Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 13 giugno 2025, n. 5153

Presidente: Gambato Spisani - Estensore: Carrano

FATTO E DIRITTO

1. Con il ricorso di primo grado, la società Global Energy s.r.l. ha impugnato il diniego (determinazione n. 165 del 12 maggio 2023) opposto dal Comune di Cervaro alla installazione di impianti fotovoltaici in zona industriale mediante istanza di procedura abilitativa semplificata (di seguito, PAS), oltre ad impugnare la presupposta delibera del Consiglio comunale n. 55 del 2021 recante l'individuazione delle aree non idonee alla localizzazione di impianti di grandi dimensioni per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

2. Con la sentenza impugnata, il T.A.R. ha accolto il ricorso, annullando gli atti impugnati.

2.1. In particolare, il primo giudice ha innanzitutto: a) escluso la rilevanza delle ragioni opposte dall'amministrazione nel corso del giudizio (artificioso frazionamento di un progetto unitario e saturazione della zona industriale), trattandosi di una inammissibile integrazione postuma della motivazione; b) ribadito che la verifica della legittimità del provvedimento deve essere eseguita avendo riguardo alle norme vigenti al momento della sua emanazione e non alle norme vigenti al momento di presentazione dell'istanza; c) ritenuto pacifico che il sito scelto per l'impianto è localizzato in zona di ampliamento industriale e artigianale e si trova a meno di 300 metri da un'autostrada; ciò significa che tale sito è ex lege una zona idonea all'insediamento di impianti FER, sia in base all'art. 22-bis del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199 [introdotto nell'ordinamento dal 22 aprile 2023, e quindi in vigore alla data dell'atto impugnato, dall'art. 47, comma 1, lett. b), del d.l. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 aprile 2023, n. 41] e sia in base all'art. 20, comma 8, d.lgs. n. 199 citato, che espressamente qualifica come "idonee" all'insediamento degli impianti in questione le "aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 300 metri in assenza di vincoli" di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, parte seconda, precisando che "non risulta dimostrata l'esistenza di vincoli e anzi che non è veritiera l'affermazione del comune secondo cui la stessa ricorrente avrebbe dichiarato l'esistenza di tali vincoli nella propria istanza essendo vero l'esatto contrario" (pag. 8 della sentenza impugnata).

2.2. Ciò posto, ha ritenuto fondate le censure avverso la delibera consiliare n. 55 del 2021, evidenziando come l'unica ragione del diniego opposto sia costituita proprio dal contrasto con le previsioni di tale delibera.

In particolare, ha ritenuto che tale delibera è "senz'altro illegittima nella parte in cui individua come non idonee le aree industriali dato che essa - come denunciato in ricorso - si pone in contrasto con la disposizione dell'articolo 3.1 della legge regionale n. 16 del 2011 di cui pretenderebbe di costituire applicazione" (pag. 9 della sentenza impugnata): tale norma infatti consente l'individuazione di aree non idonee nelle zone agricole mentre nella specie viene in rilievo una zona industriale, le quali sono invece generalmente idonee alla localizzazione di impianti fotovoltaici.

2.3. In ogni caso, la delibera sarebbe comunque illegittima nella parte in cui individua le zone industriali come non idonee (se non alle restrittive condizioni ivi previste) perché l'art. 3.1 comunque prescrive che l'individuazione avvenga in coerenza con le linee guida statali (approvate con d.m. 10 settembre 2010) ed è abbastanza evidente che le linee guida in questione sono state sostanzialmente ignorate, dal momento che tali linee guida "prescrivono che le zone non idonee siano individuate in modo specifico e puntuale in relazione a loro particolari caratteristiche intrinseche che le rendano inadatte alla localizzazione di impianti FER con conseguente impossibilità (e quindi illegittimità) della previsione dell'esclusione delle zone industriali in via generale (come avviene nel caso all'esame in cui le limitazioni introdotte sono di portata tale da impedire la localizzazione in zona industriale di impianti FER)" (pag. 10 della sentenza impugnata).

3. Con atto di appello, il Comune di Cervaro ha impugnato la sentenza.

3.1. Con il primo motivo di appello (pag. 6-8), ha contestato la qualificazione delle difese in primo grado da parte del primo giudice in termini di integrazione postuma della motivazione, riproponendo poi i motivi non esaminati, con particolare riguardo all'artificioso frazionamento di un progetto unitario al fine di eludere l'applicazione della normativa in materia di valutazione di impatto ambientale e autorizzazione unica.

3.2. Con il secondo motivo di appello (pag. 8), ha contestato l'applicabilità del principio del tempus regit actum, dovendo invece trovare applicazione il diverso principio del tempus regit actionem, con conseguente inapplicabilità della normativa sopravvenuta nel corso del procedimento amministrativo (art. 22-bis d.lgs. n. 199 del 2021, nella versione vigente a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 13 del 2023, convertito con modificazioni dalla l. n. 41 del 2023).

3.3. Con il terzo motivo di appello (pag. 8-9), ha reiterato la censura di tardività dell'impugnazione della delibera n. 55 del 2021, in quanto la società ne avrebbe avuto conoscenza sin dal 28 febbraio 2023, ossia al momento della comunicazione del preavviso di rigetto.

3.4. Con il quarto motivo di appello (pag. 9-13), ha contestato il capo di sentenza con cui il primo giudice ha ritenuto illegittima la delibera n. 55 del 2021 per contrasto con l'art. 3.1 della l.r. n. 16 del 2011.

3.5. Con il quinto motivo di appello (pag. 13-14), ha contestato il capo di sentenza con cui il primo giudice ha ritenuto illegittima la delibera n. 55 del 2021 in quanto elusiva delle prescrizioni delle linee guida statali.

4. Con apposita memoria, si è costituita la società resistente, chiedendo il rigetto dell'appello.

5. All'udienza pubblica del 13 marzo 2025, la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. L'appello è infondato.

7. Innanzitutto, con il provvedimento impugnato, il Comune di Cervaro ha opposto un diniego alla istanza di PAS per la realizzazione di un impianto fotovoltaico in zona omogenea D/3 (zona di ampliamento industriale e artigianale) ritenendo che "le opere in progetto sono in contrasto alla relazione Tecnica istruttoria Prot. n° 11337 del 27/08/2021, parte integrante della succitata Deliberazione del Consiglio Comunale n° 55 del 01/09/2021" (doc. 1 del ricorso di primo grado - determinazione n. 165 del 12 maggio 2023).

In particolare, con la citata relazione tecnica istruttoria, recepita dalla delibera consiliare n. 55 del 2021 di cui ne costituisce parte integrante, sono state individuate come aree non idonee anche le zone industriali D2, D3 e D5, con la precisazione che in tali aree non idonee è comunque consentita la localizzazione di impianti da fonte rinnovabile "purché collocati sugli edifici esistenti" e in quelli ricadenti negli "Ambiti territoriali di riqualificazione e recupero edilizio" di cui alla delibera di C.c. n. 35 del 2019, oltre alla installazione di impianti "di piccola dimensione a servizio delle comunità energetiche, delle attività agricole, industriali e residenziali esistenti o di nuovo insediamento" (doc. 2 del ricorso di primo grado - deliberazione n. 55 del 2021; doc. 2-bis del ricorso di primo grado - Relazione tecnica-istruttoria).

Orbene, dall'esame della documentazione in atti, deve essere innanzitutto confermato l'assunto contenuto nella sentenza impugnata secondo cui l'unico motivo posto a base dell'impugnato diniego è rappresentato dalla localizzazione dell'impianto in questione in un'area (zona industriale D3) che è stata individuata dalla delibera n. 55 del 2021 come "non idonea" alla installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, come confermato anche dalla comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis l. n. 241/1990, ove si legge che l'istanza non può essere accolta perché la zona omogenea D3 è stata appunto individuata dalla suddetta deliberazione come "area non idonea" (doc. 6 della memoria di primo grado del Comune - nota prot. 3078/2023 del 28 febbraio 2023).

Pertanto, alla luce della motivazione del provvedimento impugnato, deve ritenersi corretta la decisione di primo grado laddove ha qualificato la difesa in giudizio dell'amministrazione come integrazione postuma della motivazione, in quanto solo in giudizio è stata dedotta per la prima volta la sussistenza di un artificioso frazionamento di un progetto unitario, nonché il pregiudizio derivante dalla saturazione dell'area industriale (primo motivo di appello).

Per le stesse ragioni, inoltre, deve ritenersi corretta anche la delimitazione del thema decidendum alla legittimità della delibera n. 55 del 2021, in quanto l'unico motivo del diniego consiste appunto nella contrarietà del progetto a tale delibera nella parte in cui individua come area non idonea la zona industriale D3 nel cui ambito è prevista la localizzazione dell'impianto in questione.

Ne consegue, quindi, l'infondatezza del primo motivo di appello.

8. Parimenti infondato è anche il secondo motivo di appello, con il quale il Comune ha contestato l'applicabilità del principio del tempus regit actum, ritenendo invece applicabile il diverso principio del tempus regit actionem, con conseguente inapplicabilità della normativa sopravvenuta nel corso del procedimento amministrativo (art. 22-bis d.lgs. n. 199 del 2021, nella versione vigente a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 13 del 2023, convertito con modificazioni dalla l. n. 41 del 2023).

Invero, deve ritenersi assolutamente consolidato l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui "Lo scrutinio di legittimità del provvedimento amministrativo non può che avvenire avendo riferimento alla statuizione di fatto e di diritto che all'amministrazione si prospetta al tempo della relativa adozione, e cioè secondo il principio del tempus regit actum, sicché la pubblica amministrazione deve considerare, ai fini dell'adozione del provvedimento conclusivo anche le modifiche normative e di fatto che siano intervenute durante il procedimento e non anche attestarsi su quelle esistenti al momento della presentazione dell'istanza" (tra le tante, cfr. C.d.S., Sez. III, 13 gennaio 2025, n. 212; Sez. IV, 2 ottobre 2023, n. 8609).

Peraltro, nonostante la sussistenza di un orientamento assolutamente consolidato nel senso di ritenere applicabile il principio del tempus regit actum, la parte appellante si è limitata a contestarne l'applicazione senza tuttavia addurre specifiche argomentazioni volte a superare tale granitico indirizzo giurisprudenziale.

Infine, occorre precisare che il principio del tempus regit actum non comporta alcuna illegittima irretroattività della legge (cfr. pag. 8 dell'appello), la quale va appunto applicata nella versione vigente al momento dell'adozione dell'atto e non al momento della presentazione dell'istanza.

A ben vedere, poi, si tratta di una mera riproposizione di una censura di primo grado, senza alcuna specifica critica al relativo capo di sentenza di rigetto, per cui ne va dichiarata anche l'inammissibilità.

9. Con il terzo motivo di appello (pag. 8-9), ha reiterato la censura di tardività dell'impugnazione della delibera n. 55 del 2021, in quanto la società ne avrebbe avuto conoscenza sin dal 28 febbraio 2023, ossia al momento della comunicazione del preavviso di rigetto.

Il motivo è infondato in quanto la decorrenza del termine per l'impugnazione di un provvedimento definitivo decorre dalla conoscenza del suo effetto lesivo che, nella specie, non si è prodotto con la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10-bis l. n. 241 del 1990, ma solo con l'adozione del provvedimento finale di diniego.

Il preavviso di rigetto, infatti, ha natura di atto endoprocedimentale e come tale non è autonomamente impugnabile in quanto generalmente non produce alcun effetto lesivo.

La censura, pertanto, è infondata.

10. Con riferimento alla illegittimità della delibera n. 55 del 2021 (quarto e quinto motivo di appello), la sentenza impugnata deve essere confermata, non essendo stato oggetto di specifica impugnazione il capo di sentenza con cui il primo giudice ha qualificato l'area in questione (situata a meno di 300 metri da un'autostrada) come "area idonea" sia in base all'art. 22-bis del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199 (come introdotto dal d.l. 24 febbraio 2023, n. 13) e sia in base all'art. 20, comma 8, d.lgs. n. 199 citato, che espressamente qualifica come "idonee" all'insediamento degli impianti in questione le "aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 300 metri in assenza di vincoli" di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, parte seconda (pag. 8 della sentenza impugnata).

Pertanto, la qualificazione operata dalla delibera comunale si pone oggettivamente in contrasto con la suddetta qualificazione legislativa dell'area in questione come "idonea" e tale statuizione giurisdizionale (non oggetto di specifica contestazione) è da sola sufficiente a fondare il rigetto dell'appello, con conseguente assorbimento delle restanti censure.

11. In conclusione, quindi, l'appello deve essere respinto.

12. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, Latina, sez. II, sent. n. 896/2023.