Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 4 aprile 2025, n. 2922

Presidente: Lotti - Estensore: Picardi

FATTO

1. Danieli & C. Officine Meccaniche s.p.a., appaltatrice per la realizzazione di un'acciaieria nella zona industriale Aussa Corno, ha impugnato il provvedimento con cui il Segretario regionale del Consiglio regionale ha rigettato l'istanza del 13 novembre 2023, nella parte in cui è volta ad accedere all'elenco dei dati identificativi dei sottoscrittori della petizione contro l'acciaieria (petizione presentata in data 25 luglio 2023 da 21.974 cittadini). Il diniego è stato fondato, da un lato, sull'inerenza della documentazione richiesta ad una risoluzione del Consiglio regionale, che non è un provvedimento amministrativo e, dall'altro lato, sulla esistenza di ragioni di tutela della riservatezza, ostative all'indicazione dei dati personali dei sottoscrittori (nome, cognome, data di nascita e luogo di residenza).

2. Il T.A.R. per il Friuli-Venezia Giulia, dopo aver ordinato l'integrazione del contraddittorio per pubblici proclami e dopo aver rigettato le istanze di autorizzazione alla costituzione in forma anonima da parte di alcuni controinteressati (istanze avanzate per il tramite di quelli ritualmente costituiti in giudizio), ha accolto il ricorso, ordinando all'Amministrazione l'ostensione della documentazione richiesta entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza. La sentenza impugnata ha riconosciuto la fondatezza dell'istanza di accesso, richiamando l'ampia nozione di documento amministrativo, data dal C.d.S., Ad. plen., n. 21 del 2020, per cui "quel che rileva è che la lista dei sottoscrittori della petizione, nella materiale e giuridica disponibilità della Regione, è un documento comunque detenuto dall'Amministrazione per evidenti attività di pubblico interesse ed è quindi soggetto alla disciplina dell'accesso ex l. n. 241 del 1990". Ha, inoltre, escluso la tutela della riservatezza, in virtù dei principi di responsabilità e trasparenza ed in virtù dell'art. 9, comma 2, lett. e), reg. UE n. 679/2016, osservando che "coloro i quali sottoscrivono una pubblica petizione accettano, seppur implicitamente ed in ragione della natura dell'atto che controfirmano, la pubblicazione del proprio nominativo", posto che "è la stessa indicazione dei sottoscrittori, non solo nel loro numero, ma anche nella loro precisa individualità, ... che conferisce forza persuasiva alla petizione". Ha, infine, evidenziato che nessuno dei sottoscrittori la petizione ha manifestato e comunicato all'Amministrazione il proprio diniego alla pubblicazione, ai sensi dell'art. 179-bis del regolamento del Consiglio regionale.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto appello Marino V., Furio H. e Paolo [D.]T., lamentando: 1) l'assenza del diritto di accesso (non esercitato, peraltro, per esigenze difensive, prospettate solo in giudizio), in quanto la pubblicazione dei verbali delle sedute pubbliche degli organi del Consiglio regionale non si estende agli atti contenenti dati personali, che, peraltro, nel caso di specie, rivelano opinioni politiche e che non sono divulgabili in base a quanto disposto dal reg. UE n. 679/2016 e 2-ter d.lgs. n. 196/2023, salvo che in ipotesi tassative in forza di legge, di regolamento o di atti amministrativi generali o salvo che ve ne sia necessità per l'adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri; 2) la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2 e 24 Cost., degli artt. 50, 46 e 40 c.p.a., nella parte in cui impongono al controinteressato di costituirsi a viso aperto anche nel giudizio diretto a tutelare la sua riservatezza; 3) la natura politica e non amministrativa della risoluzione del Consiglio regionale, a cui si collega la petizione, con conseguente esclusione dall'ambito applicativo della l. n. 241 del 1990; 4) la confusione tra pubblicità della petizione e pubblicità dei dati personali dei suoi sostenitori, che è esclusa anche dagli artt. 15 e 16 del regolamento 2018/1725 del Parlamento europeo e del Consiglio, in cui è stabilito che "a richiesta del sottoscrittore della petizione che il suo nome sia nascosto al fine di proteggere il suo diritto alla privacy".

4. L'originaria ricorrente, oggi appellata, si è costituita, eccependo l'inammissibilità dell'appello per difetto di interesse da parte degli appellanti e per mancanza di specificità e concludendo, comunque, per la sua infondatezza.

5. Gli appellanti hanno depositato memoria di replica, a loro volta eccependo l'inammissibilità dell'eccezione in ordine al loro difetto di intesse, implicitamente riconosciuto nella sentenza di primo grado, non appellata sul punto.

6. Nelle more del giudizio è stata accolta l'istanza cautelare sospensiva.

7. La causa, la cui trattazione è stata fissata nella camera di consiglio del 3 aprile 2025, è passata in decisione.

DIRITTO

8. In via pregiudiziale occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità dell'appello per difetto di interesse e di specificità.

Per completezza deve precisarsi che non può ritenersi formato un giudicato implicito sull'interesse, da parte degli appellanti, a resistere alla pretesa di accesso della ricorrente, in quanto la sentenza impugnata non ha affrontato espressamente tale questione, che, peraltro, non costituendo una tema pregiudiziale rispetto al diritto di accesso della ricorrente, non può ritenersi neppure implicitamente trattata.

8.1. Gli odierni appellanti sono parti del giudizio di primo grado, in cui Marino V. è stato coinvolto immediatamente quale controinteressato, mentre Furio H. e Paolo D.T. sono intervenuti volontariamente, ancora prima dell'ordine di integrazione del contraddittorio, all'esito del quale hanno assunto anche la veste di controinteressati.

La loro costituzione in giudizio ha comportato, però, la loro identificazione, con conseguente rinuncia, da parte loro, alla tutela della privacy.

Agli stessi deve, tuttavia, ugualmente riconoscersi l'interesse a resistere all'istanza di accesso della originaria ricorrente ed odierna appellata, in quanto, come dagli stessi allegato e non contestato dalla controparte, essi sono stati "promotori della mobilitazione popolare anti-acciaieria" ed "attivisti nella raccolta delle firme della petizione popolare", a cui è riferita la presente vicenda processuale (v. appello, p. 6, e memoria del 18 marzo 2025, p. 6), sicché hanno assunto la posizione di titolari del trattamento dei dati personali degli altri sottoscrittori della petizione, con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano.

8.2. In base alla definizione dell'art. 4, n. 2, del General Data Protection Regulation (GDPR) ovvero del regolamento UE n. 2016/679, è titolare del trattamento dei dati personali la persona fisica o giuridica o l'autorità pubblica che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali.

È opportuno precisare che, a prescindere dalla diretta applicabilità alla vicenda in esame del GDPR, in considerazione della delimitazione di cui all'art. 2, nel nostro ordinamento il trattamento dei dati personali deve avvenire, nel rispetto della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali della persona, secondo le norme dettate dal GDPR, in virtù dell'art. 1 del codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. n. 196/2003), come modificato dal d.lgs. n. 101 del 2018.

8.3. La presentazione di una petizione rivolta alle pubbliche autorità implica la raccolta delle sottoscrizioni degli aderenti e, quindi, necessariamente si traduce nella raccolta di dati personali, relativi all'identità dei sottoscrittori (e, nel caso di specie, alla loro residenza). I promotori dell'iniziativa sono appunto i soggetti che determinano la finalità della raccolta e dell'uso di tali dati personali e che, quindi, assumono la posizione di titolari del relativo trattamento. Pertanto, gli stessi hanno un interesse a resistere alla pretesa di accesso ai dati personali trattati, in quanto, sebbene tali dati siano confluiti nella disponibilità della pubblica amministrazione, nei cui confronti è rivolta l'istanza di accesso, resta configurabile la loro responsabilità nei confronti dei titolari dei dati personali trattati in relazione alla corretta raccolta e al corretto uso degli stessi, in base all'art. 5, comma 2, del GDPR.

In definitiva, l'interesse degli appellanti a resistere all'istanza di accesso dell'appellata, originaria ricorrente, prescinde dalla tutela della loro privacy, essendo connesso alla loro autonoma posizione giuridica di titolari del trattamento dei dati personali dei sottoscrittori.

Ne deriva che, a prescindere da ogni indagine circa il ruolo - di controinteressati o meri interventori - effettivamente assunto nel giudizio di primo grado, all'esito della loro costituzione, che ha comportato la rinuncia alla tutela della privacy, agli stessi spetta, comunque, la legittimazione all'impugnazione della presente sentenza, anche ai sensi dell'art. 102, secondo comma, c.p.a. (v., tra le altre, sulla legittimazione all'impugnazione dell'interventore ad opponendum C.d.S., Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3678), e va riconosciuto un interesse attuale e concreto all'impugnazione della sentenza che, disattendo le loro difese, ha affermato il diritto di accesso ai dati personali da loro raccolti. In particolare, la rimozione della sentenza, che, nella loro prospettazione difensiva, ha illegittimamente consentito l'ostensione dei dati personali raccolti per la sottoscrizione della petizione, è necessaria al conseguimento, da parte loro, di un'utilità pratica, diretta ed immediata, e, cioè, a preservali da ogni eventuale responsabilità nei confronti dei titolari dei dati personali raccolti e trattati (cfr. sull'interesse all'impugnazione: C.d.S., Sez. V, 30 settembre 2022, n. 8420).

8.4. Neppure può accogliersi l'ulteriore eccezione di inammissibilità, atteso che l'appello, pur riproponendo le tesi difensive già svolte in primo grado, si confronta con la sentenza impugnata e non incorre, quindi, nel difetto di specificità.

9. Passando all'esame del merito dell'appello, va preliminarmente osservato che, come sostenuto dagli stessi appellanti (v. appello, p. 9), l'istanza di accesso, che ha originato il presente giudizio non contiene alcun esplicito riferimento né alla l. n. 241 del 1990 né al d.lgs. n. 33 del 2013. In essa si legge "atteso che gli organi di stampa hanno riferito che in data 25 luglio 2023 un Comitato ha consegnato al Presidente del Consiglio Regionale una petizione contro l'acciaieria sottoscritta da ventiquattromilacentosettantadue firme ed, altresì, che in più esternazioni il Presidente della Giunta Regionale e l'Assessore competente hanno motivato la decisione di non far effettuare l'investimento in considerazione delle contrarie prese di posizione da parte del 'territorio', formulo istanza di accesso al documento costituito da tale petizione. Formulo, infine, ulteriore istanza di accesso agli atti affinché alla Danieli venga rilasciata copia del verbale della riunione delle Commissioni II e IV riunite in seduta congiunta giovedì 21 settembre 2023 alle ore 9:30 - nella quale sono stati anditi i professionisti incaricati degli studi attinenti la realizzazione dell'acciaieria - ovvero, nell'ipotesi in cui la riunione non sia stata verbalizzata, il rilascio della registrazione di essa".

Come chiarito dal C.d.S., Ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10, è ammissibile il concorso degli accessi: il solo riferimento dell'istanza ai soli presupposti dell'accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l'istanza anche sotto il profilo dell'accesso civico generalizzato, laddove l'istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l'accoglimento sotto il profilo "civico", salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all'uno o all'altro aspetto.

Ne deriva che, nel caso in esame, deve ritenersi che l'originario ricorrente abbia formulato l'istanza relativamente sia all'accesso documentale sia a quello civico, in assenza di un'espressa limitazione ad uno dei due istituti.

10. Vanno accolti, per quanto di ragione, il primo e l'ultimo motivo dell'appello, da trattare congiuntamente, in quanto connessi.

Con il primo motivo si è impugnato il capo 8 della sentenza (capo in cui si è affermata la fondatezza del ricorso), denunciando l'insussistenza del diritto di accesso (non esercitato, peraltro, per esigenze difensive, prospettate solo in giudizio), in quanto la pubblicazione dei verbali delle sedute pubbliche degli organi del Consiglio regionale non si estende agli atti contenenti dati personali, che, peraltro, nel caso di specie, rivelano opinioni politiche e che non sono divulgabili in base a quanto disposto dal reg. UE n. 679/2016 e 2-ter d.lgs. n. 196/2023, salvo che in ipotesi tassative in forza di legge, di regolamento o di atti amministrativi generali o salvo che ve ne sia necessità per l'adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri. Con il quarto motivo si è impugnato il capo 12 della sentenza (capo con cui si è superata la ragione del diniego all'accesso, collegata alla natura di dati personali dei nomi dei sottoscrittori), denunciando la confusione tra pubblicità della petizione e pubblicità dei dati personali dei suoi sostenitori, che è esclusa anche dagli artt. 15 e 16 del regolamento 2018/1725 del Parlamento europeo e del Consiglio, in cui è stabilito che "a richiesta del sottoscrittore della petizione che il suo nome sia nascosto al fine di proteggere il suo diritto alla privacy".

Tali censure sono fondate nella parte in cui denunciano l'error in iudicando della sentenza impugnata, che ha affermato, in modo assoluto ed indiscriminato, la pubblicità dei dati personali dei sottoscrittori di una petizione pubblica.

10.1. Nel nostro ordinamento non sussiste una norma analoga a quella del regolamento del Parlamento europeo, invocata dagli appellanti (art. 226, comma 13, ai sensi del quale "in deroga al paragrafo 12, il firmatario, un cofirmatario o un sostenitore - di una petizione - può chiedere che il suo nome non sia reso noto, al fine di tutelare la sua vita privata. In tal caso il Parlamento è tenuto a soddisfare tale richiesta). In particolare, nel regolamento interno del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia non si rinvengono disposizioni simili, ma piuttosto una disciplina sulla pubblicazione degli atti (v. in particolare art. 179-bis), che non si occupa, però, del diverso problema dell'accesso agli atti.

Tuttavia, la esistenza di tale regola, nell'ordinamento unionale, che pure è improntato ai principi di democraticità e trasparenza, induce a ritenere che, nel bilanciamento dei contrapposti valori di rango costituzionale, quello della riservatezza dei sottoscrittori di una petizione pubblica non può essere ritenuto, in modo automatico, generale ed assoluto, subvalente rispetto agli altri valori, sottesi all'accesso civico o documentale, sia pure difensivo.

Ciò è confermato, peraltro, dall'art. 9 GDPR, che vieta il trattamento di categorie particolari di dati personali e, cioè, di quelli che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona. In proposito deve rilevarsi che, trattandosi della sottoscrizione di una petizione pubblica, i dati personali si presentano quantomeno connessi ad opinioni politiche, da intendersi in senso lato e, cioè, riconducibili non solo all'adesione ad un tradizionale partito politico, ma anche ai movimenti che caratterizzano l'epoca attuale, quale quello ambientalista, o a quelli che si formano relativamente a specifiche questioni trattate dalle pubbliche autorità.

Né può ritenersi, come affermato nella sentenza di primo grado, che "coloro i quali sottoscrivono una pubblica petizione accettano, seppure implicitamente e in ragione della natura dell'atto che controfirmano, la pubblicazione del proprio nominativo", in quanto "chi ha sottoscritto la petizione ha reso manifestamente pubblici i propri dati personali ai sensi dell'art. 9, comma 2, lett. e), del GDPR".

Invero, la sottoscrizione di una pubblica petizione implica il consenso al trattamento dei propri dati personali per la specifica finalità connessa alla stessa e, quindi, implica il consenso alla trasmissione dei propri dati personali all'autorità pubblica che ne è destinataria; non implica, invece, il consenso al trattamento dei propri dati personali per altre finalità, diverse ed ulteriori, e neppure equivale a rendere manifestamente pubblici i propri dati personali. In particolare, l'esclusione di tale equivalenza, da cui conseguirebbe l'applicabilità della deroga di cui all'art. 9, comma 2, GDPR, si desume dalla differenza ontologica che esiste tra la mera adesione ad una petizione pubblica e la esternazione pubblica di tale adesione ed è confermata dall'espressa attribuzione, da parte di altri ordinamenti, quali quello unionale, della facoltà di colui che sottoscrive una petizione pubblica di chiedere ed ottenere che il suo nome sia nascosto al fine di proteggere il suo diritto alla privacy.

10.2. In definitiva, la sottoscrizione di una petizione pubblica non comporta la rinuncia a tenere protetti e riservati i propri dati personali né equivale a rendere manifestamente pubblici i propri dati personali.

A ciò va aggiunto, come già evidenziato, che la sottoscrizione di una petizione pubblica può rivelare un'opinione o, comunque, una posizione politica, per cui i relativi dati personali assumono il valore di dati sensibili (o, secondo la terminologia del GDPR, dati particolari).

10.3. Da tali premesse deriva [che] il diritto all'accesso può essere riconosciuto esclusivamente all'esito di un bilanciamento valoriale, atteso che l'accesso è possibile solo se il diritto o l'interesse del richiedente l'accesso è di rango almeno pari o superiore a quello della persona a cui si riferiscono i dati in esame, come si desume dall'art. 5-bis, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 e dagli artt. 22, comma 1, lett. c), e 24, ultimo comma, della l. n. 241 del 1990. Più precisamente l'art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33 del 2013 stabilisce che l'accesso civico è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; l'art. 22, comma 1, lett. c), della l. n. 241 del 1990 individua i controinteressati all'accesso documentale in tutti i soggetti la cui riservatezza può essere pregiudicata dall'ostensione ed il successivo art. 24, ultimo comma, della l. n. 241 del 1990, pur prevedendo che l'accesso deve essere consentito nei limiti in cui sia necessario per curare o difendere i propri interessi giuridici, precisa che, nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito solo nei limiti in [cui] sia strettamente indispensabile.

In proposito va ricordato che, secondo l'orientamento di questo Consiglio, con riferimento al rapporto tra "accesso difensivo" e tutela della "riservatezza", occorre distinguere tra dati e informazioni caratterizzati da una c.d. riservatezza "semplice" (ad es. dati finanziari ed economici), in ordine ai quale l'interesse difensivo è ritenuto tendenzialmente prevalente, e dati e informazioni caratterizzati da una riservatezza "rafforzata" (dati "sensibili" e "supersensibili"), rispetto ai quali l'interesse difensivo deve di volta in volta essere bilanciato secondo criteri di necessarietà, indispensabilità e parità di rango ed in base ai principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza (tra le altre, C.d.S., Sez. VII, 21 marzo 2024, n. 2773, e Sez. III, 21 dicembre 2017, n. 6011).

I criteri de quibus (in particolare quello di proporzionalità e non eccedenza) assumono particolare rilievo a fronte di una istanza di accesso che riguarda i dati personali sensibili di più di 20.000 persone.

Pure deve ribadirsi che, come affermato da C.d.S., Ad. plen., 18 marzo 2021, n. 4, in materia di accesso difensivo ai sensi dell'art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, si deve escludere che sia sufficiente nell'istanza un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, posto che l'ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l'istante intende curare o tutelare, sebbene, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento per il quale si chiede l'accesso e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell'accesso difensivo, la p.a. detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso non devono svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull'ammissibilità, sull'influenza o sulla decisività del documento richiesto nell'eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all'autorità giudiziaria investita della questione.

Il giudizio di bilanciamento caratterizza ovviamente anche l'accesso civico in base all'art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33 del 2013.

10.4. Il bilanciamento in esame esige il coinvolgimento del titolare del dato personale, di cui è chiesta l'ostensione, in sede procedimentale. Del resto, il sottoscrittore della petizione pubblica, non avendo rinunciato alla tutela della sua riservatezza, assume rispetto all'istanza di accesso la posizione di controinteressato, a cui sono, pertanto, dovute le comunicazioni previste, con riferimento all'accesso civico, dall'artt. 5, comma 5, d.lgs. n. 33 del 2016 [recte: 2013 - n.d.r.] (ai sensi del quale "fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione"), e, con riferimento all'accesso documentale, dall'art. 3, comma 1, d.P.R. 184 del 2006 (ai sensi del quale "fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione").

Al contrario, nel caso in esame, il coinvolgimento dei controinteressati in esame è mancato nella fase procedimentale, in quanto l'Amministrazione ha assunto una posizione radicalmente contraria all'accesso.

Il coinvolgimento dei controinteressati in sede processuale, assicurato tramite la notificazione per pubblici proclami del ricorso introduttivo, sebbene assicuri la validità del presente giudizio, non può sostituire il loro necessario coinvolgimento nella fase procedimentale, dove gli stessi avrebbero potuto manifestare le loro esigenze di riservatezza, senza dover palesare la loro identità (a differenza che nel presente giudizio).

11. L'accoglimento, per quanto di ragione del primo e del quarto motivo dell'appello, comporta l'assorbimento del secondo motivo dell'appello, avente ad oggetto il capo 9 della sentenza e, cioè, il rigetto delle istanze di costituzione in forma anonima di ulteriori controinteressati.

12. Va, invece, rigettato il terzo motivo di appello, con cui si è denunciata la natura politica e non amministrativa della risoluzione del Consiglio regionale, a cui si collega la petizione, con conseguente esclusione dall'accesso.

È sufficiente richiamare, relativamente all'accesso documentale, l'ampia nozione di documento amministrativo (ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale) e di pubblica amministrazione (tutti i soggetti di diritto pubblico) di cui alle lett. d) ed e) dell'art. 22 della l. n. 241 del 1990. L'accesso civico è addirittura esteso non solo ai documenti amministrativi, ma anche alle informazioni ed ai dati ed è esercitabile nei confronti di tutte le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, in base agli artt. 2-bis e 3 del d.lgs. n. 33 del 2013.

13. In conclusione, devono essere accolti, per quanto di ragione, il primo ed il quarto motivo di appello, con assorbimento del secondo motivo e rigetto del terzo motivo. Pertanto, la sentenza impugnata va riformata, nei limiti di cui in motivazione, con il parziale rigetto, allo stato, del ricorso originario e la caducazione dell'ordine all'Amministrazione dell'ostensione della documentazione richiesta, visto che il procedimento amministrativo dovrà proseguire con il necessario coinvolgimento, nella fase procedimentale, dei controinteressati, le cui eventuali esigenze di riservatezza devono essere valutate e bilanciate con quelle del ricorrente originario, odierno appellato.

Le spese del giudizio, stante la complessità della questione e l'assenza di precedenti specifici, devono essere integralmente compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

accoglie, per quanto di ragione, il primo ed il quarto motivo di appello, con assorbimento del secondo e rigetto del terzo, e, pertanto, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso originario;

dichiara integralmente compensate le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 329/2024.