Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 14 marzo 2025, n. 2111

Presidente: Franconiero - Estensore: Ponte

FATTO E DIRITTO

1. La sig.ra L.L. Elena otteneva dal Comune di Procida dapprima il permesso di costruire in sanatoria n. 19 del 26 febbraio 2015 per interventi su corpo di fabbrica preesistente (catastalmente individuato al foglio 11, p.lla n. 597), e successivamente l'autorizzazione paesaggistica n. 47 del 5 maggio 2016 per l'apertura di un varco carrabile sull'area interessata.

I sig.ri A. Giuseppe e A. Anna Rachele - nella loro qualità di proprietari frontisti rispetto alla proprietà della sig.ra L.L. (segnatamente degli immobili ubicati all'interno di un'area di via Garibaldi a Procida, individuata in catasto al foglio 11, p.lle nn. 100, 582 e 803) - impugnavano i predetti provvedimenti con ricorso notificato il 4 luglio 2016 allegando di esserne venuti a conoscenza solo a seguito di apposite istanze di accesso documentale spiegate, rispettivamente, il 5 maggio 2016 e il successivo 20 maggio.

In relazione al permesso di costruire n. 19/2015 i ricorrenti intendevano far valere una differenziata lesione in termini di deprezzamento, nonché di perdita di amenità, luminosità e panoramicità dei loro immobili. In particolare, essi deducevano come le opere condonate sarebbero state ultimate in data successiva rispetto al termine ultimo di presentazione della domanda, oltre che con una volumetria eccedente in contrasto con i vincoli paesaggistici del territorio. A tal proposito i sig.ri A. lamentavano poi anche l'incompletezza istruttoria di tale atto di condono, perché adottato in presenza di un mero parere favorevole della Soprintendenza, senza però che mai fosse stata acquisita la necessaria autorizzazione paesaggistica di recepimento, che rientra nell'esclusiva competenza del Comune procedente. Quanto poi al contestato varco carrabile, i ricorrenti lamentavano un pregiudizio diretto alle proprie prerogative dominicali, dal momento che l'opera consisteva in un passaggio da realizzarsi su terreni di loro proprietà, senza che avessero prestato alcun consenso al riguardo.

Nelle more del giudizio di primo grado, il varco carrabile di cui al secondo provvedimento impugnato veniva definitivamente chiuso dalla sig.ra L.

2. All'esito del giudizio di prime cure, il T.A.R. con la sentenza qui appellata dichiarava il ricorso in parte ed in parte improcedibile.

Innanzitutto, quanto al varco carrabile oggetto del secondo provvedimento impugnato, il T.A.R. accertava la sopravvenuta carenza d'interesse. Infatti, dopo aver accertato l'assenza di un qualsiasi provvedimento autorizzativo espresso rispetto a tale opera (corredata esclusivamente da un'autorizzazione paesaggistica e da una S.C.I.A., peraltro dichiarata inefficace dal Comune in un secondo momento), il giudice prendeva atto della perdita di "attuale rilevanza" della vicenda, posto che l'interessata con memoria ritualmente depositata dichiarava di aver definitivamente chiuso il varco e che, una volta rimossa l'opera in contestazione, l'unico esito processuale possibile era la declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse.

Quanto invece al primo provvedimento impugnato, il T.A.R. aderiva all'eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla controinteressata. Ciò sul rilievo che esso era stato rilasciato più di un anno prima rispetto alla notifica del ricorso (avvenuta il 4 luglio 2016), e che l'allegazione dei ricorrenti di essere venuti a conoscenza dell'atto solamente in seguito ad un'istanza di accesso documentale ex art. 22 l. 241/1990 non era stata adeguatamente comprovata tramite appositi documenti. Al riguardo era affermato il principio secondo cui quando l'atto venga impugnato a distanza di tempo dalla sua adozione, il ricorrente - anche se non notificatario dell'atto impugnato - è tenuto a illustrare con sufficiente chiarezza le ragioni del ritardo, senza potersi limitare a richiamare genericamente domande di accesso. Secondo la ricostruzione del giudice, solo a seguito di specifica eccezione di controparte i ricorrenti avevano depositato le copie di due domande di accesso, peraltro irrilevanti nel caso di specie (perché riguardavano la S.C.I.A. e l'autorizzazione paesaggistica relativa al varco carrabile, e non già il permesso di costruire in sanatoria). Viceversa, la controinteressata aveva depositato due diverse memorie, non riscontrate sul punto, in cui aveva dichiarato come i ricorrenti fossero edotti tanto degli abusi quanto del procedimento di condono in corso. Infine, dalla risalenza del contenzioso il Giudice desumeva un argomento sufficiente per disporre la compensazione delle spese di lite.

3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello i sig.ri Giuseppe e Anna Rachele A. articolando un unico articolato motivo di gravame: error in iudicando, erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, violazione dell'art. 41 del codice del processo amministrativo, travisamento, omessa pronuncia in relazione alla assorbente eccezione di inefficacia (oltre che di illegittimità sotto molteplici profili) del permesso di costruire in sanatoria n. 19/2015, eccesso di potere giurisdizionale. Lamentano che, per pacifica giurisprudenza, grava su chi eccepisce la tardività di una impugnazione innanzi al giudice amministrativo l'onere di fornire almeno un qualche elemento specifico da cui sia possibile desumere la piena conoscenza degli atti impugnati in una data rispetto alla quale il ricorso originario risulterebbe tardivo. Peraltro, trattandosi nel caso di specie di un permesso in sanatoria - e non già di un ordinario permesso di costruire - è la stessa consapevolezza della edificazione (abusiva) che assume una connotazione differente. In ogni caso, per completezza di difesa, dichiarano che all'atto dell'iscrizione a ruolo dell'appello procederanno a depositare copia di un'apposita certificazione con cui il responsabile dell'U.T.C. di Procida attesta di aver consegnato all'A. Giuseppe tutta la documentazione richiesta il 20 giugno 2016. Sul punto la controparte chiede dichiararsi l'inammissibilità di tale documentazione - che in ogni caso appare irrilevante - in quanto depositata per la prima volta in grado di appello, in violazione del divieto di cui all'art. 104, comma 2, c.p.a.

Ancora, nella prospettazione di parte appellante, nessun rilievo avrebbe il fatto che l'odierna controinteressata avesse dato specifica notizia della domanda di condono nel 2012, posto che da un lato ciò non farebbe sorgere alcun obbligo in capo agli appellanti di monitorare lo stato di tale domanda, con la conseguenza che non si avrebbe da ciò prova che essi conoscessero il provvedimento sin dalla data del suo rilascio; e comunque ciò sarebbe vero per il solo sig. A. Giuseppe e non anche per la sig.ra A. Anna Rachele, la quale non era stata in quella occasione chiamata come controinteressata.

Ancora, gli appellanti contestano l'affermazione contenuta in sentenza per la quale riguardo ai titoli in sanatoria - diversamente da quanto previsto per i titoli edilizi ordinari - il termine per l'impugnazione inizierebbe a decorrere non già dalla effettiva conoscenza, bensì dalla pubblicazione nell'albo pretorio del Comune. Infatti, tale impostazione sarebbe eccessivamente restrittiva e, in ogni caso, nel caso di specie non vi sarebbe stata alcuna pubblicazione all'albo pretorio del Comune di Procida relativa al permesso di costruire in questione (n. 19/2015), né la stessa risulta essere stata comprovata dalla controinteressata sig.ra L.

In ogni caso, parte appellante lamenta altresì che il permesso di costruire impugnato, oltre che illegittimo sotto diversi profili, sarebbe anche inefficace per difetto della prescritta autorizzazione paesaggistica e del certificato di idoneità statica. Da ciò deriva l'erroneità della pronuncia di irricevibilità del ricorso, posto che il termine per l'impugnazione non potrebbe decorrere in ipotesi di titolo inefficace.

Tutto ciò premesso, gli appellanti procedono di conseguenza a reiterare le medesime censure già sollevate anche in primo grado e non esaminate dal T.A.R. Campania.

4. Il Comune appellato non si costituiva in giudizio.

Si costituivano in giudizio il Ministero della cultura e l'originaria parte controinteressata, chiedendo il rigetto dell'appello.

5. All'udienza di smaltimento del 5 marzo 2025 la causa passava in decisione.

6. L'appello, proposto avverso il capo di sentenza che ha dichiarato tardivo l'originario ricorso, è fondato.

7. In linea di diritto, va ricordato che la prova della tardività dell'impugnazione di un provvedimento amministrativo deve essere rigorosa e va data dalla parte che la eccepisce, la quale è tenuta a dimostrare quale fosse effettivamente la data alla quale la controparte ha acquisito piena conoscenza dell'atto da impugnare (cfr. ad es. C.d.S., Sez. IV, 17 settembre 2024, n. 7612; Sez. II, 19 gennaio 2024, n. 617; Sez. IV, 24 aprile 2023, n. 4134).

7.1. Con particolare riferimento al caso del titolo edilizio assentito in sanatoria, il termine per l'impugnazione decorre dalla data in cui si ha conoscenza che per una specifica opera abusiva già esistente è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria. Questa circostanza deve essere dimostrata in giudizio per far valere la tardività dell'impugnazione. È essenziale separare il regime d'impugnazione del titolo edilizio "ordinario" da quello applicabile al titolo edilizio "in sanatoria". Nel primo caso, il termine di decadenza inizia dal completamento dei lavori, mentre nel secondo caso inizia dalla conoscenza del rilascio della concessione edilizia in sanatoria per un'opera abusiva già esistente (cfr. ad es. C.d.S., Sez. VI, 7 febbraio 2024, n. 1241 e 7 novembre 2023, n. 9578).

7.2. Sul punto, la sentenza appellata si esprime in questi termini: "In via generale va precisato che se è vero che la tardività deve essere comprovata da chi la eccepisce (circostanza che, come si vedrà, nella specie si è comunque verificata), resta il fatto che anche a prescindere dall'attività difensiva delle controparti intimate, nel caso in cui l'atto amministrativo venga impugnato a distanza di tempo dalla data della sua adozione, il ricorrente (pur se non notificatario dell'atto) è chiamato a illustrare con sufficiente chiarezza le ragioni del ritardo, senza potersi limitare a citare generiche domande di accesso e generiche risposte della PA da cui (a suo dire) avrebbero trovato avvio i relativi termini".

Inoltre, in punto di fatto, il giudice di primo grado accerta quanto segue: "la controinteressata ha puntualmente dedotto con due memorie del 19.10.16 e 7.5.21 (rimaste prive di riscontro scritto) che i sigg.ri A. ben avrebbero conosciuto - non solo l'entità degli abusi sottoposti a condono, visto che a loro dire tali abusi avrebbero causato un quotidiano e continuo impatto sul godimento della proprietà limitrofa - ma anche la pendenza stessa della domanda di condono, atteso che di tale domanda l'odierna controinteressata aveva dato specifica notizia all'interno di una prima SCIA del 2012, contestata in un pregresso giudizio avanti al tar in cui erano parte anche gli attuali ricorrenti. [...] Nessun (completo) documento sul punto è stato invece allegato a sostegno della tardiva conoscenza del permesso di costruire in sanatoria del 26.2.2015. Senza oltre considerare che la domanda di accesso in sé non può avere connotati dirimenti sul punto, ove non corredata da elementi significativi utili ad indicare le (attendibili) ragioni alla base della tardiva impugnazione".

7.3. Invero, la sentenza impugnata non risulta aver fatto corretta applicazione dei principi sopra riassunti.

Se per un verso parte resistente non ha fornito alcun elemento specifico e concreto circa la conoscenza del rilascio della concessione edilizia in sanatoria per l'opera esistente, per un altro verso gli elementi individuati dal Tribunale - oltre ad essere parimenti insufficienti ai predetti fini - spingono nella direzione opposta.

7.4. Per ciò concerne gli elementi posti a base della dichiarata tardività, la loro irrilevanza emerge evidente: la conoscenza degli abusi è irrilevante, essendo il presupposto non solo della richiesta sanatoria ma dello stesso potere in discussione; la conoscenza della pendenza della sanatoria è parimenti irrilevante, sia in quanto oggetto della conoscenza deve essere il provvedimento finale, sia per il consistente superamento dei termini ordinatori del procedimento (atto di sanatoria datato 26 febbraio 2015, in definizione della domanda datata 1° marzo 1995), tale da non potersi ragionevolmente pretendere una costante attenzione allo sviluppo di un iter lungo dieci anni; parimenti la dichiarata - in altro giudizio - conoscenza della pendenza della domanda di condono rileva ai fini della prova della tardività dell'impugnazione del successivo titolo, proprio per lo iato esistente fra la mera pendenza di un procedimento (lunghissimo) e l'effettivo rilascio dell'atto conclusivo.

7.5. In definitiva, in assenza di qualsiasi elemento di prova della eccepita tardività, quest'ultima non può certo basarsi su mere presunzioni o generiche affermazioni, come quelle che imporrebbero al ricorrente di "illustrare con sufficiente chiarezza le ragioni del ritardo".

7.6. Peraltro, nel caso di specie, se nessun elemento di prova della eccepita tardività è stato fornito, rispetto all'oggetto della presunta conoscenza (il titolo in sanatoria), parte ricorrente (odierna appellante) ha fornito concreti elementi concernenti la effettiva conoscenza degli atti impugnati solo a seguito di istanze di accesso del 5 maggio 2016 e 20 maggio 2016.

8. L'accoglimento del motivo di appello impone, in riforma della sentenza impugnata, l'annullamento della declaratoria di irricevibilità del gravame, nella parte di residua controversia.

8.1. In proposito, occorre fare applicazione dei principi di cui alla recente decisione del Supremo Consesso della giustizia amministrativa (cfr. sentenza n. 16 del 2024), nel senso che l'errato accoglimento di una eccezione preliminare da parte del Giudice di prime cure, con conseguente mancato esame della vicenda controversa, impone ex art. 105 c.p.a. il rinvio al primo giudice.

8.2. L'Adunanza plenaria ha ampliato le ipotesi di rimessione al giudice di primo grado nei casi in cui la decisione di quest'ultimo sia dichiarata nulla a seguito di impugnazione. Si dà vita ad una ulteriore specifica applicazione dell'art. 105, comma 1, citato, che prevede appunto la regressione al giudizio di primo grado in alcuni casi di pronunciamento di nullità della sentenza di primo grado, quale la sua palese erroneità nell'escludere la legittimazione o l'interesse ad agire della parte ovvero la intempestività del gravame, che appunto si caratterizza (al pari del caso specifico esaminato dalla Plenaria) per l'accoglimento di un'eccezione preliminare per carenza di una delle condizioni dell'azione ed il mancato esame della vicenda nel rispetto della duplicità del grado di giudizio spettante alle parti.

8.3. Al pari della statuizione di inammissibilità, anche la decisione di irricevibilità che si basi su una motivazione tautologica o sia frutto di un errore palese, in fatto o in diritto, che abbia per conseguenza il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso, concreta il vizio di "nullità della sentenza", ai fini processuali di annullamento con rinvio.

9. Alla luce delle considerazioni che precedono, ai sensi e per gli effetti dell'art. 105 c.p.a. va pertanto disposto l'annullamento della sentenza appellata, con rinvio al primo giudice.

10. Sussistono giusti motivi, stante l'esito processuale e la sopravvenienza della decisione della Plenaria predetta, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla la sentenza impugnata e rinvia la causa al T.A.R. ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 105 c.p.a.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Campania, sez. VI, sent. n. 4492/2021.