Corte costituzionale
Sentenza 10 luglio 2025, n. 105
Presidente: Amoroso - Redattrice: San Giorgio
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 639 del codice penale e, inoltre, dello stesso art. 639, quinto comma, cod. pen., promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di A. C. con ordinanza del 20 maggio 2024, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2024.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nella camera di consiglio del 7 aprile 2025 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;
deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ordinanza del 20 maggio 2024, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 639 del codice penale «nella parte in cui prevede che per i fatti ivi descritti [deturpamento o imbrattamento di cose altrui] si applichi - anche quando il fatto non è commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 c.p., né ha ad oggetto i beni di cui agli art. 635 co. 2, 635 bis, 635 ter, 635 quater e 635 quinquies c.p. - una sanzione penale anziché la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000».
2.- Il giudice a quo premette che, con decreto del pubblico ministero in data 4 maggio 2023, A. C. era stato citato a giudizio per il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, aggravato ai sensi degli artt. 639, secondo comma, e 61, primo comma, numero 5), cod. pen., perché, eventualmente in concorso con altri soggetti allo stato ignoti, in orario notturno, dopo essersi introdotto all'interno di uno stabile condominiale, avrebbe raggiunto la porta d'ingresso dell'abitazione di D. B., imbrattandola con escrementi, insieme al muro e al pavimento circostanti, e lasciando altresì un sacchetto contenente ulteriori escrementi. Precisa poi il rimettente che, nel corso dell'udienza predibattimentale innanzi a sé, le parti hanno concluso, chiedendo l'emissione di una sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 554-ter, comma 1, del codice di procedura penale, il pubblico ministero per non avere l'imputato commesso il fatto e il difensore dello stesso imputato in quanto gli elementi acquisiti non consentivano una ragionevole previsione di condanna.
3.- In punto di rilevanza delle questioni sollevate, nell'ordinanza di rimessione si deduce l'impossibilità di prescindere per la definizione del giudizio principale dall'applicazione della norma oggetto di censura. Infatti, si rileva, in caso di accoglimento il giudice a quo dovrebbe emettere una sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Al riguardo, si osserva che il fatto oggetto del giudizio non è stato compiuto con violenza alla persona, né mediante minaccia né, ancora, si è verificato in occasione di manifestazioni svoltesi in luoghi pubblici o aperti al pubblico, non si collega al delitto di cui all'art. 331 cod. pen., e neppure ha attinto i beni indicati agli artt. 635, secondo comma, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen. Il giudice a quo precisa ulteriormente che la condotta ha interessato parti di un immobile avente natura privata, non aperto al pubblico, non destinato a uso pubblico o all'esercizio di funzioni di culto, bensì adibito a privata abitazione. Tale immobile non ricade all'interno del perimetro del centro storico, bensì si trova ubicato nella periferia del Comune di S. F., e non risulta interessato da opere di costruzione, ristrutturazione, recupero o risanamento in corso o non ancora ultimate. Inoltre, si sottolinea ancora nell'ordinanza di rimessione, non si tratta di bene ubicato in uffici o stabilimenti pubblici, né sottoposto a vincoli di sequestro o pignoramento, né destinato a pubblico servizio, pubblica utilità, difesa o reverenza. Viene altresì escluso che i fatti oggetto del procedimento abbiano riguardato opere finalizzate all'irrigazione, piante, boschi, vivai, attrezzature o impianti sportivi, ovvero dati, programmi o sistemi informatici o telematici.
Dopo aver richiamato la questione relativa alla possibilità di ritenere esposta alla pubblica fede la porta o la vetrina di un immobile all'interno del quale sia presente il titolare (sul punto il giudice a quo segnala, tra le pronunce di segno negativo, Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 17 febbraio-29 maggio 2017, n. 26857 e tra quelle di segno positivo, Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 10 novembre-19 dicembre 2023, n. 50655), il Tribunale di Firenze evidenzia l'impossibilità di far rientrare comunque in tale ipotesi la fattispecie di cui si discute nel giudizio principale, stante la difficoltà dell'ingresso alle parti dell'abitazione oggetto di imbrattamento, trattandosi di porzioni situate all'interno di un condominio e non liberamente accessibili da parte di chiunque.
Nell'ipotesi invece in cui questa Corte - prosegue il ragionamento del rimettente in ordine alla rilevanza delle questioni sollevate - emetta una pronuncia di non fondatezza, occorrerebbe valutare la ben più problematica attribuibilità all'imputato del fatto in esame, verificando se sussistano i presupposti per una pronuncia di proscioglimento con la formula per non avere commesso il fatto, auspicata dal pubblico ministero, o per mancanza di una ragionevole prognosi di condanna, nella prospettazione della difesa.
4.- In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Firenze deduce la violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost., nonché del principio di proporzionalità, enucleabile dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., in relazione a quanto previsto dall'art. 635 cod. pen. e dall'art. 4 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), con riferimento a condotte comunque riconducibili al paradigma del danneggiamento.
4.1.- Il reato di deturpamento e imbrattamento di cui all'art. 639 cod. pen., osserva il giudice a quo, costituisce fattispecie sussidiaria e meno grave rispetto alla figura delittuosa del danneggiamento di cui all'art. 635 cod. pen., come può desumersi sia dalle condotte tipizzate, sia dalla clausola di riserva contenuta nell'incipit dell'art. 639 «fuori dei casi preveduti dall'articolo 635», sia ancora dall'entità delle pene previste.
Entrambi i reati offendono il medesimo bene giuridico e possono essere realizzati con modalità simili, ma producono effetti di differente gravità.
Il danneggiamento implica una modificazione della cosa altrui con apprezzabile diminuzione di valore o impedimento, anche parziale, dell'uso, determinando così la necessità di un intervento ripristinatorio dell'essenza e funzionalità della cosa stessa, laddove il deturpamento o imbrattamento consiste in un'alterazione temporanea e superficiale della res aliena, il cui aspetto originario, quale che sia la spesa da affrontare, è comunque facilmente reintegrabile.
Il rimettente evidenzia sul punto l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità riguardo all'applicabilità del principio di sussidiarietà tra le ipotesi delittuose indicate, richiamando una serie di pronunce (sono citate Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenze 3 febbraio-3 marzo 2016, n. 8826; 16 giugno-29 luglio 2005, n. 28793; 10 maggio-7 giugno 2002, n. 22370; quinta sezione penale, sentenza 21 maggio-19 settembre 2014, n. 38574; sesta sezione penale, sentenza 3-16 novembre 2000, n. 11756).
4.2.- In siffatto contesto, rammenta il Tribunale di Firenze, il legislatore delegato, con il d.lgs. n. 7 del 2016, nell'ambito di una più ampia riforma ispirata a criteri di ricorso minimo alla sanzione penale e di razionalizzazione dell'intero sistema sanzionatorio, ha disposto l'eliminazione dal novero dei fatti penalmente rilevanti di quelli che integravano il vecchio delitto di danneggiamento semplice (art. 635, primo comma, cod. pen., previgente), contestualmente trasformando le precedenti ipotesi di danneggiamento aggravato (art. 635, secondo comma, cod. pen., previgente) in fattispecie autonome di reato. Le condotte così espunte dalla sfera del penalmente rilevante sono state trasformate in illeciti civili di nuovo conio con la previsione, all'art. 4, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016, di una sanzione pecuniaria civile in misura compresa tra euro 100 ed euro 8.000. Per contro, l'art. 639 cod. pen. non ha subito modificazioni, fatta eccezione per gli interventi normativi che hanno interessato, nel tempo, i beni culturali nonché le relative teche o custodie di esposizione e conservazione, così continuando ad incriminare sia le ipotesi che - ove assurgessero al livello di gravità del danneggiamento - integrerebbero le fattispecie di danneggiamento tuttora penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 635 cod. pen., sia quelle che - ove assurgessero al livello di gravità del danneggiamento - costituirebbero ora meri illeciti civili.
Il Tribunale di Firenze denuncia, pertanto, l'irrazionalità di una disciplina normativa che prevede l'irrogazione di una sanzione pecuniaria di natura civile laddove la condotta dell'agente si concreti in una modificazione della cosa altrui tale da alterarne in modo apprezzabile il valore ovvero da comprometterne anche solo parzialmente l'uso, e l'applicazione di una sanzione penale, che diviene anche pena detentiva nei casi di beni immobili o di mezzi di trasporto, nell'ipotesi in cui la condotta realizzi un'alterazione meramente temporanea o superficiale del bene altrui, agevolmente reversibile.
L'irragionevolezza di tale assetto normativo appare evidente al rimettente, in quanto determinerebbe una netta sproporzione sanzionatoria, punendo con maggiore severità l'ipotesi manifestamente meno lesiva.
4.3.- Nel sottolineare l'ampia discrezionalità del legislatore nella determinazione della politica criminale, tanto in relazione alla selezione delle condotte meritevoli di sanzione quanto in ordine alla individuazione, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, delle relative risposte punitive, il giudice a quo ricorda che tale discrezionalità non può, in alcun modo, tradursi in arbitrio, essendo essa pur sempre soggetta ai limiti imposti dal principio di eguaglianza e dalla funzione rieducativa della pena.
Risulta imprescindibile, infatti, che sia costantemente assicurata una proporzione tra la natura e l'entità della sanzione irrogata e l'offesa arrecata al bene giuridico tutelato (sono citate le sentenze di questa Corte n. 46 del 2024, n. 143 del 2021, n. 179 del 2017, n. 236 del 2016 e n. 313 del 1990).
4.3.1.- Sulla proporzionalità della sanzione in relazione alla gravità dell'illecito, il giudice rimettente richiama la costante giurisprudenza di questa Corte che ritiene applicabile l'indicato principio non soltanto nello stretto ambito penalistico, bensì in ogni settore dell'ordinamento giuridico riconducibile al diritto punitivo.
In materia di sanzioni amministrative sono citate le sentenze n. 95 del 2022, n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019; in ambito tributario la sentenza n. 46 del 2023; nell'ambito delle sanzioni disciplinari le sentenze n. 51 del 2024 e n. 197 del 2018.
4.3.2.- Il rimettente osserva, ancora, che la sussistenza di un rapporto tra fattispecie più grave e fattispecie meno grave, in riferimento ai reati di danneggiamento e di deturpamento o imbrattamento, risulta avvalorata dalla disciplina contenuta nell'art. 518-duodecies cod. pen.
Tale disposizione, introdotta dall'art. 1, comma 1, lettera b), della legge 9 marzo 2022, n. 22 (Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale), ha previsto due nuove figure di reato, relative alle condotte di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento nonché uso illecito di beni culturali o paesaggistici.
Con il primo comma il legislatore ha stabilito l'incriminazione della condotta di danneggiamento, per la quale ha fissato la pena della reclusione da due a cinque anni, nonché la multa da euro 2.500 a euro 15.000 per poi disciplinare, al secondo comma, dopo una clausola di riserva analoga a quella di cui all'art. 639 cod. pen., le condotte di deturpamento e imbrattamento, prevedendo per esse la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da euro 1.500 a euro 10.000.
4.4.- Quanto al rimedio appropriato alla denunciata violazione dei principi costituzionali, il Tribunale di Firenze chiede a questa Corte una pronuncia che - nei casi in cui il fatto non sia commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni svolgentisi in luogo pubblico o aperto al pubblico, né con riferimento al delitto previsto dall'art. 331 cod. pen., e neppure abbia ad oggetto beni di particolare rilevanza, come individuati agli artt. 635, secondo comma, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen. - sostituisca le pene previste dall'art. 639 cod. pen. con la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000, ai sensi dell'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, che è la medesima stabilita per la più grave fattispecie di danneggiamento.
Precisa il rimettente che una siffatta soluzione sarebbe costituzionalmente adeguata, in quanto derivante da una disciplina già vigente nell'ordinamento (è citata la sentenza n. 222 del 2018), e si inserirebbe all'interno di una cornice edittale, quella di cui all'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, strutturata in modo sufficientemente ampio da potersi applicare anche a condotte di diversa gravità, assicurando una risposta sanzionatoria proporzionata e rispettosa del principio di ragionevolezza.
Ove questa Corte ritenga, invece, una siffatta sentenza «foriera di "insostenibili vuoti di tutela" per gli interessi protetti», il rimettente ricorda la possibilità di individuare un'altra tipologia di pronuncia che la stessa Corte consideri più idonea rispetto a quella manipolativa suggerita (è citata la sentenza n. 46 del 2024).
5.- In via subordinata, il giudice a quo solleva, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 639, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui «prevede la procedibilità d'ufficio per i casi previsti dal 639 co. 2 c.p. anche quando i fatti abbiano ad oggetto beni diversi da quelli di cui art. 635 co. 2 c.p. - ad eccezione delle cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, ai sensi dell'articolo 625 co.1 n. 7 c.p. - e non siano commessi in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico né del delitto previsto dall'articolo 331 c.p. e la persona offesa non sia incapace, per età o per infermità».
5.1.- Il giudice a quo si fa carico della costante giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la determinazione del regime di procedibilità rientra nella discrezionalità del legislatore, chiamato a operare complessi bilanciamenti di interessi e a compiere scelte di politica criminale che, in quanto espressione di opzioni politico-legislative, risultano sindacabili in sede di giudizio di legittimità costituzionale esclusivamente nei casi in cui esse si manifestino affette da irrazionalità evidente (in tal senso è citata l'ordinanza n. 178 del 2003 e, in termini analoghi, la sentenza n. 248 del 2020, unitamente ad altri precedenti conformi).
5.2.- Tuttavia, ad avviso del rimettente, avuto riguardo alla già segnalata natura sussidiaria e di minore gravità del reato di deturpamento e imbrattamento rispetto a quello di danneggiamento, sarebbe manifestamente irragionevole la previsione della procedibilità d'ufficio per il primo, qualora aggravato ai sensi dell'art. 639, secondo comma, cod. pen., in fattispecie nelle quali il delitto di danneggiamento, ove ancora penalmente rilevante, come nell'ipotesi dell'esposizione dei beni alla pubblica fede, è perseguibile a querela della persona offesa, e, ove non più penalmente rilevante, risulta sanzionato quale illecito civile, su iniziativa della medesima persona offesa, secondo quanto disposto dall'art. 8 del d.lgs. n. 7 del 2016.
5.3.- Il giudice a quo, infine, esclude la possibilità di un'interpretazione conforme ai parametri costituzionali, ritenendo che il dato normativo oggetto di censura presenti caratteri di chiarezza e univocità tali da non consentire letture alternative costituzionalmente compatibili.
6.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità di entrambe le questioni sollevate, e, in via subordinata, per il rigetto delle medesime in quanto manifestamente infondate.
6.1.- Sotto il primo profilo, la difesa dello Stato ha dedotto il difetto di motivazione in ordine alla rilevanza delle questioni ai fini della decisione del caso concreto. Il rimettente non avrebbe esplicitato le ragioni di detta rilevanza pur a fronte di un esito obbligato del procedimento favorevole all'imputato, nella prospettiva «concreta e diretta di dover adottare una sentenza di proscioglimento con la formula assolutoria la più ampia possibile».
L'interveniente richiama l'esigenza, segnalata dalla giurisprudenza costituzionale, che la questione di legittimità costituzionale investa una norma della quale il giudice a quo debba necessariamente fare applicazione (sono citate le sentenze n. 216 del 1993, n. 142 del 1968 e l'ordinanza n. 23 del 2004) e che la motivazione non risulti implausibile (sono citate le sentenze n. 203 e n. 75 del 2022 e n. 183 del 2021) e «a prima vista» del tutto priva di fondamento (è citata la sentenza n. 192 del 2022).
6.2.- Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato ha dedotto, anzitutto, la manifesta infondatezza delle questioni sollevate in via principale.
6.2.1.- La difesa statale ritiene erronea la valutazione operata dal giudice rimettente, il quale qualifica il danneggiamento semplice come fattispecie ormai priva di rilevanza penale. Tale affermazione, oltre a prescindere dal vigente assetto normativo, si fonda su una ricostruzione parziale e decontestualizzata della giurisprudenza costituzionale, in particolare della sentenza n. 102 del 2018, la quale, sebbene abbia affrontato tematiche attinenti alla disciplina del danneggiamento, non potrebbe essere invocata a sostegno della tesi proposta.
La richiamata sentenza, ricorda l'interveniente, ha ribadito che il delitto di danneggiamento continua a configurarsi come illecito penale, sanzionato con pena più severa rispetto a quella contemplata dal delitto di deturpamento e imbrattamento di beni immobili non solo ove commesso con le modalità previste dal primo comma del nuovo art. 635 cod. pen. - corrispondente ai numeri 1) e 2) del secondo comma della previgente disposizione -, ma anche nei casi in cui abbia ad oggetto talune categorie di beni elencati nel secondo comma del nuovo articolo, corrispondenti ai numeri 3), 4), 5) e 5-bis) del secondo comma della norma sostituita.
Non potrebbe così omettersi di rilevare l'esistenza di una pluralità di fattispecie astrattamente configurabili, tra cui si segnala quella contemplata dall'art. 635, secondo comma, numero 1), cod. pen., concernente il danneggiamento di beni immobili ovvero di mezzi di trasporto, pubblici o privati - beni il cui deturpamento o imbrattamento è penalmente represso dall'art. 639, secondo comma, cod. pen. -, che mantiene tuttora rilevanza penale e, pur in assenza di violenza alla persona, di minaccia o di analoghe condizioni, risulta più severamente punita.
6.2.2.- Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, deve ritenersi non «calzante» l'assunzione dell'art. 635 cod. pen. quale tertium comparationis, idoneo a fondare la violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza. Invero, sebbene la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 639 cod. pen. assuma carattere sussidiario e si concreti in una condotta, sotto il profilo oggettivo, di minore gravità rispetto al delitto di danneggiamento, nondimeno è preordinata alla tutela di beni giuridici diversi e si ispira a differenti esigenze di politica criminale rispetto a quelle sottese alla previsione incriminatrice di cui all'art. 635 cod. pen.
6.2.3.- Il delitto di danneggiamento, osserva la difesa statale, è diretto alla tutela dell'interesse del proprietario ovvero del soggetto titolare di un diritto di godimento o di uso sulla cosa, garantendone l'integrità nella sua sostanza o nella sua utilizzabilità. Il reato previsto dall'art. 639 cod. pen. è, invece, finalizzato alla protezione di beni giuridici che trascendono l'interesse del singolo, estendendosi alla collettività nel suo complesso, con particolare riferimento a valori quali l'igiene e il decoro urbano, l'estetica e la pulizia del bene.
Tale disposizione, nella sua attuale formulazione, è frutto dell'intervento riformatore operato dall'art. 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che ha inteso inasprire il trattamento sanzionatorio per condotte di natura vandalica suscettibili di arrecare gravi forme di degrado urbano, tra le quali è ricompresa la pratica del cosiddetto «writing», come espressamente riconosciuto dalla sentenza n. 102 del 2018.
6.2.4.- La perdurante rilevanza penale delle condotte riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 639 cod. pen., nonostante il processo di depenalizzazione che ha interessato altri ambiti dell'ordinamento, costituirebbe espressione di una scelta discrezionale del legislatore, e tale opzione normativa sarebbe giustificata dalla necessità di contrastare fenomeni di illegalità diffusa che contribuiscono ad accrescere il degrado nei contesti urbani, risultando altresì proporzionata all'offesa arrecata.
In tal senso, la scelta del legislatore non potrebbe essere ritenuta manifestamente irragionevole o arbitraria e si sottrarrebbe al sindacato di legittimità costituzionale.
6.3.- La difesa dello Stato deduce la manifesta infondatezza altresì della questione sollevata, in via subordinata, dal Tribunale di Firenze, questione che si fonda sul parametro di cui all'art. 3 Cost.
Nel richiamare la giurisprudenza di questa Corte - secondo la quale la disciplina della procedibilità attiene a scelte discrezionali del legislatore, insuscettibili di sindacato se non nei limiti della manifesta irrazionalità (è citata la sentenza n. 248 del 2020) - l'interveniente pone in rilievo le «significative differenze» intercorrenti tra la fattispecie di cui all'art. 639 cod. pen. e quella prevista dall'art. 635 del medesimo codice, che, «non lontani sotto il profilo della loro materiale realizzazione», sarebbero, invece, «ben distanti quanto al bene dagli stessi tutelato ed alle ragioni di politica criminale su cui poggiano», così escludendo che la scelta legislativa di assoggettare le due ipotesi criminose a differenti regimi di procedibilità si connoti per manifesta irrazionalità e dia luogo ad un trattamento ingiustificatamente differenziato, in violazione del dedotto parametro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 639 cod. pen., nella parte in cui prevede che il delitto di deturpamento o imbrattamento di cose altrui sia punito con una sanzione penale - anche quando il fatto non sia commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 cod. pen., né abbia ad oggetto i beni di cui agli art. 635, secondo comma, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen. - anziché con la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000, prevista per la fattispecie di danneggiamento semplice, di cui al testo previgente dell'art. 635, primo comma, cod. pen., trasformata in illecito civile dall'art. 4, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016.
Il giudice a quo denuncia la irragionevolezza del trattamento sanzionatorio riservato alla fattispecie in esame, avuto riguardo alla disparità di trattamento rispetto a quella del danneggiamento, nonché la violazione «del principio di proporzionalità di cui agli artt. 3 e 27 co. 3 Cost.».
2.- In via subordinata viene censurato, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 639, quinto comma, cod. pen. per la ritenuta manifesta irrazionalità della previsione della procedibilità di ufficio per il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui aggravato ai sensi del secondo comma, anche nelle fattispecie in cui il danneggiamento, ove tuttora penalmente rilevante, è, invece, perseguibile a querela della persona offesa.
3.- L'ordinanza di rimessione deduce l'esistenza di un rapporto di sussidiarietà tra la ipotesi, ritenuta più grave, del danneggiamento e quella, asseritamente meno grave, del deturpamento e imbrattamento di cose altrui.
Le due fattispecie di reato in esame offenderebbero il medesimo bene giuridico, con modalità simili, ma con effetti di grado diverso, consistendo il delitto di danneggiamento in una modificazione della cosa altrui con apprezzabile diminuzione del valore o impedimento anche parziale dell'uso e necessità di un intervento ripristinatorio dell'essenza e funzionalità del bene, e il delitto di deturpamento e imbrattamento in un'alterazione temporanea e superficiale del bene il cui aspetto rimanga facilmente reintegrabile.
Il rimettente lamenta quindi che la disciplina del reato di cui all'art. 639 cod. pen. sia rimasta immutata pur a fronte dell'intervento normativo sul delitto di danneggiamento, di cui all'art. 635 cod. pen.
Il legislatore delegato, dopo aver riformulato quest'ultimo con l'art. 2, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 7 del 2016, espungendo dai fatti penalmente rilevanti quelli che integravano il delitto di danneggiamento semplice, di cui al primo comma dell'art. 635 cod. pen. nel testo previgente, ha trasformato quanto sottratto alla sfera del penalmente rilevante in illecito civile di nuovo conio, introducendo all'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016 una sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000.
In tal modo, il legislatore, che pure gode di ampia discrezionalità nella definizione della propria politica criminale quanto alla individuazione delle condotte penalmente rilevanti e al relativo trattamento sanzionatorio, avrebbe violato il principio di eguaglianza e proporzionalità tra qualità e quantità della sanzione e dell'offesa e sarebbe incorso in manifesta irrazionalità nella scelta sul regime di procedibilità.
Il giudice a quo, in definitiva, chiede a questa Corte, in via principale, un intervento che, quale esito di una scelta costituzionalmente adeguata, rinvenga nella disciplina dell'illecito punitivo civile, introdotto dal legislatore per la condotta di danneggiamento semplice, la grandezza sulla cui base ridefinire il trattamento sanzionatorio del deturpamento e imbrattamento di cose altrui, non qualificato da indici ulteriori; in linea gradata, un intervento di tipo analogo, volto a subordinare alla querela la procedibilità delle condotte di cui all'art. 639, secondo comma, cod. pen.
4.- Deve, in via preliminare, essere esaminata la eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, formulata dall'Avvocatura generale dello Stato relativamente alle questioni sollevate in via principale.
4.1.- Essa è priva di fondamento.
Per costante giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, sentenze n. 52 del 2025 e n. 135 del 2024; a contrario, sentenza n. 43 del 2025) non è necessario, ai fini della rilevanza di una questione, che il suo accoglimento determini un esito decisionale diverso da quello cui si perverrebbe in applicazione della disposizione censurata, essendo sufficiente che esso necessariamente influisca sull'iter motivazionale che dovrà condurre alla decisione.
Nel giudizio a quo il rimettente, nel caso in cui le questioni vengano accolte, potrà prosciogliere in udienza predibattimentale l'imputato con la formula perché il «fatto non è previsto dalla legge come reato» o per difetto di una condizione di procedibilità laddove, nel caso in cui le questioni siano ritenute non fondate, dovrà misurarsi con il diverso tema della «ragionevole previsione di condanna», di cui all'art. 554-ter, comma 1, cod. proc. pen.
D'altro canto, non appare ictu oculi implausibile l'assunto del rimettente secondo cui la declaratoria di irrilevanza penale del fatto integrerebbe la ragione immediata e più liquida di proscioglimento, destinata a imporsi su formule implicanti, invece, apprezzamenti più penetranti e controvertibili.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, la verifica di questa Corte «"[...] è meramente esterna e strumentale al riscontro di una adeguata motivazione in punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale, con la conseguenza che il vaglio del rimettente sull'esistenza delle condizioni dell'azione può essere sindacato solo laddove implausibile" (così la sentenza n. 193 del 2022; nello stesso senso, anche le sentenze n. 150 del 2022, n. 240 del 2021, n. 224 e n. 168 del 2020)» (sentenza n. 4 del 2024, punto 4.1. del Considerato in diritto).
5.- L'esame, nel merito, delle questioni di legittimità costituzionale sollevate richiede una sintetica illustrazione della evoluzione normativa di cui è stato oggetto l'art. 639 cod. pen.
5.1.- Nel testo originario di tale articolo, la fattispecie in esame (deturpamento e imbrattamento di cose altrui) veniva descritta ricomprendendovi la condotta di chiunque, fuori dei casi preveduti dall'art. 635 cod. pen., deturpasse o imbrattasse cose mobili o immobili altrui, e veniva stabilito che tale condotta fosse punita, a querela della persona offesa, con una multa.
Con l'art. 13, comma 2, della legge 8 ottobre 1997, n. 352 (Disposizioni sui beni culturali), era stato inserito nell'art. 639 cod. pen. un secondo comma, che prevedeva una ipotesi aggravata del reato, punita alternativamente con la pena della reclusione o della multa, laddove il fatto fosse commesso su cose di interesse storico o artistico ovunque ubicate o su immobili compresi nel perimetro dei centri storici.
Successivamente, la legge n. 94 del 2009 ha esteso, con l'art. 3, comma 3, lettere b) e c), l'ambito applicativo di tale fattispecie aggravata ai casi in cui il fatto sia commesso su beni immobili in generale (ipotesi espunta dal testo originario del primo comma, il quale è rimasto a disciplinare, unicamente, le condotte aventi a oggetto cose mobili altrui) o su mezzi di trasporto pubblici o privati; per la stessa fattispecie si è altresì prevista, con l'aggiunta all'art. 639 cod. pen. di un quarto comma (poi divenuto quinto), la procedibilità d'ufficio. Si è altresì previsto uno specifico inasprimento delle pene nei casi di recidiva (nuovo terzo comma dell'art. 639 cod. pen.).
Di seguito ancora, l'art. 16 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48, ha introdotto nello stesso art. 639 un ulteriore comma dopo il quarto, recante la previsione di obblighi ripristinatori a carico del condannato, al cui adempimento può essere subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena.
L'art. 5, comma 2, lettera a), della legge n. 22 del 2022 ha poi abrogato «il secondo periodo del secondo comma dell'articolo 639 del codice penale», che prevedeva l'ipotesi della commissione del fatto su cose di interesse storico o artistico, e l'art. 1, comma 1, lettera b), della stessa legge ha introdotto il Titolo VIII-bis del codice penale, rubricato «Dei delitti contro il patrimonio culturale».
La legge 22 gennaio 2024, n. 6 (Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici e modifiche agli articoli 518-duodecies, 635 e 639 del codice penale) ha ulteriormente arricchito nei contenuti il secondo comma dell'art. 639 cod. pen., con il riferimento ai fatti di deturpamento e imbrattamento relativi a teche, custodie e altre strutture adibite all'esposizione, protezione e conservazione di beni culturali, esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali e ogni altro ente e istituto pubblico. L'art. 4, comma 1, lettera c), della stessa legge ha aggiunto, altresì, un nuovo quarto comma all'art. 639 cod. pen., che prevede il raddoppio delle pene stabilite nei commi precedenti quando il fatto sia commesso «in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico».
Infine, il recente decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario), convertito, con modificazioni, nella legge 9 giugno 2025, n. 80, all'art. 24, rubricato «Modifiche all'articolo 639 del codice penale per la tutela dei beni mobili e immobili adibiti all'esercizio di funzioni pubbliche», ha inasprito, inserendo un nuovo periodo nel secondo comma dell'art. 639 cod. pen., il trattamento sanzionatorio dei fatti di deturpamento e imbrattamento quando commessi su beni adibiti all'esercizio di funzioni pubbliche, con la finalità di ledere l'onore, il prestigio o il decoro dell'istituzione cui il bene appartiene.
5.2.- Il complesso delle modifiche così introdotte persegue nuovi equilibri di politica criminale espressivi, comunque, della volontà del legislatore di irrigidire la risposta punitiva alla fenomenologia considerata, con riferimento alle singole categorie dei beni attinti e alle diverse circostanze in cui essa si manifesta.
6.- Quanto sopra premesso, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 639 cod. pen., sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., sono inammissibili.
6.1.- Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore gode di ampia discrezionalità nella definizione delle ipotesi astratte di reato e nella determinazione delle relative pene, nel rispetto del principio di proporzionalità (sentenze n. 46 del 2024 e altre, ivi citate) e con il limite della non manifesta irragionevolezza (sentenze n. 83 del 2025, n. 86 del 2024, n. 207 del 2023, n. 260 e n. 95 del 2022 e n. 62 del 2021).
6.2.- La scelta normativa censurata dal giudice a quo risponde all'esigenza di contrastare fenomeni di diffusa illegalità che si caratterizzano per l'offesa al decoro urbano, esigenza, questa, espressamente enunciata nel testo della legge n. 94 del 2009, il quale pone in evidenza la necessità di adottare misure più rigorose.
6.3.- È pur vero che, come riconosciuto da consolidata giurisprudenza di legittimità, il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui realizza rispetto a quello di danneggiamento un'offesa al medesimo bene attraverso una condotta che si differenzia soltanto per gli effetti che si fanno, via via, più incidenti sulla consistenza del bene attinto (tra le molte: Cass., sentenze n. 8826 del 2016 e n. 38574 del 2014).
Se il danneggiamento offende struttura e funzionalità del bene che, una volta inciso dalla condotta, potrà risultare definitivamente distrutto o disperso o comunque richiederà un più importante e oneroso intervento di ripristino, il deturpamento e l'imbrattamento toccano invece l'estetica del bene o la sua più superficiale consistenza, cosicché l'opera di ripristino sarà più agevolmente esperibile.
Ed è sostanzialmente proprio facendo leva sull'indicata sussidiarietà che il rimettente solleva il proprio dubbio di illegittimità costituzionale in ragione della dedotta manifesta irragionevolezza del diverso trattamento riservato dal legislatore a un fatto, quello di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, che, pur offendendo un medesimo bene, ma in misura inferiore rispetto al delitto di danneggiamento, ha conservato rilevanza penale nonostante l'espunzione dal codice penale, e la trasformazione in illecito civile, pecuniariamente sanzionato, del "vecchio" danneggiamento semplice.
6.4.- Ciò posto, vanno considerate le ragioni per le quali il legislatore ha inteso mantenere, con riguardo alle fattispecie in questione, una risposta sanzionatoria rigorosa, avuto riguardo, come chiarito, all'interesse collettivo a preservare il territorio urbano dal degrado, particolarmente a fronte dell'intensificarsi di fenomeni criminali volti a determinarlo.
Basti pensare alla nuova figura di reato di deturpamento introdotta dal richiamato d.l. n. 48 del 2025, come convertito, che opera sulla struttura della disposizione dell'art. 639 cod. pen., cui provvede a dare nuovi contenuti, e che esprime la chiara volontà del legislatore di irrigidire il trattamento punitivo di condotte in cui plurimi sono i beni attinti. E si pensi, prima ancora, alla equiparazione del bene immobile altrui ai «mezzi di trasporto pubblici o privati», operata, come si è riferito, dall'art. 3, comma 3, lettera b), della legge n. 94 del 2009. Tali disposizioni evidenziano una dimensione collettiva del fenomeno penalmente rilevante, nella quale la condotta di deturpamento o imbrattamento non si configura più come una meno grave declinazione del delitto di danneggiamento - in forza della natura comune del bene protetto e del principio di sussidiarietà tra le due fattispecie - ma si pone come lesiva di un nuovo interesse, caratterizzato da una peculiare concezione dell'estetica avente autonoma e distinta rilevanza penale.
6.5.- Nel descritto quadro normativo, un intervento da parte di questa Corte nel senso auspicato dal rimettente - pur nella opinabilità della scelta legislativa concernente la perdurante rilevanza penale delle fattispecie di deturpamento o imbrattamento, a fronte del differente trattamento riconosciuto a talune ipotesi di danneggiamento - comporterebbe la necessità di un complessivo riassetto della disciplina sanzionatoria in materia, come tale precluso a questa Corte. Un siffatto intervento, infatti, sarebbe volto a isolare profili solo patrimoniali all'interno di quella che è ormai una fattispecie unitaria più ampia, comprensiva di una pluralità di beni, con conseguente superamento dei limiti del controllo di legittimità costituzionale (sentenza n. 259 del 2021).
7.- Argomentazioni del tutto analoghe conducono alla inammissibilità altresì della questione sollevata, in via subordinata, relativamente al regime di procedibilità d'ufficio del reato di deturpamento o imbrattamento di cose altrui previsto dall'art. 639, quinto comma, cod. pen.
8.- Per quanto esposto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze devono essere dichiarate inammissibili.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 639 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 639, quinto comma, cod. pen., sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l'ordinanza indicata in epigrafe.