Corte costituzionale
Sentenza 27 maggio 2025, n. 75
Presidente: Amoroso - Redattore: Buscema
[...] nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come sostituito dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», promossi con ordinanze del 29 maggio 2024 dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari, sezione prima, e del 24 luglio 2024 dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, sezione dodicesima, rispettivamente iscritte ai numeri 166 e 173 del registro ordinanze 2024 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 38 e 39, prima serie speciale, dell'anno 2024.
Visti gli atti di costituzione di Saras spa, Sarlux srl, Sardeolica srl, Unilever Italy Holdings srl, Unilever Italia Manufacturing srl, Unilever Italia Mkt Operations srl, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;
uditi gli avvocati Andrea Silvestri per Saras spa e per le altre parti costituite, Lorenzo Trinchera per Unilever Italy Holdings srl e per le altre parti costituite e l'avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 9 aprile 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari, sezione prima, con ordinanza n. 166 del 23 luglio 2024 ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come sostituito dall'art. 1, comma 715, con gli effetti stabiliti dal successivo comma 716, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 53 della Costituzione, nella parte in cui prevede, per l'anno di imposta 2018, che la percentuale di imposta municipale unica (IMU), deducibile ai fini dell'imposta sui redditi delle società (IRES) è pari al 20 per cento.
Precisa la Corte rimettente di essere stata adita nel giudizio a quo dalle società Saras spa, Sardeolica srl e Sarlux srl (queste ultime, consolidate in Saras), per l'impugnazione del diniego opposto dall'Agenzia delle entrate al rimborso della maggiore IRES versata a causa della indeducibilità dell'80 per cento dell'IMU sugli immobili strumentali prevista per il periodo di imposta 2018.
1.1.- In punto di rilevanza, osserva il giudice rimettente che i due immobili, in relazione ai quali era stata versata l'IMU, sono: per Sardeolica srl, un immobile strumentale per natura; per Sarlux srl, l'unico immobile utilizzato per l'esercizio della propria attività imprenditoriale. Tanto basterebbe a dimostrare la pregiudizialità della presente questione di legittimità costituzionale rispetto al ricorso avanti la Corte di giustizia tributaria.
1.2.- Il giudice a quo rappresenta altresì come sia impossibile procedere a un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, a fronte dell'univoco tenore letterale della previsione normativa di riferimento e la non immediata applicabilità della sentenza di questa Corte n. 262 del 2020, relativa alla diversa disposizione che prevedeva l'indeducibilità integrale dell'IMU per l'anno d'imposta 2012. Sarebbe altresì preclusa l'applicazione alle fattispecie de qua, in via di interpretazione analogica, della disposizione che prevede la deducibilità integrale dell'IMU ai fini IRES, introdotta solo a partire dall'anno 2022.
1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, ritiene la Corte rimettente che il censurato art. 14, comma 1, come sostituito dall'art. 1, comma 715, con gli effetti stabiliti dal successivo comma 716, della legge n. 147 del 2013, violerebbe gli artt. 3, 23, 41 e 53 Cost.
Anzitutto, la disposizione che prevede la deducibilità al 20 per cento dell'IMU, sui beni strumentali dalla base imponibile IRES, risulterebbe in contrasto con l'art. 53 Cost. per violazione del principio della capacità contributiva.
Poiché il legislatore avrebbe stabilito che la tassazione diretta sulle società debba essere commisurata al reddito effettivo, calcolato al netto delle spese inerenti alla sua produzione, i costi che presentino i requisiti di inerenza, certezza e oggettiva determinabilità (che siano, in sintesi, "strumentali" alla produzione del reddito) dovrebbero necessariamente essere dedotti dai relativi ricavi.
Come avrebbe affermato anche questa Corte nel precedente relativo alla disposizione che prevedeva l'indeducibilità totale, l'indeducibilità anche solo parziale è giustificabile solo se correlata a costi che siano caratterizzati (anche astrattamente) da una inerenza solo parziale o che si prestino a usi promiscui che necessitino di una qualche forma di forfettizzazione o, ancora, qualora vi sia un oggettivo e fondato pericolo che la deduzione di tali costi rischi di coprire fenomeni di elusione o abuso. Al di fuori di queste ipotesi, anche una indeducibilità parziale - e, comunque, in misura rilevante (80 per cento) - di un costo inerente risulterebbe contraria ai principi che regolano la determinazione del reddito d'impresa, perché comporterebbe la tassazione di un reddito al lordo dei fattori che hanno contribuito alla sua stessa produzione, in contrasto con il principio di capacità contributiva.
L'art. 53 Cost. sarebbe violato anche per il profilo del divieto di doppia imposizione, atteso che un soggetto che produce reddito d'impresa anche attraverso lo sfruttamento di un immobile strumentale sconterebbe una prima imposta (l'IMU) legata al possesso del suindicato immobile, e una seconda (l'IRES) legata alla mancata, integrale deduzione della prima (l'IMU) dal reddito d'impresa. E ciò si verificherebbe nonostante il versamento dell'IMU rappresenti un costo indubbiamente inerente a un fattore produttivo, oltre che certo e determinato nel suo ammontare.
Peraltro, ferma la discrezionalità del legislatore in materia tributaria, la doverosa coerenza tra base imponibile e presupposto d'imposta dovrebbe essere un elemento sindacabile per violazione del combinato disposto degli artt. 3, 23 e 53 Cost. (è citata la sentenza di questa Corte n. 262 del 2020).
La disposizione censurata sarebbe in contrasto anche con l'art. 3 Cost., in riferimento al principio di ragionevolezza, poiché il censurato regime di indeducibilità, ancorché parziale, in assenza di una riconoscibile giustificazione razionale, non sarebbe coerente con la struttura stessa del presupposto dell'imposta, che è, come ricordato, il "reddito complessivo netto".
Afferma altresì la Corte rimettente che sarebbero violati i principi di uguaglianza e della proprietà privata (artt. 3 e 41 Cost.), giacché la mancata integrale deducibilità dell'IMU relativa agli immobili strumentali dalla base imponibile IRES avrebbe un impatto sulla cosiddetta "equità orizzontale", in quanto sottoporrebbe a una maggiore tassazione la società che investe i propri utili nell'acquisto di beni immobili strumentali rispetto a quella che, invece, utilizza il proprio capitale per sostenere altre tipologie di costi senza che vi sia un motivo ragionevole.
Infine, la deducibilità del solo 20 per cento dell'imposta non dovrebbe ritenersi giustificabile nemmeno per la salvaguardia delle esigenze di bilancio, giacché questa stessa Corte avrebbe evidenziato che le esigenze di gettito fiscale devono essere perseguite aumentando l'aliquota dell'imposta principale e non attraverso manovre sulla deducibilità che si risolvono in discriminatori incrementi della base imponibile a danno solo di alcuni contribuenti (è citata ancora la sentenza n. 262 del 2020).
Né il regime della deducibilità solo parziale parrebbe trovare spiegazione, nei profili di proporzionalità e ragionevolezza, alla luce delle esigenze di: a) evitare indebite deduzioni di spese di dubbia inerenza; b) evitare ingenti costi di accertamento; c) prevenire fenomeni di evasione o elusione fiscale.
Tenuto conto che, nel caso di specie, il costo non integralmente deducibile è costituito da un'imposta applicata in relazione al possesso di immobili, non sussisterebbe alcuna delle suddette esigenze, trattandosi di un costo certamente sostenuto, riferito a beni rispetto ai quali non sono prospettabili dubbi di inerenza, che non presenta alcun rilevante costo di accertamento (esso è univocamente documentabile) e rispetto al quale non possono immaginarsi fenomeni di evasione o elusione (poiché presuppone una somma certamente versata).
2.- La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, sezione dodicesima, con ordinanza iscritta al n. 173 del registro ordinanze 2024, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, nel testo vigente nel 2014 e 2015, in riferimento agli artt. 3, 41 e 53 Cost.
Precisa la CGT Lazio che il giudizio a quo è sorto per iniziativa delle società appellanti Unilever Italy Holdings srl (consolidante), Unilever Italia Manufacturing srl e Unilever Italia Mkt Operations srl (consolidate) che chiedevano il rimborso dell'IRES riferibile all'IMU corrisposta negli anni 2014 e 2015, e non dedotta, in relazione ai soli immobili strumentali "per natura", la cui strumentalità, presunta per legge (ai sensi dell'art. 43, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi»), è stata provata in giudizio sulla base delle visure catastali degli immobili cui afferisce il richiesto rimborso.
2.1.- Ai fini della rilevanza, rappresenta il giudice rimettente che la decisione della controversia non possa prescindere dall'applicazione dell'art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011 vigente ratione temporis, il quale, per gli anni dal 2014 al 2018, stabilisce la parziale deducibilità dell'IMU dall'IRES (nella misura del 20 per cento), e ciò in deroga all'art. 99, comma 1, t.u. imposte redditi.
Sarebbe impossibile, peraltro, addivenire a una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, che sarebbe preclusa dall'univoco tenore letterale della disposizione, anche a fronte di quanto chiarito dalla sentenza di questa Corte n. 21 del 2024, che avrebbe confermato l'espressa inapplicabilità della precedente sentenza n. 262 del 2020, riferentesi a diverso anno d'imposta e alle discipline successive. In quest'ultima sentenza, inoltre, sarebbe stata chiaramente esclusa l'omogeneità di contenuti fra le diverse disposizioni che prevedevano - rispettivamente, per il 2012, dal 2014 al 2018 e, poi, progressivamente, dal 2019 al 2022 - la totale indeducibilità, la deducibilità al 20 per cento e il graduale passaggio alla deducibilità totale al partire dal 2022.
2.2.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente si confronta, al dichiarato fine di non incorrere in nuove pronunce di inammissibilità, con quanto precisato nella citata sentenza n. 21 del 2024, che avrebbe richiesto di confrontarsi con le diverse formulazioni dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011.
2.2.1.- La Corte rimettente ritiene che la deducibilità al 20 per cento dell'IMU ai fini del calcolo della base imponibile dell'IRES sia ingiustificata e arbitraria, così violando l'art. 3 Cost.
Afferma, anzitutto, che il t.u. imposte redditi prevederebbe alcune ipotesi di limitazione forfettaria della deducibilità di taluni costi, ma ciò con riguardo a quelli la cui parziale riferibilità all'attività di impresa ne renderebbe opinabile l'inerenza (ad esempio, le spese per i servizi di telefonia, ammesse in deduzione nella misura dell'80 per cento ex art. 102, comma 9, t.u. imposte redditi; i "costi auto", deducibili nella misura del 20 per cento ex art. 164, comma 1, lettera b, t.u. imposte redditi). Osserva, pertanto, che una limitazione forfettaria della deducibilità dell'IMU potrebbe ritenersi eventualmente ammissibile e ragionevole se e nei limiti in cui ciò rappresentasse una forfettizzazione dell'ammontare dell'imposta che, afferendo a immobili ad uso "promiscuo" (ad esempio, destinati ad attività da cui derivano sia ricavi imponibili che non imponibili), risultasse effettivamente inerente alla produzione del reddito.
Il caso in esame, invece, non rientrerebbe in tale categoria. La circostanza che l'art. 14, comma 1, censurato stabilisca la parziale deducibilità dell'IMU relativa ai soli immobili strumentali già assicurerebbe il rispetto del nesso di inerenza integrale dell'onere connesso a tale imposta con l'attività d'impresa che ne dovrebbe giustificare la piena deducibilità, trattandosi, per l'appunto, di immobili che partecipano al processo produttivo.
Inoltre, nel caso di specie, la disposizione sarebbe in ogni caso irragionevole e arbitraria, risultando del tutto oscuro quale sia stato il ragionamento logico e matematico che ha condotto il legislatore a determinare nella percentuale del 20 per cento - e non in una diversa misura, come pure avvenuto in seguito - l'ammontare dell'imposta deducibile ai fini della base imponibile IRES.
A dimostrazione dell'arbitrarietà della scelta della percentuale di deduzione, giustificabile se non con esigenze di gettito fiscale, basterebbe osservare l'evoluzione normativa successiva che, dapprima, ha determinato l'incremento dal 20 al 40 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2019 (art. 1, comma 12, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021»); successivamente, ha ulteriormente innalzato la percentuale di deducibilità al 50 per cento (art. 3, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante «Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi», convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58) e ha contestualmente disposto il progressivo aumento della medesima deducibilità negli anni a venire fino a raggiungere il 100 per cento a decorrere dal periodo d'imposta 2023 (successivamente, a sua volta, anticipato al 2022 ad opera dell'art. 1, comma 773, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022»).
2.2.2.- Oltre a essere irragionevole e arbitraria, la normativa censurata sarebbe anche lesiva del principio di capacità contributiva, di cui all'art. 53 Cost.
Una volta che il legislatore nella sua discrezionalità abbia identificato il presupposto dell'IRES nel possesso del reddito complessivo netto, non potrebbe, senza rompere un vincolo di coerenza, rendere indeducibile un costo fiscale chiaramente inerente (è citata, in tal senso, la già richiamata sentenza di questa Corte n. 262 del 2020).
Anche l'IMU versata in relazione a immobili strumentali nei periodi d'imposta in questione rappresenterebbe un costo inerente all'attività d'impresa che, in virtù della generale deducibilità delle imposte dal reddito ex art. 99 t.u. imposte redditi, sarebbe da ritenersi deducibile in assenza della disposizione in questa sede censurata. Ne conseguirebbe la rottura di quel vincolo di coerenza rispetto al presupposto impositivo del tributo, individuato dal legislatore proprio nel reddito al netto dei costi di produzione inerenti.
Per effetto della disposizione censurata, la tassazione finirebbe col gravare su un reddito lordo, anziché netto, colpendo una capacità contributiva meramente figurativa, in quanto il maggior reddito assoggettato a tassazione per effetto dell'indeducibilità dell'IMU sarebbe di fatto insussistente, in quanto consumato da un costo che, soltanto a livello fiscale, non otterrebbe riconoscimento: da qui il contrasto con l'art. 53 Cost. per violazione del principio di capacità contributiva.
2.2.3.- Inoltre, secondo la Corte rimettente, riconoscere che l'illegittimità costituzionale della disposizione che prevedeva la totale indeducibilità dell'IMU per il periodo d'imposta 2012 non debba dichiararsi anche per le annualità successive, in cui era prevista una parziale deducibilità, significherebbe che soltanto in relazione alle predette annualità dovrebbe ritenersi tollerata la penalizzazione di quei contribuenti che abbiano deciso di «investire gli utili nell'acquisto della proprietà degli immobili strumentali» anziché prenderli in locazione (da qui è dedotto il contrasto con l'art. 41 Cost.).
Il regime della deducibilità parziale, pertanto, sarebbe anche discriminatorio, oltre che irrazionale, perché non ci sarebbero motivi logici a giustificazione di una tale disparità di trattamento. È pertanto dedotta la violazione degli artt. 3 e 41 Cost., sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza formale e di libertà di iniziativa economica privata.
2.2.4.- Il giudice rimettente, infine, osserva che non sarebbe possibile trovare una giustificazione per il diverso trattamento valevole per i periodi d'imposta successivi al 2012, rispetto a quest'ultimo, nemmeno a fronte del «presunto "virtuoso percorso" che il legislatore avrebbe nel tempo intrapreso nell'aumentare progressivamente la deducibilità dell'IMU».
Afferma il giudice a quo, infatti, che tale argomentazione si potrebbe semmai impiegare solo a partire dall'entrata in vigore dell'art. 3 del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, che ha disposto il progressivo aumento della deducibilità fino a raggiungere il 100 per cento a decorrere dal periodo d'imposta 2023 (successivamente, a sua volta, anticipato al 2022 ad opera del citato art. 1, comma 773, della legge n. 160 del 2019), mentre nessun incremento progressivo era previsto dalla disposizione in vigore per le annualità qui in discussione (e fino al 2018), che ha fissato la deducibilità dell'IMU in maniera costante in misura pari al 20 per cento.
Da ultimo, osserva la Corte rimettente che nemmeno le esigenze di bilancio potrebbero giustificare la limitazione della deducibilità di un costo interamente inerente, in violazione di principi costituzionali come l'uguaglianza, la ragionevolezza e la capacità contributiva, poiché in tal modo si attribuirebbe al principio dell'equilibrio di bilancio una totale e assoluta supremazia rispetto agli altri precetti costituzionali, la cui affermazione risulterebbe priva di ogni effettività, poiché destinati sempre a recedere di fronte a quest'ultimo.
3.- In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con argomentazioni pressoché analoghe.
3.1.- L'Avvocatura generale eccepisce, anzitutto, l'inammissibilità delle questioni per insufficiente descrizione del quadro normativo e, solo per l'ordinanza iscritta al reg. ord. n. 166 del 2024, anche per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza.
Oltre ad aver omesso la ricostruzione normativa relativa all'IMU, le Corti rimettenti avrebbero trascurato di descrivere in modo adeguato la disciplina delle deduzioni dell'IMU dall'IRES, che sarebbe stata oggetto di numerose e successive modifiche.
Rappresenta la difesa statale che, nella sua formulazione originale, l'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 stabiliva la totale indeducibilità dell'IMU dalle imposte erariali sui redditi (IRPEF/IRES).
Il sopravvenuto art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, nel sostituire il comma 1 del predetto art. 14, avrebbe disposto che l'IMU relativa agli immobili strumentali «è deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni nella misura del 20 per cento. La medesima imposta è indeducibile ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive»; il successivo comma 716 ha previsto che la disposizione di cui al comma 715 ha effetto a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013; per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, l'aliquota di cui al comma 715 è elevata al 30 per cento.
In seguito, l'art. 1, comma 12, della legge n. 145 del 2018 avrebbe elevato la percentuale di deducibilità, a partire dal 2019, dal 20 al 40 per cento. L'art. 3, comma 1, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, avrebbe stabilito l'integrale deducibilità dell'IMU, ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni, a decorrere dall'anno 2023, con una parziale deducibilità in misura crescente per gli anni dal 2019 al 2022. In particolare, ai sensi di detta disposizione, l'IMU è deducibile: nel 2019 nella misura del 50 per cento; nel 2020 nella misura del 60 per cento; nel 2021 nella misura del 60 per cento; nel 2022 nella misura del 70 per cento; dal 2023 integralmente.
Infine, l'art. 1, comma 773, della legge n. 160 del 2019 avrebbe anticipato di un anno la deducibilità totale dell'IMU relativa agli immobili strumentali ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni, ossia a decorrere dal 2022 (periodo d'imposta successivo al 31 dicembre 2021).
Le ordinanze di rimessione sarebbero, dunque, inammissibili perché i giudici a quibus, nel valutare la conformità della disposizione censurata agli artt. 3 e 53 Cost., avrebbero dovuto confrontarsi non solo con la disposizione che prevede la parziale deducibilità dell'IMU dall'IRES, ma anche con l'abbattimento della base imponibile dell'IMU determinato dallo scorporo dalla rendita catastale della componente produttiva.
3.2.- Le questioni sollevate con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 166 del 2024 sarebbero anche inammissibili per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza, perché il giudice rimettente si sarebbe confrontato solo apparentemente con la più volte richiamata sentenza di questa Corte n. 262 del 2020, che non ha esteso la dichiarazione di illegittimità costituzionale alle norme vigenti nelle annualità successive rispetto all'anno di imposta 2012.
L'ordinanza di rimessione, infatti, si sarebbe limitata a svolgere, con riferimento all'indeducibilità parziale dell'IMU, le medesime argomentazioni impiegate nel giudizio deciso con la sentenza di questa Corte n. 21 del 2024, che ha dichiarato l'inammissibilità della questione per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza, perché le argomentazioni allora spese dai rimettenti erano in tutto analoghe a quelle relative alla diversa norma che prevedeva la deducibilità totale.
3.3.- Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari e dalla Corte di giustizia di secondo grado del Lazio sarebbero, in subordine, manifestamente infondate, perché nella sentenza di questa Corte n. 262 del 2020, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale della disposizione che prevedeva l'indeducibilità integrale dell'IMU, sarebbero stati ritenuti non sussistenti i presupposti della estensibilità del giudizio alla formulazione della norma sopravvenuta, in quanto il legislatore «si è gradualmente corretto - prendendo atto via, via, di esigenze di equilibrio del bilancio (art. 81 Cost.) - fino a giungere alla virtuosa previsione, certamente non più procrastinabile, della totale deducibilità a partire dal 2022 (secondo quanto oggi previsto dall'art. 1, comma 773 della legge n. 160 del 2019)».
In altri termini - sostiene l'Avvocatura generale - questa Corte non avrebbe esteso gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale dell'originaria previsione dell'indeducibilità totale dell'IMU dall'IRES alle successive disposizioni «in considerazione della circostanza che in un termine ragionevole il legislatore ha rimosso l'originaria previsione di totale indetraibilità, assicurando medio tempore un ristoro adeguato e compatibile con le esigenze di bilancio ai contribuenti incisi dal prelievo (astrattamente) incostituzionale».
L'Avvocatura generale allega al proprio atto di intervento anche una nota elaborata dal Ministero dell'economia e delle finanze da cui emergerebbe che una deducibilità integrale dell'IMU dall'IRES e dall'IRPEF per gli anni dal 2013 al 2021 avrebbe un impatto - in termini di minori entrate - pari ad euro 5.372,1 milioni.
4.- Con riferimento all'ordinanza iscritta al n. 166 del registro ordinanze 2024, si sono costituite in giudizio le società Saras spa, Sardeolica srl e Sarlux srl, le quali, dopo aver ricostruito le vicende processuali che hanno condotto all'oggetto del giudizio a quo, da cui emergerebbe la rilevanza della questione sottoposta all'esame della Corte, espongono proprie argomentazioni, a sostegno della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari, sostanzialmente coincidenti con quelle rappresentate dal giudice rimettente.
5.- Con riferimento all'ordinanza iscritta al n. 173 del registro ordinanze 2024, le società Unilever Italy Holdings srl, Unilever Italia Manufacturing srl e Unilever Italia Mkt. Operations srl hanno depositato atto di costituzione in giudizio, adducendo argomentazioni, a sostegno della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni, sostanzialmente analoghe a quelle rappresentate dal giudice rimettente.
Le società si soffermano diffusamente sull'asserita natura programmatica del principio dell'equilibrio di bilancio, che non varrebbe a giustificare l'adozione delle disposizioni censurate, alla luce non solo di quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione) ma, soprattutto, del fatto che, fin dalla sua introduzione, il legislatore avrebbe fatto costantemente ricorso allo scostamento dagli obiettivi programmatici volti al conseguimento dell'equilibrio di bilancio, incrementando la spesa pubblica (come attesterebbe il fatto che il debito pubblico italiano è costantemente aumentato, segnatamente dal 2014 al 2023, di ben quasi 30 punti percentuali, passando da 2.203 miliardi di euro a quasi 2.900 miliardi di euro).
6.- Nelle more del giudizio, le società Unilever Italy Holdings srl, Unilever Italia Manufacturing srl e Unilever Italia Mkt. Operations srl hanno altresì depositato specifica istanza per la valutazione, da parte di questa Corte, dell'opportunità di formulare una richiesta di integrazione documentale ai sensi dell'art. 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ai fini del migliore apprezzamento dell'incidenza finanziaria della questione, posto che la stima contenuta nella nota del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze, Direzione studi e ricerche economico fiscali, del 4 luglio 2024, depositata a corredo dell'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, non sarebbe efficacemente rappresentativa delle ricadute, in termini di effetti finanziari, dell'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione in esame. Secondo le società, la richiamata nota ministeriale avrebbe sovrastimato gli effetti finanziari di un eventuale accoglimento delle questioni, mentre avrebbe dovuto considerare solo il mancato gettito relativo ai soggetti potenzialmente idonei a beneficiare degli effetti della decisione, ossia coloro rispetto ai quali siano ancora pendenti i giudizi sulla maggiore IRES versata, considerando che l'istanza di rimborso è sottoposta al termine decadenziale di 48 mesi dal versamento.
7.- Le società intervenute in giudizio hanno depositato ulteriori memorie in cui ribadiscono che il requisito della temporaneità della disciplina censurata non può ritenersi soddisfatto, contrariamente a quanto asserito dall'Avvocatura generale, a fronte del carattere stabile e permanente della disciplina introdotta dall'art. 1, commi 715 e 716, della legge n. 147 del 2013. Osservano in proposito le rispettive difese che, se il legislatore avesse realmente inteso intraprendere un percorso coerente e predeterminato di correzione del sistema di indeducibilità dell'IMU sugli immobili strumentali dalla base imponibile IRES, egli avrebbe ragionevolmente previsto, sin dalla legge n. 147 del 2013, una progressione unitaria ad aliquote crescenti fino al raggiungimento della deducibilità integrale; cosa che, invece, è avvenuta solo nel 2019.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari, sezione prima, con l'ordinanza iscritta al n. 166 del reg. ord. 2024, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall'art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 53 Cost., nella parte in cui, per l'anno di imposta 2018, prevede che la percentuale di IMU deducibile ai fini IRES è pari al 20 per cento.
Precisa la Corte rimettente di essere stata adita nel giudizio a quo dalle società Saras spa, Sardeolica srl e Sarlux srl (queste ultime, consolidate in Saras), per l'annullamento del diniego opposto dall'Agenzia delle entrate al rimborso della maggiore IRES versata a causa della indeducibilità dell'80 per cento dell'IMU versata su immobili strumentali prevista per il 2018.
1.1.- In punto di rilevanza, osserva la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari che i due immobili in relazione ai quali è stata versata l'IMU sono, il primo, strumentale per natura (per Sardeolica srl) e in più, il secondo, quello della Sarlux srl, è anche l'unico utilizzato per l'esercizio della propria attività imprenditoriale; il che dimostrerebbe la pregiudizialità delle presenti questioni di legittimità costituzionale rispetto al ricorso avanti la Corte di giustizia tributaria. Il giudice a quo rappresenta altresì come sia impossibile procedere a un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, a fronte dell'univoco tenore letterale della previsione normativa di riferimento.
1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la disposizione che prevede la deducibilità al 20 per cento dell'IMU sui beni strumentali dalla base imponibile IRES risulterebbe in contrasto con l'art. 53 Cost. per violazione del principio di capacità contributiva, nonché per il profilo del divieto di doppia imposizione. Poiché la tassazione diretta sulle società dovrebbe essere commisurata al reddito effettivo, calcolato al netto delle spese inerenti alla sua produzione, i costi che presentino i requisiti di inerenza, certezza e oggettiva determinabilità (che siano, quindi, strumentali alla produzione del reddito) dovrebbero necessariamente essere dedotti dai relativi ricavi.
La disposizione censurata sarebbe in contrasto anche con l'art. 3 Cost. in riferimento al principio di ragionevolezza, poiché tale regime di indeducibilità, ancorché parziale, in assenza di una riconoscibile giustificazione razionale, non sarebbe coerente con la struttura stessa del presupposto dell'imposta, che, come ricordato, è il "reddito complessivo netto".
Infine, sarebbero violati i principi di uguaglianza e di tutela della proprietà privata (artt. 3 e 41 Cost.), giacché la mancata integrale deducibilità dell'IMU relativa agli immobili strumentali dalla base imponibile IRES avrebbe un impatto sulla cosiddetta "equità orizzontale", in quanto sottoporrebbe a una maggiore tassazione società che investono i propri utili nell'acquisto di beni immobili strumentali rispetto a quelle che, invece, utilizzino il proprio capitale per sostenere altre tipologie di costi senza che vi sia un motivo ragionevole.
2.- La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, sezione dodicesima, con ordinanza iscritta al n. 173 del reg. ord. 2024, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, nel testo vigente nel 2014 e nel 2015, in riferimento agli artt. 3, 41 e 53 Cost.
Precisa la Corte rimettente che il giudizio a quo è sorto per iniziativa delle società appellanti Unilever Italy Holdings srl (consolidante), Unilever Italia Manufacturing srl e Unilever Italia Mkt. Operations srl (consolidate) che chiedevano il rimborso dell'IRES riferibile all'IMU corrisposta negli anni 2014 e 2015, e non dedotta in relazione ai soli immobili strumentali «per natura», provata in giudizio sulla base delle visure catastali degli immobili cui afferiva il richiesto rimborso.
2.1.- Ai fini della rilevanza, rappresenta il giudice rimettente che la decisione della controversia non potrebbe prescindere dall'applicazione dell'art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011 vigente ratione temporis, il quale, per gli anni dal 2014 al 2018, stabilisce la parziale deducibilità dell'IMU dall'IRES (nella misura del 20 per cento), e ciò in deroga all'art. 99, comma 1, t.u. imposte redditi.
2.2.- In punto di non manifesta infondatezza, ritiene la Corte rimettente che la disposizione, che prevede la deducibilità al 20 per cento dell'IMU ai fini del calcolo della base imponibile dell'IRES, sarebbe ingiustificata e arbitraria e, pertanto, lesiva degli artt. 3 e 41 Cost. Sarebbe del tutto oscuro quale sia stato il ragionamento che ha condotto il legislatore a determinare nella percentuale del 20 per cento - e non in una diversa, come pure avvenuto in seguito - la quota dell'imposta deducibile ai fini della base imponibile IRES.
La normativa censurata sarebbe anche lesiva del principio di capacità contributiva stabilito dall'art. 53 Cost. poiché avrebbe l'effetto di far gravare la tassazione su un reddito lordo anziché netto, colpendo una capacità contributiva meramente figurativa.
3.- I due giudizi possono riunirsi poiché hanno ad oggetto disposizioni coincidenti, censurate in riferimento a parametri pressoché coincidenti.
4.- Preliminarmente, devono rigettarsi le eccezioni di inammissibilità proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
4.1.- L'Avvocatura generale eccepisce, anzitutto, l'inammissibilità delle questioni sollevate con le due ordinanze per insufficiente descrizione del quadro normativo. Oltre ad aver omesso la ricostruzione normativa relativa all'IMU, i rimettenti avrebbero anche trascurato di descrivere in modo adeguato la disciplina delle deduzioni dell'IMU dall'IRES, che sarebbe stata oggetto di numerose e successive modifiche. Le censure sarebbero, dunque, inammissibili, perché i giudici a quibus avrebbero dovuto confrontarsi non solo con l'evoluzione normativa che ha gradualmente previsto una parziale deducibilità dell'IMU dall'IRES fino al totale, ma anche con l'abbattimento della base imponibile dell'IMU determinato dallo scorporo dalla rendita catastale della componente produttiva.
Queste eccezioni non sono fondate.
Questa Corte ha chiarito che le carenze ricostruttive della normativa rilevante sono preclusive all'esame del merito delle questioni solo quando la ricostruzione «non consente di comprendere le ragioni per le quali il giudice a quo ritiene di dover applicare la disposizione oggetto di censura» (ex plurimis, sentenza n. 213 del 2022).
I rimettenti, tuttavia, si sono diffusamente confrontati con l'evoluzione normativa della disciplina relativa alle deduzioni dell'IMU dall'IRES. Peraltro, ai fini dell'odierno giudizio di legittimità costituzionale, l'evoluzione della normativa relativa all'IMU può ritenersi acquisita, in quanto oggetto di compiuta ricognizione da parte della sentenza n. 262 del 2020 e non direttamente rilevante ai fini della questione sulla deducibilità al 20 per cento dell'IMU dal calcolo dell'IRES.
Nel caso di specie, è ben chiaro che per gli anni di imposta presi a riferimento nei giudizi a quibus (ossia 2014-2015 e 2018), la normativa vigente prevede la deduzione dell'IMU al 20 per cento dalla base imponibile dell'IRES, coerentemente, quindi, alla disposizione censurata con entrambe le ordinanze.
4.2.- Anche l'eccezione di inammissibilità sollevata in riferimento alla sola ordinanza iscritta al n. 166 reg. ord. 2024 non è fondata.
Il giudice rimettente ha individuato per la disposizione censurata vizi analoghi a quelli dedotti in passato per la diversa norma che prevedeva l'indeducibilità totale e che avevano condotto questa Corte, con la sentenza n. 21 del 2024, a dichiarare l'inammissibilità della questione allora sollevata per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza. Egli, purtuttavia, ha motivato anche sulla asserita irragionevolezza e non proporzionalità della scelta del legislatore di individuare nella misura del 20 per cento la deducibilità di un costo certo dall'imponibile, affermando che, nel caso di specie, il costo non integralmente deducibile è costituito da un'imposta certa, applicata in relazione al possesso di immobili, riferita a beni rispetto ai quali non sono prospettabili dubbi di inerenza, e non presenterebbe alcun rilevante costo di accertamento, rispetto al quale non possono immaginarsi fenomeni di evasione o elusione.
La valutazione di tali motivazioni - più che sufficienti ai fini del vaglio di ammissibilità - attiene al merito delle questioni.
5.- Le censure sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 23, 41 e 53 Cost. non sono fondate.
Occorre ricordare che l'originaria e previgente disciplina dell'indeducibilità totale dell'IMU per i beni strumentali dalla base imponibile dell'IRES - dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte con la sentenza n. 262 del 2020 - si poneva all'interno di un complesso disegno normativo, oggetto di uno sviluppo disorganico, culminato in un particolare aggravio della pressione fiscale a carico delle imprese proprietarie di immobili strumentali.
Sin dal 2013 il legislatore aveva gradualmente mitigato questo effetto. Già nell'incipit dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito, con modificazioni, nella legge 18 luglio 2013, n. 85, significativamente affermava di aver adottato tale decreto «[n]elle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare [...] volta, in particolare, a riconsiderare l'articolazione della potestà impositiva a livello statale e locale, e la deducibilità ai fini della determinazione del reddito di impresa dell'imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attività produttive».
Il primo intervento concreto del legislatore volto a rimediare agli effetti prodotti dall'originario art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011, che prevedeva la totale indeducibilità dell'IMU, è rappresentato proprio dall'art. 1, commi 715 e 716, della legge n. 147 del 2013: il comma 715 stabilisce che «[i]l comma 1 dell'articolo 14 del decreto legislativo [1]4 marzo 2011, n. 23, è sostituito dal seguente: "1. L'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali è deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni nella misura del 20 per cento"»; il successivo comma 716 prevede che «[l]a disposizione in materia di deducibilità dell'imposta municipale propria ai fini dell'imposta sui redditi, di cui al comma 715, ha effetto a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013. Per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, l'aliquota di cui al comma 715 è elevata al 30 per cento».
Sono poi seguite ulteriori modifiche.
L'art. 1, comma 12, della legge n. 145 del 2018 ha innalzato al 40 per cento la percentuale di deducibilità dell'IMU a decorrere dal 1° gennaio 2019 (decorrenza stabilita dall'art. 19, comma 1, della medesima legge n. 145 del 2018).
In effetti questa disposizione non è mai stata applicata, poiché prima con l'art. 3, comma 1, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito e, poi, con l'art. 1, commi 4, 772 e 773, della legge n. 160 del 2019, le percentuali sono state rimodulate nei seguenti termini: 50 per cento per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018; 60 per cento per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019; 60 per cento per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2020; 100 per cento per i periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2021.
Ebbene, la descritta evoluzione normativa rende evidente come l'indeducibilità totale dell'IMU ai fini delle imposte erariali sui redditi, dato il forte impatto sul sistema delle imprese, sia stato un tema ben presto oggetto di attenzione da parte del legislatore.
Questa Corte, del resto, nella sentenza n. 262 del 2020, ha già dato atto del citato ripensamento del legislatore statale rispetto alla disciplina originaria che prevedeva l'indeducibilità totale dell'IMU sui beni strumentali dalla base imponibile dell'IRES, prendendo atto del percorso da questo progressivamente svolto, nel rispetto delle esigenze di equilibrio del bilancio (art. 81 Cost.), dell'opportunità di giungere alla totale deducibilità (prevista a partire dal 2022 ai sensi del richiamato art. 1, comma 773, della legge n. 160 del 2019).
Nella fattispecie oggi all'esame, relativa alla parziale deducibilità dell'IMU dalla base imponibile ai fini del calcolo dell'IRES, la successione di norme che tra il 2013 ed il 2022 ha portato alla deducibilità totale dell'IMU, appare quindi il frutto di un contemperamento non irragionevole fra esigenze di bilancio e di coerenza del sistema tributario complessivo, senza trascurare quelle delle imprese proprietarie di immobili strumentali. La disposizione censurata rappresenta, infatti, il primo passo di un adeguamento graduale effettivamente compiuto dal legislatore per ovviare agli effetti distorsivi di un'articolata riforma del sistema impositivo degli enti locali.
Non è fondata, quindi, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall'art. 1, comma 715, con gli effetti stabiliti dal successivo comma 716, della legge n. 147 del 2013 relativamente al regime di deducibilità al 20 per cento dell'IMU sui beni strumentali dall'IRES.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come sostituito dall'art. 1, comma 715, con gli effetti stabiliti dal successivo comma 716, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», sollevate, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 23, 41 e 53 della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari, sezione prima, e dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, sezione dodicesima, con le ordinanze indicate in epigrafe.