Corte costituzionale
Sentenza 27 maggio 2025, n. 74
Presidente: Amoroso - Redattore: Petitti
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 63, terzo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di M. M., con ordinanza del 13 maggio 2024, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2024.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2025 il Giudice relatore Stefano Petitti;
deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ordinanza del 13 maggio 2024, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 63, terzo comma, del codice penale, «nella parte in cui non prevede che - quando la recidiva di cui all'art. 99 co. 1 c.p. concorre con una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o con una circostanza aggravante ad effetto speciale - si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla».
2.- Il Tribunale di Firenze riferisce di procedere nei confronti di persona imputata dei reati di cui all'art. 612, secondo comma, cod. pen., in relazione all'art. 339 cod. pen., e all'art. 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), per aver minacciato la vittima con l'uso di un coltello e di altro strumento atto a offendere portati, senza giustificato motivo, fuori della propria abitazione.
L'ordinanza di rimessione precisa che le indagini svolte hanno consentito l'accertamento del primo reato e dell'aggravante ipotizzata, e la sussistenza peraltro della "recidiva semplice", come contestata dal pubblico ministero, avendo l'imputato subito una condanna per resistenza a pubblico ufficiale nell'anno 2015 e un'altra nell'anno 2017 per ricettazione.
Il giudice a quo assume che non è possibile applicare le circostanze attenuanti generiche, in quanto l'imputato non è incensurato, non ha risarcito il danno né ha mostrato segni di ravvedimento.
Secondo il rimettente, in base al disposto dell'art. 63, terzo comma, cod. pen., occorrerebbe prima applicare la circostanza aggravante autonoma di cui all'art. 612, secondo comma, cod. pen. e poi infliggere l'aumento di un terzo per la recidiva ex art. 99, primo comma, cod. pen.
3.- Il Tribunale di Firenze dubita della legittimità costituzionale di tale disposizione, perché, quando la recidiva "semplice", circostanza aggravante a effetto comune, concorre con una circostanza aggravante a effetto speciale o autonoma, non sarebbe consentito al giudice di applicare il criterio moderatore previsto dall'art. 63, quarto comma, cod. pen., secondo cui in caso di concorso tra circostanze a effetto speciale non si applica il cumulo materiale, ma la pena stabilita per la circostanza più grave aumentata fino a un terzo.
L'esito operativo della norma censurata appare al giudice a quo contrario ai principi di proporzionalità della pena e di "ragionevolezza-uguaglianza", espressi dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., come dimostrerebbe il caso in cui si trovassero a concorrere una circostanza autonoma o a effetto speciale e la recidiva "qualificata" (aggravata, pluriaggravata o reiterata), ai sensi degli ulteriori commi dell'art. 99 cod. pen.
Il giudice a quo sostiene, quindi, che l'art. 63, terzo comma, cod. pen. lo obbligherebbe, in sostanza, ad applicare l'aumento di pena nella misura di un terzo stabilito per la recidiva semplice, obbligo che non sussisterebbe ove l'imputato versasse nella più grave situazione di una delle forme qualificate di recidiva.
L'irragionevolezza denunciata, secondo il rimettente, indurrebbe anche il condannato a percepire la pena irrogata come non "giusta", e quindi pure come inadeguata a esplicare la propria funzione rieducativa.
Questa irragionevolezza si avvertirebbe ancor più nel caso di specie, essendo stata contestata all'imputato dal pubblico ministero la recidiva semplice, pur sussistendo gli estremi per l'applicazione di una recidiva qualificata, in quanto i due precedenti rilevanti erano uno "specifico" e l'altro "infraquinquennale".
Altrettanto irragionevole, ad avviso del giudice a quo, sarebbe la previsione dell'aumento «di un terzo» della pena da infliggere, ai sensi dell'art. 99, primo comma, cod. pen., anziché «fino a un terzo», come invece stabilito dall'art. 64, primo comma, cod. pen.
3.1.- L'ordinanza di rimessione ritiene poi non dirimente l'obiezione secondo cui «la recidiva semplice è pur sempre facoltativa e quindi il giudice potrebbe astenersi dall'applicarla», giacché, ove questi abbia verificato che la reiterazione dell'illecito è sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo ai diversi indici rivelatori di ciò, deve poi sottoporre il condannato all'aumento di pena ai sensi dell'art. 99 cod. pen., non potendo evitare tale aumento in considerazione dei soli effetti irragionevoli che deriverebbero dalla sua applicazione.
Neppure, espone il rimettente, varrebbe obiettare che il giudice potrebbe comunque neutralizzare l'applicazione della recidiva riconoscendo le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente, non ricorrendo i presupposti perché siano concesse.
3.2.- Infine, l'ordinanza di rimessione prende in considerazione alcuni precedenti della Corte di cassazione per inferirne che una interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata contrasterebbe col dato letterale della stessa, il quale prescrive espressamente che «l'aumento o la diminuzione per le circostanze ad effetto comune operi sulla pena stabilita per la circostanza autonoma o ad effetto speciale, senza prevedere che l'aumento ulteriore sia facoltativo o che possa essere in misura discrezionale fino ad un terzo».
4.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o, comunque, manifestamente infondate.
4.1.- L'Avvocatura generale obietta che le questioni di legittimità costituzionale sono manifestamente inammissibili per erroneità del presupposto interpretativo in ordine alla ritenuta rilevanza, assumendo il giudice a quo che egli «è tenuto ad applicare l'aumento di pena previsto per la recidiva semplice», nel mentre la giurisprudenza di legittimità sostiene che «il giudice può attribuire effetti alla recidiva unicamente quando la ritenga effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si proceda».
A supporto, la difesa dello Stato richiama anche la sentenza n. 185 del 2015 di questa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 99, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), limitatamente alle parole «è obbligatorio e,».
Inammissibili sarebbero, poi, le censure di violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost., per omessa motivazione in proposito.
4.2.- Nel merito, peraltro, l'Avvocatura dello Stato reputa che sia manifestamente infondata la questione attinente al parametro di cui all'art. 3 Cost., giacché il rimettente sovrapporrebbe la disciplina di dosimetria della pena tratteggiata dall'art. 63 cod. pen. in tema di circostanze aggravanti, qual è la recidiva semplice ai sensi del primo comma dell'art. 99 cod. pen., con quella relativa invece alle circostanze a effetto speciale, qual è la recidiva delineata nelle ipotesi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 99 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 63, terzo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che, quando la recidiva di cui all'art. 99, primo comma, cod. pen. concorre con una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o con una circostanza aggravante a effetto speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla.
2.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a giudicare una persona imputata dei reati di cui all'art. 612, secondo comma, cod. pen., in relazione all'art. 339 cod. pen., e all'art. 4 della legge n. 110 del 1975, per aver minacciato la vittima con l'uso di un coltello e di altro strumento atto a offendere portati, senza giustificato motivo, fuori della propria abitazione.
L'ordinanza di rimessione precisa che sussiste la recidiva semplice, come contestata dal pubblico ministero, avendo l'imputato subito precedenti condanne.
Il rimettente evidenzia che, in base al disposto dell'art. 63, terzo comma, cod. pen., occorrerebbe prima applicare la circostanza aggravante autonoma di cui all'art. 612, secondo comma, cod. pen. e poi l'aumento di un terzo per la recidiva ex art. 99, primo comma, cod. pen.
3.- Il Tribunale di Firenze ritiene che il criterio di computo della pena previsto dall'art. 63, terzo comma, cod. pen., per il caso in cui concorrano una circostanza aggravante a effetto comune, quale è la recidiva "semplice", e una circostanza aggravante a effetto speciale o autonoma, sarebbe contrario ai principi di proporzionalità della pena e di "ragionevolezza-uguaglianza", espressi dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., come dimostrerebbe il caso in cui si trovassero a concorrere una circostanza autonoma o a effetto speciale e la recidiva qualificata (aggravata, pluriaggravata o reiterata), ai sensi degli ulteriori commi dell'art. 99 cod. pen.
Invero, l'art. 63, terzo comma, cod. pen. obbliga il giudice ad applicare l'aumento di pena nella misura di un terzo stabilito per la recidiva semplice, obbligo che non sussisterebbe ove l'imputato versasse nella più grave situazione di una delle forme qualificate di recidiva.
L'irragionevolezza denunciata, secondo il Tribunale di Firenze, indurrebbe il condannato a percepire la pena irrogata come non giusta, e quindi pure come inadeguata a esplicare la propria funzione rieducativa.
4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l'inammissibilità delle questioni, sostenendo che il giudice a quo avrebbe erroneamente ritenuto di essere obbligato ad applicare l'aumento di pena previsto per la recidiva semplice, nel mentre, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 185 del 2015) e della Corte di cassazione, l'applicazione della recidiva sarebbe sempre facoltativa.
4.1.- L'eccezione non è fondata.
Il rimettente riferisce, invero, di procedere nei confronti di persona imputata dei reati di cui all'art. 612, secondo comma, cod. pen., in relazione all'art. 339 cod. pen., e all'art. 4 della legge n. 110 del 1975. Osserva, poi, che la contestazione dell'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 612 cod. pen. (essere la minaccia fatta «in uno dei modi indicati nell'articolo 339»), comporta l'applicazione della pena della reclusione fino a un anno, nel mentre la pena per il reato non aggravato è solo quella della multa.
Accertata la sussistenza della contestata recidiva semplice, il giudice a quo motiva specificamente l'an dell'applicazione della recidiva, intesa quale sintomo di un'accentuata pericolosità sociale dell'imputato, dopo aver esaminato in concreto il rapporto esistente tra il fatto per cui procede e le precedenti condanne.
Il rimettente assume, quindi, di essere inevitabilmente tenuto a fare applicazione della norma censurata, della quale, tuttavia, critica il criterio di calcolo dell'aumento, che sarebbe necessariamente «di un terzo della pena da infliggere» (ex art. 99, primo comma, cod. pen.) per il delitto di minaccia aggravata ai sensi dell'art. 612, comma secondo, cod. pen., e non invece quello del cumulo giuridico di cui all'art. 63, quarto comma, cod. pen., stabilito per il concorso tra circostanze a effetto speciale.
Il giudice a quo precisa, ancora, che i dubbi sollevati non possono trovare soluzione nella mancata applicazione della recidiva, giacché, avendo egli verificato che la reiterazione dell'illecito è sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, dovrebbe applicare, nel caso di specie, l'aumento di pena ai sensi dell'art. 99 cod. pen., non potendosi esimere da ciò in considerazione dei soli effetti irragionevoli che deriverebbero dalla sua applicazione.
Diversamente da quanto eccepito dall'Avvocatura dello Stato, la linea argomentativa del rimettente in punto di rilevanza è dunque del tutto plausibile, poiché egli motiva ampiamente sia sulle ragioni per le quali si giustificherebbe l'applicazione nei confronti dell'imputato dell'aggravante di cui all'art. 99, primo comma, cod. pen., sia sul contestuale riconoscimento a suo carico dell'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 612 cod. pen.
4.2.- Non fondata è, del pari, l'eccezione di inammissibilità della questione con riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost.
Non si ravvisa, invero, l'assoluta carenza di motivazione in ordine alle ricadute che un criterio irragionevole di determinazione della pena da irrogare nel caso concreto può determinare sulla rispondenza della stessa alla funzione rieducativa, alla quale, ai sensi dell'art. 27, terzo comma, Cost., tutte le pene devono tendere.
Il rimettente ha, infatti, ricordato come, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di proporzione della pena rispetto alla gravità del reato contestato, derivante dalla applicazione di un criterio di determinazione irragionevole, possa ingenerare nel destinatario della pena la percezione della sua ingiustizia e, proprio per questo, della sua inidoneità al perseguimento della finalità rieducativa.
4.3.- Occorre poi rilevare che il giudice a quo ha altresì congruamente motivato in ordine alla non sperimentabilità di una interpretazione costituzionalmente conforme, impedita dal tenore letterale della disposizione censurata, la quale prescrive espressamente che l'aumento per le aggravanti a effetto comune operi sulla pena stabilita per la circostanza autonoma o a effetto speciale, senza consentire che l'aumento ulteriore sia facoltativo o applicato in misura discrezionale fino ad un terzo.
La correttezza dell'interpretazione prescelta nell'ordinanza di rimessione è, peraltro, profilo che esula dall'ammissibilità e attiene al merito delle questioni di legittimità costituzionale (tra le tante, sentenza n. 133 del 2019).
5.- Prima di procedere all'esame nel merito delle questioni, è opportuno ripercorrere, sia pure sinteticamente, il quadro normativo e giurisprudenziale nel quale le questioni stesse si inseriscono.
Vengono, in particolare, in rilievo le disposizioni di cui agli artt. 63 e 99 cod. pen., nonché le decisioni di questa Corte in tema di recidiva.
5.1.- L'art. 63 cod. pen., sotto la rubrica «[a]pplicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena», nella formulazione risultante dalle modificazioni apportate, da ultimo, dall'art. 5 della legge 31 luglio 1984, n. 400 (Nuove norme sulla competenza penale e sull'appello contro le sentenze del pretore), al secondo comma dispone che «[s]e concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l'aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente»; al terzo comma, che: «[q]uando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo»; al quarto comma, che «[s]e concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla».
A sua volta, l'art. 99, primo comma, cod. pen., disponeva che «[c]hi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro, soggiace a un aumento fino a un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato».
Per effetto della sostituzione dell'intero art. 99 disposta, da ultimo, dall'art. 4 della legge n. 251 del 2005, il primo comma dell'art. 99 cod. pen. si trova riformulato nel senso che «[c]hi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo».
Il legislatore del 2005 ha, dunque, reso fissa, anziché variabile, e ha innalzato a un terzo, la misura frazionaria dell'aumento di pena per la recidiva semplice. In ciò consiste la particolarità della recidiva semplice: questa, pur essendo, ai sensi dell'art. 63, terzo comma, cod. pen., una circostanza aggravante comune, in quanto non comporta un aumento superiore a un terzo, tuttavia impone al giudice, una volta che ritenga di doverne fare applicazione, di aumentare la pena base nella misura di un terzo, senza alcuna possibilità di modulazione.
5.2.- Secondo costante interpretazione di questa Corte, l'applicazione della recidiva non è obbligatoria, ma si giustifica solo in quanto il nuovo delitto, commesso da chi sia già stato condannato per precedenti delitti non colposi, risulti espressivo in concreto sia di una maggiore pericolosità criminale, sia di un maggior grado di colpevolezza, legato alla più elevata rimproverabilità della decisione di violare la legge penale nonostante l'ammonimento individuale scaturente dalle precedenti condanne. Questa maggiore rimproverabilità non può essere presunta in via generale sulla base del solo fatto delle precedenti condanne, dovendo - ad esempio - essere esclusa allorché il nuovo delitto sia stato commesso dopo un lungo lasso di tempo dal precedente, o allorché abbia caratteristiche affatto diverse (tra le tante, sentenze n. 55 del 2021, n. 73 del 2020, n. 185 del 2015, n. 183 del 2011 e n. 192 del 2007; ordinanze n. 171 del 2009, n. 257, n. 193, n. 90 e n. 33 del 2008).
In particolare, la sentenza n. 185 del 2015, nel ricostruire i lineamenti della recidiva dopo l'avvenuta sostituzione dell'art. 99 cod. pen., effettuata con l'art. 4 della legge n. 251 del 2005, ha sottolineato la facoltatività di tutte le ipotesi di recidiva diverse da quella di cui al quinto comma dell'art. 99 cod. pen., nel senso che nei casi contemplati dai primi quattro commi dell'art. 99 cod. pen. l'aumento di pena può essere disposto soltanto riscontrando la concreta significatività del nuovo episodio delittuoso, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo, come già evidenziato. Ciò, peraltro, in consonanza con l'interpretazione seguita dalla giurisprudenza di legittimità, che chiama il giudice a tale verifica di significatività della reiterazione dell'illecito in termini di riprovevolezza e pericolosità, consentendogli, perciò, di negare altrimenti la rilevanza aggravatrice della recidiva ed escludere la circostanza, non applicando il relativo aumento della sanzione (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenze 24 febbraio-24 maggio 2011, n. 20798 e 27 maggio-5 ottobre 2010, n. 35738).
La sentenza n. 185 del 2015 ha, quindi, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 99, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 4 della legge n. 251 del 2005, limitatamente alle parole «è obbligatorio e,» che accompagnavano la previsione dell'aumento della pena per la recidiva per i delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale. E ciò sulla base del rilievo che l'obbligatorietà della recidiva stabilita dall'art. 99, quinto comma, cod. pen. contrastasse sia con il principio di ragionevolezza, parificando nel trattamento obbligatorio situazioni personali e ipotesi di recidiva tra loro diverse, in violazione dell'art. 3 Cost., sia con l'art. 27, terzo comma, Cost., che implica «"un costante 'principio di proporzione' tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra" (sentenza n. 341 del 1994)», precludendo l'accertamento della sussistenza nel caso concreto delle condizioni che dovrebbero legittimare l'applicazione della recidiva, così da poter rendere «la pena palesemente sproporzionata, e dunque avvertita come ingiusta dal condannato, vanificandone la finalità rieducativa prevista appunto dall'art. 27, terzo comma, Cost.».
6.- Tanto premesso, le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze sono fondate.
6.1.- L'ampia discrezionalità del legislatore nella definizione della propria politica criminale, e in particolare nella determinazione delle pene applicabili a chi abbia commesso reati, così come nella stessa selezione delle condotte costitutive di reato (ex multis, sentenze n. 46 del 2024, n. 207 del 2023 e n. 117 del 2021), non equivale ad arbitrio.
Le disposizioni che costituiscono espressione di tale discrezionalità, e segnatamente quelle che determinano il trattamento sanzionatorio, in quanto destinate a incidere sulla libertà personale dei loro destinatari, devono quindi ritenersi suscettibili di controllo da parte di questa Corte per gli eventuali vizi di manifesta irragionevolezza o di violazione del principio di proporzionalità.
6.2.- Ora, l'applicazione sulla pena stabilita per l'aggravante a effetto speciale dell'aumento di un terzo della pena previsto per la recidiva semplice, a fronte dell'aumento facoltativo applicabile ove con la prima concorra una ipotesi di recidiva aggravata, dà luogo a una evidente irragionevolezza della disciplina applicabile, con violazione dell'art. 3 Cost. Invero, contrasta con il canone di ragionevolezza che al minor grado di rimproverabilità soggettiva corrisponda una pena superiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parità di disvalore oggettivo del fatto (sentenze n. 217 e n. 94 del 2023, n. 185 e n. 55 del 2021, n. 73 del 2020).
Mentre, infatti, le ipotesi di recidiva qualificabili come circostanze a effetto speciale beneficiano, in caso di concorso (art. 64, quarto comma, cod. pen.), del doppio favor della sola applicazione della pena stabilita per la circostanza più grave e della facoltà dell'aumento affidata al giudice, non si rinviene - dopo la richiamata modificazione di cui alla legge n. 251 del 2005 - la ragione per cui, in caso di concorso della meno grave recidiva semplice con una circostanza autonoma o a effetto speciale, debba trovare applicazione automatica e obbligatoria l'aumento di un terzo (e non fino a un terzo), una volta che il giudice abbia reputato i precedenti penali indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo.
6.3.- Tale disciplina non può trovare una idonea giustificazione nel diverso regime delle modalità di maggiorazione della pena, frutto di un differente giudizio di disvalore delle fattispecie, che connota le circostanze comuni e le circostanze a effetto speciale, supponendo che solo il cumulo materiale di queste ultime possa comportare una pena sproporzionata per eccesso, mentre il concorso tra aggravanti comuni e a effetto speciale incontrerebbe unicamente i limiti di cui all'art. 66 cod. pen.
Il differente trattamento sanzionatorio del concorso tra circostanze aggravanti a effetto speciale e recidiva qualificata o semplice, in ragione della disciplina di applicazione dei rispettivi aumenti di pena, può essere causa, come visto, dell'irrogazione di una sanzione sproporzionata e non "individualizzata" proprio rispetto al disvalore oggettivo dei fatti.
6.4.- Il dato testuale della disposizione censurata impedisce, altrimenti, una interpretazione dell'art. 63, commi terzo e quarto, cod. pen., nel senso che, ove concorrano una circostanza aggravante a effetto speciale e la recidiva semplice, non si debba operare la somma aritmetica prevista dall'art. 63, secondo comma, cod. pen., ma trovi comunque applicazione il criterio moderatore previsto dal quarto comma del medesimo articolo, così da evitare che la recidiva semplice comporti un aumento di pena maggiore di quello derivante dalla ricorrenza di recidive aggravate.
6.5.- Il censurato criterio di determinazione della pena in caso di concorso tra una circostanza aggravante autonoma o a effetto speciale e una circostanza aggravante comune risulta anche lesivo dell'art. 27, terzo comma, Cost. Invero, una pena determinata sulla base di un criterio irragionevole non può essere percepita dal suo destinatario come una pena giusta, e non può quindi assolvere alla funzione rieducativa.
7.- Deve essere perciò dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 63, terzo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che «Quando concorrono una circostanza per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o una circostanza ad effetto speciale e la recidiva di cui all'art. 99, primo comma, cod. pen., si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla».
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 63, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che «Quando concorrono una circostanza per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o una circostanza ad effetto speciale e la recidiva di cui all'art. 99, primo comma, cod. pen., si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla».