Corte costituzionale
Sentenza 23 maggio 2025, n. 71

Presidente: Amoroso - Redattrice: Navarretta

[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis, del decreto-legge 16 giugno 2022, n. 68 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti e della mobilità sostenibile, nonché in materia di grandi eventi e per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili), convertito, con modificazioni, nella legge 5 agosto 2022, n. 108, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, nel procedimento vertente tra M. M. e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e altri, con ordinanza del 14 maggio 2024, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 2024.

Visti l'atto di costituzione di M. M., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'8 aprile 2025 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

uditi l'avvocato Giuseppe Lo Pinto per M. M. e l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio dell'8 aprile 2025.

RITENUTO IN FATTO

1.- Con ordinanza del 14 maggio 2024, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2024, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis, del decreto-legge 16 giugno 2022, n. 68 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti e della mobilità sostenibile, nonché in materia di grandi eventi e per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili), convertito, con modificazioni, nella legge 5 agosto 2022, n. 108.

1.1.- Il rimettente riferisce di dover decidere sull'annullamento di due decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (d'ora in poi: MIT) relativi al Commissario liquidatore del Consorzio Venezia Nuova (d'ora in poi: CVN) e di Costruzioni Mose Arsenale-Comar scarl (d'ora in poi: COMAR).

Il primo decreto, del 19 novembre 2020, n. 518, aveva nominato il Commissario liquidatore. Il secondo decreto, del 3 luglio 2023, n. 162, aveva quantificato il suo compenso.

Il TAR Lazio precisa che il decreto di nomina era stato assunto sulla base dell'art. 95, comma 18, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126, che aveva demandato al MIT il compito di determinare, con lo stesso decreto di nomina, il compenso per le attività svolte dal Commissario liquidatore «sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14 [(Istituzione dell'Albo degli amministratori giudiziari, a norma dell'articolo 2, comma 13, delle legge 15 luglio 2009, n. 94)]».

Nondimeno, il citato d.m. n. 518 del 2020, nel nominare M. M., non aveva dato attuazione alla richiamata disposizione, poiché aveva rinviato la determinazione del compenso a un successivo decreto.

1.2.- Il giudice a quo riferisce che, nel febbraio 2022, il Commissario liquidatore depositava due piani di ristrutturazione ai sensi dell'art. 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), a fronte dei quali il Tribunale ordinario di Venezia dichiarava estinte le procedure di concordato preventivo di CVN e COMAR.

Di seguito, in data 31 luglio 2022, M. M. notificava al MIT una diffida a adempiere, ai sensi dell'art. 1454 del codice civile, affinché il Ministero provvedesse alla liquidazione del compenso.

1.3.- Il rimettente rileva che, subito dopo, la legge n. 108 del 2022, nel convertire, con modificazioni, il d.l. n. 68 del 2022, introduceva nell'art. 4 di quest'ultimo il comma 4-bis, secondo cui, «[a]i fini della determinazione del compenso da riconoscere al Commissario liquidatore nominato ai sensi dell'articolo 95, comma 18, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, il rinvio alle tabelle allegate al decreto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, contenuto nel secondo periodo del medesimo comma 18, deve intendersi come riferibile all'applicazione di quanto previsto dall'articolo 3, commi 1, 2, 5, 6, primo periodo, 7, 8 e 9, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2015, n. 177».

In espressa applicazione di tale disposizione, il MIT, con il d.m. n. 162 del 2023, quantificava in euro 808.039,93 il compenso spettante al Commissario.

1.4.- Il Commissario impugnava sia il decreto di nomina sia quello di determinazione del compenso, lamentando per distinti profili la violazione di legge e l'eccesso di potere. In particolare, con il secondo motivo di ricorso, assumeva che l'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, «non avrebbe fornito una interpretazione autentica del rinvio, operato dall'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104/2020, alle tabelle allegate al decreto di cui all'articolo 8 del d.lgs. n. 14/2010, bensì [avrebbe] introdotto una vera e propria modifica alle modalità di determinazione del compenso spettante al Commissario liquidatore, disponendo una riduzione delle voci e dei criteri da applicare in sede di quantificazione di detto compenso».

La richiamata norma avrebbe, perciò, leso il suo legittimo affidamento riposto nella circostanza «che il Mit, all'atto della determinazione del quantum dovuto per l'attività svolta in qualità di Commissario liquidatore, sarebbe stato tenuto ad applicare i criteri di quantificazione previsti dalla legge al momento della nomina». Veniva, pertanto, prospettata l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, per asserita violazione degli artt. 2, 3 e 97 Cost.

2.- Il TAR Lazio ha in parte condiviso tali censure e ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale sul presupposto che l'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, abbia dato luogo a una illegittima modifica retroattiva dei criteri di determinazione del compenso spettante al ricorrente, lesiva del suo legittimo affidamento.

2.1.- In particolare, ha ritenuto la questione rilevante, «atteso che l'impugnato d.m. n. 162/2023 è stato adottato in applicazione di quanto previsto dall'articolo 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68/2022, ossia dalla disposizione normativa qui sospettata di incostituzionalità».

Né, ad avviso del giudice a quo, la rilevanza della questione verrebbe meno qualora fosse accolta l'eccezione sollevata dal MIT in merito alla ritenuta tardività del primo motivo di ricorso, inerente al d.m. n. 518 del 2020, di nomina del Commissario. Anche qualora tale motivo non potesse essere scrutinato, «ciò non priverebbe comunque il ricorrente dell'interesse a ricorrere avverso il decreto ministeriale n. 162/2023», in quanto provvedimento «autonomamente ed effettivamente pregiudizievole per la sfera giuridico-patrimoniale della parte ricorrente».

Parimenti, secondo il rimettente, l'eventuale accoglimento del terzo motivo di doglianza non avrebbe carattere assorbente rispetto alla questione di legittimità costituzionale. Con tale motivo di ricorso è stata contestata la legittimità del d.m. n. 162 del 2023 relativamente all'applicazione della previsione di cui all'art. 3, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2015, n. 177 (Regolamento recante disposizioni in materia di modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari iscritti nell'albo di cui al decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14). Secondo il TAR Lazio, «[l]'ipotetico accoglimento di tale motivo di doglianza [determinerebbe] unicamente un ampliamento dei vincoli conformativi che l'amministrazione ministeriale resistente sarebbe tenuta a rispettare in sede di riesercizio del potere conseguente all'eventuale accoglimento del presente gravame».

2.2.- Di seguito, il giudice a quo ha anche escluso la possibilità di un'interpretazione conforme alla Costituzione dell'art. 4, comma 4-bis, stante il suo chiaro tenore letterale.

In particolare, ha ritenuto che, poiché il d.P.R. n. 177 del 2015 non contiene alcuna tabella allegata, ma si limita a prevedere specifici criteri per la determinazione del compenso spettante agli amministratori giudiziari (agli artt. 3 e 4), la norma censurata avrebbe operato una «selettiva perimetrazione postuma dei criteri e delle regole per la determinazione del compenso spettante alla parte ricorrente [...] come tale insuscettibile di essere giustificata sulla scorta di una interpretazione costituzionalmente orientata».

Secondo il Collegio, il rinvio alle tabelle non sarebbe «ex se suscettibile di essere esegeticamente circoscritto alle sole previsioni di cui all'articolo 3, comma 1, del d.P.R. n. 177/2015, in quanto tale disposizione non fiss[erebbe] criteri autoapplicativi, bensì criteri per la cui concreta applicazione [sarebbe] richiesto il coevo ricorso alle ulteriori regole che l'innanzi citato decreto del Presidente della Repubblica ha previsto in conformità alle norme di principio stabilite dall'articolo 8, comma 2, del d.lgs. n. 14/2010».

3.- Passando a motivare la non manifesta infondatezza, il TAR Lazio ha ritenuto leso l'art. 3 Cost., in quanto la norma censurata, dettando disposizioni di carattere retroattivo, avrebbe «illegittimamente frustrato l'affidamento serbato dal ricorrente sulle modalità di determinazione del compenso dovuto per l'attività svolta».

A parere del rimettente, un intervento legislativo di interpretazione autentica sarebbe ammesso solo in presenza di una situazione di incertezza normativa, di un contrasto giurisprudenziale o a fronte dell'esigenza di ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore, circostanze non riscontrabili con riguardo all'introduzione della norma censurata.

In particolare, nel caso di specie, non sussisterebbe alcuna incertezza normativa, posto che il legislatore, «con la previsione dettata dall'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104/2020, [avrebbe] expressis verbis optato per un rinvio tout court alle tabelle allegate al decreto di cui all'articolo 8 del d.lgs. n. 14/2010 che, stante la tecnica redazionale adottata per il d.P.R. n. 177/2015, non può che essere interpretato come rinvio integrale ai criteri e alle regole di liquidazione del compenso previsti da tale atto regolamentare».

Ricostruita la portata retroattiva della norma, il giudice a quo esclude che si possa giustificare un tale meccanismo ritenuto lesivo dell'affidamento del privato. La possibilità per il legislatore di adottare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole gli interessi dei privati sarebbe, infatti, ammessa solo a condizione che esse non trasmodino in un regolamento irrazionale, avendo riguardo: i) al tempo trascorso dal momento della definizione dell'assetto regolatorio originario a quello della modifica; ii) alla prevedibilità della modifica retroattiva; iii) alla proporzionalità dell'intervento legislativo che determina la compressione dell'affidamento.

Ebbene, il TAR Lazio ritiene che l'intervento normativo censurato non possa essere giustificato sulla base di «esigenze indifferibili di bilancio», il che renderebbe irragionevole la scelta legislativa di non ricomprendere, tra le disposizioni applicabili ai fini della liquidazione del compenso al Commissario, «almeno le previsioni dettate dall'art. 3, commi 4 e 6 secondo periodo, del d.P.R. n. 177/2015, trattandosi di disposizioni che l'Autorità giudiziaria [sarebbe] tenuta ad applicare in via ordinaria al ricorrere delle ipotesi normativamente previste» e la cui operatività non comporterebbe l'esercizio di un potere discrezionale dell'autorità erogante.

Una simile modifica non sarebbe stata neppure prevedibile, «tenuto conto che in base all'articolo 95, comma 18, del d.l. n. 104/2020 il compenso spettante al Commissario liquidatore avrebbe dovuto essere determinato già con il decreto di nomina». L'irragionevolezza dell'intervento renderebbe pleonastico il test di proporzionalità della disposizione normativa, «non potendosi ritenere che la modifica retroattivamente introdotta (comportante un peggioramento, per il ricorrente, delle modalità di determinazione del compenso per l'attività di Commissario liquidatore) sia adeguata al presunto scopo perseguito dal legislatore [...], ossia quello di carattere esegetico, a fronte del perseguimento dissimulato di un obiettivo di contenimento della spesa pubblica».

4.- Il 17 luglio 2024 si è costituito in giudizio il ricorrente nel processo principale, sostenendo le ragioni dell'illegittimità costituzionale della norma censurata prospettate nell'ordinanza di rimessione. In particolare, il Commissario ha rilevato che l'oggetto dell'incarico e l'attività svolta da CVN e COMAR sono rimasti immutati sin dal momento dell'entrata in vigore dell'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, sicché - a suo avviso - «non v'era alcuna esigenza interpretativa di chiarire come operasse il "rinvio alle tabelle allegate di cui all'art. 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, contenuto nel secondo periodo del medesimo comma 18 [...] in considerazione della natura dell'incarico conferito al citato Commissario liquidatore e dell'attività svolta dal Consorzio Venezia Nuova e Comar S.c.ar.l."».

L'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, non avrebbe, pertanto, interpretato la disposizione di cui all'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, e, nell'innovare retroattivamente la disciplina, avrebbe illegittimamente frustrato l'affidamento del ricorrente, «cambia[ndo] le regole per la determinazione del quantum del compenso [a lui] spettante anche in relazione alle attività già svolte nel periodo compreso tra il conferimento dell'incarico e la ridetta modifica normativa».

Secondo la difesa della parte, l'obiettivo di contenere la spesa pubblica non potrebbe giustificare un simile intervento.

5.- Il 23 luglio 2024 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la non fondatezza della questione.

La difesa statale afferma che il rimettente avrebbe ritenuto erroneamente sovrapponibile la «figura del Commissario di cui si discute a quella dell'amministratore giudiziario di cui al d.P.R. n. 177/2015», laddove la prima presenterebbe tratti di specialità sia rispetto all'amministratore giudiziario sia rispetto al liquidatore giudiziale.

In particolare, l'attività del Commissario mostrerebbe «una innegabile coloritura» funzionale all'interesse pubblico al completamento del Modulo sperimentale elettromeccanico (MOSE) e alla «preservazione e [alla] salvaguardia della Laguna di Venezia», sicché quei tratti di specialità giustificherebbero l'assenza di automatismi nella determinazione del compenso attraverso i criteri concernenti l'amministratore giudiziario. Di qui le ragioni della natura interpretativa della norma censurata.

In ogni caso, secondo la difesa statale, la norma, pur se retroattiva, non avrebbe leso un affidamento legittimamente maturato e sarebbe comunque giustificata.

Da un lato, l'Avvocatura generale dello Stato ha evidenziato come gli oneri della procedura siano stati quantificati nei piani di ristrutturazione (in via necessariamente prudenziale) in una cifra corrispondente circa alla metà di quella richiesta con la diffida a adempiere.

Da un altro lato, ha rilevato come l'obiettivo perseguito dalla norma censurata sia quello di garantire il «preminente interesse pubblico [diretto a] preservare le urgenti e non rinviabili esigenze di bilancio del Consorzio Venezia nuova, a loro volta, come detto, funzionali alla realizzazione di indifferibili interventi infrastrutturali»: il riconoscimento a favore del Commissario di compensi ulteriori «comprometterebbe definitivamente l'equilibrio finanziario del [...] piano di risanamento».

Per tali ragioni, ad avviso della difesa statale, il censurato comma 4-bis non presenterebbe profili di irragionevolezza e non sarebbe lesivo dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento del privato.

Oltretutto, il compenso liquidato al Commissario sulla base della norma censurata risulterebbe comunque più elevato del massimo che la successiva normativa ha previsto per la determinazione del compenso degli amministratori giudiziari. Di conseguenza, secondo l'Avvocatura generale, «non pare potersi affermare che venga frustrata l'attesa del professionista di vedersi corrispondere degli onorari dignitosi ed adeguati alla attività svolta, ma solo quella di massimizzare tali onorari in ragione dell'applicazione di un particolare regime che, peraltro, non è nemmeno immediatamente ragguagliabile all'incarico effettivamente rivestito con un grave pregiudizio per l'interesse pubblico, per via della lesione all'equilibrio finanziario del Piano attestato e della compromissione dell'obiettivo di continuità del Consorzio e di completamento delle opere e delle attività del Sistema MOSE».

6.- Il 15 novembre 2024, la parte ha depositato una memoria, nella quale ha sottolineato che, «se il decreto di nomina avesse dato corretta attuazione al dato normativo, anziché omettere di determinare il compenso spettante al Commissario liquidatore, la fattispecie normata si sarebbe esaurita: e, se fosse sopravvenuta una norma quale quella della cui costituzionalità oggi si tratta, sarebbe stata indubitabile la sua natura innovativa, non meramente interpretativa come a torto l'Atto di intervento prospetta, e non sarebbe stata prospettabile la sua retroattività, se non (sia consentito affermarlo: incostituzionalmente) ledendo diritti acquisiti». Di conseguenza, la mancata determinazione del compenso non potrebbe costituire titolo - non solo giuridico, ma nemmeno di fatto - «per legittimare l'art. 4, comma 4-bis, l. 108/2022, di conversione del d.l. 68/2022, né per qualificarlo come norma di interpretazione autentica».

La parte rileva, inoltre, come l'art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 177 del 2015, espunto dalla norma censurata dai criteri di quantificazione, avrebbe permesso di valorizzare proprio il duplice ruolo del Commissario, quale gestore e quale liquidatore.

Precisa, di seguito, che, sebbene nel Piano attestato di risanamento siano indicati, quale compenso per l'attività, importi inferiori a quelli poi richiesti, ciò si giustificherebbe in ragione dei risultati migliori di quelli attesi derivanti dalla sua gestione; pertanto, le economie e le sopravvenienze sarebbero ampiamente sufficienti a coprire la liquidazione del compenso che ritiene spettante.

Da ultimo, sottolinea come la copertura del deficit residuo del Piano, nonché il compenso del Commissario siano a carico delle consorziate; di conseguenza, «lo Stato benefic[erebbe] dell'intero residuo attivo della liquidazione, sicché ricondurre il maggior compenso del Commissario al preminente interesse pubblico [...] presuppo[rrebbe] una deviazione rispetto all'assetto contabile».

7.- Il 17 marzo 2025, il ricorrente nel giudizio principale ha presentato una nuova memoria in prossimità dell'udienza, nella quale ha evidenziato le ricadute sulla determinazione del suo compenso derivanti dalla norma censurata, specie in ragione della mancata considerazione dei meccanismi di maggiorazione correlati alla complessità della gestione, al valore del patrimonio, ai beni costituiti in azienda e ai risultati positivi conseguiti con l'attività di gestione.

8.- Nell'udienza dell'8 aprile del 2025, sono intervenuti il ricorrente nel giudizio principale e la difesa statale, che hanno insistito per le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Con ordinanza del 14 maggio 2024, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2024, il TAR Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito.

1.1.- La norma censurata, introdotta in sede di conversione, prevede che, «[a]i fini della determinazione del compenso da riconoscere al Commissario liquidatore nominato ai sensi dell'articolo 95, comma 18, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, il rinvio alle tabelle allegate al decreto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, contenuto nel secondo periodo del medesimo comma 18, deve intendersi come riferibile all'applicazione di quanto previsto dall'articolo 3, commi 1, 2, 5, 6, primo periodo, 7, 8 e 9, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2015, n. 177».

2.- La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un giudizio sull'annullamento del decreto ministeriale di nomina (d.m. n. 518 del 2020) del Commissario liquidatore del Consorzio Venezia Nuova e della COMAR scarl, adottato in attuazione dell'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, nonché del decreto che ha quantificato il suo compenso (d.m. n. 162 del 2023), dando applicazione alla norma censurata.

Il giudice a quo, dopo aver motivato la rilevanza della questione, ha evidenziato, in punto di non manifesta infondatezza, che l'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, aveva stabilito che il decreto ministeriale di nomina del Commissario dovesse determinare il suo compenso sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 14 del 2010. Sennonché, detto decreto ministeriale non aveva effettuato la determinazione, ma l'aveva rinviata a un provvedimento successivo. Prima che intervenisse quest'ultimo e dopo che il Commissario aveva intimato al MIT di provvedere alla liquidazione del compenso, era stato introdotto l'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito.

La norma censurata - secondo il rimettente - avrebbe comportato «una vera e propria modifica alle modalità di determinazione del compenso spettante al Commissario liquidatore, disponendo una riduzione delle voci e dei criteri da applicare in sede di quantificazione».

Secondo il TAR Lazio, l'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, non avrebbe «fornito una interpretazione autentica» dell'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, bensì avrebbe operato una «selettiva perimetrazione postuma dei criteri e delle regole per la determinazione del compenso spettante alla parte ricorrente». Pertanto, la norma censurata avrebbe leso, in contrasto con l'art. 3 Cost., il legittimo affidamento del Commissario «riposto nel fatto che il Mit, all'atto della determinazione del quantum dovuto per l'attività svolta in qualità di Commissario liquidatore, sarebbe stato tenuto ad applicare i criteri di quantificazione previsti dalla legge al momento della nomina».

3.- La questione è in parte fondata.

4.- In via preliminare occorre chiarire il contesto nel quale si colloca la norma censurata.

L'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, interviene a regolare un profilo attinente alla determinazione del compenso relativo a un peculiare rapporto giuridico intercorrente tra il MIT e il Commissario liquidatore di CVN e di COMAR.

Tale rapporto era sorto da una fattispecie complessa caratterizzata da un intreccio tra dimensione pubblicistica e prospettiva privatistica.

In ragione dell'interesse pubblico sotteso all'incarico oggetto del conferimento, una prima previsione di legge, l'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, aveva disciplinato profili concernenti la fonte e il contenuto di quel rapporto.

In particolare, essa: a) aveva stabilito la nomina con decreto del MIT di un Commissario liquidatore di CVN e di COMAR; b) aveva previsto che il medesimo decreto dovesse determinare il compenso spettante al Commissario liquidatore sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 14 del 2010; c) aveva disposto l'imputazione degli oneri relativi al pagamento del compenso a carico delle società CVN e COMAR.

In attuazione di tale previsione legislativa, il d.m. n. 518 del 2020 ha nominato il Commissario liquidatore.

Derogando, invece, a quanto previsto dal citato art. 95, comma 18, ha demandato a un successivo decreto del MIT il compito di determinare il suo compenso.

Inoltre, dando seguito ai commi 19, 20 e 21 del medesimo art. 95 del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, sempre il decreto ministeriale di nomina ha specificato i compiti del Commissario - indicandoli nella gestione delle società CVN e COMAR, sino alla consegna del MOSE, e nello scioglimento delle due società, dopo la loro liquidazione - e ha stabilito che l'incarico dovesse essere eseguito «entro il termine massimo di diciotto mesi dall'assunzione della gestione del MOSE da parte dell'Autorità per la Laguna di Venezia».

Con l'accettazione dell'incarico da parte del Commissario liquidatore si è compiuta la fattispecie complessa, da cui derivano rapporti obbligatori, il cui contenuto si modella sugli effetti del contratto di prestazione d'opera professionale e del mandato.

5.- Delineato il contesto nel quale si colloca il censurato art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, occorre verificare, nel momento in cui è sorto il rapporto, il tipo di affidamento maturato in capo al Commissario liquidatore circa i criteri di determinabilità del compenso previsti dal richiamato art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito.

Il meccanismo ivi contemplato è sostenuto da due elementi: il rinvio a criteri di determinabilità rinvenibili nelle tabelle allegate al decreto di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 14 del 2010 e la determinazione effettuata dal decreto di nomina, sulla base di detti criteri (punto 4 del Considerato in diritto).

5.1.- Quanto al decreto attuativo dell'art. 8 del d.lgs. n. 14 del 2010, esso si identifica nel d.P.R. n. 177 del 2015, che riguarda le modalità di calcolo e di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari e che, a ben vedere, non contiene alcuna tabella allegata.

Al più, nella citata fonte, è dato rinvenire, al comma 1 dell'art. 3, i tratti sostanziali di una tabella, mentre i successivi commi dell'art. 3 e l'art. 4 fanno riferimento a criteri talora necessari all'applicazione del comma 1, talaltra eventuali e affidati alla discrezionalità del giudice, chiamato a effettuare la liquidazione del compenso dell'amministratore giudiziario; talora riferiti genericamente all'attività gestoria o liquidatoria, talaltra concernenti incarichi specifici dell'amministratore giudiziario.

5.2.- Occorre, a questo punto, verificare se il decreto di nomina dovesse semplicemente quantificare il compenso sulla base dei criteri contemplati dagli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 177 del 2015 o dovesse invece individuare, al loro interno, quelli utilizzabili ai fini della successiva liquidazione del quantum.

La prima soluzione ermeneutica non può essere accolta.

I criteri di liquidazione di cui al d.P.R. n. 177 del 2015 non erano in grado di operare prima che l'incarico venisse espletato, ove solo si consideri che, in base all'art. 3, comma 2, dello stesso d.P.R., il valore dei beni di cui al comma 1 doveva essere stimato a posteriori al momento della loro liquidazione.

Né vale obiettare, come assume la parte costituita in giudizio, che, se il decreto di nomina avesse quantificato il compenso, avrebbe dovuto e potuto applicare tutti i criteri indicati agli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 177 del 2015, sicché l'affidamento si sarebbe dovuto riferire integralmente a quei parametri. Al contrario, il decreto di nomina non avrebbe potuto avvalersi dei criteri che considerano, necessariamente ex post, i risultati della gestione.

Tanto basta a escludere che il decreto di nomina dovesse semplicemente quantificare il compenso in applicazione di tutti i criteri di cui agli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 177 del 2015. Di conseguenza, il meccanismo delineato dal legislatore non poteva ingenerare un affidamento nel loro necessario integrale impiego.

Piuttosto, deve ritenersi che l'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, nel rinviare la determinazione del compenso al decreto di nomina abbia inteso affidare a quel provvedimento il compito di individuare, nell'ambito dei criteri di determinabilità stabiliti dal legislatore, quelli più adatti alla peculiare figura del Commissario liquidatore e alla funzione pubblica propria della sua attività gestoria e liquidatoria, dando, al contempo, indicazioni in merito ai criteri eventuali.

Simile conclusione è suffragata non solo dall'incertezza ermeneutica correlata al riferimento dell'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, a tabelle allegate, formalmente non presenti nel d.P.R. n. 177 del 2015, ma soprattutto dalla non sovrapponibilità tra la figura del Commissario liquidatore e quella dell'amministratore giudiziario, cui si rivolgono i criteri, previsti agli artt. 3 e 4 del richiamato d.P.R., nonché dalla natura meramente facoltativa di alcuni di quei parametri.

5.3.- Dalle precedenti considerazioni discende che il Commissario, nell'accettare un incarico che, in deroga a quanto previsto dall'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, aveva omesso di specificare i criteri di determinazione del compenso e aveva demandato tale funzione a un successivo provvedimento del soggetto conferente l'incarico, non può aver legittimamente maturato, sulla base della disposizione da ultimo citata, un affidamento nella pura e automatica applicazione di tutti i criteri di determinabilità del compenso di cui al d.P.R. n. 177 del 2015.

Se così fosse stato, la legge si sarebbe limitata a richiamare quei criteri e non avrebbe affidato al decreto di nomina il compito di intervenire sul meccanismo di determinazione del compenso.

L'affidamento che il Commissario può, invece, legittimamente invocare è quello a una determinazione successiva del compenso che si avvalga dei criteri di cui al d.P.R. n. 177 del 2015, adattandoli alla fattispecie in esame, nel rispetto della clausola della buona fede oggettiva.

Si tratta, in sostanza, dell'affidamento che sorge rispetto a un oggetto determinabile, ma "incompleto", in quanto il meccanismo di determinazione del compenso è destinato a completarsi con un successivo decreto del soggetto conferente l'incarico. Quest'ultimo, proprio in quanto destinato a intervenire dopo il sorgere del rapporto - per previsione del decreto di nomina, accettato dalla controparte -, è vincolato a operare una selezione fra i criteri di cui al d.P.R. n. 177 del 2015, coerente con i caratteri del rapporto e conforme al canone della buona fede oggettiva (sentenza n. 8 del 2023).

6.- Se quello sopra richiamato è il tipo di affidamento che legittimamente può far valere il Commissario, occorre verificare come l'intervento del censurato art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, si collochi in una simile dinamica.

Va precisato, a riguardo, che il rimettente non censura in sé il ricorso alla fonte legislativa, ma lamenta che essa incida con un meccanismo retroattivo sul legittimo affidamento maturato dal Commissario nell'applicazione dei criteri indicati dalla legge vigente al momento in cui è sorto il rapporto.

In ogni caso, è dato rilevare che - essendo il decreto di nomina radicato in una fonte legislativa dalla cui previsione aveva deviato - non è irragionevole che sia intervenuto di nuovo lo stesso legislatore, sempre che il suo intervento non vada a ledere l'affidamento legittimamente maturato dal Commissario, nei termini sopra specificati.

7.- Sulla base di tali presupposti, si può, dunque, procedere a esaminare il censurato art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, che ha ripreso solo in parte i criteri di cui agli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 177 del 2015.

In particolare, le disposizioni richiamate nella norma censurata - e sulla cui base il compenso è stato quantificato in euro 808.039,93 - sono i commi 1, 2, 5, 6, primo periodo, 7, 8 e 9 dell'art. 3 del citato d.P.R.

Nel comma 1 dell'art. 3 si rinviene la previsione più agevolmente riconducibile alla nozione di "tabella". La norma opera, invero, una distinzione per tipologie di beni (quelli costituiti in azienda, beni immobili, frutti e altre categorie di beni), rispetto ai quali vengono indicate percentuali minime e massime rapportate al loro valore.

La stima di tale valore deve essere effettuata, ai sensi del comma 2, nel momento in cui avviene la liquidazione, ed è una stima che varia, nel caso dei beni aziendali, a seconda che la gestione sia stata diretta (lettera a) o indiretta (lettera b).

Anche il comma 6, primo periodo, offre indicazioni sulle modalità di calcolo dei valori contenuti nella tabella di cui al comma 1, in quanto prevede che, nel caso di patrimoni che comprendono beni rientranti in almeno due delle categorie indicate alle lettere a), b), c) e d) del comma 1, si applichi il criterio della prevalenza della gestione più onerosa.

Quanto ai commi 7 e 9, essi si riferiscono a ipotesi particolari.

Il primo regola il caso in cui vi sia un gruppo di imprese e prevede che «non costituiscono attivo né passivo gli importi risultanti da finanziamenti e garanzie infragruppo o dal ribaltamento, attraverso insinuazioni, ripartizioni o compensazioni, di attivo e passivo da parte di un'altra società del gruppo».

Il comma 9 si concentra, invece, sulle modalità di calcolo «[q]uando i beni sequestrati appartengono a più proposti» e dispone che per la liquidazione del compenso «si procede in relazione a ciascuna massa attiva e passiva».

Infine, il comma 5 individua il compenso minimo da liquidare, mentre il comma 8 prevede il rimborso forfettario delle spese generali, oltre che il rimborso di quelle documentate.

In sostanza, la norma censurata identifica nell'art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 177 del 2015, la tabella per la quantificazione del compenso e seleziona i commi 2, 5, 6, primo periodo, 7, 8 e 9, del medesimo art. 3, in quanto contenenti criteri sicuramente funzionali all'incarico conferito al Commissario liquidatore e necessari all'applicazione della tabella.

8.- Venendo, ora, a esaminare le norme del d.P.R. n. 177 del 2015 che, viceversa, non sono richiamate dall'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, non supera il vaglio della non irragionevole lesione di un legittimo affidamento l'omesso riferimento all'art. 3, comma 4.

Questo dispone che, «[n]el caso di cui al comma 1, lettera a), all'amministratore giudiziario è corrisposto un ulteriore compenso del 5 per cento sugli utili netti e dello 0,50 per cento sull'ammontare dei ricavi lordi conseguiti».

Tale criterio è vòlto specificamente a compensare i risultati della diretta gestione aziendale.

In particolare, sia l'art. 95, comma 20, lettera a), del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, sia il d.m. n. 518 del 2020 hanno attribuito al Commissario di CNV e di COMAR la diretta gestione di tali società sino alla consegna del MOSE. Il Commissario era, infatti, tenuto a «gestire il Consorzio Venezia Nuova e la Costruzioni Mose Arsenale-Comar S.c.ar.l., al fine di ultimare le attività di competenza relative al MOSE ed alla tutela e salvaguardia della Laguna di Venezia, in esecuzione degli atti convenzionali, nonché di procedere alla consegna dell'opera in favore dell'Autorità». Per questo, tale nomina comportava - ai sensi dell'art. 95, comma 19, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito - «la decadenza di tutti gli organi, anche straordinari, del Consorzio Venezia Nuova e della Costruzioni Mose Arsenale-Comar S.c.ar.l., di cui il predetto Commissario liquidatore [assumeva] i relativi poteri, funzioni ed obblighi».

Proprio il tipo di incarico attribuito al Commissario liquidatore giustifica, dunque, l'affidamento che questi ha legittimamente riposto nel criterio di quantificazione del compenso idoneo a valorizzare la sua diretta attività gestoria.

Di conseguenza, se è vero che le richiamate società generano ricavi, nonché, eventualmente, utili, che in buona parte derivano da quanto erogato dal soggetto pubblico sulla base della convenzione, non può escludersi che l'attività gestoria svolta direttamente dal Commissario liquidatore abbia essa stessa prodotto ricavi e utili, relativamente ai quali questi può far valere un legittimo affidamento nell'applicazione del criterio di cui all'art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 177 del 2015.

È, pertanto, fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, nella parte in cui non prevede l'applicazione del criterio di cui all'art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 177 del 2015 per il calcolo del compenso del Commissario nominato ai sensi dell'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito.

9.- Di contro, non determina una irragionevole lesione dell'affidamento ingenerato nel Commissario l'omesso rimando da parte della norma censurata all'art. 3, commi 3 e 6, secondo periodo, nonché all'art. 4 del d.P.R. n. 177 del 2015.

9.1.- Non è, anzitutto, irragionevolmente lesivo di un legittimo affidamento il mancato richiamo a quest'ultima disposizione, secondo cui «1. [l]'autorità giudiziaria può aumentare o ridurre l'ammontare del compenso liquidato a norma dell'articolo 3 in misura non superiore al 50 per cento, sulla base dei seguenti criteri: a) complessità della gestione; b) ricorso all'opera di coadiutori; c) necessità e frequenza dei controlli esercitati; d) qualità dell'opera prestata e dei risultati ottenuti; e) sollecitudine con cui sono state condotte le attività di amministrazione, ivi compreso l'adempimento degli obblighi di segnalazione gravanti sugli amministratori; f) numero dei beni compresi nel compendio sequestrato. 2. Il compenso liquidato a norma dell'articolo 3 può essere aumentato in misura non superiore al 100 per cento a fronte di amministrazioni estremamente complesse ovvero di eccezionale valore del patrimonio o dei beni costituiti in azienda sequestrati, ovvero di risultati dell'amministrazione particolarmente positivi».

Tale criterio, in primo luogo, si rivolge alla discrezionalità del giudice, cui compete la liquidazione del compenso dell'amministratore giudiziario, mentre nel caso del Commissario liquidatore la determinazione del compenso sarebbe spettata a un successivo decreto del MIT.

In secondo luogo, e soprattutto, va esclusa l'attitudine della richiamata norma a ingenerare un affidamento nell'applicazione di criteri meramente facoltativi e suscettibili di operare in opposte direzioni.

Da ultimo, un legittimo affidamento nell'applicazione del richiamato parametro non può radicarsi nella clausola della buona fede oggettiva, poiché proprio la bilateralità della clausola e la sua attitudine a chiamare in causa tutti gli interessi implicati nel rapporto inducono a dare rilievo anche all'interesse pubblico a esso sotteso. Di conseguenza, il Commissario non può far valere il suo affidamento nell'applicazione di un criterio incrementale meramente facoltativo che - in un contesto come quello che ha visto lo stesso Commissario presentare due piani di ristrutturazione del debito, relativi sia a CVN sia a COMAR - potrebbe esporre a un rischio l'interesse pubblico al completamento del MOSE e alla copertura dei costi per il suo funzionamento, sino alla consegna.

9.2.- Analoghe considerazioni valgono con riferimento all'omesso richiamo, nell'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, all'art. 3, comma 6, secondo periodo, del d.P.R. n. 177 del 2015.

Il citato art. 3, comma 6, dopo aver evocato, nel primo periodo, le lettere a), b), c) e d) del comma 1, vale a dire la gestione diretta o indiretta di beni costituiti in azienda, nonché la gestione di beni immobili e di frutti, stabilisce che il compenso per «tale gestione, individuato a norma dei commi 1 e 2, è maggiorato di una percentuale non superiore al 25 per cento per ogni altra tipologia di gestione ed in relazione alla complessità della stessa».

In sostanza, la norma contempla un meccanismo di maggiorazione del compenso, di cui indica esclusivamente la percentuale massima, che opera in funzione della complessità delle gestioni che risultano non prevalenti fra quelle di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 1.

La mancata indicazione di una percentuale minima della maggiorazione rende anche tale criterio non necessario e inidoneo a ingenerare un affidamento nella sua sicura applicazione. Non può, dunque, ritenersi che il Commissario, anche avendo riguardo all'interesse pubblico cui era finalizzato il suo incarico, potesse riporre un legittimo affidamento in una maggiorazione garantita del compenso.

9.3.- Infine, non lede l'art. 3 Cost. neppure l'omesso richiamo, nella norma censurata, all'art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 177 del 2015, secondo cui «[q]uando l'amministratore giudiziario assiste il giudice per la verifica dei crediti è inoltre corrisposto, sull'ammontare del passivo accertato, un compenso supplementare dallo 0,19% allo 0,94% sui primi 81.131,38 euro e dallo 0,06% allo 0,46% sulle somme eccedenti tale cifra».

Tale disposizione riguarda una attività propria dell'amministratore giudiziario, sicché l'applicazione di un criterio non direttamente riferibile alla diversa attività svolta dal Commissario liquidatore non poteva ingenerare in quest'ultimo alcun legittimo affidamento.

10.- In conclusione, deve ritenersi fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 4, comma 4-bis, del d.l. n. 68 del 2022, come convertito, limitatamente alla parte in cui non prevede l'applicazione dei criteri di cui all'art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 177 del 2015 per il calcolo del compenso del Commissario nominato ai sensi dell'art. 95, comma 18, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis, del decreto-legge 16 giugno 2022, n. 68 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti e della mobilità sostenibile, nonché in materia di grandi eventi e per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili), convertito, con modificazioni, nella legge 5 agosto 2022, n. 108, nella parte in cui non prevede l'applicazione dei criteri di cui all'art. 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2015, n. 177 (Regolamento recante disposizioni in materia di modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari iscritti nell'albo di cui al decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14) per il calcolo del compenso del Commissario nominato ai sensi dell'art. 95, comma 18, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126.