Corte di giustizia dell'Unione Europea
Decima Sezione
Sentenza 8 maggio 2025
Presidente: Gratsias - Relatore: Smulders
«Rinvio pregiudiziale - Politica sociale - Lavoro a tempo determinato - Direttiva 1999/70/CE - Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato - Clausola 4, punto 1 - Principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo parziale - Ambito di applicazione - Nozione di "condizione di impiego" - Operai agricoli a tempo determinato - Contributi previdenziali calcolati in funzione delle retribuzioni - Retribuzioni degli operai agricoli a tempo determinato stabilite in funzione delle ore di lavoro giornaliere prestate - Retribuzioni degli operai agricoli a tempo indeterminato stabilite in funzione di un orario di lavoro giornaliero forfettario».
Nelle cause riunite C‑212/24, C‑226/24 e C‑227/24, aventi ad oggetto domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dalla Corte d'appello di Firenze (Italia), con ordinanze dell'8 gennaio 2024, pervenute in cancelleria il 19 e il 26 marzo 2024, nei procedimenti L.T. s.s. (C‑212/24), A.M. (C‑226/24), XXX (C‑227/24) contro Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con l'intervento di: Agenzia delle entrate - Riscossione.
[...]
1. Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull'interpretazione della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l'«accordo quadro»), allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).
2. Tali domande sono state presentate nel contesto di tre controversie tra la L.T. s.s., A.M. e la XXX, da una parte, e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) (Italia), dall'altra, riguardanti contributi previdenziali dovuti dalle imprese che occupano lavoratori agricoli a tempo determinato.
Contesto normativo
Diritto dell'Unione
3. L'articolo 1 della direttiva 1999/70 è del seguente tenore:
«Scopo della presente direttiva è attuare l'accordo quadro sui contratti a tempo determinato, che figura nell'allegato, concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».
4. Il terzo comma del preambolo dell'accordo quadro è redatto nei termini seguenti:
«Il presente accordo stabilisce i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, riconoscendo che la loro applicazione dettagliata deve tener conto delle realtà specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali. Esso indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e un uso dei contratti di lavoro a tempo determinato accettabile sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori».
5. La clausola 1 dell'accordo quadro, intitolata «Obiettivo», così dispone:
«L'obiettivo del presente accordo quadro è:
a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
6. La clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro, intitolata «Campo d'applicazione», prevede quanto segue:
«Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».
7. La clausola 3 dell'accordo quadro, intitolata «Definizioni», così dispone:
«1. Ai fini del presente accordo, il termine "lavoratore a tempo determinato" indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
2. Ai fini del presente accordo, il termine "lavoratore a tempo indeterminato comparabile" indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrà fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di quest'ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali».
8. A termini della clausola 4 dell'accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione»:
«1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.
3. Le disposizioni per l'applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali
(...)».
Diritto italiano
9. L'articolo 1, comma 1, del decreto-legge del 9 ottobre 1989, n. 338 - Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati (GURI n. 237, del 10 ottobre 1989), nella versione applicabile ai procedimenti principali (in prosieguo: il «decreto-legge n. 338/1989»), così dispone:
«La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo».
10. Il contratto collettivo nazionale di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti, del 6 luglio 2006 (in prosieguo: il "CCNL"), definisce, all'articolo 18, lettera a), gli operai agricoli a tempo determinato come «gli operai che sono assunti con rapporto individuale di lavoro a tempo determinato, quali, ad esempio, quelli assunti per l'esecuzione di lavori di breve durata, stagionali o a carattere saltuario o assunti per fase lavorativa o per la sostituzione di operai assenti per i quali sussista il diritto alla conservazione del posto».
11. L'articolo 30, primo comma, del CCNL stabilisce che «[l]'orario di lavoro è stabilito in 39 ore settimanali pari ad ore 6,30 giornaliere» e l'articolo 40, primo comma, del CCNL prevede che «[l]'operaio a tempo determinato ha diritto al pagamento delle ore di lavoro effettivamente prestate nella giornata».
Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
12. Nel dicembre 2013 l'INPS ha ingiunto, in particolare, alle ricorrenti nei procedimenti principali di versargli contributi previdenziali aggiuntivi rispetto a quelli già versati per gli operai agricoli a tempo determinato che esse avevano assunto nel 2006 e nel 2007. Secondo l'INPS, tali ricorrenti avevano calcolato in modo errato i loro contributi previdenziali dovuti per detti operai, in quanto avevano tenuto conto, ai fini di tale calcolo, delle ore effettivamente lavorate da questi ultimi invece che dell'orario di lavoro giornaliero di sei ore e mezza, come fissato all'articolo 30, primo comma, del CCNL.
13. Le ricorrenti nei procedimenti principali hanno proposto un ricorso avverso tale ingiunzione dell'INPS dinanzi al Tribunale di Grosseto (Italia), che ha accolto tale ricorso.
14. L'INPS ha interposto appello avverso la sentenza di tale giudice dinanzi alla Corte d'appello di Firenze (Italia). Quest'ultimo giudice ha dichiarato fondate le domande di pagamento dell'INPS, in quanto, alla luce del principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori a tempo determinato e dell'articolo 30, primo comma, del CCNL, l'importo dei contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro di questi ultimi lavoratori doveva essere calcolato sulla base di una retribuzione stabilita per un orario di lavoro di sei ore e mezza e non in funzione delle ore di lavoro effettivamente svolte.
15. Le ricorrenti nei procedimenti principali hanno proposto ricorsi dinanzi alla Corte suprema di cassazione (Italia), la quale ha constatato, in un primo momento, che, in applicazione del combinato disposto dell'articolo 1, primo comma, del decreto-legge n. 338/1989 e dell'articolo 40, primo comma, del CCNL, i contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro del settore agricolo sulle retribuzioni corrisposte agli operai agricoli a tempo determinato devono essere calcolati solo in funzione delle ore di lavoro effettivamente svolte, a meno che tali datori di lavoro decidano che, in occasione di interruzioni dell'attività dovute a forza maggiore, tali operai devono rimanere nell'azienda a loro disposizione.
16. A tal riguardo, la Corte suprema di cassazione ha ricordato che l'articolo 30, primo comma, del CCNL, il quale prevede che l'orario di lavoro sia fissato a 39 ore settimanali, ossia a sei ore e mezza al giorno, si limita a indicare la durata massima, settimanale e giornaliera, dell'orario di lavoro, senza tuttavia precisare la durata minima dell'orario di lavoro. L'articolo 40, primo comma, del medesimo CCNL, nel prevedere che l'operaio a tempo determinato ha diritto al pagamento delle ore di lavoro effettivamente prestate nella giornata, detterebbe una norma logicamente incompatibile con il concetto di orario di lavoro settimanale e di orario giornaliero, atteso che svincolerebbe la retribuzione dovuta dal riferimento ad un tempo di lavoro precostituito ed individuabile in termini generali e astratti. Tale previsione, ispirata alle specificità proprie del lavoro agricolo a tempo determinato, sarebbe conforme alla norma enunciata all'articolo 16, primo comma, lettera g), del decreto legislativo dell'8 aprile 2003, n. 66 - Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (GURI n. 87, del 14 aprile 2003, supplemento ordinario n. 61), il quale, nel dare attuazione alla direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (GU 1993, L 307, pag. 18), come modificata dalla direttiva 2000/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 2000 (GU 2000, L 195, pag. 41), stabilirebbe che gli operai agricoli a tempo determinato sono esclusi dall'ambito di applicazione della disciplina della durata settimanale dell'orario normale di lavoro.
17. In un secondo momento, per quanto riguarda il calcolo dei contributi previdenziali, la Corte suprema di cassazione precisa, da un lato, che, in forza dell'articolo 1, primo comma, del decreto-legge n. 338/1989, la retribuzione da assumere come base per tale calcolo non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi. Dall'altro lato, essa indica che, per quanto riguarda gli operai agricoli a tempo determinato per i quali i contributi previdenziali sono calcolati sulla base delle ore effettivamente prestate, la giurisprudenza della Corte relativa al divieto delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, enunciato alla clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, non può fungere da fondamento per il pagamento di contributi previdenziali più elevati per gli operai agricoli a tempo determinato, in quanto i rapporti tra l'INPS e i datori di lavoro per quanto riguarda i contributi previdenziali non rientrerebbero nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione.
18. Di conseguenza, la Corte suprema di cassazione ha annullato la sentenza della Corte d'appello di Firenze e ha rinviato la causa a quest'ultima.
19. La Corte d'appello di Firenze, giudice del rinvio, si interroga sulla compatibilità con la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, della constatazione effettuata dalla Corte suprema di cassazione, quale menzionata al punto 15 della presente sentenza, secondo cui i contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro del settore agricolo sulle retribuzioni versate agli operai agricoli a tempo determinato devono essere calcolati unicamente in funzione delle ore di lavoro effettivamente svolte.
20. A tal riguardo, il giudice del rinvio ritiene, anzitutto, che tale clausola si applichi ai procedimenti principali. Infatti, il settore agricolo non sarebbe escluso dall'ambito di applicazione della direttiva 1999/70 e le condizioni di impiego previste da detta clausola includerebbero le retribuzioni. Orbene, i contributi previdenziali di cui trattasi nei procedimenti principali sarebbero connessi alla retribuzione dovuta agli operai agricoli a tempo determinato, dato che, in primo luogo, nell'ordinamento giuridico interno tali contributi sarebbero dovuti sull'insieme della retribuzione che deve essere versata a tali lavoratori e, in secondo luogo, detti contributi contribuirebbero al pagamento delle prestazioni previdenziali erogate dai regimi professionali di sicurezza sociale. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, il giudice del rinvio precisa che l'importo di dette prestazioni è proporzionale alla durata del rapporto di lavoro ed è legato all'importo della retribuzione, dato che l'importo di questi stessi contributi dipende da quest'ultimo importo. Essa ne deduce che un operaio agricolo a tempo determinato, la cui retribuzione sia parametrata alle sole ore effettivamente svolte, potrà godere senza dubbio di prestazioni di minor entità, a fronte della garanzia sempre assicurata ad un operaio agricolo a tempo indeterminato di ricevere una retribuzione minima fissata dalla contrattazione collettiva a prescindere dalle ore effettivamente prestate.
21. Inoltre, il giudice del rinvio ritiene che la constatazione effettuata dalla Corte suprema di cassazione, quale menzionata al punto 15 della presente sentenza, possa violare la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro in quanto comporta un trattamento meno favorevole degli operai agricoli a tempo determinato rispetto a quello riservato agli operai agricoli a tempo indeterminato, che non sarebbe giustificato da ragioni oggettive.
22. In particolare, il giudice del rinvio ritiene che gli operai agricoli a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato si trovino in una situazione comparabile, dal momento che svolgono le stesse mansioni. Orbene, detta constatazione effettuata dalla Corte suprema di cassazione sfocerebbe in un trattamento degli operai agricoli a tempo determinato meno favorevole rispetto a quello riservato agli operai agricoli a tempo indeterminato che, tuttavia, svolgono un lavoro comparabile. Infatti, per quanto riguarda gli operai agricoli a tempo determinato, il datore di lavoro sarebbe libero di determinare la durata del loro lavoro nonché la loro retribuzione e, di conseguenza, la misura dei contributi previdenziali nonché quella delle prestazioni previdenziali di cui essi possono godere. Agli operai agricoli a tempo indeterminato sarebbe invece assicurata una retribuzione minima giornaliera, basata su un orario di lavoro giornaliero di sei ore e mezza, a prescindere dalle ore di lavoro effettivamente svolte. Pertanto, i contributi previdenziali versati dai loro datori di lavoro nonché le prestazioni previdenziali di cui essi potrebbero godere sulla base di tali contributi sarebbero garantiti dal momento che sono fondati su tale retribuzione minima giornaliera.
23. Infine, il giudice del rinvio ritiene che, nel caso di specie, non risultino né ragioni oggettive connesse all'esecuzione del lavoro di cui trattasi né elementi precisi e concreti che consentano di giustificare la necessità di un trattamento differenziato dei lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. I rischi peculiari dell'attività agricola che dipendono da condizioni meteorologiche imprevedibili colpirebbero tutti gli operai agricoli, siano essi assunti a tempo determinato o a tempo indeterminato.
24. In tali circostanze, la Corte d'appello di Firenze ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, formulate in modo identico nelle cause riunite C-212/24, C‑226/24 e C‑227/24:
«1) Se la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta [alla clausola di] una contrattazione collettiva nazionale, come quella contenuta nell'articolo 40 del [CCNL] come interpretata dalla Corte [suprema] di Cassazione (Italia) in modo vincolante per il giudice di rinvio, che con riguardo all'operaio agricolo a tempo determinato riconosce il diritto al pagamento delle ore di lavoro effettivamente prestate nella giornata, a fronte del precedente articolo 30 del CCNL che per gli operai agricoli a tempo indeterminato riconosce il diritto alla retribuzione, parametrandolo a una giornata lavorativa di [sei ore e mezza].
2. In caso di risposta positiva alla precedente questione, se la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che anche la determinazione della misura della contribuzione previdenziale obbligatoria dovuta in favore dei lavoratori agricoli a tempo determinato nell'ambito di un regime professionale di sicurezza sociale rientra nelle condizioni di impiego, conseguendone che la stessa debba essere determinata sulla base dello stesso criterio previsto per gli operai agricoli a tempo indeterminato e quindi commisurata sulla base dell'orario giornaliero di lavoro fissato dalla contrattazione collettiva, e non già sulla base delle ore di lavoro effettivamente svolte».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
25. In primo luogo, le ricorrenti nei procedimenti principali ritengono che le questioni pregiudiziali siano irricevibili in quanto l'INPS, quale emanazione dello Stato, non potrebbe addurre una disposizione di una direttiva avente effetto diretto nei loro confronti.
26. A tale riguardo occorre ricordare, anzitutto, che nell'ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall'articolo 267 TFUE spetta, in principio, soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, qualora le questioni sollevate vertano sull'interpretazione del diritto dell'Unione, la Corte è, in linea di principio, tenuta a statuire (v., in tal senso, sentenza del 17 ottobre 2024, FA.RO. di YK & C., C‑16/23, EU:C:2024:886, punto 33 e giurisprudenza citata).
27. Ne consegue che le questioni relative al diritto dell'Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in maniera manifesta che la richiesta interpretazione di una norma dell'Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l'oggetto della controversia di cui al procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono poste (sentenza del 17 ottobre 2024, FA.RO. di YK & C., C‑16/23, EU:C:2024:886, punto 34 e giurisprudenza citata).
28. Inoltre, dall'articolo 288, terzo comma, TFUE, risulta che il carattere vincolante di una direttiva su cui si fonda la possibilità di farla valere sussiste solo nei confronti dello «Stato membro cui è rivolta». Ne consegue, secondo costante giurisprudenza, che una direttiva non può di per sé creare obblighi in capo a un singolo e non può quindi essere invocata, in quanto tale, nei confronti di quest'ultimo dinanzi a un giudice nazionale (sentenza del 22 dicembre 2022, Sambre & Biesme e Commune de Farciennes, C‑383/21 e C‑384/21, EU:C:2022:1022, punto 36 e giurisprudenza citata).
29. Tuttavia, la Corte ha parimenti dichiarato a più riprese che l'obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato previsto da quest'ultima, così come il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo s'impongono a tutte le autorità degli Stati membri, comprese, nell'ambito delle loro competenze, quelle giurisdizionali. Nell'applicare il diritto interno, i giudici nazionali chiamati a interpretarlo sono quindi tenuti, in particolare, a prendere in considerazione l'insieme delle norme di tale diritto e ad applicare i criteri ermeneutici riconosciuti dallo stesso al fine di interpretarlo per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva di cui trattasi, onde conseguire il risultato fissato da quest'ultima e conformarsi pertanto all'articolo 288, terzo comma, TFUE [sentenza del 1º ottobre 2020, A (Pubblicità e vendita di medicinali on line), C‑649/18, EU:C:2020:764, punti 38 e 39 nonché giurisprudenza citata]. L'esigenza di interpretazione conforme include in particolare l'obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un'interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva. Pertanto, un giudice nazionale non può validamente ritenere di trovarsi nell'impossibilità di interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell'Unione per il solo fatto che detta disposizione è stata costantemente interpretata in un senso che è incompatibile con tale diritto (sentenza del 15 ottobre 2024, KUBERA, C‑144/23, EU:C:2024:881, punto 52 e giurisprudenza citata).
30. La Corte è infatti competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull'interpretazione delle disposizioni del diritto dell'Unione indipendentemente dal fatto che esse abbiano o meno efficacia diretta fra le parti della controversia sottostante [sentenza del 14 ottobre 2020, KG (Missioni successive nell'ambito del lavoro tramite agenzia interinale), C‑681/18, EU:C:2020:823, punto 36 e giurisprudenza citata].
31. Pertanto, la circostanza che la direttiva 1999/70 non possa, di per sé, creare obblighi a carico delle ricorrenti nel procedimento principale non può comportare l'irricevibilità delle questioni pregiudiziali.
32. In secondo luogo, le ricorrenti nei procedimenti principali allegano che le questioni pregiudiziali sono irricevibili in quanto sarebbero divenute ipotetiche a causa della decisione della Corte suprema di cassazione menzionata al punto 18 della presente sentenza. Infatti, a seguito di tale decisione, il giudice del rinvio non sarebbe più chiamato a statuire sull'esistenza di una disparità di trattamento tra gli operai agricoli a tempo determinato e gli operai agricoli a tempo indeterminato, ma la questione che esso dovrebbe risolvere sarebbe unicamente quella di chiarire se le ore di lavoro straordinario debbano essere prese in considerazione per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per gli operai agricoli a tempo determinato.
33. Orbene, dalle indicazioni del giudice del rinvio riassunte ai punti da 19 a 23 della presente sentenza risulta che tale giudice ritiene di essere chiamato a statuire sull'esistenza di una disparità di trattamento tra gli operai agricoli a tempo determinato e gli operai agricoli a tempo indeterminato, e che occorra quindi adire la Corte con le presenti domande di pronuncia pregiudiziale. Alla luce della giurisprudenza menzionata ai punti 26 e 27 della presente sentenza, non spetta alla Corte rimettere in discussione tale valutazione del giudice del rinvio quanto all'oggetto delle controversie ancora da dirimere.
34. Ne consegue che l'argomento delle ricorrenti nei procedimenti principali riassunto al punto 32 della presente sentenza non può giustificare l'irricevibilità delle questioni pregiudiziali.
35. In terzo luogo, le ricorrenti nei procedimenti principali ritengono che la prima questione sia ipotetica e quindi irricevibile in quanto le controversie principali vertono non già sulle retribuzioni degli operai agricoli a tempo determinato, bensì sui contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro di tali operai.
36. A tal riguardo, occorre rilevare che, secondo il giudice del rinvio, i contributi previdenziali oggetto delle controversie principali sono calcolati in funzione di tali retribuzioni e, pertanto, possono rientrare nelle condizioni di impiego di cui alla clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro. Di conseguenza, la prima questione pregiudiziale non è ipotetica, in quanto la risposta a tale questione costituisce un presupposto necessario per rispondere alla seconda questione, la quale, secondo il suo tenore letterale, è posta solo in caso di risposta affermativa alla prima.
37. Ne consegue che le questioni pregiudiziali sono ricevibili.
Nel merito
38. Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come interpretata da un giudice nazionale supremo, in forza della quale i contributi previdenziali dovuti da datori di lavoro che occupano operai agricoli a tempo determinato sono calcolati in funzione delle retribuzioni versate a tali operai per le ore di lavoro giornaliere da essi effettivamente svolte, mentre i contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro che occupano operai agricoli a tempo indeterminato sono calcolati sulla base di una retribuzione stabilita per un orario di lavoro giornaliero costituito da un numero di ore predefinito dal diritto nazionale.
39. Al fine di rispondere a tali questioni, occorre, in primo luogo, ricordare che, ai sensi della clausola 1 dell'accordo quadro, quest'ultimo ha lo scopo di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
40. La Corte ne ha dedotto che l'accordo quadro, in particolare la sua clausola 4, mira a dare applicazione a tale principio nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di lavoro di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 30 novembre 2023, Ministero dell'Istruzione e INPS, C‑270/22, EU:C:2023:933, punto 50 e giurisprudenza citata).
41. Così, la clausola 4 dell'accordo quadro, che ha effetto diretto, sancisce, al punto 1, il divieto, per quanto riguarda le condizioni di impiego, di trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto che hanno un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che un diverso trattamento non sia giustificato da «ragioni oggettive» (sentenza del 30 novembre 2023, Ministero dell'Istruzione e INPS, C‑270/22, EU:C:2023:933, punto 52 e giurisprudenza citata).
42. In secondo luogo, per quanto riguarda il campo di applicazione di tale clausola, da un lato, dalla clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro risulta che esso si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato in particolare dalla legge o dai contratti collettivi in vigore in ciascuno Stato membro.
43. Nel caso di specie, il rapporto di lavoro degli operai agricoli a tempo determinato di cui trattasi nei procedimenti principali è disciplinato dalla normativa italiana in materia di lavoro nonché dal CCNL e rientra pertanto nel campo di applicazione dell'accordo quadro.
44. Dall'altro lato, da una giurisprudenza consolidata della Corte risulta che il criterio decisivo per determinare se una misura rientri nella nozione di «condizioni di impiego» ai sensi della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, è proprio quello dell'impiego, vale a dire il rapporto di lavoro sussistente tra un lavoratore e il suo datore di lavoro (sentenza del 20 giugno 2019, Ustariz Aróstegui, C‑72/18, EU:C:2019:516, punto 25 e giurisprudenza citata).
45. Orbene, secondo la giurisprudenza, tale nozione deve essere interpretata nel senso che ingloba le condizioni relative alle retribuzioni. In particolare, la Corte ha considerato che, nella determinazione sia degli elementi costitutivi della retribuzione sia del livello di tali elementi, le competenti istituzioni nazionali devono applicare ai lavoratori a tempo determinato il principio di non discriminazione quale sancito dalla clausola 4 dell'accordo quadro (v., in tal senso, sentenza del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punti 130 e 134).
46. Di conseguenza, rientrano nella nozione di «retribuzione», e quindi nelle «condizioni di impiego» ai sensi della clausola 4 dell'accordo quadro, le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro che lega il lavoratore al datore di lavoro, ad esclusione di quelle derivanti da un sistema previsto dalla legge al cui finanziamento contribuiscono i lavoratori, i datori di lavoro ed, eventualmente, i pubblici poteri in una misura meno dipendente da un rapporto di lavoro siffatto che da considerazioni di politica sociale [v., in tal senso, sentenze del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 131 e giurisprudenza citata, nonché del 7 aprile 2022, Ministero della Giustizia e a. (Status dei giudici di pace italiani), C‑236/20, EU:C:2022:263, punto 36]. Una pensione che interessi soltanto una categoria particolare di lavoratori, corrisposta a causa del rapporto di lavoro che li lega al loro ex datore di lavoro, che sia direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati e il cui importo è calcolato in base all'ultima retribuzione può pertanto rientrare nel campo di applicazione della detta clausola 4 (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a., C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329, punti 46 e 47).
47. Nel caso di specie, spetterà al giudice del rinvio stabilire se i contributi di cui trattasi nei procedimenti principali partecipino al pagamento di prestazioni previdenziali fornite da un regime professionale di sicurezza sociale o piuttosto da un sistema di legge di previdenza sociale. Il fatto che i contributi in questione nei procedimenti principali debbano essere versati dai datori di lavoro all'INPS e non invece agli operai agricoli di cui trattasi nel procedimento principale non è dirimente al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a., C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329, punto 50). Se è dimostrato che le prestazioni previdenziali finanziate dai contributi di cui trattasi nel procedimento principale interessano solo gli operai agricoli o una categoria di lavoratori cui essi appartengono, che tali prestazioni dipendono direttamente da detti contributi e che questi ultimi sono calcolati in funzione delle retribuzioni versate agli operai agricoli di cui al procedimento principale per il lavoro svolto presso il loro datore di lavoro, si deve ritenere che questi stessi contributi possano rientrare nelle «condizioni di impiego», ai sensi di detta clausola.
48. In terzo luogo, per quanto riguarda l'applicazione della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro alle condizioni di impiego dei lavoratori a tempo determinato, occorre ricordare che tale clausola costituisce un'espressione specifica del principio di non discriminazione, che richiede che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (v., in tal senso, sentenza del 20 giugno 2019, Ustariz Aróstegui, C‑72/18, EU:C:2019:516, punto 28 e giurisprudenza citata).
49. Pertanto, affinché lavoratori a tempo determinato possano legittimamente rivendicare di usufruire della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro per quanto riguarda le loro condizioni di impiego, occorre, in prima battuta, valutare se tali lavoratori siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato e se detti lavoratori si trovino in una situazione comparabile a quella dei lavoratori a tempo indeterminato. Per quanto riguarda la valutazione della comparabilità delle situazioni, la clausola 3, punto 2, dell'accordo quadro definisce il «lavoratore a tempo indeterminato comparabile» come un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. Inoltre la Corte ha precisato che per stabilire se i lavoratori esercitino un lavoro identico o simile ai sensi dell'accordo quadro, si deve, in conformità alla clausola 3, punto 2, e alla clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, verificare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, sia possibile ritenere che tali lavoratori si trovino in situazioni comparabili (ordinanza del 9 febbraio 2017, Rodrigo Sanz, C‑443/16, EU:C:2017:109, punto 38 e giurisprudenza citata).
50. Nel caso di specie, per quanto riguarda l'esistenza di un trattamento meno favorevole, risulta, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, che esiste una disparità di trattamento tra gli operai agricoli a tempo indeterminato e gli operai agricoli a tempo determinato a scapito di questi ultimi.
51. Infatti, per gli operai agricoli a tempo determinato, i contributi previdenziali dovuti dai loro datori di lavoro sembrano essere calcolati, in forza dell'articolo 1 del decreto-legge n. 338/1989, in combinato disposto con l'articolo 40, primo comma, del CCNL, in funzione della retribuzione versata per le ore di lavoro giornaliere che essi hanno effettivamente svolto, mentre, per gli operai agricoli a tempo indeterminato, questi stessi contributi sembrano essere calcolati, in forza di detto articolo 1, in combinato disposto con l'articolo 30, primo comma, del CCNL, sulla base di una retribuzione stabilita per un orario di lavoro giornaliero di sei ore e mezza. Pertanto, la retribuzione e, di conseguenza, i contributi previdenziali per questi ultimi lavoratori sembrano essere calcolati sulla base di un orario di lavoro giornaliero stabilito forfettariamente, vale a dire in modo generale e astratto, e non già in funzione delle ore di lavoro effettivamente svolte da questi ultimi, come avviene per i lavoratori a tempo determinato. È quindi possibile che per gli operai agricoli a tempo indeterminato siano versati contributi previdenziali per ore di lavoro non prestate, mentre per gli operai agricoli a tempo determinato tale possibilità è esclusa.
52. Tale valutazione quanto all'esistenza di un trattamento meno favorevole degli operai agricoli a tempo determinato non è messa in discussione dagli argomenti delle ricorrenti nel procedimento principale relativi all'applicazione del principio del «pro rata temporis». Infatti, sebbene la clausola 4, punto 2, dell'accordo quadro preveda che tale principio si applica «se del caso», la Corte ha considerato che tale clausola si limita a sottolineare una delle conseguenze che possono eventualmente essere ricollegate, sotto il controllo eventuale del giudice, all'applicazione del principio di non discriminazione a favore dei lavoratori a tempo determinato, senza per nulla incidere sul tenore stesso di tale principio (sentenza del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 65).
53. Orbene, il principio del «pro rata temporis» non può giustificare, nel caso di specie, l'applicazione di metodi di contabilizzazione del numero di ore da computare per il calcolo delle retribuzioni e dei contributi ad un regime professionale di sicurezza sociale diversi per gli operai agricoli a tempo determinato e per gli operai agricoli a tempo indeterminato, basati, per i primi, sulle ore di lavoro effettivamente svolte e, per i secondi, su un numero di ore di lavoro stabilito forfettariamente. Infatti, tali riferimenti temporali distinti per il calcolo delle retribuzioni e dei contributi ad un regime professionale di sicurezza sociale non sono la conseguenza dell'applicazione del principio di non discriminazione e sfavoriscono gli operai agricoli a tempo determinato.
54. Peraltro, per quanto riguarda la comparabilità delle situazioni di cui trattasi, alla luce degli elementi del fascicolo di cui dispone la Corte sembra che gli operai agricoli a tempo indeterminato e gli operai agricoli a tempo determinato si trovino in una situazione comparabile. In particolare, la circostanza che l'articolo 18, lettera a), del CCNL definisca questi ultimi operai come lavoratori assunti in particolare «per la sostituzione di operai assenti per i quali sussista il diritto alla conservazione del posto» indica che gli operai agricoli a tempo determinato e gli operai agricoli a tempo indeterminato svolgono un lavoro identico o simile. Spetta tuttavia al giudice del rinvio confermare tale valutazione tenendo conto di tutti i fattori pertinenti quali enunciati al punto 49 della presente sentenza.
55. Nei limiti in cui, nel caso di specie, ricorrono le condizioni menzionate al punto 49 di questa sentenza, occorre, in seconda battuta, valutare se il trattamento meno favorevole degli operai agricoli a tempo determinato rispetto agli operai agricoli a tempo indeterminato sia giustificato da «ragioni oggettive», come enunciato alla clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro.
56. Al riguardo, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di «ragioni oggettive» richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui esso si colloca e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Detti elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenza del 9 febbraio 2017, Rodrigo Sanz, C‑443/16, EU:C:2017:109, punto 45 e giurisprudenza citata).
57. Non costituisce una «ragione oggettiva», ai sensi della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, tale da giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato, il mero fatto che detta differenza sia prevista da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo [sentenza del 7 aprile 2022, Ministero della Giustizia e a. (Status dei giudici di pace italiani), C‑236/20, EU:C:2022:263, punto 40, nonché ordinanza del 9 febbraio 2017, Rodrigo Sanz, C‑443/16, EU:C:2017:109, punto 42 e giurisprudenza citata].
58. Peraltro, una disparità di trattamento per quanto attiene alle condizioni di impiego tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato non può essere giustificata mediante un criterio che, in modo generale ed astratto, si riferisce alla durata stessa dell'impiego. Ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare una siffatta disparità priverebbe del loro contenuto gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell'accordo quadro. Invece di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato e di promuovere la parità di trattamento cui mirano sia la direttiva 1999/70 sia l'accordo quadro, il ricorso ad un siffatto criterio equivarrebbe a rendere permanente il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (ordinanza del 9 febbraio 2017, Rodrigo Sanz, C‑443/16, punto 44 e giurisprudenza citata).
59. Nel caso di specie, le ricorrenti nei procedimenti principali hanno addotto come ragioni oggettive che giustificano il trattamento differenziato degli operai agricoli a tempo determinato rispetto agli operai agricoli a tempo indeterminato il fatto che, come risulta dall'articolo 18, lettera a), del CCNL, i primi siano impiegati per svolgere un lavoro di breve durata, un lavoro stagionale o occasionale, per fasi di lavoro o per sostituire lavoratori assenti. Pertanto, le ragioni per cui vengono assunti a tempo determinato, e che sono connesse alle peculiarità del lavoro agricolo, giustificherebbero il fatto che tali lavoratori non siano necessariamente a disposizione del datore di lavoro per sei ore e mezza al giorno o 39 ore alla settimana. Tale valutazione sarebbe conforme al terzo comma del preambolo dell'accordo quadro, a tenore del quale l'accordo quadro stabilisce i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, riconoscendo che la loro applicazione dettagliata deve tener conto delle realtà specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali. Orbene, in Italia, il 90% della manodopera agricola sarebbe impiegato a tempo determinato, tenuto conto della natura temporanea e discontinua dei compiti da svolgere nel settore agricolo.
60. Tuttavia, alla luce della giurisprudenza citata ai punti 57 e 58 della presente sentenza, si deve ritenere che tali ragioni non costituiscano ragioni oggettive che consentano di differenziare il trattamento degli operai agricoli di cui trattasi, dal momento che esse si basano unicamente sulla durata stessa dell'impiego. Infatti, sebbene le ricorrenti sostengano che esisterebbero considerazioni che giustificano che i lavoratori impiegati a tempo determinato non siano necessariamente a disposizione del datore di lavoro per sei ore e mezza al giorno o per 39 ore settimanali e che, di conseguenza, siano versati contributi previdenziali solo per il numero di ore di lavoro che essi hanno effettivamente svolto nel corso di una giornata, tali argomenti non spiegano, per contro, perché, per gli operai a tempo indeterminato, che svolgono un lavoro identico o analogo a quello di un operaio a tempo determinato, l'orario di lavoro sia obbligatoriamente fissato in 39 ore settimanali, con la conseguenza che contributi previdenziali corrispondenti a sei ore e mezza di lavoro al giorno devono essere versati a prescindere dal numero di ore di lavoro effettivamente prestate su una giornata.
61. In assenza di ragioni oggettive, si constata che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro osta alla disparità di trattamento in materia di retribuzioni e di contributi ad un regime professionale di sicurezza sociale, calcolati sulla base di tali retribuzioni, tra operai agricoli a tempo determinato e operai agricoli a tempo indeterminato come quelli di cui trattasi nel procedimento principale.
62. Alla luce di tutti i motivi che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come interpretata da un giudice nazionale supremo, in forza della quale i contributi previdenziali dovuti da datori di lavoro, che impiegano operai agricoli a tempo determinato, al fine di finanziare prestazioni di un regime professionale di sicurezza sociale, sono calcolati in funzione delle retribuzioni versate a tali operai per le ore di lavoro giornaliere che essi hanno effettivamente svolto, mentre i contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro che impiegano operai agricoli a tempo indeterminato sono calcolati sulla base di una retribuzione stabilita per un orario di lavoro giornaliero forfettario, come fissato dal diritto nazionale, a prescindere dalle ore effettivamente prestate.
Sulle spese
63. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M.
la Corte (Decima Sezione) dichiara:
La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come interpretata da un giudice nazionale supremo, in forza della quale i contributi previdenziali dovuti da datori di lavoro, che impiegano operai agricoli a tempo determinato, al fine di finanziare prestazioni di un regime professionale di sicurezza sociale, sono calcolati in funzione delle retribuzioni versate a tali operai per le ore di lavoro giornaliere che essi hanno effettivamente svolto, mentre i contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro che impiegano operai agricoli a tempo indeterminato sono calcolati sulla base di una retribuzione stabilita per un orario di lavoro giornaliero forfettario, come fissato dal diritto nazionale, a prescindere dalle ore effettivamente prestate.