Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 16 giugno 2025, n. 5216
Presidente: Franconiero - Estensore: Lamberti
FATTO E DIRITTO
1. L'appellante espone di essere proprietario di un immobile, sito nel Comune di Melito di Napoli, alla via Colonne 37, regolarmente assentito con concessione edilizia per la realizzazione di opifici industriali, ma di avere realizzato, nel corso dei lavori ed in assenza di titolo edilizio, tre unità abitative con conseguente mutamento della destinazione d'uso; pertanto, in data 10 dicembre 2004, il medesimo ha provveduto a protocollare n. 3 istanze di condono edilizio, ai sensi della l. 326/2003, per la sanatoria del predetto intervento abusivo; il Comune, con provvedimenti nn. 2, 4 e 5 del 28 marzo 2014 ha rilasciato i condoni edilizi richiesti.
2. Con la nota prot. 5214 del 12 marzo 2015 il Comune ha disposto l'annullamento in autotutela dei predetti titoli, avendo rilevato: che i lavori non erano stati ultimati entro il 31 marzo 2003; che non erano stati versati gli importi esatti per oblazione e oneri concessori in relazione alla riscontrata tipologia di abuso; che, infine, il ricorrente non aveva allegato i prescritti documenti: perizia giurata e idoneità statica.
3. L'appellante ha impugnato tale provvedimento avanti il T.A.R. per la Campania che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso, rilevando tra l'altro che "all'atto del sopralluogo effettuato dalla P.G. in data 12 settembre 2003, e pertanto oltre il termine del 30 marzo 2003 disposto dalla L. 326/2003 per la sanabilità delle opere abusive, non risulta realizzato il cambio di destinazione ad uso residenziale oggetto della domanda di condono edilizio presentata in data 10 dicembre 2004 con prot. 21662".
4. L'originario ricorrente ha proposto appello avverso tale statuizione, facendo valere l'esito assolutorio del processo penale al quale era stato sottoposto per gli stessi fatti e, in particolare, le dichiarazioni dei testimoni ivi escussi, dalle quali emergerebbe il completamento dell'unità abitativa entro il tempo utile.
L'appellante precisa altresì che non sussiste alcun contrasto con il verbale a suo tempo redatto dagli accertatori, dal momento che questo non descrive lo stato interno dell'immobile.
5. L'appello è infondato.
Preliminarmente, va precisato come non risulta determinante l'esito del processo penale che ha interessato l'appellante, dal momento che il Comune non era parte di tale giudizio e stante il principio di autonomia che caratterizza i rapporti tra giurisdizione penale e amministrativa (C.d.S., Sez. VI, 15 febbraio 2021, n. 1350: "Nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola, almeno tendenziale, è quella dell'autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all'art. 654 c.p.p. secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all'amministrazione per l'accertamento dei fatti rilevanti nell'attività di vigilanza edilizia e urbanistica. Né la sentenza penale di assoluzione può condizionare in modo inderogabile il giudizio amministrativo, tanto più quando il Comune non si sia costituito parte civile nel processo penale").
5.1. Nel merito si osserva che, circa il concetto di edificio ultimato, in base all'art. 31, comma 3, l. 47/1985 "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e ultimata la copertura, ovvero quanto alle opere interne agli edifici già esistenti... quando esse siano state completate funzionalmente".
Quanto alla portata del concetto di completamento funzionale, lo stesso deve riferirsi alla realizzazione di un intervento di cui sia possibile riconoscere le caratteristiche tipologiche, in quanto siano presenti gli aspetti essenziali che ne individuano la funzione e ne consentono l'utilizzo. Più precisamente, ai fini del presente giudizio, tale concetto serve ad identificare il momento in cui il manufatto ha acquisito caratteristiche oggettivamente ed univocamente idonee alla nuova destinazione, anche se gli interventi di finitura non risultano ancora completati (cfr. C.d.S., Sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 393).
Nello specifico, avuto riguardo all'oggetto del presente giudizio, deve ricordarsi che per la giurisprudenza la nozione di completamento funzionale implica uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione dell'immobile come residenza; in altri termini, l'organismo edilizio, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione al rustico, ossia intelaiatura, copertura e muri di tamponamento), ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d'uso (cfr. C.d.S., Sez. VI, 20 febbraio 2019, n. 1190).
Avuto riguardo a tale orientamento ed alla prospettazione dell'appellante deve evidenziarsi sin da ora che l'assenza delle tamponature esterne preclude alla radice la fruizione residenziale dell'immobile, il quale non può pertanto dirsi completato ai fini del condono.
Giova inoltre ricordare che la giurisprudenza, alla quale si intende aderire, è orientata nel senso che incombe su chi richiede di beneficiare di un condono edilizio l'onere di provare che l'opera è stata realizzata in epoca utile per fruire del beneficio (cfr. C.d.S., n. 2949/2012 e n. 772/2010), in quanto, mentre l'amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista (in tal senso C.d.S., Sez. VI, 5 agosto 2013, [n.] 4075).
La giurisprudenza ha anche ritenuto che anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso, non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori (C.d.S., n. 6548/2008).
5.2. Alla luce di tale orientamento deve osservarsi come l'appellante non abbia provato con elementi oggettivi ed univoci il completamente dell'immobile.
Nello specifico, non possono fungere da prova le dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del processo penale, dovendosi invero aver riguardo ad un riscontro concreto ed obiettivo.
Come rilevato dal T.A.R., avvalora l'assunto che precede il fatto che in base al verbale di sopralluogo dei Vigili urbani di Melito di Napoli del 12 settembre 2003 si attesta che a tale data, successiva al 31 marzo 2003 (data entro la quale dovevano essere già state completate le opere edilizie abusive di cui poteva richiedersi condono), il cambio di destinazione d'uso non risultava ancora realizzato perché l'edificio era a grezzo, privo di tompagni e allo stato di solo "scheletro" [testualmente si legge: «L'anno 2003 il giorno 12 del mese di Settembre alle ore 17,30 noi sottoscritti Ufficiali ed Agenti di P.G. Cap. Nicolangelo Pezone, Agente Tullio Pellecchia, appartenenti al Comando di Polizia di cui sopra, facciamo presente che, in data odierna, ci siamo recati alla via Colonne di Giugliano 37, ove abbiamo constatato che il Sig. P. Feliciano nato a Giugliano in Campania il 02/01/1947 da Giuseppe e da P. Maria domiciliato in Giugliano in Campania alla via San Vito n. 12 FACEVA REALIZZARE QUANTO SEGUE: "Realizzazione di n. 2 corpi di fabbrica a struttura scheletrica in c.a. così come da concessione edilizia n. 172/01 rilasciata dal Comune di Melito. Detti corpi di fabbrica allo stato così si presentavano: Piano seminterrato; Piano rialzato; Primo piano; simili in tutte le loro componenti. All'atto del controllo dei due corpi di fabbrica, questi si presentano solo scheletricamente, con il piano seminterrato che fuoriesce dal piano campagna per un 120 m e la sua altezza interna è di m 3,00 (misurato dall'intradosso del solaio e piano delle fondazioni). Inoltre in esso vi si eccede attraverso una rampa, ancora in terra battuta, che si trova sul lato destro guardando il manufatto. Detto piano all'atto del controllo risulta essere conforme ai grafici di concessione. Il piano rialzato si presenta con una altezza di m 3,55 con una superficie di 219,6 (18 ml x 12,20), come da grafici di concessione...»].
5.3. L'appellante non ha contestato il merito dell'accertamento contenuto nel predetto verbale, limitandosi a contestarne la rilevanza ed ad affermarne la conciliabilità con le dichiarazioni rese dai testi escussi in sede penale; a prescindere da quest'ultimo assunto, appare invece risolutivo che lo stesso appellante conferma che il fabbricato era sprovvisto di tamponature [testualmente: «In tale contesto non sussisteva alcun onere di impugnare il verbale del 12 settembre 2003, mediante la proposizione della querela di falso, poiché è vero che i fabbricati si presentavano, esternamente, senza ancora le tamponature (nel verbale si legge "scheletricamente")»].
Come anticipato, tale circostanza, ovvero l'assenza delle tamponature esterne, esclude che l'immobile possa ritenersi completato funzionalmente entro la data utile.
Per altro, il Comune ha anche precisato che i testimoni nel corso del processo penale, contrariamente a quanto asserito dal P. nell'atto di appello, sono soggetti diversi dagli ufficiali ed agenti di P.G. che, quali appartenenti al Comando di Polizia municipale del Comune, hanno proceduto alla redazione del verbale di sopralluogo e di sequestro e hanno constatato che in data 12 settembre 2003 il fabbricato era ancora composto da "due corpi di fabbrica, che si presentano solo scheletricamente".
6. Per le ragioni esposte l'appello va respinto.
La conferma dell'illegittimità del provvedimento di condono a suo tempo concesso, a prescindere dagli ulteriori profili di invalidità rilevati nel provvedimento impugnato, implica in ogni caso il rigetto del ricorso, senza la necessità di esaminare i motivi di primo grado riproposti in appello; invero, ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni, fra loro autonome, è sufficiente che anche una sola fra esse sia riconosciuta idonea a sorreggere l'atto medesimo, mentre le doglianze formulate avverso gli altri motivi devono ritenersi carenti di un sottostante interesse a ricorrere, giacché in nessun caso le stesse potrebbero portare all'invalidazione dell'atto (ex multis C.d.S., Sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1769).
6.1. Le spese di lite, ad una valutazione complessiva della controversia, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) respinge l'appello e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Campania, sez. II, sent. n. 7361/2021.