 317.373,00), quale conseguenza diretta dell'illecito posto in essere.

In data 25 gennaio 2021, l'appellato ha depositato, nel giudizio dinanzi al T.A.R., documentazione attestante il versamento dell'importo di euro 101.433,00. Il processo di prime cure si concludeva, dunque, con la sentenza appellata, con la quale, richiamati i principi di cui alla sentenza della Corte di cassazione n. 6473 del 9 marzo 2021, era accolto il ricorso di parte appellata, e era dichiarato non dovuto l'importo richiesto dal Ministero dell'interno con compensazione delle spese di lite.

Avverso la sentenza di primo grado, dunque, il Ministero appellante propone i motivi di censura di seguito riportati.

1) Erronea interpretazione dell'art. 53 d.lgs. 165/2001, compatibilità delle due azioni ordinaria e contabile; non configurabilità, né in astratto né in concreto, di un conflitto tra giudicati. La sentenza di primo grado non terrebbe in considerazione la dicotomia tra la funzione ripristinatoria, da un lato, e la funzione sanzionatoria, dall'altro, dei due differenti giudizi rispettivamente incardinati dinanzi al giudice ordinario-amministrativo e a quello contabile. Menziona a riguardo la sentenza della Corte di cassazione civile - Sezione lavoro n. 24377 del 2022 che afferma che: "l'azione contabile ha una funzione prevalentemente sanzionatoria (Cass., SS.UU., n. 20075/2013; Cass., SS.UU., n. 5756/2012) e si caratterizza per una combinazione di elementi restitutori e di deterrenza (cfr. Corte Cost., n. 371/1998 e Corte Cost., n. 453/1998); non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla mala gestio dell'amministratore o dall'omesso controllo del vigilante [...]; richiede (a differenza dell'azione civile per la quale è sufficiente la sola colpa) il dolo o la colpa grave; diversamente, l'azione civile o penale proposta dalle amministrazioni interessate è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell'interesse particolare della singola amministrazione attrice (in tal senso si veda Cass., SS.UU., n. 4871/2015; Cass., SS.UU., n. 16722/2020)"; pertanto le due azioni resterebbero reciprocamente indipendenti, anche quando investono i medesimi fatti materiali, declinandosi, tra le stesse, un rapporto in termini di alternatività e non già di esclusività (a riguardo Cass., Sez. un., n. 11/2012; Cass., Sez. un., n. 27092/2009; Cass., Sez. un., n. 664/1989); a conferma di ciò rileverebbe anche la sentenza n. 104/1989 della Corte costituzionale ove si legge: "Il Procuratore Generale della Corte dei Conti, nella promozione dei giudizi, agisce nell'esercizio di una funzione obiettiva e neutrale" e "La diversità di funzione e di presupposti delle due azioni esclude così che possa prospettarsi una violazione del principio del ne bis in idem" (in terminis, Cass. civ., sent. n. 16722/2020).

A riprova di ciò, sarebbero anche le considerazioni effettuate della stessa Corte dei conti nel decreto n. 25/2021, laddove afferma che la quantificazione a carico del convenuto non vale a tacitazione delle altre pretese del ministero su cui la Corte non ha giurisdizione. Ancora richiama la giurisprudenza laddove afferma che: "il giudizio civile volto ad ottenere la liquidazione del danno patito dall'Amministrazione può essere instaurato e definito anche allorquando il giudizio di responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei Conti sia già arrivato a decisione, quante volte quest'ultimo non si sia concluso con una pronuncia di condanna al ristoro integrale del pregiudizio; pena, altrimenti, l'irragionevole compressione della legittima aspettativa ad una integrale compensazione facente capo all'Amministrazione danneggiata. Con l'unico limite del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie, che impone di tener conto, con effetto decurtante, di quanto già liquidato in sede contabile, che il debitore potrà far valere, se del caso, anche in fase di esecuzione" (vd. Cass., Sez. un., n. 16722/2020; in tal senso, cfr. Cass., Sez. un., n. 32929/2018; Cass., Sez. un., n. 14632/2015). E che: "l'unico limite del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie, che impone di tener conto, con effetto decurtante, di quanto già liquidato in sede contabile, che il debitore potrà far valere, se del caso, anche in fase di esecuzione"; è stato altresì precisato che se la "Amministrazione non si attivi, anche in via giudiziale, facendo valere l'inadempimento degli obblighi del rapporto di lavoro, per ottenere il riversamento nel proprio bilancio" e il Procuratore contabile promuova l'azione di responsabilità in relazione alla tipizzata fattispecie legale, "è precluso alla P.A. l'esercizio dell'azione volta a far valere l'inadempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro" (Cass., Sez. un., n. 4114/2022; Cass., Sez. un., n. 415/2020; Cass., Sez. un., n. 17124/2019).

L'Amministrazione oggi appellante vanterebbe dunque ancora un credito pari a euro 123.110.50, pari alla differenza tra il dovuto ed il pagato. In ogni caso sarebbe da escludersi da parte del una autonoma rivalutazione del quantum oggetto del provvedimento ingiuntivo emesso dall'Amministrazione (ex multis, Cass., n. 2355/2019).

Si è costituito l'appellato per resisterete precisando che, nel caso di specie, il Procuratore della Corte dei conti, come chiarito nella sentenza appellata, ha agito esclusivamente per il danno erariale conseguente alla mancata restituzione degli stessi compensi indebitamente percepiti e non riversati di cui all'ingiunzione ministeriale oggetto del giudizio innanzi al T.A.R. Non sono state azionate altre richieste risarcitorie per ipotetici diversi e ulteriori danni erariali causati dall'indebito esercizio di attività extraistituzionale non autorizzata (quali ad es. danni da immagine, da sottrazione di energie lavorative, da concorrenza sleale, ecc.). Per cui l'azione di responsabilità erariale promossa dal Procuratore (e poi l'intervenuta decisione della Corte), per condanna al risarcimento del danno erariale da mancato introito da parte dell'Amministrazione di appartenenza dei compensi illegittimamente percepiti, precluderebbe alla stessa pubblica Amministrazione l'esercizio dell'azione volta a far valere per le stesse ragioni l'inadempimento dell'obbligo derivante dal rapporto di lavoro di non svolgere attività esterne non previamente autorizzate (Cass., Sez. un., 9 febbraio 2022, n. 4114; Cass., Sez. un., 14 gennaio 2020, n. 415; Cass., Sez. un., 23 giugno 2019; tutte richiamate da Cass., Sez. un., 5 agosto 2022, n. 24377).

Subordinatamente ripropone ai sensi dell'art. 101 c.p.a. le censure e le eccezioni sollevate ai paragrafi II e III del ricorso introduttivo e non esaminate: prescrizione e violazione dell'art. 28 l. n. 689/1981 e dell'art. 2947 c.c.; eccesso di potere per istruttoria insufficiente, errori nel conteggio, violazione dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001; violazione del d.m. 4 aprile 2001; infatti, il calcolo delle somme ingiunte sarebbe inficiato da numerosi errori e violazioni (sarebbe stata richiesta la restituzione di compensi percepiti per n. 10 prestazioni di formazione e docenza di cui ben otto a favore di soggetti pubblici nonostante i compensi percepiti per tale tipo di prestazioni sarebbero esclusi dall'obbligo di preventiva autorizzazione dal comma 6, lett. f-bis), dell'art. 53 cit., sarebbe stata ingiunta la restituzione dell'intero importo corrisposto all'odierno appellato per le prestazioni professionali svolte all'esterno, comprensivo anche del rimborso forfettario delle spese sostenute dal professionista pari al 20% del compenso ai sensi dell'art. 3 del d.m. 4 aprile 2001).

L'appellato chiede, pertanto, ove necessario, di voler disporre consulenza tecnica d'ufficio al fine di accertare il maggior carico fiscale e previdenziale subito per i compensi incassati negli anni 2008-2013. Per tali censure sollevate nel ricorso di primo grado e non esaminate fa espresso richiamo a quanto dedotto con la memoria scambiata per l'udienza del 15 dicembre 2021.

Le parti, con memoria, hanno ribadito le proprie difese. In particolare l'appellato ha evidenziato che la richiesta del pagamento delle somme non riversate si porrebbe in contrasto anche col principio di proporzionalità il quale "richiede che il cumulo di procedimenti e di sanzioni non superi i limiti di quanto necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli eventuali inconvenienti causati non devono essere sproporzionali rispetto agli scopi perseguiti" (CGUE, n. 122 del 23 novembre 2023, e Grande sezione, 22 marzo 2022, C-117/20, bpost SA, punto 49).

Il danno da mancato pagamento sarebbe stato liquidato dalla Corte dei conti e interamente saldato, come affermato dallo stesso Ministero (cfr. decreto del 19 giugno 2023, produzione del 22 giugno 2023), non residuando ulteriori danni di altro tipo.

All'udienza del 15 gennaio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. L'appello è infondato.

II. La controversia in esame attiene alla fattispecie prevista dall'art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. n. 165/2001. Tale disposizione normativa, al comma 7, sancisce il divieto per il dipendente pubblico di svolgere attività extraistituzionale non autorizzata imponendo, all'erogante o al percettore, di versare il compenso di eventuali prestazioni svolte, in assenza di autorizzazione, all'amministrazione di appartenenza. Il successivo comma 7-bis, inserito dall'art. 1, comma 42, lett. d), l. 6 novembre 2012, n. 190, ha stabilito che: "L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti". La ratio della disposizione risiede nell'esigenza di tutelare l'interesse pubblico specifico al rispetto del dovere di esclusività con l'Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico, sancito dall'art. 98 Cost. al di fuori delle ipotesi tipicamente ed espressamente stabilite e salvo autorizzazione.

III. Ai fini della decisione della controversia in esame è necessario procedere ad una ricostruzione del sistema, evidenziando come le disposizioni di cui all'art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. n. 165/2001 sono state oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinario, sotto il profilo della giurisdizione con particolare riferimento al tipo di responsabilità prevista dal legislatore e alle relative azioni. Un iniziale orientamento della Suprema Corte aveva ritenuto che l'obbligo di richiedere l'autorizzazione e di versare il compenso all'Amministrazione di appartenenza potesse essere qualificato come "un dovere funzionale strumentale del dipendente pubblico", la cui violazione configurava, quindi, un'ipotesi tout-court di responsabilità amministrativo-contabile, in cui la modulazione del conseguente danno risultava predefinita dalla legge e parametrata al compenso dovuto per le prestazioni svolte. In tale prospettazione, si riteneva che, necessariamente, la tutela risarcitoria dovesse essere devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti (Cass., Sez. un., n. 22688/2011).

Successivamente, la Suprema Corte ha modificato il proprio orientamento con la pronuncia Cass., Sez. un., 28 novembre 2016, n. 19072 secondo cui "l'obbligo di versamento di che trattasi rappresenta una particolare sanzione ex lege al fine di rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico e quindi prescinde dai presupposti della responsabilità per danno (evento; nesso di causalità; elemento psicologico) [...]. Deve allora statuirsi che la responsabilità di che trattasi, se limitata all'inadempimento dell'obbligo di denuncia, senza dedurre l'esistenza di conseguenze dannose per l'amministrazione di appartenenza, non può sottrarsi alle ordinarie regole di riparto di giurisdizione e quindi, trattandosi di rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, alla giurisdizione del giudice ordinario; solo se ad essa si accompagnino profili di danno (danno da immagine; danno da sottrazione di energie lavorative per essersi compiuta, l'attività oggetto di denuncia, in costanza di rapporto di lavoro), allora potrà dirsi interessata la giurisdizione contabile".

Dunque, secondo tale ultima impostazione, i commi 7 e 7-bis dell'art. 53 d.lgs. n. 165/2001 delineerebbero differenti condotte ed il comma 7-bis individuerebbe una fattispecie di danno erariale, che attiene all'omesso versamento delle somme indebitamente percepite dal dipendente pubblico per attività extraistituzionali non autorizzate. Tale opzione ermeneutica è stata condivisa dalla Corte conti, Sez. riun. giur., con la sentenza n. 26/2019. Il comma 7 individuerebbe una responsabilità di tipo sanzionatorio, diretta non soltanto al dipendente ma anche al soggetto erogante in quanto "parimenti onerato di un'analitica verifica dell'insussistenza di incompatibilità prima di conferire incarichi a dipendenti pubblici". Viceversa, la condotta descritta al successivo comma 7-bis rappresenterebbe un'ipotesi di responsabilità erariale classica, di natura risarcitoria e restitutoria, che sarebbe ugualmente ipotizzabile, in base ai principi generali, in assenza anche dell'espressa previsione, qualificandosi come "danno da mancata entrata per l'amministrazione di appartenenza del compenso indebitamente percepito e che deve essere versato in un apposito fondo vincolato". In questo senso si è espressa recentemente anche la giurisprudenza amministrativa. In particolare, il Consiglio di Stato con pronuncia n. 451/2023 ha affermato che "il sistema delinea dunque un intreccio inscindibile tra le conseguenze dello svolgimento di attività extraistituzionale da parte dei pubblici dipendenti in difetto di autorizzazione datoriale. Esso crea, cioè, una fattispecie a formazione progressiva nella quale la prima condotta rileva obiettivamente... Il primo segmento attiene alle scelte poste in essere dall'amministrazione per evitare il danno erariale da mancato introito dei compensi illecitamente percepiti dal dipendente; il secondo le ragioni dell'omesso versamento, che implicano necessariamente la valutazione della liceità della condotta, sotto il profilo oggettivo (supposta non necessità dell'autorizzazione) o soggettivo (mancanza dell'elemento psicologico richiesto)". In questa prospettiva, secondo il giudice amministrativo, la pubblica Amministrazione, ove la Procura contabile non abbia ancora agito per il recupero delle somme indebitamente percepite dal dipendente, può provvedere in via autonoma e diretta alla riscossione delle predette somme, agendo sia in sede giudiziaria, pure mediante il deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo, sia in via di autotutela, anche con il procedimento di cui al r.d. n. 639/1910 (C.d.S., Sez. VI, 16 maggio 2022, n. 3804).

Il Consiglio di Stato ha precisato che: "Il coordinamento delle due azioni di recupero avviene, dunque, in applicazione del principio di alternatività, essendosi precisato che la legittimazione del Procuratore contabile sorge di fronte all'inerzia dell'Amministrazione (Cass., Sez. un., 13 ottobre 2021, n. 27890); una volta che il Procuratore contabile abbia promosso l'azione di responsabilità in relazione alla tipizzata fattispecie legale è invece precluso alla P.A. l'esercizio di quella volta a far valere l'inadempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, dovendosi escludere, stante il divieto del bis in idem, una duplicità di azioni attivate contestualmente che, seppure con la specificità propria di ciascuna di esse, sono volte a conseguire, dinanzi al giudice munito di giurisdizione, lo stesso identico petitum in danno del medesimo soggetto obbligato in base ad un'unica fonte legale (Cass., Sez. un., 14 gennaio 2020, n. 415)".

In tale ultima ipotesi, l'Amministrazione non promuove un'azione di responsabilità per danno erariale, rimessa alla giurisdizione contabile, ma agisce per l'adempimento di un'obbligazione gravante sul lavoratore che trova fondamento nel rapporto di lavoro, non rilevando il danno e la colpa del dipendente medesimo, ma la mera percezione di quanto andava devoluto all'Amministrazione di appartenenza (C.d.S., Sez. VII, 13 gennaio 2023, n. 451).

Ne consegue che in tal caso risulta ammissibile l'iniziativa della Pubblica Amministrazione datrice di lavoro volta al recupero dei compensi percepiti, "con la conseguenza che la controversia promossa dal dipendente al fine di contestare l'avversa pretesa trova il proprio fondamento nel rapporto di lavoro, risultando, per l'effetto, devoluta alla cognizione del giudice che sullo stesso rapporto di lavoro abbia giurisdizione" (C.d.S., Sez. VI, n. 3804/2022), e quindi per le vicende che interessano dipendenti appartenenti al pubblico impiego c.d. non contrattualizzato alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex artt. 3 e 63, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 (C.d.S., Sez. VII, 13 gennaio 2023, n. 451).

Per completezza si aggiunge che, con riferimento alla prescrizione di tale azione di recupero delle somme di cui all'art. 53, comma 7, la giurisprudenza del Consiglio di Stato si è consolidata nel senso della esclusione dell'applicabilità del termine prescrizionale di cinque anni, ex art. 28 della l. n. 689/1981, "riguardando questo le sanzioni pecuniarie di tipo afflittivo-punitivo", mentre la misura irrogata in questo caso ha natura di sanzione pecuniaria di tipo ripristinatorio, con conseguente applicabilità dell'ordinario termine decennale, ex art. 2946 c.c. (C.d.S., Sez. VII, n. 451/2023).

Con sentenza n. 156 del 27 maggio 204, la Corte dei conti, Sezione III centrale d'appello, ha escluso la violazione del principio del ne bis in idem nel caso di concorrenza di due azioni, ritenendole autonome.

Tuttavia, sul punto sono intervenute le Sezioni unite civili della Corte di cassazione con ordinanza 8 luglio 2020, n. 14237, citata nella sentenza appellata, affermando che «la conclusione che la giurisdizione contabile è ravvisabile "solo se alla violazione del dovere di fedeltà e/o all'omesso versamento della somma pari al compenso indebitamente percepito dal dipendente si accompagnino specifici profili di danno"... è stato tuttavia modificato in relazione alla portata attribuita al comma 7-bis del citato art. 53, ritenendosi che l'azione proposta dal Procuratore contabile nei confronti di soggetto legato da rapporto d'impiego o di servizio con la P.A. trovi giustificazione nella violazione del dovere di chiedere l'autorizzazione allo svolgimento degli incarichi extralavorativi e del conseguente (rafforzativo) obbligo di riversare all'Amministrazione i compensi per essa ricevuti, costituendo queste prescrizioni chiaramente strumentali al corretto esercizio delle mansioni, in quanto preordinate a garantirne il proficuo svolgimento attraverso il previo controllo dell'Amministrazione sulla possibilità, per il dipendente, d'impegnarsi in un'ulteriore attività senza pregiudizio dei compiti d'istituto. // [...] Seguendo tale prospettiva Cass., Sez. un., 26 giugno 2019, n. 17124 ha quindi ritenuto che la disposizione di cui al comma 7-bis dell'art. 53 ult. cit., laddove ha previsto la giurisdizione del giudice contabile per l'omesso versamento dei compensi indebitamente percepiti dal dipendente nello svolgimento di un incarico non autorizzato, non ha portata innovativa, di guisa che la domanda rimane attratta alla giurisdizione del giudice contabile, anche se la percezione dei compensi si è avuta in epoca precedente all'introduzione del comma 7-bis del medesimo art. 53. Ciò perché si verte in ipotesi di responsabilità erariale... Nella medesima circostanza si è poi ulteriormente chiarito che l'alternatività fra l'azione del Procuratore contabile e quella dell'amministrazione tesa ad ottenere la restituzione delle somme percette in assenza di valida autorizzazione ha come conseguenza che, in caso di inerzia dell'Amministrazione al fine di ottenere il riversamento nel proprio bilancio, l'azione intentata dal Procuratore contabile, in ragione della responsabilità erariale di cui alla tipizzata fattispecie legale d.lgs. n. 165 del 2001, ex art. 53, commi 7 e 7-bis, determina l'impossibilità da parte della medesima Amministrazione di promuovere azione per ottenere detto riversamento, con conseguente sterilizzazione della possibilità di un conflitto di giudicati».

La Suprema Corte ha poi rammentato tale orientamento è stato seguito da Cass., Sez. un., n. 415/2020 e dalle stesse Sezioni riunite della Corte dei conti con la sentenza n. 26/2019 depositata in data 31 luglio 2019.

IV. A fronte delle diverse interpretazioni, il Collegio ritiene di condividere l'opzione ermeneutica da ultimo riportata e richiamata anche dal primo giudice.

Non vi è dubbio che nella specie si verte nella ipotesi sanzionata dal più volte cit. 7-bis, non risultando diverse contestazioni al di fuori della restituzione delle somme indebitamente percepite in assenza di autorizzazione.

Nella specie di cui si verte non si pone un problema di giurisdizione, essendosi attivata la Procura della Corte dei conti prima del Ministero.

Non viene in discussione neppure, nel caso che occupa, la determinazione da parte dell'Amministrazione del quantum dovuto a titolo di retribuzioni indebitamente percepite; infatti, la somma stabilita in seno al giudizio contabile risponde alle finalità specifiche di cui all'art. 130 del codice di giustizia contabile, introdotto allo scopo di pervenire ad una celere definizione delle controversie e di garantire l'incameramento di somme certe ed effettive in favore dell'erario. Tale determinazione non può che spettare al giudice contabile, nell'ambito del giudizio per danno erariale, a seguito della decisione in ordine alla ammissibilità del giudizio abbreviato. Diversamente opinando si vanificherebbe la finalità della disciplina.

Una volta, dunque, avviato il giudizio per responsabilità erariale ai sensi del cit. comma 7-bis da parte del Procuratore contabile, deve ritenersi precluso alla P.A. l'esercizio di quella volta a far valere l'inadempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, dovendosi escludere, stante il divieto del ne bis in idem, una duplicità di azioni attivate contestualmente che, seppure con la specificità propria di ciascuna di esse, sono volte a conseguire, dinanzi al giudice munito di giurisdizione, lo stesso identico petitum in danno del medesimo soggetto obbligato in base ad un'unica fonte legale.

Ne consegue, dunque, che correttamente dunque il primo giudice ha deciso nel senso di ritenere non dovute le somme di cui al decreto gravato.

V. La complessità della questione giustifica la compensazione delle spese del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Sicilia, Catania, sez. III, sent. n. 2744/2022.