Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 21 maggio 2025, n. 4346

Presidente: Greco - Estensore: Pescatore

FATTO E DIRITTO

1. Nel giudizio di primo grado definito con la sentenza qui gravata la ricorrente, cittadina marocchina, ha impugnato il provvedimento [omissis] con il quale la Polizia di frontiera all'aeroporto di Malpensa ne ha disposto il respingimento dopo aver annullato il visto di ingresso per lavoro subordinato rilasciatole [omissis] dalla rappresentanza consolare italiana a Casablanca.

2. La duplice misura (di annullamento e respingimento) è stata giustificata sulla base del fatto che nel corso del colloquio con gli agenti di frontiera la donna non sarebbe stata in grado di fornire indicazioni minime né sulle finalità e sulle condizioni del suo soggiorno in Italia, né sulla tipologia del lavoro che sarebbe andata a svolgere.

3. Con cinque motivi di doglianza la ricorrente ha censurato anzitutto il provvedimento di annullamento del visto (antecedente logico del conseguente respingimento) in quanto, a suo dire:

i) carente dei "fondati motivi" che ai sensi dell'art. 34 del regolamento UE n. 810/2009 (c.d. codice dei visti) avrebbero potuto giustificarlo;

ii) recante una motivazione generica e stereotipata;

iii) contraddetto dalla verifica sui requisiti per il conseguimento del visto già in precedenza svolta dalla rappresentanza consolare di Casablanca;

iv) viziato dall'incompetenza del firmatario ispettore di polizia, trattandosi di atto rimesso alla competenza del dirigente;

v) ulteriormente viziato dalla violazione delle garanzie partecipative stabilite dalla l. n. 241/1990.

3.1. ll T.A.R. per il Lazio ha tuttavia ritenuto:

- che il potere della polizia di frontiera di controllare i fatti posti a base del visto ed eventualmente di annullarlo trova fondamento normativo nelle previsioni di cui agli artt. 12, 14, lett. d), e 21 del regolamento UE n. 810/2009 (c.d. codice dei visti) e all'art. 10 del d.lgs. n. 286/1998;

- che il tenore congiunto di tali norme è «tale da imporre alla polizia di frontiera - anche a prescindere dalla pregressa concessione del visto in favore della ricorrente - la valutazione del cosiddetto "rischio migratorio", che si connota in chiave discrezionale e che nella specie è stata compiuta in modo esente da mende»;

- che "i) gli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato risultano di consistenza tale da sostanziare la sussistenza del rischio migratorio; ii) la valutazione di quest'ultimo compiuta nella specie risulta immune da profili di erroneità e illogicità manifesti";

- che «l'atto impugnato è stato redatto conformemente alla predetta modulistica, avendo l'Amministrazione chiaramente indicato - barrando le apposite "caselle" predisposte in conformità del modulo stesso - le motivazioni poste a base dell'annullamento del visto. Il provvedimento impugnato, ove fa riferimento ad elementi rivelatori dell'esistenza di un rischio migratorio, deve dunque ritenersi correttamente motivato, alla luce di quanto richiesto dalla richiamata disciplina sovraordinata cui lo Stato italiano deve attenersi»;

- che "la ricorrente (...) si è limitata ad assumere, sulla base del mero dato formale della qualifica rivestita dal firmatario, la sua incompetenza ad adottare l'atto, senza peritarsi di verificare, come pure avrebbe potuto tramite l'accesso agli atti, se lo stesso fosse stato comunque depositario, anche in virtù di una semplice delega, del relativo potere";

- che "nel corso del controllo sfociato nell'atto gravato, ha avuto luogo la diretta interlocuzione con l'interessata, che in tal modo è stata resa edotta delle circostanze riscontrate e ha avuto modo di interloquire sulle stesse" mentre nel corso del giudizio "non è stata in grado di individuare il benché minimo elemento sostanziale dotato del necessario spessore per infirmare le risultanze poste a base dell'atto impugnato".

3.2. Sul provvedimento di respingimento il T.A.R. si è invece dichiarato sprovvisto di giurisdizione, trattandosi a suo dire di materia rimessa all'autorità giudiziaria ordinaria in quanto impattante su profili aventi consistenza di diritto soggettivo.

4. In questa sede l'appellante ribadisce:

- l'incompetenza della Polizia di frontiera ad assumere gli atti contestati, stante l'insussistenza del suo preteso potere a verificare i presupposti del visto consolare rilasciato dal Consolato italiano all'esito di una lunga istruttoria, nel corso della quale la richiedente è stata sottoposta "ad intervista" per accertare proprio la consapevolezza del tipo e del luogo di svolgimento del suo prossimo lavoro, nonché la conoscenza della lingua italiana;

- l'assenza di giustificazione al ritiro del visto, posto che questa misura implica l'assenza delle condizioni originarie di rilascio mentre nel caso di specie nessun elemento contrasterebbe la veridicità dell'instaurando rapporto di lavoro;

- la competenza alla revoca del dirigente dell'ufficio di Polizia di frontiera e non dell'Ispettore e, comunque, la sussistenza in capo all'Amministrazione chiamata in giudizio dell'onere di provare il fondamento del potere in capo al dipendente che ha firmato l'atto impugnato ovvero, in alternativa, l'esistenza di una valida e legittima delega di competenze, onere in questo caso non assolto;

- la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sul respingimento, in forza dell'art. 10, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286/1998 recentemente introdotto dal d.l. 13 giugno 2023, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 10 agosto 2023, n. 103, secondo il quale "Contro i provvedimenti di respingimento alla frontiera di applicazione immediata adottati ai sensi del comma 1 è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio di polizia di frontiera che ha disposto il respingimento. La procura al difensore può essere rilasciata innanzi all'autorità consolare italiana competente per territorio".

5. La causa d'appello, nel corso della quale si è costituito il Ministero dell'interno svolgendo deduzioni in replica a quelle avversarie, ha visto la reiezione dell'istanza cautelare (ordinanza n. 1535 del 2024) ed è quindi giunta in decisione all'udienza pubblica del 15 maggio 2025.

6. L'appello è in parte meritevole di accoglimento, potendo al riguardo osservarsi:

a) che è certamente infondato l'ultimo motivo di appello, con il quale si censura la declaratoria di parziale inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione con riferimento all'impugnazione del respingimento alla frontiera, atteso che il comma 1-bis dell'art. 10 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (invocato dall'appellante), è stato introdotto dal d.l. 13 giugno 2023, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 10 agosto 2023, n. 103, e pertanto è entrato in vigore successivamente all'adozione del provvedimento qui impugnato [omissis], restando dunque applicabile il pregresso indirizzo che individuava in materia la giurisdizione del giudice ordinario (cfr. Cass. civ., Sez. un., 17 giugno 2013, n. 15115);

b) che, quanto all'annullamento del visto di ingresso di cui l'odierna appellante disponeva, sussistono invece profili di fondatezza dell'impugnativa.

6.1. Va premesso che sul punto della competenza della Polizia di frontiera ad annullare in sede di controlli in ingresso un visto d'ingresso rilasciato previa istruttoria dall'Autorità consolare non si registra specifica giurisprudenza di questa Sezione, mentre dalla modulistica nella specie impiegata emergerebbe una prassi in tal senso in qualche modo avallata da sentenze di primo grado intervenute su fattispecie analoghe, che tuttavia non hanno mai affrontato funditus la questione.

6.2. Ciò posto, il Collegio ritiene che - quanto meno nella specie - le norme richiamate dall'Amministrazione e dalla sentenza appellata non diano indicazioni certe sotto quest'ultimo profilo, e anzi depongano in senso contrario all'affermazione di competenza della Polizia di frontiera, potendo al riguardo osservarsi:

i) che l'art. 34 del regolamento 810/2009/CE si limita ad attribuire il potere di annullamento di un visto già rilasciato (come quello di revoca) "in via di principio" alla medesima autorità che lo ha rilasciato, il che tenderebbe a deporre per la competenza dell'Autorità consolare tranne negli specifici ed eccezionali casi - che qui non ricorrono - in cui il medesimo regolamento consente il rilascio del visto direttamente alla frontiera (artt. 35 e 36);

ii) che gli artt. 12 e 14 del medesimo regolamento (pure invocati dall'Amministrazione resistente) non sono pertinenti, afferendo alla fase istruttoria condotta dalla Autorità consolare sulla domanda di visto, mentre il successivo art. 21 concerne proprio l'esame dei presupposti per l'ingresso sul territorio nazionale da parte della medesima Autorità sempre in sede di istruttoria sul rilascio del visto;

iii) quanto alla normativa interna, principiando dalle norme richiamate nel provvedimento impugnato, che l'art. 4 del d.lgs. n. 286/1998 (al pari degli artt. 5, 6 e 6-bis del d.P.R. n. 394/1999) stabilisce il principio della competenza al rilascio del visto di ingresso in capo alle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o di stabile residenza dello straniero - disciplinando anche il caso della domanda inammissibile per falsità delle attestazioni addotte a suo sostegno - mentre nulla dice in ordine al tema specifico della revoca del visto; quanto all'art. 5, comma 8-bis, esso concerne la sanzione penale della diversa ipotesi, qui non sussistente, della contraffazione o alterazione del visto d'ingresso, e pertanto non legittima l'attribuzione alla Polizia di frontiera di un potere di "riesame" dei presupposti già vagliati dall'Autorità consolare;

iv) che, per quanto riguarda l'art. 10 dello stesso decreto, richiamato dal T.A.R. (e anche, sia pure curiosamente, dalle altre sentenze che si sono occupate di fattispecie analoghe), questo concerne in generale i controlli alla frontiera e i respingimenti ma non sembra legittimare l'attribuzione alla Polizia di frontiera di un generale potere di riesame e annullamento sui visti di ingresso rilasciati dalle Autorità consolari.

Il T.A.R. cita anche una circolare del Ministero dell'interno n. 2220 del 2 aprile 2010, ma si tratta di un'evidente svista, perché tale circolare - reperibile su internet - in parte qua disciplina esclusivamente le attività della Polizia di frontiera in relazione ai visti rilasciati alle frontiere esterne, ai sensi dell'art. 35 del regolamento, ivi compreso il potere di revoca e annullamento degli stessi, e pertanto non è pertinente alla presente fattispecie;

v) che neppure le sentenze e i pareri richiamati al riguardo nella sentenza appellata sono calzanti, afferendo tutti a fattispecie di diniego di visto opposto dall'Autorità consolare all'esito della prima istruttoria della domanda (allorché certamente c'è il potere, su cui il T.A.R. insiste, di verificare la sussistenza del c.d. "rischio migratorio");

vi) che, pertanto, il provvedimento impugnato - e la sentenza di primo grado che ha respinto l'impugnazione - è illegittimo nella misura in cui sottende un'interpretazione della normativa interna (interpretazione, peraltro, molto "libera", considerati i dati testuali richiamati) che legittima un annullamento da parte dell'Autorità di polizia di un visto d'ingresso rilasciato dall'Autorità consolare, in contrasto con l'assetto delle competenze riveniente dalla sovraordinata normativa dell'Unione europea.

7. Le argomentazioni che precedono sono di per sé sufficienti a fondare l'accoglimento dell'appello, con assorbimento delle ulteriori ragioni articolate nel merito dell'annullamento (effettivamente è verosimile che l'odierna appellante, non conoscendo la lingua italiana, non sia stata in grado nell'immediatezza di rispondere alle domande che la Polizia di frontiera le rivolgeva con riguardo al visto d'ingresso già rilasciatole).

8. In riforma della sentenza impugnata, va quindi accolto il ricorso di primo grado e annullato l'atto con esso impugnato.

9. La novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese relative al doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l'atto con esso impugnato.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 9, par. 1, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. III, sent. n. 1856/2024.