Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 28 gennaio 2025, n. 9152
Presidente: De Amicis - Estensore: Di Geronimo
RITENUTO IN FATTO
1. Il ricorrente impugna la sentenza resa dalla Corte di appello di Roma in sede di rinvio, a seguito dell'annullamento disposto da Sez. 2, n. 1255 del 4 ottobre 2022, dep. 2023, con la quale era stato accolto il ricorso dell'imputato limitatamente alla mancata esclusione dell'aggravante di cui all'art. 644, comma quinto, n. 3), c.p., con conseguente assorbimento dell'ulteriore motivo concernente il giudizio di bilanciamento rispetto alle attenuanti generiche (così pg. 19 della sentenza rescindente).
Con la sentenza impugnata veniva rigettata la richiesta di concordato in appello e il ricorso veniva parzialmente accolto, in particolare, la Corte di appello:
riconosceva il vincolo della continuazione tra i reati oggetto di questo procedimento e quelli giudicati dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 3 dicembre 2018;
negava la continuazione con i reati di cui alla sentenza emessa dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Velletri il 13 maggio 2021;
escludeva l'aggravante di cui all'art. 644, comma quinto, n. 3), c.p. relativamente ai capi B), F) e I), ritenendola sussistente esclusivamente per il capo L);
confermava il giudizio di equivalenza tra le aggravanti e le attenuanti generiche, rideterminando complessivamente la pena in anni sette, mesi nove di reclusione ed euro 1.500 di multa.
2. Avverso tale sentenza, il ricorrente ha articolato tre motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 599-bis, commi 3-bis e 3-ter, c.p.p., ritenendo che la Corte di appello fosse incorsa in una nullità per violazione del diritto di difesa avendo congiuntamente deciso sia sulla richiesta di concordato, rigettandola, che nel merito dell'appello.
La cadenza processuale delineata dall'art. 599-bis c.p.p. impone al giudice, che ritenga di non accogliere la richiesta concordata tra le parti, di disporre la prosecuzione del giudizio e ciò anche al fine di consentire l'eventuale diversa modulazione del concordato.
Nel caso di specie, la Corte di appello aveva accorpato la decisione sul concordato a quella sull'appello, in tal modo impedendo alla difesa di modificare i termini dell'accordo e, comunque, di discutere tutti i motivi di appello tra i quali, in particolare, quello relativo al riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche.
2.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione relativamente al mancato riconoscimento della continuazione con i reati oggetto della sentenza di applicazione pena emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri e relativa a plurime ipotesi di usura.
La Corte di appello avrebbe illogicamente escluso la continuazione sulla base del mero dato temporale di commissione dei reati, individuato nell'anno 2020, ritenuto eccessivamente distante rispetto ai reati oggetto del presente giudizio. Sottolinea la difesa come, invero, anche le condotte giudicate con richiamata sentenza di patteggiamento risalivano ad un arco temporale antecedente al 2020 e collimante con il periodo di commissione dei reati di cui al presente procedimento, posto che l'erogazione dei finanziamenti usurai era antecedente rispetto alla data ultima di restituzione degli stessi che si collocava nel 2020.
2.3. Con il terzo motivo, si deduce il vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione dell'aggravante dell'aver commesso il reato di usura ai danni di persona che si trovi in stato di bisogno, nonché al mancato riconoscimento della prevalenza delle generiche.
In particolare, per quanto attiene alla menzionata aggravante, il ricorrente lamenta che la Corte di appello si sarebbe limitata a valorizzare la circostanza secondo cui una delle persone offese, S. Gazmed, era stato costretto a ricorrere al prestito usuraio in quanto aveva perso il lavoro.
Con riguardo alle attenuanti generiche, invece, si assume che i motivi che avevano indotto la Corte di appello a riconoscerne la sussistenza, avrebbero giustificato anche il riconoscimento della prevalenza, in difetto di elementi concretamente idonei ad escludere tale esito.
3. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo di ricorso, concernente la presunta lesione del diritto di difesa derivante dalla mancata distinzione tra la fase deputata alla pronuncia sul concordato e quella relativa alla decisione dell'appello, è manifestamente infondato.
Invero, dal verbale dell'udienza celebrata dinanzi alla Corte di appello, emerge che l'imputato aveva cumulativamente concluso chiedendo l'accoglimento della richiesta di concordato e, in subordine, l'accoglimento dell'appello, in tal modo acconsentendo alla definizione unitaria del giudizio.
Nel momento in cui sono state formulate le conclusioni, pertanto, l'appellante era pienamente edotto del fatto che, se la Corte di appello non avesse accolto il concordato, si sarebbe pronunciata nel merito dell'appello.
Formulando le conclusioni anche nel merito, sia pur in via subordinata, l'appellante ha implicitamente rinunciato alla separazione della fase deputata alla decisione sul concordato e, in caso di rigetto, alla successiva definizione nelle forme ordinarie.
Nel caso in esame, pertanto, trova applicazione il condivisibile principio secondo cui in tema di concordato con rinuncia ai motivi in appello, non è affetta da nullità la sentenza pronunciata immediatamente dopo il rigetto dell'accordo, senza che il giudice abbia disposto la prosecuzione del dibattimento, qualora l'appellante, all'udienza di discussione, abbia concluso anche nel merito, riportandosi ai motivi di gravame per il caso di mancato accoglimento della proposta sulla pena, posto che il predetto ha, in tal modo, rinunziato implicitamente alla proposizione di un nuovo accordo (Sez. 2, n. 45287 del 17 ottobre 2023, Santacruz, Rv. 285347; sia pur con riferimento alla diversa ipotesi del rito cartolare, si veda anche Sez. 6, n. 37981 del 12 luglio 2023, Radaelli, Rv. 285182).
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il ricorrente lamenta il parziale riconoscimento della continuazione con riguardo ai reati oggetto di solo una delle due sentenze di condanna rispetto alle quali era stata chiesta l'applicazione della disciplina prevista dall'art. 81 c.p.
Invero, la richiesta in questione era radicalmente inammissibile e, quindi, la Corte di appello non l'avrebbe dovuta esaminare neppure con riguardo ai reati per i quali è stata ritenuta la continuazione.
Occorre rammentare che la sentenza impugnata è stata emessa all'esito dell'annullamento con rinvio disposto da questa Corte e, nella sentenza rescindente, l'ambito del giudizio di rinvio era limitato esclusivamente alla rivalutazione dell'aggravante contestata e al conseguente giudizio di valenza con le attenuanti generiche.
Per consolidata giurisprudenza, nel giudizio di rinvio è preclusa la possibilità di presentare motivi aggiunti, posto che l'oggetto del giudizio è limitato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 624, comma 1, e 627 c.p.p., alla parte della decisione caducata e, quindi, alla trattazione dei motivi di gravame già proposti ad essa afferenti, che non possono essere in alcun modo integrati (da ultimo, Sez. 3, n. 16440 del 12 gennaio 2024, Martinelli, Rv. 286172).
Tale limite deve essere valutato tenendo presente l'epoca in cui la sentenza, rispetto alla quale si chiede il riconoscimento della continuazione, è divenuta definitiva, posto che, se il giudicato si è formato dopo la sentenza di appello annullata con rinvio, si pone il problema di verificarne la possibile deduzione nella successiva fase rescindente.
Sul punto non si ravvisano precedenti specifici.
In una fattispecie apparentemente similare a quella in esame, si è sostenuto che nel giudizio d'appello in sede di rinvio conseguente ad annullamento parziale disposto dalla Corte di cassazione, in caso di sopravvenienza, successivamente alla sentenza rescindente, di un'ordinanza applicativa, in sede esecutiva, del vincolo della continuazione tra un reato rispetto al quale la condanna è divenuta irrevocabile ed altro reato giudicato con titolo diverso, il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna dell'imputato per i reati oggetto del rinvio, in presenza di una specifica deduzione della parte, è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti per l'estensione della continuazione anche al reato giudicato con titolo diverso e, nell'ipotesi affermativa, a pronunciarsi sui conseguenti effetti in punto di struttura del reato continuato e di dosimetria della pena (Sez. 1, n. 16766 del 21 febbraio 2020, Catanzariti, Rv. 279180).
Si tratta di un principio, tuttavia, che non può essere esteso al presente procedimento, in quanto la fattispecie sopra richiamata presuppone che intervenga un'ordinanza che riconosca la continuazione con alcuni dei reati giudicati nell'ambito del procedimento in cui è stato disposto l'annullamento con rinvio. In quella ipotesi, pertanto, il giudice del rinvio deve necessariamente tener conto del sopravvenuto riconoscimento - da parte del giudice dell'esecuzione - della continuazione con un reato rientrante nel procedimento in cui è stato disposto l'annullamento con rinvio.
Ben diversa è l'ipotesi che si è verificata nel presente giudizio, in cui non vi è stato il riconoscimento della continuazione da parte di un diverso giudice, di per sé incidente sulla determinazione della pena rimessa al giudice del rinvio, bensì si è chiesto al giudice del rinvio di valutare la continuazione ex novo.
Si ritiene corretto, in tal caso, affermare il diverso principio per cui nel giudizio di rinvio non può chiedersi il riconoscimento della continuazione, non oggetto del precedente giudizio di appello, neppure nel caso in cui si invochi il riconoscimento del medesimo disegno criminoso relativamente a reati per i quali il giudicato si è formato successivamente alla celebrazione del giudizio di appello, oggetto dell'annullamento con rinvio, sempre che la sentenza rescindente non abbia devoluto al giudice del rinvio la rivalutazione di punti della decisione concernenti anche la disciplina della continuazione.
In ipotesi, ove l'annullamento avesse riguardato il mancato riconoscimento della continuazione interna, ovvero relativa a reati oggetto di sentenze già sottoposte all'esame del giudice dell'appello, si dovrebbe ritenere che il giudizio rescindente, in quanto vertente sul punto relativo all'applicazione della disciplina della continuazione, consentirebbe di valutare anche sentenze divenute definitive in epoca successiva a quella oggetto di annullamento.
Nel caso in esame, invece, l'accertamento devoluto al giudice del rinvio non concerneva in alcun modo i profili relativi alla continuazione e, quindi, doveva ritenersi inammissibile la domanda nuova formulata a tal proposito dall'imputato.
Né tale soluzione, del resto, determina alcuna lesione del diritto di difesa, posto che la continuazione ben potrà essere legittimamente richiesta dinanzi al giudice dell'esecuzione, in tal modo rispettando il principio per cui il giudice del rinvio è vincolato a pronunciarsi sulla sola parte della pronuncia caducata dalla sentenza rescindente.
4. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
4.1. La Corte di appello, chiamata a rivalutare la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 644, comma 5, n. 3), c.p.p., ha fornito una motivazione immune da censure qualificabili in termini di manifesta illogicità o contraddittorietà.
In particolare, il dato che è stato valorizzato per ritenere che, nei confronti di S. Gazmed, persona offesa del reato di cui al capo L), sussistesse l'approfittamento dello stato di bisogno, è stato individuato nel licenziamento del predetto e nella conseguente perdita della fonte di reddito.
Si tratta di un fatto non contestato nella sua esistenza e tale da aver logicamente indotto la Corte di appello a ritenere che la persona offesa si trovasse in una condizione di particolare difficoltà economica, riconducibile alla nozione di stato di bisogno.
Non vi sono elementi contrastanti con la tesi secondo cui la perdita del lavoro ha costituito un fattore idoneo a generare una limitazione della libertà di autodeterminazione della persona offesa, che lo ha indotto a ricorrere al credito e ad accettare condizioni usurarie, in tal modo dandosi corretta attuazione al principio di diritto affermato nella sentenza rescindente (Sez. 2, n. 1255 del 4 ottobre 2022, dep. 2023, Perciballi, Rv. 284286).
Né colgono nel segno le censure mosse dal ricorrente al fatto che la sussistenza dell'aggravante sarebbe stata desunta sulla base delle mere dichiarazioni rese dalla persona offesa, posto che - in mancanza di una idonea censura in ordine all'attendibilità della stessa - tale testimonianza non richiede riscontri oggettivi ulteriori.
4.2. Manifestamente infondata è l'ulteriore doglianza relativa al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, posto che la Corte di appello ha adeguatamente sottolineato la professionalità della condotta illecita e l'intrinseca gravità dei reati commessi, elementi del tutto incompatibili con una valutazione diversa rispetto all'equivalenza delle attenuanti.
5. Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La domanda di condanna al pagamento delle spese di giudizio avanzata dalla parte civile Michele M. non può essere accolta, posto che il presente ricorso concerne esclusivamente aspetti di rilievo penale non incidenti sul riconoscimento del risarcimento dei danni in favore della parte civile.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 5 marzo 2025.