Corte costituzionale
Sentenza 16 maggio 2025, n. 65
Presidente: Amoroso - Redattore: Antonini
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, della legge della Regione Puglia 30 maggio 2024, n. 24, recante «XI legislatura - 20° provvedimento di riconoscimento di debiti fuori bilancio ai sensi dell'articolo 73, comma 1, lettere a) ed e), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126 e modifiche alle leggi regionali 24 luglio 1997, n. 19 (Norme per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette nella Regione Puglia), 16 febbraio 2024, n. 3 (Istituzione della Fondazione della disfida di Barletta), 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio, all'accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), e 29 dicembre 2022, n. 32 (Disposizioni per la formazione del Bilancio di previsione 2023 e Bilancio pluriennale 2023-2025 della Regione Puglia - legge di stabilità regionale 2023)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 2 agosto 2024, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 27 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2024.
Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nell'udienza pubblica dell'8 aprile 2025 il Giudice relatore Luca Antonini;
udite l'avvocata dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocata Isabella Fornelli per la Regione Puglia;
deliberato nella camera di consiglio dell'8 aprile 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ricorso depositato il 2 agosto 2024 e iscritto al reg. ric. n. 27 del 2024, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione e alla materia «tutela della salute», questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, della legge della Regione Puglia 30 maggio 2024, n. 24, recante «XI legislatura - 20° provvedimento di riconoscimento di debiti fuori bilancio ai sensi dell'articolo 73, comma 1, lettere a) ed e), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126 e modifiche alle leggi regionali 24 luglio 1997, n. 19 (Norme per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette nella Regione Puglia), 16 febbraio 2024, n. 3 (Istituzione della Fondazione della disfida di Barletta), 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio, all'accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), e 29 dicembre 2022, n. 32 (Disposizioni per la formazione del Bilancio di previsione 2023 e Bilancio pluriennale 2023-2025 della Regione Puglia - legge di stabilità regionale 2023)».
2.- La disposizione impugnata sostituisce il comma 8 dell'art. 12 della legge della Regione Puglia 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio, all'accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), stabilendo che «[a]lle strutture private accreditate con il Servizio sanitario regionale e a quelle autorizzate all'esercizio non si applica il limite di età massimo per lo svolgimento della funzione di responsabile sanitario previsto per le strutture pubbliche» dall'art. 15-nonies, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).
3.- La richiamata norma statale prevede che i dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale (SSN) siano collocati a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di età, consentendo comunque loro di permanere in servizio al fine di maturare quaranta anni di servizio effettivo, sempre che non venga superato il limite massimo di settanta anni di età e che ciò non comporti un aumento del numero dei dirigenti.
Secondo l'Avvocatura generale, la disposizione regionale impugnata violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui esclude l'applicabilità, al responsabile sanitario delle strutture private accreditate, del suddetto limite massimo di età, che, integrando un principio fondamentale nella materia «tutela della salute», sarebbe invece applicabile anche alle menzionate strutture, poiché queste, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 195 del 2021, erogano prestazioni per conto del SSN, e farebbero quindi parte del sistema sanitario pubblico.
3.1.- Ad avviso della difesa statale, la previsione regionale oggetto di censura rappresenterebbe l'epilogo di una lunga serie di modifiche, che avrebbero apportato deroghe sempre più ampie - rispetto a un momento iniziale in cui la normativa pugliese «si collocava in perfetta armonia con [quella] statale» - al disposto del citato art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, sino a quando, con la disposizione impugnata, il legislatore regionale ha stabilito che il limite massimo di età previsto dal legislatore statale non sia applicabile al responsabile sanitario delle strutture private tanto autorizzate quanto accreditate.
Aggiunge il ricorrente che la disposizione regionale impugnata detta una disciplina "a regime", e non meramente transitoria; pertanto, non sarebbe nemmeno conforme all'art. 4, comma 6-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215 (Disposizioni urgenti in materia di termini normativi), convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2024, n. 18, che - inserendo il comma 164-bis nell'art. 1 della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026) - autorizza le aziende del SSN a trattenere o a riammettere in servizio i dirigenti medici e sanitari dipendenti del Servizio sanitario stesso fino al compimento del settantaduesimo anno di età, in deroga all'art. 15-nonies del d.lgs. n. 502 del 1992, ma temporaneamente, ovvero non oltre la data del 31 dicembre 2025.
3.2.- Di qui, in definitiva, la dedotta illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, della legge reg. Puglia n. 24 del 2024, per contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al combinato disposto degli artt. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 e 4, comma 6-bis, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito.
4.- Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, nella persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, chiedendo di dichiarare inammissibile o, comunque, non fondata la questione promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri.
4.1.- A parere della difesa regionale, il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di motivazione, in quanto non spiegherebbe perché le norme interposte evocate sarebbero applicabili anche alle strutture private accreditate, benché queste non siano contemplate dalle medesime norme interposte.
4.2.- Nel merito, la resistente premette che la disposizione regionale impugnata sarebbe diretta sia a «superare le difficoltà specifiche di settore che si incontrano nel reperire medici» cui affidare l'incarico di responsabile sanitario, sia a garantire la libertà di iniziativa economica a tutte le strutture sanitarie private e, dunque, anche a quelle accreditate.
4.2.1.- Inoltre, le strutture private accreditate, pur prestando un servizio pubblico, non potrebbero essere equiparate alle strutture pubbliche, cui farebbe invece esclusivo riferimento l'evocata norma interposta.
D'altronde - prosegue la Regione Puglia - l'art. 4 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e il d.P.R. 14 gennaio 1997 (Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private), nel prevedere la figura del responsabile sanitario, non contemplano un limite di età.
La soggezione del responsabile sanitario delle strutture private accreditate al limite massimo di età di cui all'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 non sarebbe nemmeno desumibile, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, dalla sentenza n. 195 del 2021 di questa Corte.
Tale pronuncia, infatti, non solo ha escluso l'esistenza di un principio fondamentale in virtù del quale il responsabile sanitario delle strutture private dovrebbe avere un'età inferiore a settanta anni, ma nemmeno sarebbe giunta a opposta conclusione con riguardo alle strutture private accreditate.
Anche la giurisprudenza amministrativa, d'altra parte, proprio alla luce della citata sentenza n. 195 del 2021, avrebbe affermato che le regioni non sarebbero tenute a «estendere [...] le previsioni nazionali concernenti le strutture pubbliche» a quelle private accreditate, considerato tra l'altro che la disciplina dei rapporti di lavoro intercorrenti con queste strutture «rest[erebbe] evidentemente attratta al regime privatistico», mentre la ratio dell'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 è stata «rinvenuta dalla Corte nelle "esigenze di carattere organizzativo/occupazionale" sottese alla "disciplina del lavoro pubblico"» (è citato Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 5 luglio 2024, n. 5988).
La resistente richiama, poi, la segnalazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) del 24 giugno 2020, AS 1680 (Regione Puglia - Limiti lavorativi per un direttore sanitario di strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), avente a oggetto l'art. 12, comma 8, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017 nella sua formulazione originaria, che fissava il limite massimo di età per lo svolgimento della funzione di responsabile sanitario delle strutture sanitarie e socio-sanitarie private richiamando l'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992. Secondo l'AGCM, infatti, l'applicazione del limite di età previsto da questa norma statale al responsabile sanitario delle strutture private avrebbe determinato una «ingiustificata limitazione alla prestazione dei servizi professionali da parte dei medici, restringendo così l'offerta di tali servizi», oltre che una compressione della libertà di iniziativa economica e dell'autonomia gestionale delle strutture medesime, che non troverebbero giustificazione nemmeno in riferimento alle strutture accreditate e alla circostanza che queste godono «di un regime complementare rispetto a quello pubblico, da cui ricevono un budget».
4.2.2.- Da ultimo, la difesa regionale osserva che gli stessi motivi appena esposti condurrebbero a escludere anche il lamentato contrasto con l'art. 4, comma 6-bis, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, che riguarderebbe i soli dirigenti medici e sanitari dipendenti del SSN.
5.- Con memoria depositata il 14 marzo 2025, la Regione Puglia ha ribadito e approfondito gli argomenti addotti nell'atto di costituzione, in particolare contestando che le strutture accreditate possano essere equiparate in toto a quelle pubbliche e riportando anche ampi passaggi della sentenza n. 113 del 2022 di questa Corte, che avrebbe escluso la «funzionalizzazione» di un'attività economica privata integrata in un servizio pubblico.
6.- Con memoria depositata il 18 marzo 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri ha osservato che la tesi sostenuta dalla difesa regionale finirebbe per appannare la differenza intercorrente tra l'autorizzazione e l'accreditamento delle strutture sanitarie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 27 del 2024), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l'art. 8, comma 1, della legge reg. Puglia n. 24 del 2024, che sostituisce il comma 8 dell'art. 12 della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, così disponendo: «[a]lle strutture private accreditate con il Servizio sanitario regionale e a quelle autorizzate all'esercizio non si applica il limite di età massimo per lo svolgimento della funzione di responsabile sanitario previsto per le strutture pubbliche» dall'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992.
2.- Quest'ultima disposizione prevede che i dirigenti medici e del ruolo sanitario del SSN siano collocati a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di età, ma consente loro di rimanere in servizio al fine di maturare quaranta anni di servizio effettivo, purché ciò non determini il superamento del limite massimo di settanta anni di età e non dia luogo a un aumento del numero dei dirigenti.
Il ricorrente non lamenta l'incidenza della disposizione regionale impugnata sui rapporti di lavoro intercorrenti tra le strutture sanitarie e i loro responsabili sanitari, ma sostiene la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., da un lato, in quanto il limite di età previsto dall'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 integrerebbe un principio fondamentale nella materia «tutela della salute» applicabile anche alle strutture private accreditate, che, erogando prestazioni per conto del SSN, farebbero parte del sistema sanitario pubblico.
Dall'altro lato, perché la previsione normativa impugnata, introducendo una disciplina "a regime", non sarebbe nemmeno conforme alla deroga al citato art. 15-nonies prevista dall'art. 4, comma 6-bis, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, che consente solo temporaneamente, ovvero non oltre la data del 31 dicembre 2025, alle aziende del SSN di trattenere o riammettere in servizio, fino al compimento del settantaduesimo anno di età, i dirigenti medici e sanitari.
3.- In via preliminare, va disattesa l'eccezione d'inammissibilità sollevata dalla difesa regionale per difetto di motivazione.
Seppur sinteticamente, il ricorso individua le ragioni del prospettato contrasto, raggiungendo «la soglia minima di chiarezza e di completezza necessaria a consentire l'esame nel merito della questione promossa» (ex plurimis, sentenza n. 32 del 2025).
4.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
La Regione Puglia sostiene di aver dovuto superare il vincolo del limite di età, in precedenza da essa stessa recepito, derivante dall'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, sia in ragione delle «difficoltà specifiche di settore che si incontrano nel reperire medici» cui affidare l'incarico di responsabile sanitario, sia per garantire la libertà di iniziativa economica a tutte le strutture sanitarie private e, dunque, anche a quelle accreditate, essendo a ciò stata sollecitata dall'AGCM con la segnalazione AS 1680 del 2020.
La disposizione regionale impugnata consente, ora, anche alle strutture private accreditate di instaurare o proseguire rapporti di lavoro aventi a oggetto l'incarico di direttore sanitario a prescindere dal limite di età (e, quindi, anche con medici in pensione) stabilito dal suddetto art. 15-nonies e anche oltre il periodo transitorio di deroga stabilito, a livello statale, dall'art. 4, comma 6-bis, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, che rappresenta l'altra norma interposta evocata dal ricorrente.
4.1.- Questa Corte ha già precisato che l'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 «si inserisce nel quadro normativo della disciplina del lavoro pubblico», per cui i limiti in esso previsti non possono essere estesi «alle strutture che operano nel settore privato, cui deve essere riconosciuta una spiccata autonomia gestionale» (sentenza n. 195 del 2021).
Ha altresì chiarito che una puntuale analisi del quadro normativo e della giurisprudenza costituzionale conduce a constatare «l'assenza di un principio fondamentale espressamente ricavabile da una norma statale, o che si possa evincere in via sistematica, in forza del quale il responsabile sanitario di struttura privata oltre a possedere i requisiti di professionalità, debba avere età inferiore ai settanta anni» (ancora, sentenza n. 195 del 2021).
Le medesime conclusioni sono riferibili anche alle strutture private accreditate.
4.2.- La disciplina normativa del SSN, informata, sotto il profilo soggettivo, al pluralismo organizzativo nell'ambito di modelli tipizzati, prevede che, per esercitare attività sanitarie «per conto» del Servizio medesimo, le strutture già autorizzate debbano essere accreditate dalle regioni, che stabiliscono, ai sensi dell'art. 8-quater, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, «requisiti ulteriori di qualificazione» (ulteriori rispetto a quelli necessari per ottenere l'autorizzazione), in base a «criteri generali uniformi» (art. 8-quater, comma 3), definiti a livello statale con apposito atto di indirizzo e coordinamento, a sua volta emanato nel rispetto dei «criteri e principi direttivi» di cui all'8-quater, comma 4.
Tra tutti questi criteri e principi non figurano previsioni statali che attengono al limite di età del responsabile sanitario di struttura privata.
Anche il principio dell'adeguatezza delle «condizioni di organizzazione interna, con specifico riferimento alla dotazione quantitativa e alla qualificazione professionale del personale» (art. 8, comma 4, lettera d, del d.lgs. n. 502 del 1992), non si estende fino a contemplare un limite di età.
4.3.- Del resto, lo stesso art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 menziona specificamente i «dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale», con evidente riguardo al solo personale pubblico, mentre il rapporto di lavoro intercorrente con le strutture private accreditate rientra nelle «tipologie di rapporto di impiego privato» (sentenza n. 113 del 2022).
Inoltre, solo per gli enti equiparati (ovvero quelli di cui all'art. 4, comma 12, del d.lgs. n. 502 del 1992), «nonché [per] gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto privato», l'art. 15-undecies del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede l'adeguamento degli «ordinamenti del personale alle disposizioni del presente decreto».
4.4.- È pur vero che, attraverso l'accreditamento istituzionale, le strutture private «entrano a far parte del sistema sanitario pubblico, erogando prestazioni per conto del servizio sanitario» (sentenza n. 195 del 2021); tuttavia, deve essere esclusa una loro equiparazione a quelle pubbliche, poiché non sussiste «omologia», stante la «evidente diversità delle situazioni delle strutture private che erogano prestazioni per conto del S.s.n.» (sentenza n. 94 del 2009).
L'accreditamento, infatti, pur attribuendo lo status di soggetto idoneo a erogare prestazioni per conto del SSN, che quindi giustifica la presenza di un potere pubblicistico particolarmente intenso, non è tuttavia in grado di determinare una mutazione ontologica della natura delle strutture private accreditate e dei relativi rapporti di lavoro.
Pertanto, poiché l'accreditamento assume i caratteri tipici di un atto attributivo di compiti pubblici, si è al cospetto di soggetti che erogano sì un servizio pubblico e al pubblico, «ma non quali organi delle aziende sanitarie, bensì mantenendo la loro identità»: per le strutture private accreditate, quindi, «non si evidenzia quella prevalenza della funzione pubblicistica [tale da] far scolorare il carattere imprenditoriale dell'attività» svolta (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 14 dicembre 2023, n. 35092).
Da tale presupposto deriva che le strutture private accreditate «non poss[o]no ritenersi tout court equiparate a quelle pubbliche», ciò che porta ad escludere che la ratio dell'art. 15-nonies, comma 1, rinvenuta da questa Corte nelle esigenze di carattere organizzativo/occupazionale sottese alla disciplina del lavoro pubblico, «ricorra allo stesso modo con riferimento alle strutture accreditate, la disciplina dei cui rapporti di lavoro resta evidentemente attratta al regime privatistico» (Cons. Stato, sentenza n. 5988 del 2024).
5.- Se, quindi, al legislatore regionale non è precluso, nell'esercizio della propria autonomia legislativa nella materia concorrente «tutela della salute», discostarsi dalla previsione di cui all'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, occorre ora considerare la censura statale nella misura in cui fa leva sul combinato disposto di quest'ultima disposizione con l'art. 4, comma 6-bis, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, che consente sì una deroga al limite massimo di età, ma solo provvisoria.
5.1.- A tale riguardo, va premesso che il vincolo derivante dall'art. 15-nonies, comma 1, a partire dal 2020 è stato ripetutamente derogato dallo stesso legislatore statale.
L'art. 5-bis, comma 2, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, ha, infatti, previsto - all'esplicito fine di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e di fronteggiare la carenza di medici specialisti, sino al 31 dicembre 2022, in deroga al comma 1 dell'art. 15-nonies - che i dirigenti medici del SSN potessero chiedere il trattenimento in servizio anche oltre il limite del quarantesimo anno di servizio effettivo, fermo restando il limite del settantesimo anno di età.
Con l'art. 12, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, inoltre, il legislatore - al fine di far fronte alle esigenze straordinarie derivanti dalla diffusione del COVID-19 e fino al perdurare dello stato di emergenza (termine prorogato al 31 dicembre 2022) - ha consentito alle aziende e agli enti del SSN di trattenere in servizio i dirigenti medici e sanitari, nonché il personale del ruolo sanitario del comparto sanità e gli operatori socio-sanitari, «anche in deroga ai limiti previsti dalle disposizioni vigenti per il collocamento in quiescenza».
L'art. 1, comma 164, della legge n. 213 del 2023 ha poi permesso ai dirigenti medici e sanitari del SSN di presentare domanda di autorizzazione per il trattenimento in servizio anche oltre il limite del quarantesimo anno di servizio effettivo, comunque non oltre il settantesimo anno di età, portando quindi sostanzialmente "a regime" la disciplina di cui al citato art. 5-bis, comma 2, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito.
Da ultimo, il legislatore ha consentito di superare, sia pure temporaneamente, il requisito anagrafico dei settanta anni di età con l'art. 4, comma 6-bis, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, che ha introdotto il comma 164-bis all'art. 1 della legge n. 213 del 2023.
Questa disposizione prevede una duplice possibilità, ovvero sia quella di trattenere che quella di riammettere in servizio, a richiesta degli interessati, i dirigenti medici e sanitari, al fine di «fronteggiare la grave carenza di personale» che affligge «le aziende del Servizio sanitario nazionale», fino al compimento del settantaduesimo anno di età e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2025.
5.2.- Questa ripetuta serie di deroghe mette in evidenza, da un lato, la situazione di grave sofferenza del SSN per carenza di personale medico, segnalata anche da questa Corte (sentenze n. 112 del 2023 e n. 36 del 2022), dall'altro, che il limite di età previsto dall'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, a distanza di molti anni, dato l'innalzamento dell'aspettativa di vita, potrebbe rivelarsi, in linea generale, ormai anacronistico.
Del resto, proprio questa Corte ha rilevato che «l'età non costituisce un requisito essenziale nell'esercizio della funzione disciplinata dal legislatore regionale e non appare, pertanto, irragionevole che al vertice [delle strutture autorizzate] si collochi un direttore sanitario che abbia superato il settantesimo anno di età» (sentenza n. 195 del 2021).
La stessa segnalazione dell'AGCM AS 1680 del 2020 ha stigmatizzato l'assetto normativo della Regione Puglia, antecedente alla rimozione del vincolo di età di cui si discute, proprio anche a motivo della «ingiustificata limitazione alla prestazione dei servizi professionali da parte dei medici, restringendo così l'offerta di tali servizi».
5.3.- Tornando, quindi, alla censura del ricorrente, occorre concludere che, non essendo riscontrabile un principio fondamentale al riguardo, nemmeno ricavabile dall'art. 4, comma 6-bis, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, che, nell'introdurre il più volte richiamato comma 164-bis all'art. 1 della legge n. 213 del 2023, fa esclusivo riferimento alle «aziende del Servizio sanitario nazionale», nonché ai «dirigenti medici e sanitari dipendenti» dello stesso, il legislatore regionale non è tenuto ad allinearsi, neppure con riferimento alle strutture private accreditate, alla disciplina statale che permette una deroga solo transitoria al limite di età di cui all'art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, della legge della Regione Puglia 30 maggio 2024, n. 24, recante «XI legislatura - 20° provvedimento di riconoscimento di debiti fuori bilancio ai sensi dell'articolo 73, comma 1, lettere a) ed e), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126 e modifiche alle leggi regionali 24 luglio 1997, n. 19 (Norme per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette nella Regione Puglia), 16 febbraio 2024, n. 3 (Istituzione della Fondazione della disfida di Barletta), 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio, all'accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), e 29 dicembre 2022, n. 32 (Disposizioni per la formazione del Bilancio di previsione 2023 e Bilancio pluriennale 2023-2025 della Regione Puglia - legge di stabilità regionale 2023)», promossa, in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.