Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 10 marzo 2025, n. 1933

Presidente: Greco - Estensore: Tulumello

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza n. 34/2023 il T.A.R. della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha respinto il ricorso proposto dall'odierno appellante per l'annullamento del provvedimento con il quale è stata rigettata la richiesta di emersione ex art. 103, comma 1, del d.l. n. 34/2020.

L'indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dal ricorrente in primo grado.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell'interno.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 23 gennaio 2025.

2. Il provvedimento impugnato in primo grado ha ritenuto infondata la pretesa dell'interessato in ragione dell'incapienza reddituale del datore di lavoro.

Lo stesso datore di lavoro, peraltro, in sede procedimentale aveva chiarito che per vicende familiari il suo reddito si era ridotto.

Il ricorrente - oltre ad alcune censure di natura procedimentale, ed altre rivolte contro la motivazione del provvedimento, peraltro non tradotto in una lingua per lui comprensibile - contestava quindi la mancata valutazione in ordine alla sussistenza delle condizioni per l'eventuale rilascio in suo favore di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.

3. Il T.A.R. - in merito alla pretesa sostanziale - ha ritenuto che «la circostanza del suo licenziamento per volontà del datore di lavoro nelle more della definizione della procedura risulta, a ben vedere, ininfluente sulla condizione ostativa all'accoglimento dell'istanza opposta dall'Amministrazione, rilevando ai fini reddituali per l'ammissibilità dell'istanza l'anno di imposta 2019 ("... reddito imponibile risultante dall'ultima dichiarazione dei redditi") ed essendosi invece verificato il segnalato mutamento delle condizioni economiche dell'istante - stando a quanto dal medesimo dichiarato - soltanto negli ultimi mesi del 2020, e dunque in epoca sopravvenuta rispetto a quella rilevante ai fini della verifica delle condizioni prescritte dalla normativa. Nella vicenda di specie, in definitiva, è mancato ab origine uno dei presupposti di ammissibilità dell'istanza, risultando perciò preclusa in nuce - contrariamente a quanto dedotto in sede ricorsuale - la possibilità di rilasciare al ricorrente un permesso di soggiorno per attesa occupazione in conseguenza dell'incolpevole interruzione, nelle more della conclusione del procedimento, del rapporto di lavoro, risultando a tal fine indefettibilmente necessaria, ai sensi delle richiamate circolari ministeriali, la sussistenza "a monte" delle condizioni prescritte per la favorevole delibazione della domanda».

4. Il problema si appunta sull'interpretazione della circolare dell'11 maggio 2021 che regola i presupposti per la conversione.

Secondo il T.A.R. «Benché la circolare dell'11 maggio 2021, evocata in ricorso, contempli, infatti, esplicitamente la possibilità di rilasciare allo straniero un permesso di soggiorno per attesa occupazione pure nel caso in cui si riveli impossibile - "anche a causa delle gravi conseguenze che il perdurare dell'emergenza pandemica ha provocato nel mercato del lavoro" - la prosecuzione del rapporto lavorativo interrotto "per cause non di forza maggiore" (quale, appunto, il licenziamento) con un nuovo datore di lavoro, a tale possibilità deve ritenersi pur sempre sottesa la sussistenza, in relazione all'originario rapporto denunciato, delle condizioni per la relativa regolarizzazione. Ciò desumendosi implicitamente dall'espressa prescrizione, dettata dalla circolare, che vincola gli Sportelli Unici, "in ogni caso", a "svolgere gli opportuni accertamenti ai fini di una valutazione volta ad escludere che la domanda di emersione sia stata inoltrata strumentalmente e che il rapporto di lavoro si sia instaurato in modo fittizio».

5. L'appellante ha chiesto anzitutto la sospensione del giudizio "poiché pende Giudizio di costituzionalità in ordine all'art. 103 commi 5 e 6 del decreto legge n° 34 del 2020 convertito in legge n° 77 del 2020 (in riferimento all'art. 76 della Costituzione ed all'art. 17 commi 2 e 3 della legge 23 agosto 1988 n° 400)".

Si tratta delle questioni dichiarate inammissibili dalla Corte costituzionale con sentenza n. 150 del 18 luglio 2023 (analoga questione, sollevata dal T.A.R. dell'Umbria, è stata successivamente ritenuta infondata con sentenza 209 del 24 novembre 2023).

Sul citato art. 103 è poi intervenuta la sentenza della Corte n. 43/2024, che però riguarda il problema dei precedenti penali, che non viene in rilievo nel presente giudizio.

Nel merito l'appellante insiste nelle proprie tesi.

6. Ritiene il Collegio che i motivi di appello relativi alla questione del mancato rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione devono essere respinti, atteso che l'appellante non sviluppa censure in relazione al rilievo centrale del primo giudice, vale a dire al fatto che nella specie il datore di lavoro, oltre ad aver segnalato l'impossibilità di assumere il lavoratore odierno istante, non ha dato riscontro alle ripetute richieste dell'Amministrazione di trasmettere i dati relativi al reddito del 2019 (anteriore alle insorte sue difficoltà economiche e, in tesi, unico di cui si sarebbe dovuto tenere conto ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni per la regolarizzazione, anche per le successive valutazioni sul rilascio del permesso di soggiorno), dovendo dunque ritenersi che il diniego medesimo sia stato determinato non già dalla sopravvenuta interruzione del rapporto di lavoro bensì dalla mancata trasmissione delle informazioni indispensabili a comprendere se ab initio sussistessero i requisiti di legge.

A fronte di ciò, non risultano conducenti gli insistiti richiami di parte appellante al sopravvenire del licenziamento, alla (supposta) completezza della documentazione inizialmente allegata all'istanza e ad un presunto dovere dell'Amministrazione di convocare le parti, dovere in realtà che presuppone la previa verifica delle condizioni di legge (e, se il datore di lavoro non si era peritato di rispondere alle reiterate richieste di invio della documentazione reddituale relativa al 2019, la condotta dell'Amministrazione che ne ha tenuto conto non può ritenersi affetta dai denunciati vizi di legittimità).

7. L'appello ripropone poi la censura di omessa comunicazione all'appellante del preavviso di rigetto, con violazione dell'art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241: l'orientamento seguito dal T.A.R. (e contestato dall'appellante), secondo cui il predetto preavviso, almeno nei casi in cui le condizioni ostative all'accoglimento dell'istanza afferiscano alla posizione del datore di lavoro, è legittimamente notificato soltanto a quest'ultimo e non anche al lavoratore, non risulta conforme alla più recente giurisprudenza di questa Sezione, la qual esige che il preavviso sia sempre notificato anche al lavoratore, siccome titolare di un sicuro interesse partecipativo in quanto potenziale beneficiario del provvedimento di emersione (cfr. C.d.S., Sez. III, 13 novembre 2024, n. 9131; 24 settembre 2024, n. 7757; 22 aprile 2024, n. 3643).

Il Collegio condivide tale conclusione, alla quale si riporta.

Va infatti osservato che nonostante il connotato strutturale della fattispecie, la stessa ha una sicura connotazione plurilaterale e dunque plurisoggettiva sul piano degli effetti giuridici: sicché la corretta applicazione dell'istituto in esame, in relazione alla funzione dello stesso come normativamente disegnata, non può che seguire la dinamica indicata dalle decisioni da ultimo richiamate.

In conseguenza, tenuto conto anche dell'impossibilità di applicare al rilevato profilo di illegittimità - in quanto concernente l'omissione del preavviso di rigetto - la disciplina di cui all'art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, l'appello deve essere dunque accolto in relazione a tale censura.

8. La riconosciuta fondatezza del cennato motivo assorbe ogni ulteriore profilo di censura sollevato nel presente giudizio, e comporta - in accoglimento del ricorso di primo grado, e in riforma della sentenza gravata - l'annullamento del provvedimento impugnato, con salvezza delle ulteriori determinazioni dell'Amministrazione.

Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, attesa la peculiarità della fattispecie (anche in relazione alla recente formazione dell'orientamento giurisprudenziale cui la presente pronuncia accede).

Considerato che la Commissione per il patrocinio a spese dello Stato presso questo Consiglio, nella seduta dell'8 settembre 2023, accertata la sussistenza del requisito reddituale ha ammesso provvisoriamente il ricorrente al ridetto patrocinio, tale ammissione va confermata in via definitiva in relazione al presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento con esso impugnato.

Ammette definitivamente l'appellante al patrocinio a spese dello Stato.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Calabria, Reggio Calabria, sent. n. 34/2023.