Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 4 aprile 2025, n. 16933

Presidente: Beltrani - Estensore: Perrotti

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli, con la sentenza emessa il 28 settembre 2020, all'esito del dibattimento, aveva riconosciuto la responsabilità degli imputati oggi ricorrenti per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla detenzione per il mercato di merce recante marchi o segni distintivi di note maison contraffatti e ricettazione e, avvinti i detti reati sotto il vincolo della continuazione, aveva condannato:

- Raffaele A. alla pena di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 4.000,00 di multa;

- Pietro N. alla pena di anni quattro mesi sei di reclusione ed euro 6.000,00 di multa;

- Mustapha An. alla pena di anni tre di reclusione ed euro 4.000,00 di multa;

- Hassan An. alla pena di anni tre di reclusione ed euro 4.000,00 di multa;

- Stefano M. alla pena di anni quattro mesi sei di reclusione ed euro 6.000,00 di multa;

- Giovanni P. alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 4.000 di multa;

- Changxiang J. alla pena di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 5.500,00 di multa.

A. Raffaele, M. Stefano, N. Pietro, P. Giovanni, J. Changxiang erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Tod's s.p.a., in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede, ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.

An. Hassan, An. Mustapha, J. Changxiang erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Nike International Ltd., in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede, ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.

An. Hassan, An. Mustapha, J. Changxiang erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Adidas A.G., in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede, ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.

A. Raffaele, M. Stefano, N. Pietro, P. Giovanni, erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Guccio Gucci s.p.a., in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede, ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.

A. Raffaele, M. Stefano, N. Pietro, P. Giovanni, Ranucci Nicola, erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile associazione A.D.O.C. Campania, in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede, ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.

Ai sensi dell'art. 240-bis c.p. era ordinata la confisca dei beni attualmente in sequestro nei confronti degli imputati A. Raffaele, An. Hassan, M. Stefano e P. Giovanni.

2. La Corte di appello di Napoli, pronunciatasi sugli appelli proposti dagli imputati, ha riformato parzialmente la sentenza impugnata, dichiarando:

- non doversi procedere nei confronti di Raffaele A., limitatamente al reato descritto al capo B, estinto per prescrizione, rideterminando la pena per i reati di cui ai capi A e C nella misura complessiva di anni tre di reclusione ed euro 3.500,00 di multa;

- non doversi procedere nei confronti di Mustapha An., limitatamente ai reati descritti ai capi I ed L, estinti per prescrizione, rideterminando la pena per il delitto associativo sub H, nella misura di anni due e mesi due di reclusione;

- non doversi procedere nei confronti di Hassan An., limitatamente ai reati descritti ai capi I ed L, estinti per prescrizione, rideterminando la pena per il delitto associativo sub H, nella misura di anni due e mesi due di reclusione;

- non doversi procedere nei confronti di Chanpxiang J., limitatamente ai reati descritti ai capi I, A1, F1, G1, L1, estinti per prescrizione, rideterminando la pena per i reati di cui ai capi H ed L, nella misura di anni tre di reclusione ed euro 3.500,00 di multa;

- non doversi procedere nei confronti di Stefano M., limitatamente al reato descritto al capo B, estinto per prescrizione, rideterminando la pena per i reati di cui ai capi A e C nella misura di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 5.500,00 di multa;

- non doversi procedere nei confronti di Pietro N., limitatamente al reato descritto al capo B, estinto per prescrizione, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, rideterminava la pena per i reati di cui ai capi A e C nella misura di anni tre di reclusione ed euro 3.500,00 di multa, con la revoca della pena accessoria disposta in primo grado;

- non doversi procedere nei confronti di Giovanni P., limitatamente al reato descritto al capo B, estinto per prescrizione, rideterminando la pena per il reato di cui al capo C nella misura di anni tre e mesi cinque di reclusione ed euro 3.600,00 di multa.

2.1. La Corte confermava nel resto la sentenza impugnata, anche in relazione alle statuizioni civili ed alla disposta confisca ex art. 240-bis c.p.; condannava infine gli imputati appellanti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in giudizio sostenute nel grado dalle costituite parti civili.

3. Avverso tale sentenza ricorrono gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione gli argomenti in appresso succintamente rappresentati, secondo quanto previsto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.

3.1. Changxiang J., capi H ed L.

3.1.1. Vizi esiziali di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p.), per manifesta illogicità ed intima contraddittorietà, in riferimento alla non corretta individuazione del tempus commissi delicti (capi H ed L), 23 novembre 2012 per la ricettazione (capo L), mentre la prova intercettiva evidenzia condotte attive fino al 14 luglio 2012, 28 settembre 2020 (data della decisione di primo grado) per il delitto associativo descritto al capo H, mentre ancora una volta la prova intercettiva restituisce evidenza di attività associativa fino al 26 luglio 2012 o, al più, fino al 28 novembre 2014.

3.1.2. Ancora, vizi esiziali di motivazione sono dedotti in riferimento alla prova della partecipazione associativa, in particolare per difetto di dolo (consapevolezza di contribuire con la propria condotta alla realizzazione degli scopi sociali), avendo la ricorrente svolto attività commerciale solo in nome e per conto del coniuge, senza mai rapportarsi con gli altri ricorrenti.

3.2. Giovanni P., capo C.

3.2.1. Mancanza di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p.), con riferimento al confermato riconoscimento della recidiva qualificata, non avendo la Corte di merito tenuto conto della estinzione di uno dei reati a seguito dell'esito favorevole della probation.

3.2.2. Ancora, vizio di motivazione per manifesta illogicità, in riferimento alla negata continuazione sul precedente giudicato, compiutamente identificato dall'appellante (con deposito di copia della sentenza già irrevocabile) già nel corso delle conclusioni rassegnate in primo grado.

3.2.3. Violazione e falsa applicazione della legge penale, in ordine alla disposta confisca di due unità immobiliari, non avendo la Corte tenuto conto del lavoro di commerciante, ancorché privo di redditi, svolto dal ricorrente sin dal 2002.

3.2.4. Ancora, vizi di motivazione in riferimento alla disposta confisca dei due immobili, non potendo riscontrarsi alcuna sproporzione tra capacità reddituali del ricorrente e acquisto datato degli immobili.

3.3-4. Mustapha e Hassan An., capo H.

3.3-4.1. Vizi esiziali di motivazione, per manifesta illogicità e mera apparenza, in riferimento al negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della tenuità del fatto (art. 648, comma 4, c.p.).

3.5. Raffaele A., capi A e C.

3.5.1. Violazione e falsa applicazione della legge penale e vizi esiziali di motivazione, sia in ordine alla ritenuta partecipazione associativa, essendo egli un mero acquirente di merce da Vincenzo B., sia con riferimento al tempus commissi delicti per il delitto associativo sub A, che aveva già compiuto la sua parabola di efficacia attiva nel novembre del 2011, con pedissequi riflessi sulla prescrizione.

3.5.2. Ancora, i medesimi vizi sono dedotti quanto a mancata qualificazione in termini di grossolanità della contraffazione e mancata prova della qualità di marchi protetti, il che riverbera evidentemente effetti anche sul reato di ricettazione.

3.6. Pietro N., capi A e C.

3.6.1. Travisamento della prova e violazione di legge incriminatrice, quanto a qualificazione dei fatti descritti al capo C (art. 648 c.p.); dal contenuto della prova intercettiva si evince che il ricorrente concorreva con Vincenzo B. nella produzione della merce recante marchi contraffatti, in quanto la ordinava in precisi stock, consegue la inconciliabilità logico-giuridica dell'ipotesi di ricettazione, atteso il concorso nel delitto presupposto, da qualificarsi ai sensi dell'art. 473 c.p., comunque già prescritto.

3.6.2. Violazione di legge e vizi di motivazione, per mera apparenza, in ordine alla riconosciuta recidiva qualificata, non ricorrendo i presupposti normativi per ritenere reiterata la recidiva contestata; i precedenti penali del ricorrente appaiono comunque deboli e datati, tanto da non poter rappresentare l'antecedente logico-giuridico della valutazione di accresciuta pericolosità e più intensa colpevolezza.

3.6.3. La Corte territoriale ha infine errato nel non escludere la parte civile A.D.O.C., non ricorrendo prova del danno civile provocato alla costituita associazione dalla condotta contestata al ricorrente.

3.7. Stefano M., capi A e C.

3.7.1. Violazione della norma incriminatrice e vizio di motivazione per travisamento della prova, in riferimento alla ritenuta partecipazione associativa sub A, essendo il M. solo il fornitore episodico di Vincenzo B., senza alcun altro contatto rilevante con gli altri sodali, né prova della consapevolezza della esistenza di un organismo plurisoggettivo strutturato e funzionale.

3.7.2. I medesimi vizi sono dedotti quanto a mancato raggiungimento della prova tranquillante di responsabilità per il delitto associativo contestato sub A.

3.7.3. Inosservanza della norma processuale posta a pena di nullità (art. 606, comma 1, lett. c, in riferimento agli artt. 521 e 522 c.p.p.), avendo i giudici di merito condannato il ricorrente per un fatto diverso da quello contestato, in assenza di parametri cronologici precisi nella imputazione.

3.7.4. Violazione della norma penale incriminatrice, non avendo la Corte ritenuto assorbita la condotta di ricettazione in quella di cui all'art. 747 c.p.

3.7.5. Violazione di legge per difetto dei presupposti normativi atti a riconoscere la recidiva qualificata, non potendo ritenersi significativi i precedenti penali di cui è gravato il ricorrente.

3.7.6. Violazione di legge e vizi di motivazione, in riferimento al rigetto del motivo di gravame col quale si insisteva per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, come equivalenti o prevalenti sulla recidiva qualificata, alla conseguente dosimetria della pena, anche con riguardo alla misura degli aumenti calcolati per la continuazione.

3.7.7. Violazione della norma penale, quanto alla disposta confisca degli immobili intestati alla coniuge, in difetto dei presupposti normativi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, corre l'obbligo di esplicitare le ragioni che, all'udienza pubblica del 4 aprile 2025, hanno indotto il Collegio ad escludere dalla discussione la parte civile Nike International Ltd, rappresentata dal procuratore speciale, avv. Monica Bucarelli, che, in data 18 marzo 2025, aveva nominato se stessa, con espressa revoca di ogni precedente mandato, quale difensore della parte civile nel processo.

1.1. Questa Corte, con giurisprudenza consolidata da oltre un decennio (Sez. 1, n. 5022 del 28 novembre 2022, dep. 2023, C., Rv. 283947; Sez. 6, n. 14411 del 14 gennaio 2020, C., Rv. 278846-01; Sez. 6, [n.] 46021 del 19 settembre 2018, Antonucci, [Rv.] 274281-01; Sez. 2, n. 40715 del 16 luglio 2013, Stara, Rv. 257072-01; tra le più recenti non oggetto di massimazione, Sez. 2, n. 11152 del 18 gennaio 2024, Braidic, in motiv. pag. 3, ult. cpv.; Sez. 2, n. 50091 del 1° dicembre 2023, E., in motiv. pag. 2), ha costantemente affermato (anche in tema di costituzione di parte civile) che l'imputato, così come la persona danneggiata dal reato, seppure esercente la professione forense, deve costituirsi necessariamente con il ministero di un difensore terzo rispetto alla parte.

La scelta del legislatore costituisce, infatti, espressione della volontà di imporre a tutte le parti private del processo penale la difesa tecnica e che ad essa non deroga la previsione dell'art. 13, comma 1, della l. 31 dicembre 2012, n. 247, che va letta in coordinamento con le specifiche previsioni procedurali di ogni ramo dell'ordinamento.

Richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentt. n. 188 del 16 dicembre 1980 e n. 395 del 13 luglio 2000, e della Corte EDU, relativa in particolare all'art. 6, par. 3, lett. c, Carta EDU: cfr. Corte EDU, 27 aprile 2006, Sannino c. Italia; Corte EDU, 21 settembre 1993, Kremzow c. Austria; Corte EDU, 24 maggio 1991, Quaranta c. Svizzera), è stata - del resto - già più volte espressamente evidenziata la conformità alla Carta fondamentale, così come alla Carta EDU, della vigente disciplina processuale penale, sia nella parte in cui non consente la difesa personale, sia nella parte in cui non permette la proposizione personale, da parte dell'imputato, del ricorso per cassazione. Ciò in quanto l'attività forense, in quanto diretta alla difesa dei diritti, è componente indefettibile dello Stato di diritto, che ne deve disciplinare l'esercizio posto a presidio dei diritti dei cittadini, garanzia della loro tutela, strumento di accesso alla giustizia da parte di tutti i soggetti, a qualunque categoria sociale essi appartengano. L'attuale disciplina normativa, che preclude l'autodifesa nel processo penale, dunque, si giustifica anche perché le norme che vietano il suo espletamento tutelano un interesse pubblico, in cui, tra l'altro, è coinvolto un diritto fondamentale, quale quello della libertà personale; la difesa tecnica della parte privata non può, dunque, assolutamente mancare, in quanto garantita e "protetta" dalla Costituzione. In quest'ottica, la professione forense assolve ad una funzione sociale regolata da normativa pubblicistica, come si evince dalla previsione costituzionale di cui agli artt. 24 e 13 della Carta fondamentale, circostanza che, a parere della Corte, legittima la decisione assunta nel quadro normativo vigente, in base al quale la facoltà di autodifesa dell'avvocato non può essere ammessa al di fuori del processo civile.

Tanto premesso, seguono le ragioni della decisione sui ricorsi degli imputati.

2. Changxiang J., capi H (partecipazione ad associazione finalizzata alla commissione di reati di contraffazione, commercio e ricettazione di merce recante marchi contraffatti) ed L (ricettazione).

La logica interna alla decisone consiglia di invertire l'ordine nell'esame dei motivi di ricorso.

2.1. Il secondo motivo di ricorso, che denuncia - in maniera peraltro promiscua - deficit motivazionali sulla prova della partecipazione associativa (capo H) ed in particolare sulla prova del dolo, è inammissibile, ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p., per manifesta infondatezza ed assoluta aspecificità, in quanto meramente ripetitivo dei motivi di gravame già respinti, con diffuse e coerenti argomentazioni dalla Corte di merito.

Dalla lettura del testo della sentenza impugnata e di quella consonante di primo grado, si evince che nel giudizio di merito l'affermazione della responsabilità della ricorrente si è fondata sulla corretta analisi delle circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio di primo grado e che nel giudizio di appello sono state tenute in debito conto le doglianze di merito sviluppate con i motivi di gravame, anche in tema di prova della consapevolezza di partecipare efficacemente (ancorché dal territorio cinese) ad una compagine plurisoggettiva organizzata (promossa ed organizzata dal coniuge, C. Xingman), attiva nella consumazione di una moltitudine di reati di importazione dall'estremo oriente e diffusione sul territorio partenopeo di merce (capi di abbigliamento ed accessori) recante noti marchi contraffatti. La Corte di merito (pag. da 45 a 53 della sentenza impugnata) ha così offerto ai motivi di gravame diffusa ed esaustiva corrispondenza dialettica, che sul punto essenziale della decisione non viene peraltro specificamente censurata con i motivi di ricorso.

Nel giudizio di merito sono state correttamente argomentate (pag. 52 e S3 della sentenza impugnata) consistenza e univocità delle evidenze intercettive che hanno condotto ad affermare la responsabilità dell'imputata rispetto ad entrambe le ipotesi accusatorie descritte in imputazione. Ciò in quanto dal tenore delle numerose conversazioni intercettate, soprattutto con il coniuge residente in Italia e separatamente già giudicato con sentenza irrevocabile, la Corte ha tratto argomento per ritenere dimostrata la chiara consapevolezza della ricorrente di agire efficacemente per offrire il suo contributo personale alla sodalità dedita alla importazione e commercializzazione di merce recante noti marchi contraffatti. La ricorrente interloquiva infatti non solo con il coniuge, con il quale collaborava operativamente, ma con una pluralità di fornitori, collaboratori ed esportatori che coordinava nelle loro attività commerciali. Il motivo di ricorso relativo si risolve, pertanto, nella mera riproposizione delle argomentazioni già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione; senza cioè indicare le ragioni delle pretese illogicità o della ridotta valenza dimostrativa degli elementi a carico, e ciò a fronte di puntuali argomentazioni contenute nella decisione impugnata, con cui la ricorrente rifiuta di confrontarsi (Sez. 5, n. 28011 del 15 febbraio 2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 2, n. 11951 del 29 gennaio 2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 6, n. 20377 dell'11 marzo 2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 6, n. 22445 dell'8 maggio 2009, Candida, Rv. 244181; Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Leonardo, Rv. 254584).

2.2. Ammissibile e fondato (nei limiti di cui in appresso) è, viceversa, il primo motivo di ricorso, che si diffonde sul tema della prescrizione (non riconosciuta dalla Corte di appello, cui il punto era stato specificamente devoluto con i motivi di gravame ribaditi nelle conclusioni rassegnate) di entrambi i reati contestati, quello associativo descritto al capo H e quello di ricettazione descritto al capo L.

2.2.1. Quanto al delitto di ricettazione contestato al capo L, la Corte ha escluso che il termine di prescrizione fosse elasso alla data della decisione (3 giugno 2024), giacché le condotte attive sarebbero proseguite fino al 23 novembre 2012. Il termine decennale di prescrizione (otto anni, aumentati di un quarto, per effetto degli atti interruttivi) è rimasto infatti sospeso per complessivi 765 giorni e cadeva il 26 dicembre 2024.

Orbene, la difesa ha sul punto censurato specificamente la decisione impugnata, evidenziando, con argomenti certamente non peregrini, che l'ultimo atto di ricettazione contestato in concorso e continuazione non può coincidere con la data del 23 novembre 2012 (termine dell'attività investigativa svolta nei confronti dei diversi imputati), che ben potrebbe essere astrattamente presa in considerazione quale dies ad quem della permanenza in tema di partecipazione associativa, ma giammai quale data di consumazione del reato istantaneo di ricettazione. Ciò soprattutto in considerazione del fatto che, per gli altri due imputati (An. Assan e An. Mustapha) delle medesime condotte, la Corte ha indicato (con intima ed irrisolta contraddizione argomentativa) la data dell'ultimo atto di ricettazione nel maggio del 2012 e nei confronti del coniuge (separatamente giudicato) la data dell'ultima condotta di ricettazione (in concorso) è indicata nel 14 luglio dello stesso anno. L'argomento che sostiene la prosecuzione nell'attività di ricettazione fino al 23 novembre 2012 appare, pertanto, del tutto disancorato dalle emergenze intercettive, che registrano peraltro la cessazione delle attività di acquisto dei trafficanti italiani dalla ricorrente al maggio 2012, l'argomento è, pertanto, del pari intimamente contraddittorio.

Stante la non manifesta infondatezza del motivo di ricorso, il decorso del tempo successivo alla data della decisione di appello (3 giugno 2024) può dunque essere efficacemente computato ai fini del calcolo del termine complessivo della prescrizione (Sez. un., n. 21 del 22 ottobre 2000, Rv. 217266; Sez. 6, n. 58095 del 30 novembre 2017, Tornei, Rv. 271965). I reati di ricettazione contestati in concorso e continuazione (capo L) risultano, pertanto, oggi certamente prescritti, pur tenendo conto dei 765 giorni di sospensione del corso della prescrizione, essendo decorso il termine ultimo alla data del 26 dicembre 2024.

La prescrizione del reato di ricettazione in data successiva alla sentenza di primo grado impone (in considerazione della inammissibilità dei motivi di merito, cfr. paragrafo 2.1), secondo quanto dispone il testo dell'art. 578 c.p.p., la conferma delle statuizioni civili.

2.2.2. Quanto al dies ad quem della permanenza associativa descritta al capo H, la motivazione della sentenza impugnata - nella incontestata considerazione che la prova della partecipazione associativa "copre" l'intervallo cronologico fino al 23 novembre 2012, data di cessazione dell'attività di indagine di natura intercettiva - ha inteso valorizzare la formulazione c.d. aperta della imputazione («... dal gennaio 2011 con condotta perdurante»). La Corte ha quindi ritenuto che, dimostrata la partecipazione attiva al sodalizio fino al 23 novembre 2012, la permanenza del reato associativo dovesse ritenersi cessata alla data di accertamento in primo grado del fatto (28 settembre 2020), esattamente come era avvenuto nel separato giudizio abbreviato eletto dagli altri imputati - e dallo stesso coniuge C. Xingman - dello stesso fatto associativo. Letta sotto questo angolo prospettico potrebbe forse avere un senso l'espressione contenuta al quarto capoverso della pagina 53 della sentenza impugnata: La sentenza del G.i.p. del Tribunale di Napoli, parzialmente riformata dalla Corte di appello ed irrevocabile il 19 aprile 2017, ha accertato l'operatività del gruppo diretto da C. Xingman fino al 28 settembre 2020 (salvo il passaggio troppo criptico che logicamente dovrebbe legare la data della decisione di primo grado, resa in questo giudizio, alla data della sentenza di primo grado resa nel separato giudizio, nei confronti degli imputati che avevano eletto il rito abbreviato). Resta infatti irrisolta, nella motivazione della sentenza impugnata, la torsione logica che ipotizza un "accertamento a futura memoria, 28 settembre 2020" contenuto in una sentenza (resa in separato giudizio) del 28 novembre 2014. Se può, infatti, anche ritenersi che, in caso di contestazione c.d. aperta, la cessazione della permanenza coincida con l'accertamento del fatto in primo grado, certamente questo dato cronologico di natura convenzionale non può farsi discendere da un accertamento svolto in separato giudizio datato quasi sei anni prima della sentenza intervenuta nel primo grado di questo giudizio.

Peraltro, approfondendo l'analisi sul tema devoluto, la logica che regge questa parte della decisione, per un verso non tiene conto del significato che si trae dalla prova intercettiva valorizzata con i motivi di appello, ove si dava conto dell'esaurimento della dimostrata virulenza di questa compagine al luglio 2012 (e comunque certamente non oltre il novembre di quello stesso anno), per altro verso si pone in aperto (forse inconsapevole) contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (da Sez. 2, n. 23343 del 1° marzo 2016, Ariano, Rv. 267080, fino a Sez. 2, n. 37104 del 13 giugno 2023, Aligi, Rv. 285414, tra le ultime oggetto di massimazione; meno recentemente, Sez. 5, n. 25578 del 15 maggio 2007, Rv. 237707; Sez. 1, n. 39221 del 26 febbraio 2014, Pg in proc. Panzeca ed altri, Rv. 260511), che tende a datare la cessazione della permanenza, anche e soprattutto nei reati associativi, in coincidenza con la dimostrazione di una attuale virulenza. In altre parole, una volta che nel processo sia rimasta dimostrata l'efficace offerta di contribuzione agli scopi dell'associazione, occorre (atteso il carattere assai concreto del pericolo che connota l'incriminazione, che offende il bene-interesse tutelato finché perdura quella "reciproca offerta di contribuzione") dimostrare la permanente durata di tale offerta, che in questo processo è rimasta ancorata (come del resto le stesse modalità di partecipazione al sodalizio dimostrano) al periodo 2011-2012 in cui si è manifestata la coagulazione del gruppo di mercanti di marchi contraffatti attorno al coniuge della ricorrente, non avendo i giudici di merito valorizzato successive manifestazioni di affectio (recentemente in questi termini, tra le decisioni non massimate: Sez. 2, n. 11786 del 13 marzo 2025, Giordano; Sez. 1, n. 7781 dell'8 gennaio 2025, Cassano; Sez. 5, n. 1854 del 22 novembre 2024, dep. 2025, Autolitano; Sez. 1, n. 43830 del 25 settembre 2024, Nirta; Sez. 2, n. 15170 del 26 marzo 2024, Carpino; Sez. 2, n. 22646 del 10 maggio 2024, Calcagno; Sez. 5, n. 28118 del 2 aprile 2024, Tipaldi; Sez. fer., n. 42737 del 29 agosto 2024, Cipolla; Sez. 1, n. 37507 del 5 giugno 2024, Giunta; Sez. 1, n. 34453 del 19 giugno 2024, Stambé).

La sentenza impugnata deve sul punto specifico essere annullata, per intima contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, onerando la Sezione di rinvio della individuazione corretta della data di cessazione della permanenza associativa, fondata sulla accertata dimostrazione (ad una certa data) della permanenza del vincolo.

3. Mustapha An. e Hassan An., capo H.

3.1. Il primo motivo di ricorso (che censura la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di gravame con il quale si chiedeva di riconoscere l'attenuante di cui al comma 4 dell'art. 648 c.p.) proposto nell'interesse dei fratelli An., con il medesimo atto di impugnazione, è inammissibile per difetto di concreto interesse (art. 568, comma 4, c.p.p.), riferendosi ad una fattispecie di reato (art. 648 c.p.) già dichiarata estinta per prescrizione dalla Corte di appello.

3.2. Il secondo motivo, con il quale si censura la decisione che ha respinto il motivo di appello con il quale si chiedeva di riconoscere le circostanze attenuanti generiche, è inammissibile per evidente difetto di specificità. Tale motivo non si confronta, infatti, con l'attenta motivazione offerta dalla Corte a sostegno della decisione (pag. 61, quinto capoverso, della sentenza impugnata), ove si evidenzia, con argomentare conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, n. 48013 del 12 luglio 2018, Rv. 273995), che alcuno specifico elemento degno di positivo apprezzamento induce a riconoscere le circostanze innominate.

3.3. Tuttavia, la natura non esclusivamente personale del motivo di ricorso (ad interesse plurale) proposto nell'interesse di Changxiang J., poco sopra scrutinato (sub 2.2.2), impone di estenderne gli effetti favorevoli (art. 587, comma 1, c.p.p.) anche ai concorrenti nel medesimo reato (associazione per delinquere descritta al capo H) che tale motivo non hanno coltivato.

Il motivo, infatti, involge (ai fini di verificare il decorso del termine di prescrizione) accertamenti correlati al perimetro cronologico di esistenza stessa del descritto reato associativo, non già la partecipazione dell'individuo alla sodalità.

Deve, pertanto, farsi applicazione dell'orientamento di questa Corte secondo cui l'inammissibilità dell'impugnazione non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora un diverso impugnante abbia proposto un valido atto di gravame, atteso che l'effetto estensivo dell'impugnazione produce i suoi effetti anche con riferimento all'imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile) ed indipendentemente dalla fondatezza dei motivi proposti dall'imputato validamente ricorrente, purché di natura non esclusivamente personale, sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente (Sez. 6, n. 14027 del 13 febbraio 2024, Greco, Rv. 286373-02; Sez. 2, n. 189 del 21 novembre 2019, dep. 2020, Bonometti, Rv. 277814-02; Sez. 3, n. 16158 del 26 febbraio 2019, Masoni, Rv. 275403; Sez. 4, n. 10180 dell'11 novembre 2004, dep. 2005, Antoci, Rv. 231133; Sez. 3, n. 10223 del 24 gennaio 2013, Mikulic, Rv. 254640; Sez. 2, n. 33429 del 12 maggio 2015, Guardì, Rv. 264139).

La sentenza va pertanto annullata sul punto specifico, onerando la Sezione di rinvio della individuazione corretta della data di cessazione della permanenza associativa, fondata sulla accertata dimostrazione (ad una certa data) della permanenza del vincolo.

4. Raffaele A., capi A e C (con la recidiva qualificata ai sensi dell'art. 99, comma 2, c.p.).

4.1. Nel merito dell'accertamento della responsabilità, per il fatto associativo e per il delitto di ricettazione contestato al capo C, la doppia decisione conforme (in punto di responsabilità) ha affrontato tutti i temi posti con i motivi di gravame, valorizzando sia i contatti affaristici iterati nel tempo con il sodale Vincenzo B., sia i diversi contatti tematici con altro sodale, sia i continui rifornimenti di merce presso gli esponenti del sodalizio, nella consapevolezza della natura contraffatta dei marchi che identificano le calzature acquistate per il mercato. Rispetto a tale argomentare, logico e lineare, i motivi di ricorso spesi nel merito dell'accertamento non fanno che riproporre le medesime questioni già prospettate con i motivi di gravame, facendo così scivolare gli argomenti di doglianza verso l'inammissibilità, per difetto di intrinseca specificità.

4.2. Valgono, tuttavia, per Raffaele A. le medesime ragioni di annullamento (v. sub 2.2.2) che sostengono la decisione assunta nei confronti della ricorrente Changxiang J., con l'unico distinguo che, questa volta, il reato associativo è quello descritto al capo A. Anche in questo caso la Corte ha ritenuto che la cessazione della permanenza nel reato associativo potesse coincidere con la data dell'accertamento del fatto in primo grado (28 settembre 2020), senza però tenere in debito conto le ragioni spese con i motivi di gravame, che avevano valorizzato l'ultimo atto probatorio della condotta contestata (novembre 2011) e la certa interruzione della vita associativa (che muove in questa fattispecie ex actis) al febbraio 2014, allorquando vennero poste in esecuzione le misure cautelari per i fatti contestati. Sul punto dedotto non può che richiamarsi il percorso argomentativo svolto al paragrafo 2.2.2, con la conseguenza che l'annullamento della decisione impugnata, limitatamente all'eventuale decorso della prescrizione per il delitto associativo sub A, onera la Sezione di rinvio di apprezzare la data di cessazione della permanenza tenendo conto sia delle circostanze di fatto accertate che della giurisprudenza di questa Corte, già sopra indicata (v. sub 2.2.2, secondo capoverso).

4.3. Con specifico riferimento ai motivi di censura proposti in relazione al delitto presupposto della ritenuta ricettazione (contraffazione grossolana e marchi non oggetto di tutela intracomunitaria), deve qui richiamarsi la motivazione della Corte di merito (pag. da 28 a 30 della sentenza impugnata), rammentando in diritto che, mentre l'incriminazione posta dall'art. 473 c.p. appresta una tutela che riguarda la fase precedente l'immissione in commercio di prodotti contraffatti (tutela che si colloca in una fase analoga a quella della fabbricazione prevista e punita dall'art. 517-ter, comma 1, c.p., che sanziona chi fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso), la condotta punita dall'art. 474 c.p., è direttamente collegata alla messa in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato e presuppone già apposto il segno distintivo su una determinata res. Non essendo, peraltro, assolutamente richiesta dalla incriminazione la perfetta identità dei segni riprodotti senza licenza (Sez. 5, n. 33543 del 21 settembre 2006, Rv. 235225).

È consolidato inoltre il principio per cui l'art. 474 c.p., che è reato di pericolo, è posto a tutela del bene giuridico della fede pubblica e richiede - a monte - la materiale contraffazione o alterazione dell'altrui marchio, senza che possa rilevare la grossolanità o riconoscibilità della contraffazione (Sez. 2, n. 16807 dell'11 gennaio 2019, Assane, Rv. 275814-01).

La Corte di merito ha inoltre ripetuto che l'accertamento della responsabilità si è fondato sulla corretta e coerente analisi delle evidenze processuali (sequestro di numerosissime calzature recanti segni identificativi della provenienza industriale da una determinata casa produttrice), a nulla rilevando i motivi geometrici, sigle o altro, in quanto ciò che la fattispecie tutela è la originalità del prodotto registrato (per la tutela dei segni ornamentali: Sez. 3, n. 31868 del 17 marzo 2016, Rv. 267668) e la sua capacità distintiva è stata divisata sulla base di evidenze dichiarative di soggetti tecnici versati nel settore e sulla base di elementi pubblicitari che ne testimoniano la diffusione, senza contare che appartiene certamente al notorio la combinazione tra una maison ed un particolare disegno geometrico. Il che corrisponde esattamente alla ragione che spinge alla contraffazione imitativa, giacché è quel tipo di disegno che viene identificato dal pubblico come sintomatico di qualità e fascino.

4.4. Quanto alla ricettazione degli oggetti recanti riproduzione di marchi figurativi registrati, la Corte ha correttamente divisato concorso di reati nelle distinte oggettività giuridiche tutelate dalle diverse norme incriminatrici, ponendosi così all'interno di un filone giurisprudenziale consolidato da poco meno cinque lustri (Sez. 2, n. 12452 del 4 marzo 2008, Rv. 239745; Sez. un., n. 23427 del 9 maggio 2001, Rv. 218771).

4.5. Il ricorso proposto nell'interesse di Raffaele A. è, dunque, nel resto inammissibile.

5. Giovanni P., capo C, con la recidiva specifica e reiterata.

Sono fondati i primi due motivi di ricorso (presupposti della recidiva qualificata e negata continuazione con il precedente giudicato).

5.1. La Corte territoriale ha omesso qualsivoglia sforzo argomentativo in ordine alla richiesta di esclusione della recidiva, avanzata all'udienza del 13 dicembre 2023 e ritualmente verbalizzata, come risulta dagli atti compulsati dal collegio in camera di consiglio. L'esito positivo della probation avrebbe, ad avviso del ricorrente, impedito di riconoscere i presupposti della recidiva qualificata ritenuta in sentenza, giacché l'esito positivo della messa alla prova estingue il reato (art. 168-ter c.p.) e ne caduca gli effetti penali (Sez. 2, n. 46064 del 30 novembre 2021, Ndiaye, Rv. 282270-01). La mancanza di motivazione, intesa quale difetto del tratto grafico, è sanzionata da nullità della decisione.

5.2. È fondato anche il secondo motivo di ricorso, che censura il rifiuto della Corte di riconoscere la continuazione "esterna" con un diverso reato, già precedentemente giudicato (sent. Tribunale Torre Annunziata del 26 giugno 2013), adducendo che la sentenza indicata dalla difesa non risultava corrispondere a quella annotata nel certificato del casellario. Sollecitato dai motivi di ricorso, il Collegio ha compulsato gli atti, verificando che già nel corso del giudizio di primo grado la difesa aveva prodotto la sentenza irrevocabile rispetto alla quale chiedeva applicarsi la disciplina della continuazione. La Corte territoriale avrebbe pertanto potuto efficacemente verificare gli estremi della sentenza allegata dalla difesa e confrontarli con quelli del titolo annotato sul certificato del casellario. La motivazione adottata per rigettare l'istanza appare pertanto meramente apparente, con la conseguente nullità della decisione.

La Corte onerata del rinvio dovrà dunque verificare la sussistenza dei presupposti della recidiva qualificata e quelli della invocata continuazione col precedente giudicato, dando conto in motivazione delle ragioni dell'eventuale rifiuto.

5.3-4. Gli ultimi due motivi di ricorso sono inammissibili, per difetto di concreto interesse alla eventuale revoca della confisca di beni immobili intestati al figlio ed oggetto della disposta confisca c.d. allargata.

In tema di confisca allargata ai sensi dell'art. 240-bis c.p., l'imputato nei cui confronti si proceda per uno dei titoli di reato contemplati dalla norma non ha interesse a proporre impugnazione in ordine al provvedimento ablatorio caduto su beni intestati a terzi, ancorché considerati nella sua disponibilità indiretta, poiché, non potendo vantare alcun diritto alla loro restituzione, non può ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione (Sez. 2, n. 4160 del 19 dicembre 2019, dep. 2020, Bevilacqua, Rv. 278592-01; Sez. 5, n. 18508 del 16 febbraio 2017, Fulco, Rv. 270209-02; tra le più recenti non massimate: Sez. 4, n. 13172 del 26 marzo 2025, Hu; Sez. 7, ord. n. 7286 del 12 gennaio 2024, Sokoli; Sez. 4, n. 2867 del 13 gennaio 2021, Guidetti), salvo che non vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione dell'impugnazione, nella specie neppure dedotto (Sez. 2, n. [16356] del 21 marzo 2024, Calabrò, non mass.; Sez. 3, n. 30691 del 24 giugno 2021, Praticò, non mass.). Dunque, è solo il terzo a poter accampare un interesse personale e diretto a provare la legittima acquisizione dei beni ovvero l'assenza di fittizia intestazione degli stessi.

6. Pietro N., capi A, B e C, con la recidiva qualificata ai sensi dell'art. 99, comma 4, c.p.

6.1. Inammissibile è il primo motivo di ricorso versato in tema di qualificazione giuridica del fatto (capo B), che il ricorrente vorrebbe avvincere al tipo descritto dall'art. 473 e non 474 (come in imputazione) del codice penale. La Corte territoriale, alle pagine da 35 a 37 della motivazione, ha diffusamente argomentato il proprio convincimento in ordine alla qualificazione giuridica del fatto contestato, valorizzando aspetti di fatto non censurabili nel giudizio di legittimità, quali il ruolo in concreto svolto dall'associato, che fungeva da "agente di commercio" e mediatore tra i produttori della merce recante marchi contraffatti ed i mercanti, all'ingrosso o al minuto, di detti prodotti illeciti. Consegue che certamente, afferma in più riprese la Corte, egli fosse estraneo al circuito della produzione della merce, ponendosi funzionalmente a valle della produzione. Sotto le mentite spoglie della differente qualificazione del fatto, il motivo di ricorso sollecita, viceversa, inammissibilmente la Corte di legittimità a svolgere una nuova e differente valutazione degli elementi di fatto (Sez. 3, n. 18521 dell'11 gennaio 2018, Ferri, Rv. 273217-01).

6.2. Del pari inammissibile il secondo motivo di ricorso, versato in tema di errata valutazione dei presupposti per riconoscere la recidiva qualificata dalla reiterazione specifica nel quinquennio. La Corte ha seguito sul punto il diritto vivente, rappresentato dalla decisione assunta da questa Corte nella sua massima espressione di collegialità (Sez. un., n. 32318 del 30 marzo 2023, Sabbatini, Rv. 284878-01), che ha affermato il seguente principio di diritto: «In tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l'imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice».

La Corte di merito ha, per l'appunto, valorizzato il profluvio di precedenti specifici, ultimo dei quali nel quinquennio, che gravano la biografia criminale del ricorrente, argomentando da tale parossistica reiterazione la maggiore pericolosità sociale dell'imputato, oltre alla più accentuata colpevolezza (pag. 39 della sentenza impugnata).

6.3. Parzialmente fondato è, viceversa, il terzo motivo di ricorso, non avendo la Corte offerto alcuna risposta argomentativa al motivo di gravame contrassegnato dal numero 7, ove il difensore, in ragione del difetto dimostrativo del danno subito dalle costituite parti civili, instava per l'esclusione delle stesse, ovvero per il rigetto della richiesta di risarcimento dei danni subiti per effetto delle condotte di contraffazione in marchi attribuite anche a Pietro N.

Orbene, se tale argomento di gravame poteva apparire pretestuoso e manifestamente infondato in diritto, quanto alle parti civili titolari dei marchi contraffatti, che rivestono anche la qualità di persone offese dal reato e che hanno certamente subito un danno di immagine diretto ed immediato dalla attività di commercializzazione dei prodotti recanti i loro marchi contraffatti, cosicché la Corte d'appello era legittimata a trascurare il motivo di gravame (Sez. 6, n. 20522 dell'8 marzo 2022, Palumbo, Rv. 283268-01), altrettanto non può ritenersi laddove il motivo di gravame poteva presentare una certa apparenza di fondatezza, in quanto la parte civile A.D.O.C., ente esponenziale di una collettività indefinita di consumatori, non può ritenersi persona offesa dal reato di cui all'art. 474 c.p. ed il danno del quale chiede ristoro non appare affatto diretta ed immediata conseguenza della condotta di commercializzazione di capi di abbigliamento recanti marchi di note griffe contraffatti. Sul punto si è già recentemente espressa questa Corte (Sez. 2, n. 31574 del 9 maggio 2023, Abatiello, Rv. 284954-02; Sez. 6, n. 16765 del 18 novembre 2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418), affermando il seguente principio di diritto: «Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è sufficiente la sussistenza di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, occorrendo la prova, sia pure con modalità sommaria, dell'an debeatur, atteso che è rinviata al separato giudizio civile la sola determinazione quantitativa del danno». Il principio è stato affermato in fattispecie relativa alla costituzione di parte civile di associazioni rappresentative di interessi collettivi, in cui la Corte ha precisato che la prova della sussistenza del danno, che può sostanzialmente presumersi nel caso in cui la parte civile sia la persona offesa dal reato, deve essere, invece, specificamente fornita allorquando il rapporto tra azione e danno è indiretto, com'è, di regola, nel caso in cui la pretesa civilistica sia avanzata dal danneggiato, non direttamente offeso dal reato.

La sussistenza del danno (oggetto pur sempre di doveroso sforzo dimostrativo), se è infatti prossima all'immanenza ove la parte civile sia persona offesa dal reato, direttamente lesa dall'azione criminosa tipica, deve essere, invece, specificamente provata ove il rapporto tra azione e danno sia indiretto, come avviene, di regola, nei casi in cui la pretesa civilistica sia avanzata dal danneggiato, che può essere anche un'associazione rappresentativa di interessi collettivi. Ciò fermo restando che l'ammontare del risarcimento e, dunque, la gravità della lesione deve essere sempre oggetto di specifica prova.

6.4. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata nei confronti di Pietro N., limitatamente alle statuizioni civili disposte in favore dell'associazione A.D.O.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, con rinvio per nuovo giudizio sul capo civile della decisione ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.

6.5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.

6.5.1. La parziale fondatezza del terzo motivo di ricorso, con il conseguente parziale annullamento con rinvio della decisione impugnata, pur afferendo, infatti, ad una parte della statuizione civile della sentenza (per il distinguo dogmatico tra "capi" e "punti" della sentenza, ai fini della prescrizione, si fa rinvio a Sez. un., n. 1 del 19 gennaio 2000, Tuzzolino, Rv. 216239-01; più recentemente, per una disamina organica della giurisprudenza di legittimità impegnata sul tema, si veda Sez. 3, n. 30805 del 15 gennaio 2024, Rv. 286870-03, in motivazione, sub 3.1, pag. 127 e ss.), determina qualmente la formazione del giudicato sui capi e sui punti della sentenza non annullati, dovendosi intendere per "punto" qualsiasi statuizione avente un'autonomia giuridico-concettuale, non consistente in un mero passaggio argomentativo, la cui individuazione spetta, in concreto, al giudice di legittimità in sede rescindente, che delinea il discrimine fra ciò che è oggetto di annullamento e ciò che non lo è. L'ordinamento consente, infatti, all'esito del giudizio rescindente, la formazione di un giudicato parziale sulle "parti" non annullate, le quali non per questo sono eseguibili (Sez. un., n. 3423 del 29 ottobre 2020, dep. 2021, Giallusi, Rv. 280261-03); il giudicato parziale si forma pertanto sui capi e sui punti della sentenza non oggetto di annullamento.

Nella presente fattispecie, deve pure rilevarsi che la "parte" della statuizione civile qui annullata rappresenta un "capo" civile della condanna autonomo (per quanto logicamente dipendente) rispetto alla decisione sulla responsabilità penale, che è completa in ogni suo punto, dalla responsabilità accertata, alla dimensione circostanziale, alla misura della pena. Il che rafforza la netta autonomia tra capo civile e capo penale della decisione, suscettibili di guadagnare l'autorità della cosa giudicata in momenti processuali distinti.

6.7. Consegue, dunque, alla ritenuta inammissibilità, che la decisione di merito sull'accertamento del fatto e l'attribuzione della responsabilità penale, intervenuta in data 3 giugno 2024, cristallizza i suoi effetti a quella data. Il decorso del tempo successivo a tale evento non può essere quindi efficacemente computato ai fini del calcolo del termine complessivo della prescrizione per il reato di ricettazione, in quanto non si è mai validamente ed efficacemente formato un rapporto di impugnazione (Sez. un., n. 21 del 22 ottobre 2000, Rv. 217266; più recentemente, Sez. 2, n. 28848 dell'8 maggio 2013, Rv. 256463).

7. Stefano M., capi A e C, con la recidiva qualificata ai sensi dell'art. 99, comma 4, c.p.

7.1-2. I primi due motivi di ricorso, che denunciano, oltre ad una assai genericamente dedotta violazione della norma incriminatrice, deficit motivazionali - in maniera peraltro promiscua - sulla prova della partecipazione associativa (capo A) ed in particolare della prova del dolo di partecipazione e di atti concludenti di una tale affectio, sono inammissibili, ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p., per manifesta infondatezza ed assoluta aspecificità, in quanto meramente ripetitivi di motivi di gravame già respinti, con diffuse e coerenti argomentazioni dalla Corte di merito.

Dalla lettura del testo della sentenza impugnata e di quella consonante di primo grado si evince che nel giudizio di merito l'affermazione della responsabilità del ricorrente si è fondata sulla corretta analisi delle circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio di primo grado e che nel giudizio di appello sono state tenute in debito conto le doglianze di merito sviluppate con i motivi di gravame, anche in tema di prova della consapevolezza di partecipare efficacemente (quale abituale ed efficiente fornitore all'ingrosso di Vincenzo B., giudicato separatamente) ad una compagine plurisoggettiva organizzata (promossa ed organizzata dallo stesso B.), attiva nella consumazione di una moltitudine di reati di importazione dall'estremo oriente e diffusione sul territorio italiano di merce (capi di abbigliamento ed accessori) recante noti marchi contraffatti. La Corte di merito (pag. da 61 a 69 della sentenza impugnata) ha così offerto ai motivi di gravame diffusa ed esaustiva corrispondenza dialettica, che sul punto essenziale della decisione non viene peraltro specificamente censurata con i motivi di ricorso.

Nel giudizio di merito sono state correttamente argomentate (pag. 61-64 della sentenza impugnata) consistenza e univocità delle evidenze intercettive che hanno condotto ad affermare la responsabilità dell'imputato rispetto alla ipotesi associativa descritta al capo A della imputazione. Ciò in quanto dal tenore delle 11 conversazioni intercettate, soprattutto (ma non solo) con Vincenzo B., separatamente già giudicato con sentenza irrevocabile, la Corte ha tratto argomento per ritenere dimostrata la chiara consapevolezza del ricorrente di agire efficacemente per offrire il suo contributo personale alla sodalità dedita alla importazione e commercializzazione di merce recante noti marchi contraffatti. Il ricorrente interloquiva, infatti, non solo con Vincenzo B., che assiduamente riforniva dei capi di abbigliamento ordinati, ma anche con Mauro I., altro componente del gruppo. I motivi di ricorso relativi si risolvono, pertanto, nella domanda di una diversa lettura della prova intercettiva, che è preclusa - fuori dai casi di evidentissimo travisamento decisivo e incontestabile (che non ricorre nella fattispecie) del dato probatorio - alla Corte di legittimità, in caso di conformità verticale delle decisioni di merito (Sez. 3, n. 6722 del 21 novembre 2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558-01; Sez. 6, n. 19710 del 3 febbraio 2009, Rv. 243636; Sez. 2, n. 5336 del 9 gennaio 2018, Rv. 272018). Il Collegio, anche in questo caso, intende dar seguito al consolidato orientamento giurisprudenziale che, in materia di intercettazioni telefoniche, qualifica come questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con la quale esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 4 ottobre 2016, D'Andrea, Rv. 268389; Sez. 2, n. 35181 del 22 maggio 2013, Vecchio, Rv. 257784).

7.3. Il terzo motivo di ricorso è del pari inammissibile, per sua manifesta infondatezza, oltre che per difetto di specificità estrinseca.

La contestazione in fatto che si legge al capo A offre, come pure argomentato dalla Corte di merito, una chiara indicazione della condotta incriminata e del ruolo di fornitore del sodalizio ricoperto dal ricorrente. Il tempus commissi delicti è indicato con formula c.d. "aperta", senza che il ricorrente possa manifestare interesse ad una indicazione diversa della data della cessazione della permanenza, che non avrebbe alcun effetto estintivo, in considerazione della contestata e ritenuta recidiva qualificata. In ogni caso, alcuna violazione della legge processuale (art. 521 c.p.p.) infirma la sentenza impugnata. Il Collegio ritiene sul punto di dover dar seguito al condivisibile orientamento storicizzato di questa Corte che ha escluso in simili fattispecie concrete la violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521, comma 1, c.p.p. (Sez. un., n. 16 del 19 giugno 1996, Rv. 205619; Sez. un., n. 36551 del 15 luglio 2010, Rv. 248051: «per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione»; in senso conforme Sez. un., n. 31617 del 26 giugno 2015, Rv. 264438). Nella concreta fattispecie processuale, il fatto associativo per il quale l'imputato è stato condannato è esattamente quello descritto nella imputazione ancorché perimetrato dalla Corte nel tempo in riferimento alla data di cessazione della permanenza. Consegue che non è neppure immaginabile un concreto vulnus difensivo, dovendosi escludere che l'affermazione di penale responsabilità abbia trovato fondamento nell'accertamento di condotte illecite incompatibili, per la data, con quel che la difesa poteva ragionevolmente attendersi dal materiale processuale esaminato, anche con riferimento alla ricettazione descritta al capo C, per cui, diversamente dal capo B (dichiarato estinto per prescrizione), è condanna.

7.4. La medesima sorte processuale avvince il quarto motivo di ricorso, con il quale la difesa invoca l'assorbimento del reato di cui all'art. 474 c.p. (e non 747 c.p., come indicato erroneamente nel testo dell'atto di impugnazione) in quello di ricettazione. La già dichiarata prescrizione delle ipotesi di reato descritte al capo B (art. 474 c.p.) impedisce di scorgere il concreto interesse che deve reggere l'impugnazione (art. 568, comma 4, c.p.p.). In ogni caso, il motivo è manifestamente infondato in diritto, in quanto il delitto di ricettazione (art. 648 c.p.) e quello di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.) possono certamente concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse, sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore (Sez. 2, n. 21469 del 20 marzo 2019, Rv. 276326-01).

7.5. Inammissibile è anche il quinto motivo di ricorso, versato in tema di errata valutazione dei presupposti per riconoscere la recidiva qualificata dalla reiterazione specifica nel quinquennio. La Corte ha, con apprezzamento di fatto non censurabile nella sede di legittimità, valorizzato il numero di precedenti specifici, ultimo dei quali nel quinquennio, che gravano la biografia criminale del ricorrente, argomentando da tale parossistica reiterazione la maggiore pericolosità sociale dell'imputato, oltre alla più accentuata colpevolezza (pag. 67 della sentenza impugnata).

7.6. Le doglianze portate al testo della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondate in diritto e neppure si confrontano con la puntuale argomentazione che sostiene, sul punto, la decisione. La pena base per il più grave delitto di ricettazione è attestata sul minimo edittale, gli aumenti per la continuazione sono assai contenuti e inferiori a quanto previsto dalla legge in caso di recidiva qualificata (art. 81, comma 4, c.p.). Le circostanze attenuanti generiche son state correttamente negate, in assenza di elementi concreti significativi. La richiesta [di] bilanciamento, nelle forme della prevalenza, non era comunque accessibile, stante l'espresso divieto normativo (art. 69, comma 4, c.p.).

7.7. L'ultimo motivo di ricorso è inammissibile, per difetto di concreto interesse alla eventuale revoca della confisca di beni immobili intestati al coniuge ed oggetto della disposta confisca c.d. allargata.

In tema di confisca allargata ai sensi dell'art. 240-bis c.p., l'imputato nei cui confronti si proceda per uno dei titoli di reato contemplati dalla norma non ha interesse a proporre impugnazione in ordine al provvedimento ablatorio caduto su beni intestati a terzi, ancorché considerati nella sua disponibilità indiretta, poiché, non potendo vantare alcun diritto alla loro restituzione, non può ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione (Sez. 2, n. 4160 del 19 dicembre 2019, dep. 2020, Bevilacqua, Rv. 278592-01; Sez. 5, n. 18508 del 16 febbraio 2017, Fulco, Rv. 270209-02; tra le più recenti non massimate: Sez. 4, n. 13172 del 26 marzo 2025, Hu; Sez. 7, ord. n. 7286 del 12 gennaio 2024, Sokoli; Sez. 4, n. 2867 del 13 gennaio 2021, Guidetti), salvo che non vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione dell'impugnazione, nella specie neppure dedotto (Sez. 2, n. [16356] del 21 marzo 2024, Calabrò, non mass.; Sez. 3, n. 30691 del 24 giugno 2021, Praticò, non mass.). Dunque, è solo il terzo a poter accampare un interesse personale e diretto a provare la legittima acquisizione dei beni ovvero l'assenza di fittizia intestazione degli stessi.

7.8. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila.

8. La rifusione delle spese processuali sostenute nel presente giudizio dalle costituite ed ammesse parti civili va demandata alla decisione definitiva, potendo le stesse far valere le relative pretese nel corso ulteriore del processo, in cui il giudice di merito dovrà accertare la sussistenza, a carico degli imputati, dell'obbligo della rifusione delle spese giudiziali in base al criterio della soccombenza (Sez. 1, n. 34032 del 1° luglio 2022, Scapin, Rv. 283987-04).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di J. Changxiang limitatamente al reato di cui al capo L) perché estinto per prescrizione; conferma le statuizioni civili.

Annulla la sentenza impugnata:

- nei confronti dì A. Raffaele limitatamente al reato di cui al capo A, nei confronti di J. Changxiang limitatamente al reato di cui al capo H), nonché, per l'effetto estensivo, nei confronti di An. Mustapha ed An. Hassan limitatamente al reato di cui al capo H);

- nei confronti di P. Giovanni limitatamente alla configurazione ed eventuale esclusione della recidiva ed alla richiesta di riconoscimento della continuazione con reati separatamente giudicati;

- nei confronti di N. Pietro limitatamente alle statuizioni civili in favore di associazione A.D.O.C. in persona del legale rappresentante p.t., con rinvio per nuovo giudizio sui predetti capi e/o punti ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di J. Changxiang, A. Raffaele, An. Mustapha, An. Hassan, P. Giovanni e N. Pietro.

Dichiara inammissibile il ricorso di M. Stefano, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Spese di parte civile al definitivo.

Depositata il 6 maggio 2025.