Corte costituzionale
Sentenza 20 giugno 2025, n. 84

Presidente: Amoroso - Redattore: Sandulli

[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 20 agosto 2024, n. 12 (Modifiche alla legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 18 ottobre 2024, depositato in cancelleria il 24 ottobre 2024, iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2024.

Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma della Sardegna;

udita nell'udienza pubblica del 21 maggio 2025 la Giudice relatrice Maria Alessandra Sandulli;

uditi l'avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Sonia Sau per la Regione autonoma della Sardegna;

deliberato nella camera di consiglio del 21 maggio 2025.

RITENUTO IN FATTO

1.- Con ricorso depositato il 24 ottobre 2024 e iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2024, il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 20 agosto 2024, n. 12 (Modifiche alla legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria), nella parte in cui inserisce il comma 2-ter nell'art. 1 della legge della Regione Sardegna 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria), relativamente al solo suo secondo periodo.

Il richiamato comma 2-ter dispone che «[l]e ASL, allo scopo di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio e con la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l'assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione, sono autorizzate a fornire a tutti i medici impegnati nei progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale i ricettari di cui all'art. 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici). La disposizione è, altresì, applicabile ai medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, anche con contratti libero professionali, laddove non sia garantita la completa copertura delle cure primarie, per assicurarne le medesime funzioni, per le sole attività e limitatamente ai pazienti degli ambiti territoriali riferibili ai predetti progetti, sino al 31 dicembre 2024».

Il ricorrente deduce l'illegittimità costituzionale del riportato secondo periodo del comma 2-ter, in quanto, eccedendo le competenze spettanti alla Regione autonoma della Sardegna, ai sensi degli artt. 3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), avrebbe violato l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione. La disposizione regionale avrebbe infatti invaso la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, poiché la legislazione statale riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro dei medici di medicina generale.

Nella specie, il periodo contestato, consentendo di richiamare in servizio anche i medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, anche con contratti libero professionali, sarebbe in contrasto con l'art. 21, comma 1, lettera j), dell'Accordo collettivo nazionale dei medici di medicina generale del 4 aprile 2024 (d'ora in avanti, anche: Accordo o ACN) - «quale norma interposta» - che prevede l'incompatibilità allo svolgimento delle attività previste dallo stesso Accordo per coloro che fruiscono del trattamento di quiescenza.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, tale preclusione sarebbe superabile solo da una espressa previsione normativa statale.

La disposizione impugnata consentirebbe, infatti, ai medici di medicina generale in quiescenza «di riprendere, di fatto, funzioni analoghe - per natura e per strumenti impiegati - a quelle che aveva[no] prima del pensionamento», così dettando una disciplina, relativa al rapporto di lavoro di tale personale medico, riservata alla legislazione statale e demandata da quest'ultima alla contrattazione collettiva.

A parere del ricorrente, risulterebbe difficile escludere un rientro di fatto dell'ex medico di medicina generale nel circuito dell'assistenza sanitaria, dal momento che non muterebbe la natura del rapporto che, antecedentemente al pensionamento, lo stesso intratteneva con il Servizio sanitario regionale (SSR), posto che rimarrebbe altresì immutata la relativa natura libero professionale.

Aggiunge altresì il Presidente del Consiglio dei ministri che ai medici di medicina generale non potrebbe neppure estendersi la deroga di cui all'art. 2-bis, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, che consente alle regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano di richiamare in servizio personale sanitario in quiescenza per far fronte all'impatto dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 e garantire i livelli essenziali di assistenza.

In particolare, l'Avvocatura generale dello Stato rimarca che il citato art. 2-bis, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, sarebbe rivolto al solo personale dipendente del Servizio sanitario nazionale (SSN), riferendosi testualmente ai «dirigenti medici, veterinari e sanitari [...]», mentre quello dei medici di medicina generale è un rapporto di lavoro in regime convenzionale, caratterizzato dall'autonomia professionale e, nella specie - come chiarito dalla Corte di cassazione (si citano sezioni unite civili, ordinanza 21 ottobre 2005, n. 20344 e sezione lavoro, sentenza 8 aprile 2008, n. 9142) - «un rapporto privatistico di lavoro autonomo di tipo professionale con la pubblica amministrazione».

Viene poi osservato che il legislatore statale ha demandato la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale in regime di convenzione alla negoziazione collettiva già con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) e che tale sistema è stato ribadito e precisato dall'art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il quale rimette la disciplina del rapporto tra il SSN e i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta ad apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali. Si ricorda, inoltre, che l'art. 2-nonies del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 2004, n. 138, ha confermato «la struttura di regolazione del contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale», garantito mediante la conclusione di accordi all'esito di un procedimento di contrattazione collettiva, definito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

A parere del ricorrente, pertanto, la disciplina di riferimento non potrebbe, nel caso di specie, che essere rappresentata dalle disposizioni dell'ACN, che, in quanto contrattazione collettiva nazionale del settore, è certamente parte della materia dell'ordinamento civile, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (si cita la sentenza n. 186 del 2016 di questa Corte). La conformità del rapporto di lavoro convenzionale dei medici con il Servizio sanitario nazionale, non solo alle prescrizioni della legislazione statale, ma anche a quanto previsto dagli accordi collettivi di settore, garantirebbe la necessaria uniformità di regolamentazione di tale rapporto su tutto il territorio nazionale.

In conclusione, l'Avvocatura dello Stato osserva che la disposizione impugnata non potrebbe essere qualificata come misura organizzativa del SSR, configurandosi piuttosto come intervento derogatorio dell'ACN, con la conseguente dedotta illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

2.- Con atto depositato il 20 novembre 2024, si è costituita in giudizio la Regione autonoma della Sardegna, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale fosse dichiarata non fondata.

La resistente premette che l'assistenza di base e la continuità assistenziale sono aree dell'assistenza distrettuale, che, ai sensi degli artt. 4 e 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), rientrano tra i livelli essenziali di assistenza (d'ora in avanti, anche: LEA), definiti, nell'art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, come le prestazioni che devono essere obbligatoriamente erogate con costi totalmente o parzialmente a carico del Servizio sanitario nazionale, in quanto strumenti di attuazione del diritto fondamentale alla tutela della salute di cui all'art. 32 Cost.

La Regione osserva, quindi, che la mancata erogazione dell'assistenza di base e della continuità assistenziale a tutti i cittadini costituirebbe una violazione dell'art. 32 Cost. e che essa sarebbe tenuta, facendosi carico della relativa spesa, al finanziamento dei suddetti livelli essenziali di assistenza e all'adozione delle misure organizzative necessarie a garantirne l'effettiva attuazione: obiettivo per il cui raggiungimento la disponibilità di un numero adeguato di medici qualificati sarebbe elemento imprescindibile.

Sempre in via preliminare, la Regione ricorda, poi, di aver già evidenziato, nel giudizio precedentemente svoltosi davanti a questa Corte e conclusosi con la sentenza n. 26 del 2024, le criticità riscontrate nel garantire - sia a causa della propria conformazione territoriale e delle carenze strutturali, sia per la scarsa attrattività delle posizioni lavorative - l'assistenza primaria e la continuità assistenziale.

Situazione che si sarebbe vieppiù aggravata, a causa, per un verso, dell'accesso al pensionamento anticipato introdotto dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26 e, per l'altro, dell'impatto negativo sull'attrattività della professione provocato dall'emergenza epidemiologica da COVID-19.

Dato tale contesto, la resistente mette in evidenza di aver intrapreso, a partire dal 2023, una serie di azioni volte a fronteggiare le suddette criticità. In un primo momento, ha invero temporaneamente aumentato, su base volontaria, il massimale dei medici di medicina generale operanti in sedi disagiate e, successivamente, data la scarsa adesione alla misura, ha destinato risorse alle aziende sanitarie locali (ASL), per finanziare progetti aziendali volti a rafforzare l'assistenza primaria e la continuità assistenziale, incentivando prioritariamente proprio i medici di medicina generale. Le ASL avrebbero conseguentemente avviato progetti di Ambulatori straordinari di comunità territoriale (ASCOT), i quali, integrando l'assistenza primaria nelle aree carenti, in attesa dell'assegnazione delle sedi vacanti secondo quanto previsto dall'ACN, sarebbero finalizzati a garantire agli utenti privi di medico di medicina generale le prestazioni ordinarie di competenza di tali professionisti, quali prescrizioni, visite, rinnovo di piani terapeutici, attivazione di assistenza domiciliare e certificazioni di malattia.

La Regione, peraltro, ricorda di aver comunque provveduto annualmente a svolgere le procedure per l'assegnazione delle sedi vacanti, senza esito positivo: tanto che nel 2024 sarebbero risultate prive di copertura 527 sedi su 1427 e «oltre mezzo milione di persone» non avrebbero «nel proprio ambito il MMG, in particolare quelle che non risiedono in prossimità delle grandi aree urbane».

Conclusa l'ampia ricostruzione in fatto sulle rilevate criticità nell'erogazione dell'assistenza primaria e di continuità assistenziale, cui sarebbe stata chiamata a ovviare l'impugnata disposizione legislativa, la resistente ritiene innanzitutto erroneo il presupposto da cui muove il ricorrente per denunciare la dedotta invasione della propria competenza legislativa esclusiva. Si rileva, in particolare, che la norma regionale in contestazione non consentirebbe ai medici di medicina generale in quiescenza di partecipare alle procedure per l'assegnazione delle sedi di assistenza primaria a ciclo di scelta (cosiddetti medici di base) e ad attività oraria (guardie mediche) disciplinate dall'ACN e così di (re)instaurare il relativo rapporto convenzionale con il SSR. Dal che deriverebbe la non rilevanza nel caso di specie delle «incompatibilità previste dall'ACN per la partecipazione alle predette procedure (art. 19, comma 2) e per l'inserimento nel ruolo dell'assistenza primaria oggetto dell'ACN (art. 21, comma 1, lett. j)».

A parere della Regione, infatti, i medici di medicina generale convenzionati, cui farebbe riferimento l'ACN, non sarebbero - contrariamente a quanto sostiene il ricorrente - tutti i medici che hanno rapporti libero professionali con il SSR, ma esclusivamente quelli di cui agli artt. 19 e seguenti dell'Accordo.

Ciò chiarito, secondo la resistente il ricorso sarebbe, comunque, non fondato.

Innanzitutto, la Regione ribadisce che la mancata erogazione dei LEA determinerebbe la violazione dell'art. 32 Cost. e che - come avrebbe affermato anche questa Corte nella sentenza n. 62 del 2020 - alla piena realizzazione di tale diritto fondamentale concorrerebbero anche la qualità e l'indefettibilità del servizio sanitario.

Su queste basi, la resistente evidenzia che alle regioni - come chiarito anche dalla citata sentenza n. 62 del 2020 - spetta il compito di organizzare sul territorio il suddetto servizio e garantire l'erogazione delle relative prestazioni nel rispetto degli standard costituzionalmente conformi.

Pertanto, in presenza di situazioni che non consentirebbero la piena attuazione dell'art. 32 Cost., tanto più ove lo Stato non appronti alcuna misura per affrontare tali criticità, le regioni avrebbero «il dovere di adottare misure organizzative idonee a tutelare il diritto alla salute di chi non ha accesso ai LEA».

Proprio a questa esigenza risponderebbe l'impugnata disposizione regionale, che, approntando misure straordinarie a salvaguardia di un diritto costituzionalmente garantito, esplicherebbe una prevalente finalità organizzativa, in funzione attuativa dell'art. 32 Cost., tale da escludere la violazione dedotta dal ricorrente.

Alla luce di ciò, la Regione aggiunge (richiamando ancora la sentenza n. 26 del 2024) che la disciplina del rapporto in convenzione dei medici dell'assistenza primaria dovrebbe necessariamente confrontarsi con gli effetti che essa produce sul diritto dei cittadini alla tutela della salute.

In merito, poi, all'art. 2-bis, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, che l'Avvocatura dello Stato ha richiamato a sostegno dell'asserita illegittimità costituzionale dell'impugnata disposizione regionale, la resistente chiede a questa Corte di autorimettersi la questione diretta ad accertarne l'illegittimità costituzionale, nella parte in cui non include i medici di medicina generale in quiescenza tra quelli chiamati a concorrere a garantire i LEA, in quanto, non potendo le prestazioni rese da tali medici essere svolte da altri, di fatto escluderebbe dai LEA le relative prestazioni distrettuali.

Una disposizione che, al dichiarato fine di garantire i LEA, consente il ricorso eccezionale a medici di ogni categoria e persino ai veterinari, purché legati al SSR da rapporto di lavoro dipendente, ma non alla categoria di medici che sarebbero chiamati in via esclusiva a erogare le prestazioni afferenti a specifiche e carenti aree dei LEA, sarebbe, per un verso, irragionevole, illogica e contraddittoria, e, per l'altro, contrastante con gli artt. 3 e 32 Cost., in quanto, pur avendo la generale finalità di garantire tali livelli essenziali di assistenza, escluderebbe «ingiustificatamente dalla sua portata una parte dei titolari di tali diritti, ovvero i cittadini che non hanno accesso all'assistenza primaria».

3.- La Regione autonoma della Sardegna, in vista dell'udienza, ha depositato memoria, insistendo sulle posizioni espresse nell'atto di costituzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 39 del 2024), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 12 del 2024, nella parte in cui inserisce il comma 2-ter nell'art. 1 della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, relativamente al solo suo secondo periodo, per violazione delle competenze statutarie attribuite alla suddetta Regione autonoma dagli artt. 3, 4 e 5 dello statuto speciale e della competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Il citato comma 2-ter testualmente dispone che «[l]e ASL, allo scopo di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio e con la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l'assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione, sono autorizzate a fornire a tutti i medici impegnati nei progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale i ricettari». E precisa, al censurato secondo periodo, che «[l]a disposizione è, altresì, applicabile ai medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, anche con contratti libero professionali, laddove non sia garantita la completa copertura delle cure primarie, per assicurarne le medesime funzioni, per le sole attività e limitatamente ai pazienti degli ambiti territoriali riferibili ai predetti progetti, sino al 31 dicembre 2024».

A parere del ricorrente, la disposizione impugnata consentirebbe al medico di medicina generale in quiescenza «di riprendere, di fatto, funzioni analoghe - per natura e strumenti impiegati - a quelle che aveva prima del pensionamento».

Così disponendo, il legislatore sardo avrebbe ecceduto dalle competenze di cui agli artt. 3, 4 e 5 dello statuto speciale e avrebbe invaso la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale.

La disposizione impugnata, infatti, contrasterebbe con «la normativa statale di riferimento» e con l'art. 21, comma 1, lettera j), dell'Accordo collettivo nazionale del 2024, il quale stabilisce che è incompatibile con lo svolgimento delle attività previste da quest'ultimo il medico che fruisca di trattamento di quiescenza come disciplinato dalla normativa vigente.

2.- Prima di procedere all'esame nel merito della questione promossa, va innanzitutto ricordato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale costituisce un rapporto privatistico di lavoro autonomo di tipo professionale con la pubblica amministrazione, che si configura in termini di "parasubordinazione" (fra le più recenti, sentenze n. 124 del 2023 e n. 106 del 2022 e, in precedenza, n. 157 del 2019 e n. 186 del 2016).

Si è altresì chiarito che tale rapporto, pur se inquadrabile nella categoria della parasubordinazione, «condivide con il lavoro pubblico contrattualizzato l'esigenza di uniformità sottesa all'integrazione tra normativa statale e contrattazione collettiva nazionale, ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, sicché la relativa disciplina appartiene all'ordinamento civile, di competenza esclusiva del legislatore statale, restando precluso al legislatore regionale di regolamentare in via autonoma il trattamento economico e giuridico del rapporto in convenzionamento (tra molte, sentenze n. 106 del 2022 e n. 157 del 2019)» (così, da ultimo, la sentenza n. 124 del 2023).

Sempre in via preliminare, va ribadito che, in virtù della costante applicazione del discrimine tra la materia dell'ordinamento civile e quella residuale dell'organizzazione amministrativa regionale, alle regioni non è precluso adottare interventi legislativi inerenti all'organizzazione sanitaria, in quanto quest'ultima è componente essenziale della competenza legislativa in materia di tutela della salute (fra le molte, sentenze n. 112 del 2023, n. 113 e n. 9 del 2022 e n. 54 del 2015).

Questa Corte ha poi precisato che, per individuare l'ambito materiale cui afferisce la disposizione impugnata, occorre tener conto della ratio, delle finalità perseguite e del suo contenuto, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, in modo da identificare precisamente l'interesse tutelato, secondo il cosiddetto criterio di prevalenza (fra le più recenti, sentenze n. 94 e n. 26 del 2024, n. 124 e n. 6 del 2023).

In applicazione di tale criterio, si è quindi esclusa la dedotta violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, quando le impugnate disposizioni regionali, pur afferenti a profili del rapporto in convenzione dei medici di medicina generale, siano dettate in via prioritaria da esigenze organizzative, producendo effetti solo secondari sull'andamento dei rapporti convenzionali.

In tal senso, la sentenza n. 112 del 2023, concernente una disposizione della Regione Veneto che incideva su modalità di impiego di medici specializzandi presso le strutture ospedaliere di emergenza-urgenza, ha affermato che «[i]n questo modo, il legislatore regionale appronta un rimedio organizzativo straordinario finalizzato a garantire la continuità assistenziale in un settore nevralgico, come quello della medicina di emergenza, altrimenti pregiudicato dalla carenza di personale sanitario», e che la disposizione impugnata «investe, quindi, un ambito strettamente inerente all'organizzazione sanitaria, la quale, come ripetutamente affermato [...] costituisce componente fondamentale della tutela della salute (ex aliis, sentenze n. 113 e n. 9 del 2022, n. 192 del 2017)».

Sulla stessa linea, la sentenza n. 124 del 2023 ha poi dichiarato non fondata la questione relativa a un intervento normativo della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che ha previsto un criterio preferenziale ai fini del trasferimento dei medici convenzionati ulteriore rispetto a quelli fissati dalla contrattazione collettiva. Si è, in quell'occasione, riconosciuto che «la disposizione regionale ha anzitutto una ratio organizzativa, in funzione di tutela della salute, che persegue cercando di assicurare la medicina di prossimità anche agli abitanti delle zone carenti».

Da ultimo, nella sentenza n. 26 del 2024, questa Corte ha escluso la dedotta violazione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile a opera della normativa della Regione autonoma della Sardegna che - nelle more dell'approvazione di un accordo integrativo regionale di categoria - ha consentito al medico di medicina generale di innalzare, su base volontaria, il massimale fino al limite di 1.800 assistiti.

In quell'occasione si è specificamente affermato, infatti, che «la ratio, la finalità e i contenuti della disposizione impugnata», avente carattere contingente e temporaneo (ossia in attesa della possibilità di tale innalzamento ad opera dell'accordo integrativo regionale), «conducono a identificare l'interesse da essa tutelato in via prioritaria nell'esigenza di organizzare il servizio sanitario regionale in modo da non lasciare i cittadini sprovvisti di assistenza medica di base».

La medesima pronuncia ha chiarito, poi, che la «disciplina del rapporto in convenzione dei medici dell'assistenza primaria deve [...] necessariamente confrontarsi con gli effetti che essa produce nei confronti del diritto dei cittadini alla tutela della salute, in attuazione dell'art. 32 Cost.».

3.- La questione non è fondata.

Alla luce dei richiamati approdi della giurisprudenza di questa Corte, deve escludersi, anche per la fattispecie in esame, la dedotta invasione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile.

La disposizione impugnata ha, invero, chiaramente una ratio organizzativa, in funzione della tutela della salute, cercando di assicurare l'assistenza primaria ai cittadini residenti in zone disagiate e sprovviste del medico di medicina generale.

L'art. 1, comma 2-ter, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, inserito dalla disposizione impugnata, opera, infatti, nel più ampio contesto della strategia della Regione, volta a far fronte alla situazione di crisi dell'assistenza primaria, che - come ricorda la stessa resistente - ha visto l'avvio degli ASCOT, ossia di progetti, attivabili dalle ASL, tesi a garantire tale assistenza nei territori dove vi sia carenza di medici di medicina generale.

Del resto, nello stesso testo del comma 2-ter è chiaramente indicata la matrice finalistica che ha mosso il legislatore regionale; vi si legge, infatti, che lo «scopo» è quello «di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio», con «la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l'assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione». La disciplina regionale si configura, quindi, «come un rimedio organizzativo straordinario finalizzato a assicurare la completa copertura delle cure primarie, altrimenti pregiudicato dalla assenza nelle aree più disagiate di medici delle cure primarie» (così nella delibera della Giunta della Regione autonoma della Sardegna 17 luglio 2024, n. 25/16, recante «Indicazioni operative per il reclutamento del personale sanitario atte a fronteggiare l'emergenza stagionale nei pronto soccorso dei presidi ospedalieri e nelle unità operative con maggiore criticità delle aziende del sistema sanitario regionale e approvazione disegno di legge concernente "Modifiche alla legge regionale 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria)"», che ha autorizzato il progetto di legge che, con l'impugnato art. 1, comma 1, ha introdotto il citato comma 2-ter).

Ciò chiarito, non sussiste il denunciato contrasto tra l'art. 21, comma 1, lettera j), dell'ACN e la norma regionale impugnata, la quale non è neppure elusiva della disciplina della medicina generale, considerata nel suo complesso.

Come correttamente dedotto dalla resistente, la disposizione regionale impugnata non consente ai medici di medicina generale in quiescenza di rientrare nei ruoli dell'assistenza primaria e, di conseguenza, non dispone né la possibilità di assegnazione di sedi vacanti, né l'applicazione della vasta gamma di diritti e obblighi previsti dall'ACN, ma si è limitata a legittimare le ASL a instaurare, sino al 31 dicembre 2024, anche con tali soggetti un rapporto libero professionale, al solo fine di farli operare nell'ambito dei progetti ASCOT e di assicurare le prestazioni da questi erogate ai pazienti degli ambiti territoriali a essi riferibili.

La ratio organizzativa non è poi smentita dalla circostanza, dedotta dall'Avvocatura generale dello Stato, che tali soggetti svolgono di fatto funzioni che la legge e la convenzione assegnano ai medici di medicina generale.

A interpretare correttamente la disposizione impugnata, anche alla luce del contesto in cui è chiamata a operare, il ricorso ai medici di medicina generale in quiescenza trova la propria giustificazione nella circostanza che la grave carenza di medici in convenzione non consente, facendo ricorso a tali professionisti, di assicurare, anche nei progetti ASCOT (a tal fine espressamente istituiti), l'assistenza primaria e la continuità assistenziale ai cittadini di aree disagiate.

L'impugnata disciplina regionale è, pertanto, una risposta all'impossibilità di ricorrere ai medici di medicina generale regolarmente in convenzione per assicurare le prestazioni «essenziali» riconducibili a tali ambiti di assistenza, necessarie a garantire «la qualità e l'indefettibilità del servizio, ogniqualvolta un individuo dimorante sul territorio regionale si trovi in condizioni di bisogno rispetto alla salute» (sentenza n. 62 del 2020).

Alla luce del richiamato contesto normativo e giurisprudenziale non si può non ribadire che rientra nella «responsabilità organizzativa dell'ente territoriale» (sentenza n. 124 del 2023) l'adozione di misure volte a dare risposta a situazioni di accertata criticità nella fruizione dei livelli essenziali di assistenza primaria, al fine di assicurare l'effettivo godimento del diritto alla salute.

4.- Questa Corte è consapevole, e certo non vuole disconoscere, che la negoziazione collettiva e la vincolatività delle prescrizioni dell'ACN sono volte ad assicurare la necessaria uniformità regolatoria del rapporto di lavoro convenzionale dei medici di medicina generale, allo scopo di garantire l'omogeneità, sull'intero territorio nazionale, della fruizione dei LEA che la medicina convenzionata è chiamata a erogare.

Tuttavia, ritenere che alle regioni sia preclusa l'adozione di misure organizzative straordinarie volte a dare una pronta risposta alle criticità nella fruizione dei livelli essenziali di assistenza primaria, per di più con una valenza temporalmente circoscritta, allorché potrebbero avere effetti secondari o riflessi sul convenzionamento, equivale a impedire alle stesse di intervenire con propri strumenti per evitare che tali contingenti criticità determinino il sacrificio dell'effettività del fondamentale diritto alla salute, privandolo del nucleo invalicabile di garanzie minime.

5.- Per le ragioni che precedono, la disposizione impugnata, per la sua finalità e per i suoi intrinseci contenuti, va ricondotta alla competenza legislativa della Regione autonoma della Sardegna nella materia «tutela della salute», in riferimento ai profili organizzativi dell'assistenza primaria.

Non è pertanto fondata la censura relativa alla lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».

6.- Il rigetto del ricorso esonera, infine, questa Corte dall'affrontare la richiesta di autorimessione della questione sull'art. 2-bis, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 20 agosto 2024, n. 12 (Modifiche alla legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria), promossa in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché agli artt. 3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.