Corte costituzionale
Sentenza 20 giugno 2025, n. 83

Presidente: Amoroso - Redattore: Petitti

[...] nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 583-quinquies del codice penale, inserito dall'art. 12, comma 1, della legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), promossi con ordinanze del 7 luglio 2023 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Taranto, del 14 ottobre 2024 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bergamo e del 20 gennaio 2025 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Catania, iscritte rispettivamente ai numeri 128 e 227 del registro ordinanze 2024 e al n. 14 del registro ordinanze 2025 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, numeri 27 e 51, dell'anno 2024 e n. 7 dell'anno 2025.

Visti l'atto di costituzione di M. L., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 2025 il Giudice relatore Stefano Petitti;

udito l'avvocato dello Stato Salvatore Faraci per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2025.

RITENUTO IN FATTO

1.- Con ordinanza del 7 luglio 2023, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 2024, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 583-quinquies del codice penale, inserito dall'art. 12, comma 1, della legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), nella parte in cui punisce con la reclusione da otto a quattordici anni, anziché da sei a quattordici anni - ovvero, in subordine, da quattro a quattordici anni -, la causazione di lesione personale «dalla quale deriva uno sfregio permanente del viso e non una deformazione del viso».

Il rimettente espone di dover giudicare M. L., imputato del reato di cui all'art. 583-quinquies cod. pen. per aver cagionato a C. B. una lesione personale dalla quale è derivata, quale sfregio permanente del viso, come accertato in sede peritale, una cicatrice chirurgica irreversibile, sotto la palpebra dell'occhio destro, lunga cinque-sei centimetri e larga un millimetro.

Rammentato che, prima dell'inserimento della norma censurata, che ne ha fatto oggetto di una fattispecie autonoma di reato, lo sfregio permanente del viso integrava la circostanza aggravante del reato di lesione personale, di cui all'art. 583, secondo comma, numero 4), cod. pen., per la quale era prevista la pena della reclusione da sei a dodici anni, il giudice a quo deduce l'eccessività del nuovo minimo edittale di otto anni di reclusione.

Esso sarebbe infatti riferibile anche al «più lieve degli sfregi», molto meno grave della deformazione del viso, sanzionata con uguale pena dallo stesso art. 583-quinquies, nonché delle lesioni tuttora oggetto delle aggravanti di cui ai numeri 1), 2) e 3) del secondo comma dell'art. 583 cod. pen. (malattia insanabile, perdita di un senso, di un arto, di un organo o della capacità di procreare), e altresì della mutilazione degli organi genitali femminili, punita dall'art. 583-bis, primo comma, cod. pen. con la reclusione da quattro a dodici anni.

L'eccessività del minimo edittale per il titolo autonomo di reato di cui all'art. 583-quinquies cod. pen. sarebbe esacerbata dall'impraticabilità delle operazioni di bilanciamento, viceversa possibili per le circostanze aggravanti di cui all'art. 583, secondo comma, cod. pen.

Il giudice a quo intende rimarcare come «la necessità di combattere vigorosamente il fenomeno della violenza di genere» non possa giustificare «irragionevoli diversità di trattamento», atteso peraltro che le fattispecie di delitto previste dall'art. 583-quinquies cod. pen. possono verificarsi anche al di fuori delle ipotesi di violenza di genere, «o comunque anche laddove la persona offesa non versi in condizioni di particolare vulnerabilità».

Sarebbe comunque irragionevole «che il vero e proprio "deturpamento" del volto di un individuo - fatto estremamente invalidante - sia punito con una sanzione minima esattamente pari a quella stabilita per gli sfregi di non particolare entità offensiva».

Richiamata la giurisprudenza di questa Corte sul sindacato di ragionevolezza dei trattamenti sanzionatori penali, e ricordata in particolare la sentenza n. 40 del 2019, il rimettente assume che la «cornice edittale estremamente alta», di cui all'art. 583-quinquies cod. pen., «sia intrinsecamente irragionevole», poiché «inevitabilmente comporta che i più lievi fra i fatti appartenenti alla classe di condotte penalmente rilevanti di "causazione violenta di sfregi permanenti al volto" siano puniti con pene che sarebbero idonee a punire fatti appartenenti alla medesima classe di condotte connotati da ben maggiore offensività».

Insieme all'art. 3 Cost., sarebbe violato anche l'art. 27 Cost., sotto il profilo della funzione della pena, giacché «una pena sproporzionata appare inidonea a sortire validi effetti rieducativi».

In via principale, il giudice a quo chiede, per la fattispecie di sfregio permanente non integrante deformazione del viso, un «ritorno» al precedente minimo di sei anni di reclusione, stabilito dall'art. 583, secondo comma, cod. pen.

In via subordinata, egli chiede di estendere alla fattispecie medesima il minimo di quattro anni di reclusione, stabilito dall'art. 583-bis, primo comma, dello stesso codice per le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili.

1.1.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi la manifesta inammissibilità o, comunque, la manifesta infondatezza delle questioni.

L'inammissibilità deriverebbe dall'inadeguata motivazione sulla rilevanza, poiché il giudice a quo non avrebbe chiarito le ragioni per le quali il fatto sottoposto alla sua valutazione dovrebbe rientrare nella nuova fattispecie incriminatrice, sicché la proposta censura risulterebbe «meramente ipotetica ed astratta».

La non fondatezza sarebbe palese sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca della scelta incriminatrice, «avuto riguardo alla particolar[e] gravit[à] di una condotta che lede non solo l'integrità fisica ma la stessa individualità e dignità della vittima, incidendo sulla sua immagine, ovvero ciò che costituisce veicolo essenziale nei rapporti interpersonali».

I tertia comparationis sarebbero poi eterogenei, del tutto inconferente il richiamo al delitto di mutilazione degli organi genitali femminili, né appropriato quello alle lesioni gravissime ex art. 583, secondo comma, cod. pen., queste ultime non evidenziando il quid pluris che definisce in termini di speciale gravità il reato di cui alla norma censurata, vale a dire la lesione dell'identità sociale della persona offesa.

Infine, il «(doppio) petitum» avanzato dal rimettente - minimo edittale di sei anni oppure, in subordine, quattro anni - collocherebbe le sollevate questioni nel perimetro delle opzioni discrezionali del legislatore.

1.2.- Si è costituito in giudizio M. L., sollecitando l'accoglimento delle questioni.

La parte insiste sull'irrigidimento sanzionatorio causato dall'inapplicabilità del giudizio di bilanciamento, determinata dalla trasformazione della circostanza aggravante dello sfregio del viso in fattispecie autonoma di reato.

Nel richiamare la giurisprudenza di questa Corte sulla proporzionalità della pena (sono citate, in particolare, le sentenze n. 236 del 2016 e n. 40 del 2019), la parte assume che la sproporzione del trattamento sanzionatorio del nuovo titolo di reato, oltre che dall'incremento dei valori edittali, sia altresì indotta dalla pena accessoria fissa di cui al secondo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen. e dall'inserimento della nuova fattispecie criminosa tra quelle ostative di cui all'art. 4-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).

2.- Con ordinanza del 14 ottobre 2024, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 2024, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bergamo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 583-quinquies, commi primo e secondo, cod. pen., nella parte in cui punisce con la reclusione da otto a quattordici anni, anziché da quattro a dodici anni, la causazione di uno sfregio permanente del viso «privo di efficacia deformante» e nella parte in cui prevede la pena accessoria dell'interdizione perpetua dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno.

Con la stessa ordinanza, il GUP del Tribunale di Bergamo ha sollevato, in riferimento agli stessi parametri, questioni di legittimità costituzionale della medesima norma, nella parte in cui prevede la reclusione da otto a quattordici anni, anziché da sei a dodici anni, e nella parte in cui commina la menzionata pena accessoria perpetua, per la causazione di una deformazione o di uno sfregio permanente del viso, qualora il fatto non sia commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

Il rimettente espone di dover giudicare I. F. e altri, imputati del reato di cui agli artt. 583-quinquies e 585, commi primo e secondo, cod. pen. per aver, in concorso tra loro e con un minore, cagionato ad A. Z. uno sfregio permanente del viso, consistente in una cicatrice mascellare destra, con le aggravanti di avere commesso il fatto in più persone riunite e con l'uso di un'arma.

Il giudice a quo deduce che, partendo dal minimo edittale di otto anni di reclusione, pur riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, e applicata la diminuente per il rito abbreviato, agli imputati, tutti incensurati, dovrebbe irrogarsi la pena di tre anni, sei mesi e venti giorni di reclusione, oltre che la pena accessoria perpetua, trattamento sanzionatorio, a suo avviso, manifestamente sproporzionato.

Il minimo edittale di otto anni di reclusione - osserva il rimettente - è sedici volte superiore a quello del reato-base di cui all'art. 582, primo comma, cod. pen., un terzo superiore a quello delle lesioni gravissime di cui all'art. 583, secondo comma, cod. pen., che pure già sanziona fattispecie di rilevanza almeno pari alla deformazione o allo sfregio del viso, infine superiore del doppio rispetto al minimo previsto dall'art. 583-bis, primo comma, cod. pen. per il delitto di mutilazione degli organi genitali femminili.

Sarebbe peraltro irragionevole sia l'equiparazione sanzionatoria operata dall'art. 583-quinquies cod. pen. tra sfregio e deformazione, sia che una pena tanto elevata, introdotta con finalità di contrasto alla violenza familiare e di genere, si applichi anche qualora i fatti - come nel caso di specie - non siano connessi a dinamiche di tale natura.

Oltre all'art. 3 Cost., la sproporzione e la rigidità del trattamento sanzionatorio, altresì aggravato dalle ricadute di cui all'art. 4-bis ordin. penit., violerebbero anche il principio di personalità e la finalità rieducativa della pena, di cui all'art. 27, commi primo e terzo, Cost.

Nemmeno potrebbe scongiurarsi il rischio che il trasgressore, «consapevole della pena draconiana» di cui alla norma censurata, «si determini ad attentare a zone del corpo della vittima differenti dal viso».

Violerebbe gli artt. 3 e 27 Cost., in particolare, la previsione della pena accessoria perpetua di cui al secondo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen., il cui carattere automatico precluderebbe ogni individualizzazione giudiziale, con conseguente parificazione di fatti-reato tra loro diversi per gravità.

Sarebbe inoltre ingiustificata la dimensione assistenziale e familiare di tale pena accessoria rispetto alle condotte di cui al censurato art. 583-quinquies cod. pen., che possono verificarsi anche al di fuori dell'ambito domestico e delle relazioni affettive.

Quanto ai petita, il GUP del Tribunale di Bergamo indica come soluzione principale l'estensione della cornice edittale prevista dall'art. 583-bis, primo comma, cod. pen. per il reato di mutilazione degli organi genitali femminili (da quattro a dodici anni); in subordine, e qualora i fatti non siano caratterizzati da violenza di genere, l'estensione della cornice edittale prevista dall'art. 583, secondo comma, cod. pen. per le lesioni gravissime (da sei a dodici anni).

Circa il secondo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen., il giudice rimettente invoca «un rimedio che consenta di calibrare la pena accessoria rispetto al trattamento sanzionatorio principale, rimuovendo la natura "perpetua" della sanzione ovvero ancorandola alle condotte commesse nella qualità di tutore, curatore o amministratore di sostegno».

2.1.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto delle questioni.

L'inammissibilità deriverebbe da difetto di rilevanza ed erronea ricostruzione del quadro normativo.

Ad avviso della difesa statale, «proprio dall'ordinanza emerge un fatto assai grave commesso da cinque persone in concorso, ai danni di una vittima immobilizzata, trattenuta e contestualmente colpita con calci e pugni da taluno dei correi, oltreché al volto con una bottiglia di vetro ad opera di altro correo, con esiti di evidente compromissione dell'aspetto del volto della vittima e tale da compromettere non solo il segno estetico ma tale da suscitare sentimenti negativi di disgusto, ripugnanza o pietà da parte di terzi».

Il rimettente non avrebbe poi considerato che l'assimilazione sanzionatoria delle condotte di sfregio e deformazione è giustificata dal dolo, che tutte le astringe quali elementi costitutivi della nuova fattispecie incriminatrice, mentre esse, nell'anteriore prospettiva della circostanza aggravante, potevano essere imputate anche a titolo di colpa, ai sensi dell'art. 59, secondo comma, cod. pen.

Circa la pena accessoria perpetua, non sarebbe indicata la durata che si assume costituzionalmente corretta, non potendosi ritenere conferente nella specie la disposizione generale dell'art. 29 cod. pen.

Gli argomenti per la non fondatezza delle questioni sono analoghi a quelli esposti in relazione alla precedente ordinanza di rimessione, focalizzati quindi sulla particolare gravità della condotta lesiva dell'altrui identità sociale e sull'eterogeneità dei dedotti tertia comparationis.

Non ricorrerebbe neppure la violazione dell'art. 27 Cost.; secondo la difesa statale, «non si ravvede la violazione del principio di rieducazione della pena non sussistendo, per l'appunto, alcuna sproporzione nella sanzione prevista dalla norma, sia nel minimo che nel massimo».

3.- Con ordinanza del 20 gennaio 2025, iscritta al n. 14 del registro ordinanze 2025, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Catania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 583-quinquies, commi primo e secondo, cod. pen., nella parte in cui stabilisce il minimo edittale di otto anni di reclusione «senza distinguere il primo tipo di lesione (deformazione) dal secondo (sfregio)» e nella parte in cui prescrive l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno «senza alcuna possibilità di graduazione».

Il rimettente espone di dover giudicare A. R., imputato del reato di cui all'art. 583-quinquies cod. pen. per aver cagionato a S. L. C., con un morso inflittogli nel corso di un alterco, durante una festa in piscina, lo sfregio permanente del viso, per avulsione parziale del padiglione auricolare destro, con l'aggravante dei futili motivi e con la recidiva reiterata.

Richiamata la differenza medico-legale tra i due eventi di danno, il giudice a quo denuncia come irragionevole che lo sfregio, lesione meno grave, sia punito al pari della deformazione, con ricadute sull'idoneità rieducativa della pena.

Vi sarebbe un vizio di sproporzione, in quanto, pur riconosciute le attenuanti generiche prevalenti e applicata la diminuente per il rito abbreviato, dovrebbe irrogarsi la pena di tre anni, sei mesi e venti giorni di reclusione, preclusiva del beneficio della sospensione condizionale, nonché obbligatoriamente accompagnata dalla pena accessoria perpetua; inoltre, per effetto dell'inclusione dell'art. 583-quinquies cod. pen. nel catalogo di cui all'art. 4-bis ordin. penit., «si aprirebbe comunque la strada della carcerazione anche per un soggetto, allo stato, incensurato».

3.1.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto delle questioni.

La questione sulla pena principale sarebbe manifestamente inammissibile per contraddittorietà, giacché l'ordinanza di rimessione definisce incensurato il prevenuto e al contempo informa essergli stata contestata la recidiva reiterata; manifestamente inammissibile, altresì, per erroneità nella ricostruzione del quadro normativo, essendovi trascurata la portata sistematica del dolo riguardo alle varie ipotesi previste dalla norma censurata.

Sarebbe manifestamente inammissibile anche la questione sulla pena accessoria, poiché sarebbe stata omessa una reale motivazione sui «termini e modi» della stessa, e omessa, inoltre, l'indicazione di una soluzione normativa costituzionalmente adeguata.

Le censure sarebbero comunque manifestamente infondate - anche qui, come per le altre due ordinanze di rimessione - a motivo della disomogeneità dei tertia comparationis e per la non irragionevolezza dell'inasprimento sanzionatorio, operato dalla norma censurata in proporzione alla specifica gravità delle condotte lesive dell'immagine personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Con le ordinanze indicate in epigrafe, i Giudici dell'udienza preliminare dei Tribunali di Taranto, Bergamo e Catania hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 583-quinquies cod. pen., come inserito dall'art. 12, comma 1, della legge n. 69 del 2019, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.

Tutti i rimettenti censurano il primo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen., riguardo alla pena principale che esso stabilisce per il reato di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; i GUP dei Tribunali di Bergamo e Catania censurano, altresì, il secondo comma della medesima disposizione, che commina, per lo stesso reato, una pena accessoria fissa e perpetua.

1.1.- I giudici a quibus reputano irragionevole e sproporzionata la pena principale, stabilita dall'art. 583-quinquies cod. pen. nella forbice da otto a quattordici anni di reclusione, sia perché non distingue tra lo sfregio permanente e la deformazione del viso, che pure sono lesioni di diversa gravità, sia perché sarebbe eccessiva rispetto ad altri fatti-reato di non minore incidenza personale e tuttavia sanzionati con pene inferiori (lesioni gravissime ex art. 583, secondo comma, cod. pen. e mutilazione degli organi genitali femminili ex art. 583-bis, primo comma, dello stesso codice).

Tutti i rimettenti deducono che una pena siffatta verrebbe percepita dal condannato come ingiusta e sarebbe quindi incapace di assolvere alla funzione rieducativa.

Il GUP del Tribunale di Bergamo assume, poi, che una sanzione così elevata non si giustifichi nelle ipotesi in cui l'aggressione al volto non sia commessa dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, quindi laddove il fatto di reato non integri quella violenza domestica o di genere che la legge n. 69 del 2019 era intesa a contrastare.

1.2.- I GUP dei Tribunali di Bergamo e Catania si dolgono, inoltre, che la pena accessoria stabilita dal secondo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen., ovvero l'interdizione perpetua dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno, essendo fissa e automatica, non consenta alcuna graduazione applicativa, costituzionalmente necessaria.

Il GUP del Tribunale di Bergamo lamenta altresì un difetto di congruità, essendo tale pena accessoria obbligatoria anche ove il reato non sia stato commesso all'interno di dinamiche familiari e affettive, rispetto alle quali soltanto avrebbe invece senso l'interdizione da uffici assistenziali, quali tutela, curatela e amministrazione di sostegno.

1.3.- I giudizi hanno a oggetto questioni largamente sovrapponibili e devono essere pertanto riuniti ai fini della decisione.

2.- Intervenuto nei tre giudizi incidentali tramite l'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato alcune eccezioni di inammissibilità, le quali vertono tuttavia sul merito dei giudizi medesimi, o finanche sul merito dei giudizi principali.

In particolare, che il fatto contestato agli imputati sia sussumibile in concreto nella fattispecie incriminatrice dell'art. 583-quinquies cod. pen. o che sia tanto grave in concreto da giustificare la severità della pena minima stabilita dal legislatore o, ancora, che l'imputato sia, nella specie, incensurato o recidivo, sono tutti profili che restano nella sfera di dominio dei giudici a quibus.

D'altro canto, attiene al merito delle questioni di legittimità costituzionale l'argomento per cui il dolo, quale elemento costitutivo del reato ex art. 583-quinquies cod. pen., giustificherebbe sia la parificazione sanzionatoria che tale norma opera tra le condotte di sfregio permanente e quelle di deformazione, sia la maggior asprezza del loro comune trattamento penale rispetto alle altre lesioni gravissime.

E investe il merito dell'incidente di costituzionalità anche l'eccezione della difesa statale relativa alla mancata indicazione di una soluzione costituzionalmente adeguata in ordine alla durata della pena accessoria. Tale eccezione, infatti, non considera che i rimettenti hanno ipotizzato anche una pronuncia ablativa che elimini del tutto la pena accessoria, di modo che la ricerca di una "linea interna" sul quantum si imporrà solo nel caso in cui risulterà necessaria in chiave sostitutiva.

Per tali ragioni, tutte le eccezioni di inammissibilità non sono fondate.

3.- All'esame del merito delle questioni giova premettere un excursus sulla nozione pretoria e sull'evoluzione normativa dello sfregio permanente e della deformazione del viso, quali eventi del reato di lesione personale.

3.1.- Il codice penale del 1889 disciplinava lo «sfregio permanente del viso» e la «permanente deformazione del viso» come circostanze aggravanti del reato di lesione personale, ma stabiliva, per esse, pene molto diverse, anzi sequenziali, giacché l'una iniziava dove finiva l'altra: per lo sfregio reclusione da uno a cinque anni, da cinque a dieci anni per la deformazione (art. 372, secondo comma, rispettivamente numeri 1 e 2).

Il codice penale del 1930 ha mantenuto la qualificazione circostanziale, ma ha unificato la pena, sicché, fino alla novella del 2019, «la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso» hanno entrambi comportato l'applicazione della reclusione da sei a dodici anni (art. 583, secondo comma, numero 4).

Nel giustificare la parificazione - e con pena maggiorata - di due fattispecie di differente gravità, il Guardasigilli addusse ragioni di politica criminale, l'intenzione di perseguire con il massimo rigore le lesioni di sfregio, espressione di una caratteristica forma di delinquenza, che diceva tipica di alcune regioni d'Italia.

3.2.- Malgrado l'equiparazione legislativa, la giurisprudenza di legittimità non ha mai deviato dal concetto che la deformazione sia offesa più grave dello sfregio, perché l'una è un'alterazione profonda della simmetria del volto, tale da causare un vero e proprio sfiguramento, mentre l'altro è un nocumento che turba l'armonia del viso, l'euritmia delle sue linee, pur senza deformarlo (Corte di cassazione, quarta sezione penale, sentenza 4 luglio-22 novembre 2000, n. 12006); accertata la sussistenza di una deformazione del viso, ogni questione sullo sfregio resta assorbita (Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 21 marzo-18 luglio 2024, n. 29270).

3.3.- Il comma 1 dell'art. 12 della legge n. 69 del 2019 (nota come "legge sul codice rosso") ha inserito l'art. 583-quinquies cod. pen., mentre il comma 3 dello stesso art. 12 ha abrogato il numero 4) dell'art. 583, secondo comma, cod. pen., in tal modo delineandosi un'operazione di trasformazione della pregressa circostanza aggravante di deformazione o sfregio in un titolo autonomo di reato (Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 6 novembre 2024-17 gennaio 2025, n. 2051).

Nonostante la rubrica dell'art. 583-quinquies («Deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso») possa lasciar intendere, a prima vista, che la norma riguardi unicamente la deformazione, e non anche lo sfregio, il testo chiarisce, al primo comma, di riferirsi a entrambi gli eventi, che esso dispone in relazione di alternatività, evidenziata dalla disgiuntiva «o» («lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso»).

La giurisprudenza di legittimità ha quindi messo in luce un rapporto di continuità normativa tra la precedente circostanza aggravante e la nuova fattispecie incriminatrice, quella divenuta elemento costitutivo di questa: anche nell'art. 583-quinquies cod. pen., com'era nell'art. 583, secondo comma, cod. pen., lo sfregio è ipotesi a sé rispetto alla deformazione (Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 23 gennaio-13 febbraio 2024, n. 6401).

Per quanto introdotto da una legge dichiaratamente finalizzata a contrastare la violenza domestica e di genere, l'art. 583-quinquies cod. pen. descrive tuttavia un reato comune, e infatti non indica il genere della persona offesa, né l'ambito della condotta, mentre la concreta riferibilità della condotta stessa a contesti di violenza soggettivamente qualificata integra specifiche circostanze aggravanti del nuovo titolo di reato (Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 1° dicembre 2023-22 febbraio 2024, n. 7728).

Oltre che reato comune, quello di nuovo conio è un reato a forma libera, nonostante il legislatore del 2019 abbia verosimilmente inteso reagire ai frequenti episodi di sfiguramento per getto di acidi (cosiddetto vitriolage o acid throwing); invero, poiché nell'art. 583-quinquies cod. pen. il verbo «cagiona» non reca alcuna specificazione, il mezzo offensivo non fa parte degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice, rispetto alla quale l'uso di sostanze corrosive rappresenta una circostanza aggravante (art. 585, primo comma, cod. pen., come modificato dall'art. 12, comma 4, della legge n. 69 del 2019).

3.4.- La severità del trattamento sanzionatorio della nuova fattispecie delittuosa è resa più incisiva - oltre che dalla sottrazione della stessa al giudizio di bilanciamento tra circostanze, com'è proprio dell'autonomia del titolo di reato - dall'inserimento dell'art. 583-quinquies cod. pen. negli elenchi di cui all'art. 4-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, ordin. penit., sui cui effetti de libertate insistono i rimettenti e la parte costituita in giudizio.

Il quadro è completato dalla pena accessoria dell'interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno, prevista dal secondo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen., che, a differenza di altre ipotesi (art. 583-bis, quarto comma, numero 2, cod. pen.), non è connessa al pregresso esercizio di tali uffici.

4.- Venendo al merito delle questioni sulla pena principale, di cui al primo comma della disposizione censurata, deve rilevarsi che le argomentazioni dei rimettenti, pur essendo volte a individuare una diversa, e inferiore, cornice edittale (quanto meno per il minimo della pena), pongono a questa Corte il tema della eccessività e della rigidità del nuovo trattamento sanzionatorio rispetto alla varietà delle condotte e degli eventi che rientrano nell'ambito di applicazione della citata disposizione.

Nei termini che seguono, le questioni sono fondate.

4.1.- L'inasprimento sanzionatorio operato dal legislatore con la trasformazione dello sfregio e della deformazione da circostanze aggravanti del reato di lesione a fattispecie delittuosa autonoma - trasformazione non posta in discussione dagli stessi rimettenti - corrisponde a una valida ratio di tutela della persona, attesa la dimensione relazionale e identitaria del volto di ciascuno.

Non può d'altronde sottovalutarsi il rilievo - sul quale ha giustamente insistito la difesa statale - che gli eventi in questione, quali elementi costitutivi di un autonomo reato doloso, sono oggi imputabili esclusivamente a titolo di dolo (per quanto generico), mentre, da circostanze aggravanti, lo erano anche a titolo di colpa, ai sensi dell'art. 59, secondo comma, cod. pen.

4.2.- L'obiettivo di assicurare una protezione specifica al tratto della personalità e della stessa identità che si manifesta nei lineamenti del viso è in grado di giustificare - dall'angolatura della discrezionalità legislativa - l'uguale trattamento penale riservato, sul piano delle misure edittali, a eventi di differente gravità, quali sono lo sfregio e la deformazione.

Il fatto stesso che tale unificazione sanzionatoria non sia stata operata dalla legge n. 69 del 2019, ma risalga alle origini del codice penale del 1930, e abbia quindi vissuto pacificamente nell'ordinamento giuridico per quasi un secolo, conferma che, per il legislatore, sulla distinzione interna tra i due eventi lesivi, prevale ciò che li accomuna, ovvero l'incidenza di entrambi sull'immagine sociale dell'individuo e sulla percezione da parte sua della propria identità.

4.3.- Sul piano della comparazione esterna, la particolare severità della pena detentiva di cui al primo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen. non si espone a un rilievo di manifesta irragionevolezza o sproporzione.

Questo vale sia nel raffronto con le lesioni tuttora oggetto della circostanza aggravante di cui ai numeri 1), 2) e 3) del secondo comma dell'art. 583 cod. pen., sia in rapporto alla mutilazione degli organi genitali femminili punita dall'art. 583-bis cod. pen., fattispecie tutte che, pur incidendo pesantemente sull'integrità e finanche sulla dignità della persona, non ne investono tuttavia quel connotato peculiare - il volto - che il legislatore ha inteso proteggere con speciale vigore, proprio per il rilievo che esso assume nella percezione della identità da parte della persona.

4.4.- Le doglianze dei rimettenti sono tuttavia fondate perché attingono la rigidità dell'inasprimento sanzionatorio realizzatosi nella disposizione censurata.

Il minimo di otto anni di reclusione, sancito da tale disposizione, ha un tratto indubbio di particolare asprezza, che, in ragione dell'innesto su un titolo autonomo di reato, non è neppure modulabile tramite bilanciamento, com'era invece per lo sfregio e la deformazione nell'anteriore regime circostanziale.

Trattasi invero di una misura sedici volte superiore a quella stabilita dall'art. 582, primo comma, cod. pen. per il delitto di lesione personale, che, nel predetto regime, costitutiva il reato-base delle lesioni gravissime al volto.

4.5.- Questa Corte ha più volte affermato la necessità costituzionale di una "valvola di sicurezza", che consenta al giudice di moderare l'applicazione di pene edittali di eccezionale asprezza, onde evitare che, nel caso concreto, esse risultino sproporzionate rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, quindi contrarie al principio di personalizzazione e inidonee alla funzione rieducativa.

Ciò tanto più riguardo a ipotesi di reato che - come quella oggi in discussione - hanno registrato interventi legislativi di significativo aumento degli estremi edittali della pena.

Tale orientamento è stato per la prima volta affermato con la sentenza n. 68 del 2012, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva, in relazione al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, che la pena da esso comminata fosse diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità.

Nel dichiarare costituzionalmente illegittimo l'art. 167, primo comma, del codice penale militare di pace, dove non prevedeva che la pena fosse diminuita qualora il sabotaggio militare fosse di lieve entità, la sentenza n. 244 del 2022 ha fatto riferimento alla disciplina del sabotaggio comune, osservando che, in essa, la «possibilità di una diminuzione della pena fino a un terzo, rispetto a una pena minima eccezionalmente elevata come quella di otto anni di reclusione, opera come una valvola di sicurezza».

Ancora, la sentenza n. 120 del 2023, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 629 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva, in relazione al delitto di estorsione, che la pena da esso comminata fosse diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità, ha sottolineato che «la mancata previsione di una "valvola di sicurezza" che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, può determinare l'irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza».

Le medesime argomentazioni sono state poste da questa Corte a fondamento della dichiarazione di illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 628 cod. pen. - e, in via consequenziale, del primo comma dello stesso articolo - riguardo al reato di rapina (sentenza n. 86 del 2024).

Infine, la sentenza n. 91 del 2024, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., dove non prevedeva, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l'utilizzazione di minori, che nei casi di minore gravità la pena fosse diminuita fino a due terzi, ha ribadito «la necessità di una "valvola di sicurezza" che, fermo il minimo edittale elevato che il legislatore nella sua discrezionalità ha voluto porre, consenta al giudice comune, attraverso la previsione di un'attenuante speciale, di graduare e "personalizzare" la pena da irrogare in concreto con riferimento ai casi di minore gravità, al fine di assicurare la proporzionalità della sanzione in una con la individualizzazione della pena e la sua finalità rieducativa».

Oltre all'asprezza del minimo edittale, il tratto comune delle fattispecie oggetto di queste pronunce è la latitudine tipica del fatto-reato, tale da abbracciare «episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore» (ancora sentenza n. 68 del 2012 e, analogamente, sentenze n. 91 e n. 86 del 2024, n. 120 del 2023).

Il rilievo concerne pure l'art. 583-quinquies cod. pen., che, quantomeno per l'evento alternativo meno grave, ovvero per lo sfregio, può riferirsi anche a lesioni relativamente modeste, talora procurate in contesti di aggressività minore e occasionale, e senza dolo intenzionale, come bene illustra la varietà delle imputazioni nei giudizi a quibus.

4.6.- Il primo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen. viola dunque i principi costituzionali di proporzionalità, personalizzazione e finalità rieducativa della pena, in quanto, per l'assenza di una "valvola di sicurezza", al cospetto di un minimo edittale di eccezionale asprezza e di una gamma multiforme di condotte punibili, determina il rischio di irrogazione di una sanzione eccessiva in concreto, pertanto insensibile al giudizio sulla personalità del reo e inidonea allo scopo della sua risocializzazione.

Sebbene il petitum espresso nelle ordinanze di rimessione attinga direttamente gli estremi edittali della pena, la riscontrata lesione dei principi costituzionali evocati può e deve allora essere sanata tramite l'introduzione di una circostanza attenuante, che, senza stravolgere la dosimetria legislativa, restituisca alla norma la flessibilità applicativa della quale difetta.

Va infatti ribadito che spetta a questa Corte, ove ritenga fondate le questioni, individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata, non essendo vincolata dalla formulazione del petitum nell'ordinanza di rimessione, che ha solo la funzione di indicare il contenuto e il verso delle censure (da ultimo, sentenze n. 53 del 2025, n. 128, n. 90 e n. 46 del 2024).

In mancanza di una differente grandezza di riferimento (qual era, per la sentenza n. 91 del 2024, l'attenuante a effetto speciale fino a due terzi della pena, di cui agli artt. 609-bis e 609-quater cod. pen.), riguardo all'art. 583-quinquies cod. pen. il temperamento costituzionalmente imposto per i fatti di lieve entità deve essere limitato all'attenuante a effetto comune, fino a un terzo della pena (in linea con le sentenze n. 86 del 2024, n. 120 del 2023, n. 244 del 2022 e n. 68 del 2012).

5.- Sono fondate anche le questioni relative alla pena accessoria, di cui al secondo comma della disposizione censurata.

5.1.- Il GUP del Tribunale di Bergamo ritiene che non vi sia alcuna correlazione tra il reato di cui all'art. 583-quinquies cod. pen., che è un reato comune, realizzabile anche tra estranei, e l'interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno, normalmente attinenti a rapporti affettivi e familiari.

In senso contrario, può tuttavia affermarsi che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, e senza eccedere i margini della ragionevolezza, ha creduto opportuno interdire da uffici implicanti cura e assistenza chi si sia reso responsabile di condotte dolose in pregiudizio di un essenziale bene pertinente alla persona, qual è l'identità rappresentata dal volto.

5.2.- Se non sotto il profilo della pertinenza all'oggettività giuridica della fattispecie delittuosa, la censurata disposizione sulla pena accessoria è tuttavia viziata sul piano dell'automaticità, fissità e perpetuità della sanzione.

Questa Corte ha più volte segnalato che, impedendo l'individualizzazione rispetto alla concreta gravità del fatto-reato, ogni previsione di sanzione fissa è indiziata di illegittimità costituzionale (sentenze n. 195 del 2023, n. 266 del 2022 e n. 222 del 2018).

Fin dalla sentenza n. 50 del 1980, si è fatto ricorso, ai fini del sindacato di legittimità costituzionale sulle disposizioni di pena fissa, a una prova di resistenza: «il dubbio d'illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente "proporzionata" rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» (in senso analogo, sentenze n. 195 e n. 40 del 2023, n. 266 del 2022 e n. 222 del 2018).

Orbene, la notevole latitudine della descrizione tipica del reato ex art. 583-quinquies cod. pen. - già sottolineata riguardo alla pena principale - induce a ritenere che possano a essa ricondursi condotte, più tenui delle altre, rispetto alle quali l'applicazione automatica e la durata indefinita della pena accessoria risultino ingiustificate.

Segnatamente, la perpetuità della pena accessoria è priva di giustificazione, una volta riconosciuta la necessità costituzionale della valvola di moderazione della pena principale, tranne ipotizzare un nesso - che sarebbe tuttavia incompatibile con la finalità rieducativa della pena - tra la permanenza dello sfregio e la permanenza della sanzione.

5.3.- La riconduzione a legittimità del secondo comma dell'art. 583-quinquies cod. pen. è assicurata dall'elisione dei tratti di rigidità - obbligatorietà e perpetuità - contrari ai canoni di proporzionalità, personalizzazione e funzione rieducativa della pena.

Accertata la commissione del reato in questione, la pena accessoria dell'interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno può dunque essere irrogata dal giudice, nella misura determinata in base ai criteri discrezionali di cui all'art. 133 cod. pen., nel rispetto del limite massimo di dieci anni, stabilito dall'art. 79, primo comma, numero 1), cod. pen. per l'interdizione temporanea dai pubblici uffici (tali essendo gli uffici assistenziali di che trattasi: Corte di cassazione, sesta sezione penale, sentenze 12 novembre-3 dicembre 2014, n. 50754, e 4 febbraio-4 giugno 2014, n. 23353).

6.- In definitiva, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 583-quinquies cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost., nella parte in cui: 1) al primo comma, non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità; 2) al secondo comma, dispone «comporta l'interdizione perpetua», anziché «può comportare l'interdizione».

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 583-quinquies, primo comma, del codice penale, inserito dall'art. 12, comma 1, della legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;

2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 583-quinquies, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui dispone «comporta l'interdizione perpetua», anziché «può comportare l'interdizione».