Corte costituzionale
Sentenza 17 luglio 2025, n. 108
Presidente: Amoroso - Redattore: D'Alberti
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettere d) ed e), della legge della Regione Molise 10 agosto 2006, n. 20 (Norme per la tutela della popolazione dall'inquinamento elettromagnetico generato da impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi), promosso dal Consiglio di Stato, sezione sesta, nel procedimento vertente tra Wind Tre spa e Comune di Campobasso e altri, con ordinanza del 5 novembre 2024, iscritta al n. 230 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 2024.
Visti gli atti di costituzione di Wind Tre spa e del Comune di Campobasso, nonché l'atto di intervento della Regione Molise;
udito nell'udienza pubblica dell'11 giugno 2025 il Giudice relatore Marco D'Alberti;
uditi l'avvocato Giuseppe Sartorio per Wind Tre spa, l'avvocata Claudia Angiolini per il Comune di Campobasso e l'avvocato Matteo Carmine Iacovelli per la Regione Molise;
deliberato nella camera di consiglio dell'11 giugno 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ordinanza del 5 novembre 2024, iscritta al n. 230 reg. ord. 2024, il Consiglio di Stato, sezione sesta, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettere d) ed e), della legge della Regione Molise 10 agosto 2006, n. 20 (Norme per la tutela della popolazione dall'inquinamento elettromagnetico generato da impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi).
La disposizione censurata prevede che le domande di autorizzazione all'esercizio dei nuovi impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi siano corredate da «atto di impegno, sottoscritto dal titolare dell'impianto o da suo legale rappresentante, ad una corretta manutenzione dell'impianto, ove, ai fini della protezione della popolazione, devono essere rispettate le prescrizioni fornite dall'[Agenzia Regionale per la protezione ambientale del Molise (ARPAM)]; il titolare dell'impianto o il suo legale rappresentante devono impegnarsi altresì ad eseguire, nel caso di disattivazione, i relativi interventi sull'impianto fino alla completa demolizione, ripristinando il sito in armonia con il contesto ambientale» (lettera d); nonché da un «certificato fidejussorio relativo agli oneri di smantellamento e ripristino ambientale» (lettera e).
Ad avviso del Consiglio di Stato, la disposizione regionale in esame violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., poiché nel richiedere ulteriori adempimenti, non previsti dalla legge statale, ai fini dell'autorizzazione dei nuovi impianti, essa si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale della materia «ordinamento della comunicazione» posto dall'art. 93, comma 1, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che, nella versione applicabile ratione temporis, vietava a tutte le pubbliche amministrazioni di «imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge».
2.- Il Consiglio di Stato è chiamato a decidere della legittimità del provvedimento con cui il Comune di Campobasso ha negato alla società appellante Wind Tre spa l'autorizzazione alla realizzazione di un impianto di telefonia mobile.
Nel giudizio di primo grado, è stato dapprima impugnato il rigetto dell'istanza di autorizzazione per violazione dei limiti di altezza per le edificazioni in zona residenziale. A seguito della sospensione cautelare di tale provvedimento, il Comune ha riesaminato l'istanza originaria e ha espresso un nuovo diniego, questa volta motivato dalla mancata allegazione all'istanza dell'atto di impegno e del certificato fideiussorio previsti dalla disposizione regionale censurata. Con motivi aggiunti, la società ricorrente ha dedotto, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale della disposizione regionale censurata.
2.1.- Il rimettente riferisce che Wind Tre spa ha impugnato la sentenza di primo grado, in cui il Tribunale amministrativo regionale per il Molise ha ritenuto necessaria la fideiussione non ai fini dell'autorizzazione a installare l'impianto, ma solo per la sua attivazione.
Dopo avere preliminarmente respinto l'eccezione di inammissibilità del gravame, sollevata dal Comune di Campobasso, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge reg. Molise n. 20 del 2006, denunciando la violazione dell'art. 93, comma 1, cod. comunicazioni elettroniche, che, nella versione applicabile ratione temporis, vieta alle pubbliche amministrazioni di «imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge».
2.2.- Il rimettente ritiene che il divieto in esame debba essere riferito alla complessiva realizzazione dell'impianto, che non potrebbe essere disgiunta dall'attivazione del segnale, non essendo ipotizzabile alcuna utilità per gli operatori derivante dalla sola installazione dell'infrastruttura, ossia a prescindere dall'attivazione del servizio.
Ciò sarebbe confermato dalla stessa disposizione censurata, espressamente riferita al «[r]egime autorizzatorio per i nuovi impianti» e, quindi, all'istanza originaria. Ulteriore riscontro di tale interpretazione si trarrebbe anche dalla finalità dell'obbligo, che è quella di garantire il ripristino ambientale, che afferisce alla costruzione della struttura edilizia (nel caso oggetto del giudizio a quo un palo alto 30 metri). Pertanto, ad avviso del Consiglio di Stato, la disposizione regionale censurata imporrebbe l'allegazione del certificato fideiussorio e dell'atto di impegno sin dalla presentazione dell'istanza di autorizzazione e non solo nella fase successiva di attivazione dell'impianto.
2.3.- A sostegno della non manifesta infondatezza, il Consiglio di Stato richiama la giurisprudenza costituzionale che ha ripetutamente affermato la natura di principio fondamentale costituito dall'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche, nella materia «ordinamento della comunicazione» (sono richiamate le sentenze n. 47 del 2015, n. 272 del 2010, n. 450 del 2006 e n. 336 del 2005).
Alla luce di questa giurisprudenza, dovrebbe ritenersi inibito al legislatore regionale qualsiasi aggravamento del procedimento autorizzatorio, anche là dove ciò risponda a interessi riconducibili all'autonomia territoriale. Il rimettente richiama, altresì, la giurisprudenza amministrativa che ha escluso che l'amministrazione possa esigere documenti diversi da quelli indicati nell'Allegato n. 13, (artt. 87 e 88), Modello B, cod. comunicazioni elettroniche.
D'altra parte, osserva il Consiglio di Stato, ove il divieto di aggravamento fosse riferito alla sola fase di installazione degli impianti, gli enti locali potrebbero imporre nella fase di attivazione oneri non previsti dalla normativa statale, così eludendo il precetto di cui all'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche.
2.4.- Il giudice a quo evidenzia, infine, che il divieto di aggravamento del procedimento autorizzatorio è posto a presidio della concorrenzialità del mercato, che richiede una disciplina uniforme su tutto il territorio, poiché altrimenti si introdurrebbero oneri economici diversificati, a seconda delle differenti scelte assunte dalle singole regioni e dai singoli enti locali (è richiamata la sentenza della Corte di cassazione, prima sezione civile, 10 gennaio 2017, n. 283).
Si tratterebbe, dunque, di una disciplina di favore per gli operatori del settore, volta ad agevolare la realizzazione delle infrastrutture di comunicazione, assimilate dal legislatore alle opere di urbanizzazione primaria e preordinate a garantire alla collettività un servizio qualificato come universale.
3.- Con atto depositato il 30 dicembre 2024, la parte privata, Wind Tre spa, si è costituita in giudizio chiedendo l'accoglimento della questione sollevata dal Consiglio di Stato.
3.1.- La società appellante ha dedotto, innanzitutto, che il tentativo d'interpretazione costituzionalmente orientata operato dal TAR Molise (che ha riferito gli oneri imposti dalla disposizione regionale censurata ad una fase successiva al rilascio dell'autorizzazione) non escluderebbe la rilevanza della questione, essendo interesse della stessa ricorrente quello di ottenere una pronuncia pienamente satisfattiva, che escluda del tutto l'obbligo previsto dalla legge regionale.
3.2.- Ad avviso della parte privata, il divieto, per le regioni, di aggravare il procedimento autorizzatorio si riferirebbe, in termini onnicomprensivi, alla realizzazione dell'impianto, che non potrebbe essere disgiunta dall'attivazione del segnale. Infatti, all'operatore non deriverebbe alcuna utilità dalla sola presenza dell'infrastruttura, a prescindere dall'attivazione del segnale. Al legislatore regionale sarebbe dunque inibito qualsiasi aggravio procedimentale, anche per l'erogazione del servizio.
3.3.- La parte privata ha richiamato la giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto all'art. 93, commi 1 e 2, cod. comunicazioni elettroniche, natura di principio fondamentale della materia «ordinamento della comunicazione». Tale disciplina recepisce esigenze di semplificazione e tutela della concorrenza e garantisce a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio.
Il divieto per il legislatore regionale di aggravare il procedimento di autorizzazione sussisterebbe anche là dove ciò risponda, in linea di principio, a interessi di cui è titolare l'autonomia territoriale, posto che è la massima celerità del procedimento a costituire principio fondamentale della materia «ordinamento della comunicazione», oggetto di potestà legislativa concorrente.
Viceversa, ove si condividesse l'interpretazione fatta propria dal TAR Molise e si riferisse il divieto di aggravamento alla sola fase di installazione delle infrastrutture, verrebbero legittimate condotte elusive da parte delle regioni, che, in fase di attivazione degli impianti, potrebbero aggirare i fondamentali principi di semplificazione e non aggravamento, di cui sono espressione anche gli attuali artt. 44 e 54 cod. comunicazioni elettroniche.
3.4.- Il 19 maggio 2025 Wind tre spa ha depositato una memoria, con cui ha insistito per l'accoglimento delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato.
La società appellante ribadisce la rilevanza della questione, non essendo condivisibile l'interpretazione costituzionalmente orientata sostenuta dal TAR Molise. Al riguardo, la parte privata sottolinea di non avere prestato acquiescenza in ordine alla sentenza di primo grado e di conservare il proprio interesse a ottenere una pronuncia giurisdizionale pienamente satisfattiva, tale da escludere del tutto l'obbligo introdotto dalla fonte regionale.
Nel merito, Wind tre spa ribadisce gli argomenti a sostegno della fondatezza della questione già illustrati nel proprio atto di costituzione, insistendo, in particolare, sulla necessità di interpretare la riserva di legge di cui all'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche come riserva di legge statale (sono richiamate sia la sentenza di questa Corte n. 272 del 2010, già citata, sia Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 28 maggio 2024, n. 14849).
4.- Con atto depositato il 3 gennaio 2025, il Comune di Campobasso si è costituito nel presente giudizio chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato sia dichiarata inammissibile o non fondata.
4.1.- In via preliminare, la difesa comunale ha eccepito l'inammissibilità della questione in esame.
La motivazione posta a sostegno della censura sarebbe insufficiente, poiché le ragioni del contrasto con le norme interposte sarebbero illustrate in termini astratti e apodittici.
Inoltre, la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza, perché nel giudizio a quo sarebbe mancata una rituale decisione sull'eccezione preliminare di inammissibilità dell'appello, sollevata dal Comune.
4.2.- Nel merito, la difesa comunale ritiene la questione non fondata.
Il Comune, nell'ambito della propria autonomia, potrebbe richiedere la certificazione fideiussoria anche a prescindere da una legge regionale che lo preveda. In quanto ente esponenziale della comunità amministrata, nonché titolare della proprietà di beni pubblici e di connesse funzioni di tutela ambientale, paesaggistica e urbanistica, il Comune potrebbe imporre garanzie per proteggere i beni giuridici di cui esso è titolare.
Inoltre, il divieto di imporre qualsiasi «altro onere finanziario, reale o contributo» non riguarderebbe le condizioni che l'amministrazione intenda applicare al fine di essere tenuta indenne dalle spese necessarie per la sistemazione delle aree pubbliche coinvolte dagli interventi di installazione, manutenzione e ripristino. La garanzia fideiussoria prevista dalla lettera e) della disposizione regionale censurata non determinerebbe un aggravio del procedimento, in quanto rientrerebbe nel più ampio obbligo, posto in capo all'operatore dall'art. 93, comma 2, cod. comunicazioni elettroniche, nella versione applicabile ratione temporis, di «tenere indenne» l'amministrazione comunale.
D'altra parte, l'atto di impegno, richiesto dalla lettera d) del comma 3 dell'art. 5 della legge reg. Molise n. 20 del 2006, avrebbe valore meramente ricognitivo e non costitutivo dell'obbligo già previsto dalla stessa legge statale.
Il Comune di Campobasso osserva, inoltre, che, nel caso in esame, vengono in rilievo plurimi interessi di rango costituzionale, quali la libertà di iniziativa economica, la tutela dell'ambiente e del paesaggio, la salute, la proprietà pubblica, il buon andamento dell'amministrazione e l'equilibrio dei bilanci. Il favor espresso dal legislatore per la diffusione delle reti di telecomunicazione non deve tradursi in violazione degli altri beni costituzionalmente tutelati. L'interpretazione del divieto di aggravamento fatta propria dal rimettente determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto a qualunque altra azienda, non del settore, che, invece, è tenuta a oneri, talora pesantissimi, per assicurare la sistemazione, la manutenzione ed il ripristino ambientale alla cessazione dell'impianto.
D'altra parte, ad avviso del Comune, la lettura della disposizione regionale offerta dal TAR Molise - secondo la quale la certificazione fideiussoria è legittimamente richiesta solo per la fase dell'esercizio dell'impianto, ma non per la presentazione della domanda di autorizzazione - costituirebbe un ragionevole punto di equilibrio tra i molteplici interessi coinvolti nel procedimento.
Il Comune di Campobasso ritiene che le norme evocate a parametro interposto siano derogatorie rispetto alla disciplina della concorrenza, poiché agevolerebbero specificamente alcune imprese, quelle che gestiscono reti di comunicazione elettronica, che godono di un trattamento privilegiato rispetto ad aziende di ogni altro settore. Pertanto, queste stesse norme non potrebbero essere applicate al di fuori delle ipotesi espressamente disciplinate.
L'interpretazione della norma interposta fatta propria dal Consiglio di Stato sarebbe erronea anche sotto un altro profilo. Verrebbe precluso alle regioni l'esercizio della propria potestà legislativa a tutela dei diritti e degli interessi costituzionalmente protetti, di cui esse sono titolari. Ciò significherebbe considerare legibus solutae le aziende operanti nel settore, esonerandole da vincoli e responsabilità. Finirebbe per essere legittimata un'imprevedibile esposizione debitoria dell'amministrazione che abbia autorizzato l'impianto e verrebbe avallato l'uso indiscriminato di beni pubblici e privati, lasciando in capo alla collettività, per il tramite dei propri enti territoriali e locali, i relativi costi, non soltanto finanziari, ma anche ambientali, paesaggistici, sanitari e amministrativi.
Infine, la difesa comunale osserva che la semplificazione è finalizzata alla tutela dei vari interessi coinvolti e all'ampliamento delle tutele, non alla loro diminuzione. Il divieto di aggravamento del procedimento autorizzatorio non potrebbe, dunque, escludere la tutela di interessi sostanziali di rango costituzionale uguale o superiore.
5.- La Regione Molise è intervenuta nel presente giudizio con atto depositato il 7 gennaio 2025, in cui ha chiesto che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.
5.1.- In via preliminare, la difesa regionale ha eccepito l'inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, poiché nel giudizio a quo sarebbe mancata una rituale decisione sull'eccezione preliminare, sollevata dal Comune di Campobasso, di inammissibilità dell'appello, avendo il Consiglio di Stato respinto tale eccezione con ordinanza, anziché con sentenza.
Inoltre, la questione sarebbe inammissibile, poiché il Comune potrebbe chiedere la certificazione fideiussoria anche in mancanza della previsione legislativa regionale. Infatti, nell'ambito della propria autonomia, il Comune, ente esponenziale della comunità amministrata, potrebbe imporre garanzie per proteggere i beni (territorio, ambiente, paesaggio e proprietà) di cui è titolare.
Sempre in via preliminare, la Regione Molise ha condiviso la lettura costituzionalmente orientata fatta propria dal TAR Molise, nel senso di ritenere necessari l'atto di impegno e la certificazione fideiussoria non ai fini dell'autorizzazione all'installazione dell'impianto, bensì con riferimento al suo esercizio.
5.2.- Nel merito, la difesa regionale ritiene la questione non fondata.
La Regione Molise evidenzia in primo luogo che l'art. 93. cod. comunicazioni elettroniche, vigente ratione temporis, esige che canoni e oneri siano previsti per legge. Nel caso in esame, l'atto di impegno nonché il certificato fideiussorio sono richiesti dalla legge regionale, quindi non sussisterebbe la denunciata illegittimità costituzionale.
In secondo luogo, la Regione Molise deduce che la polizza fideiussoria prevista dalla disposizione censurata costituirebbe un'obbligazione di garanzia rientrante nell'«obbligo di tenere indenne» la pubblica amministrazione, stabilito dal previgente art. 93, comma 2, cod. comunicazioni elettroniche. La previsione regionale non determinerebbe dunque un aggravamento del procedimento, ma costituirebbe corretta attuazione della disposizione statale.
La difesa regionale sottolinea, inoltre, che nella disciplina in esame vengono in rilievo plurimi interessi di rango costituzionale, quali la libertà di iniziativa economica, la tutela dell'ambiente e del paesaggio, la salute, la proprietà pubblica, il buon andamento dell'amministrazione e l'equilibrio dei bilanci. L'interpretazione fatta propria dal Consiglio di Stato - tale da escludere il potere regionale di imporre ulteriori oneri e condizioni ai fini dell'autorizzazione - finirebbe per svuotare il ruolo di garanzia degli interessi affidati alla tutela dell'ente pubblico, a esclusivo vantaggio dell'iniziativa privata.
Dall'interpretazione sostenuta dal giudice a quo deriverebbe, inoltre, un'ingiustificata disparità di trattamento delle aziende del settore delle telecomunicazioni rispetto a qualunque altra azienda, che invece è tenuta a oneri, talora pesantissimi, per la sistemazione, la manutenzione ed il ripristino ambientale alla cessazione dell'impianto. Ritenere costituzionalmente illegittima la disposizione regionale censurata significherebbe consentire alle aziende del settore «l'uso indiscriminato di beni pubblici e privati, con esplicita autorizzazione a non tenere in alcun conto elementari, ma fondamentali obblighi di sistemazione, manutenzione e ripristino, lasciando in capo alla collettività, per il tramite dei propri enti territoriali e locali, i relativi costi, non soltanto finanziari ma anche e soprattutto ambientali, paesaggistici, sanitari, amministrativi».
Infine, pur riconoscendo che la disciplina statale agevola le imprese del settore con un procedimento più snello, la difesa regionale ritiene, tuttavia, che il divieto di aggravamento del procedimento autorizzatorio non possa escludere la tutela di interessi sostanziali di rango costituzionale uguale o superiore: infatti, osserva la Regione, i modelli procedimentali non potrebbero condizionare la tutela di valori costituzionali o, addirittura, pretendere di precluderla.
5.3.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Molise ha depositato una memoria illustrativa, nella quale ha ribadito le ragioni a sostegno della non fondatezza della questione.
Ad avviso della difesa regionale, l'atto di impegno e la certificazione fideiussoria previsti dalla disposizione regionale censurata rientrerebbero nel più generale obbligo, sancito dalla stessa normativa statale, di cui costituirebbero mera modalità esplicativa, di «tenere indenne» l'ente pubblico proprietario dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'attività autorizzata.
La previsione regionale censurata sarebbe volta alla difesa, al risanamento e alla conservazione del territorio regionale interessato dalla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione. Sottrarre questa potestà alla Regione Molise anche nella fase di messa in esercizio degli impianti impedirebbe il contemperamento della pluralità di interessi pubblici, regionali e statali. L'interpretazione fornita dall'ordinanza di rimessione si porrebbe in contrasto con valori costituzionali superiori (tutela dell'ambiente e del paesaggio e della salute) e, in parte, equiordinati (buon andamento ed efficienza dell'azione amministrativa) rispetto alla libertà di iniziativa economica e alla tutela della proprietà privata. Il contrasto della disposizione censurata con i principi costituzionali richiamati, oltre che con quello di leale collaborazione, potrebbe eventualmente essere censurato dalla stessa Corte costituzionale attraverso l'autorimessione della relativa questione.
Dopo avere ribadito che la disposizione regionale non imporrebbe alcun aggravio del procedimento, la difesa della Regione Molise ribadisce che la disciplina dell'attività procedimentale è strumentale alla tutela dei beni protetti (e non viceversa). Pertanto, i modelli procedimentali non potrebbero condizionare la tutela di valori costituzionali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il Consiglio di Stato, sezione sesta, con l'ordinanza indicata in epigrafe (n. 230 reg. ord. del 2024) dubita della legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettere d), ed e), della legge reg. Molise n. 20 del 2006.
La disposizione censurata prevede che le domande di autorizzazione all'esercizio dei nuovi impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi siano corredate da «atto di impegno, sottoscritto dal titolare dell'impianto o da suo legale rappresentante, ad una corretta manutenzione dell'impianto, ove, ai fini della protezione della popolazione, devono essere rispettate le prescrizioni fornite dall'ARPAM; il titolare dell'impianto o il suo legale rappresentante devono impegnarsi altresì ad eseguire, nel caso di disattivazione, i relativi interventi sull'impianto fino alla completa demolizione, ripristinando il sito in armonia con il contesto ambientale» (lettera d); nonché da un «certificato fidejussorio relativo agli oneri di smantellamento e ripristino ambientale» (lettera e).
Ad avviso del Consiglio di Stato, la disposizione regionale in esame violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., poiché, nel richiedere ulteriori adempimenti, non previsti dalla legge statale, ai fini dell'autorizzazione dei nuovi impianti, si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale della materia «ordinamento della comunicazione» posto dall'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche, che, al comma 1, nella versione applicabile ratione temporis, vietava a tutte le pubbliche amministrazioni di «imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge».
2.- All'esame della questione di legittimità costituzionale è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in cui si colloca la disposizione censurata.
Essa si inserisce nell'ambito della legge reg. Molise n. 20 del 2006, con cui - al fine di salvaguardare l'ambiente e tutelare la salute della popolazione dall'esposizione ai campi elettromagnetici - il legislatore regionale ha dettato la disciplina dell'«installazione dei nuovi impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi» (art. 1, comma 1, lettera a, della legge reg. Molise n. 20 del 2006), nonché «per la modifica e l'adeguamento [degli] impianti esistenti» (art. 1, comma 1, lettera b, della legge reg. Molise n. 20 del 2006).
In particolare, la disposizione censurata si trova nell'art. 5 della legge regionale sopra indicata, rubricata «Regime autorizzatorio per nuovi impianti» di telecomunicazione e radiodiffusione.
2.1.- Nel caso in esame, è denunciata la violazione del parametro interposto costituito dall'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche, nella versione applicabile ratione temporis, antecedente all'entrata in vigore del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 207, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (rifusione)».
Infatti, il provvedimento impugnato nel giudizio a quo è stato adottato il 24 giugno 2021, quindi prima del 24 dicembre 2021, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 207 del 2021, che, con l'art. 1, ha sostituito, tra molti altri, gli artt. 86 e 93 cod. comunicazioni elettroniche. In virtù del principio tempus regit actum, la legittimità dell'atto amministrativo deve essere esaminata con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (sentenze n. 172 del 2024 e n. 170 del 2019).
2.2.- La disciplina statale del settore delle telecomunicazioni e, in particolare, del procedimento di autorizzazione, è contenuta nel citato codice delle comunicazioni elettroniche, adottato in attuazione della delega impartita dall'art. 41 della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che, al comma 1, pone l'obiettivo del «riassetto delle disposizioni vigenti conseguenti al recepimento delle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002». La legge delega ha, dunque, prescritto di recepire le direttive europee in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, volte a garantire agli imprenditori l'accesso al settore con criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità, nonché a consentire agli utenti finali la fornitura del servizio universale, senza distorsioni della concorrenza.
All'art. 41, comma 2, lettera a), numeri 1), 3), 4) e 8), la legge n. 166 del 2002 ha prescritto al legislatore delegato di attenersi ai seguenti criteri: «garanzia di accesso al mercato con criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità; [...] previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture e ricorso alla condivisione delle strutture; [...] riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché regolazione uniforme dei medesimi procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni per l'installazione delle infrastrutture di reti mobili [...] garanzia della fornitura del servizio universale, senza distorsioni della concorrenza».
2.3.- Come affermato più volte da questa Corte, il cod. comunicazioni elettroniche ha perseguito «un vasto processo di liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione [...] secondo le linee di un ampio disegno europeo tendente a investire l'intera area dei servizi pubblici» (sentenza n. 25 del 2009 e, in termini analoghi, n. 336 del 2005). I principî di derivazione comunitaria, contenuti nelle quattro direttive sopra richiamate, «sono stati espressamente recepiti dall'art. 4 del decreto [n. 259 del 2003], il quale prevede che la disciplina delle reti (e dei servizi) è volta a salvaguardare i diritti costituzionalmente garantiti di "libertà di comunicazione", nonché di "libertà di iniziativa economica e suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità"» (ancora, sentenza n. 335 del 2006, che richiama l'art. 4, comma 1, lettere a e c, cod. comunicazioni elettroniche all'epoca vigente).
Il comma 3 dello stesso art. 4 disponeva, inoltre, nella versione applicabile ratione temporis, che la suddetta disciplina è volta anche a «promuovere la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica» (lettera a), nonché a «promuovere lo sviluppo in regime di concorrenza delle reti e servizi di comunicazione elettronica, ivi compresi quelli a larga banda e la loro diffusione sul territorio nazionale, dando impulso alla coesione sociale ed economica anche a livello locale» (lettera e; le disposizioni sono puntualmente citate nella richiamata sentenza n. 336 del 2005).
2.4.- In linea con le prescrizioni comunitarie, il codice delle comunicazioni elettroniche ha quindi dettato una disciplina volta a promuovere la semplificazione dei procedimenti per l'installazione delle infrastrutture di rete attraverso l'adozione di procedure uniformi e tempestive, anche al fine di garantire l'attuazione delle regole della concorrenza (sentenze n. 265 del 2006 e n. 336 del 2005, più volte citata).
Il previgente art. 86, comma 3, cod. comunicazioni elettroniche, ha assimilato a ogni effetto le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria. Era stata dunque condivisa l'impostazione, già accolta dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui gli impianti di telecomunicazione, in quanto opere di interesse generale che presuppongono la realizzazione di una rete che consenta un'uniforme copertura al territorio, debbono essere considerati assimilabili alle opere di urbanizzazione primaria (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 3 settembre 2018, n. 5168)
La localizzazione degli impianti risulta, dunque, indifferente alle diverse destinazioni di zona previste dal piano regolatore e compatibile con qualsiasi destinazione urbanistica (artt. 86, 87 e 87-bis cod. comunicazioni elettroniche, nelle versioni previgenti e applicabili nel giudizio a quo). Ciò è indicativo del riconoscimento, da parte del legislatore statale, della necessaria capillarità nella realizzazione delle infrastrutture della rete di telecomunicazioni.
Si tratta dunque di opere, per quanto private, di pubblica utilità, sottoposte a una disciplina fondata su chiari intenti acceleratori, in ragione del loro rilievo per lo sviluppo infrastrutturale del Paese e per l'avanzamento della copertura della rete su tutto il territorio nazionale.
2.5.- Con particolare riferimento a quest'ultimo aspetto, va evidenziato che dalla Relazione annuale per il 2024 sull'attività svolta e sui programmi di lavoro dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) emerge che, al 31 dicembre 2023, solo il 59,6 per cento delle famiglie è stato raggiunto dalla copertura della rete in fibra, a fronte del 30 per cento nel 2019 (pag. 10). Inoltre, anche in considerazione della particolare conformazione del territorio statale e della non uniforme distribuzione della popolazione, permangono le cosiddette "aree bianche", ovvero zone meno servite, dove la densità abitativa è più bassa e la realizzazione dell'infrastruttura di rete più complessa o meno conveniente.
Pertanto, pur in presenza di una progressione dei valori di copertura della rete in fibra, risulta tuttora necessario un notevole sforzo nel potenziamento delle infrastrutture di rete al fine di garantire un servizio più omogeneo e inclusivo nel territorio nazionale e di migliorare l'accesso alle tecnologie digitali. Si tratta di obiettivi fondamentali al fine di dare «impulso alla coesione sociale ed economica anche a livello locale» (ancora, sentenza n. 336 del 2005, che cita l'obiettivo stabilito dall'art. 4, comma 3, lettera e, cod. comunicazioni elettroniche, nella versione allora vigente).
2.6.- Quanto al procedimento autorizzatorio relativo alle infrastrutture, l'art. 87 cod. comunicazioni elettroniche ha adottato una particolare strategia di semplificazione, che si impernia sia sull'unificazione delle diverse valutazioni nell'ambito di un solo procedimento, sia sulla qualificazione dell'inerzia serbata dall'amministrazione come assenso tacito.
L'autorizzazione prevista dagli artt. 87 e seguenti cod. comunicazioni elettroniche riveste, infatti, carattere «omnicomprensivo» e riguarda tutti i profili connessi alla realizzazione e all'attivazione dell'impianto. Ciò risulta in linea con il criterio di delega impartito dal richiamato art. 41, comma 2, lettera a), numeri 3 e 4, sulla tempestività, trasparenza e non discriminazione delle procedure di rilascio dei titoli, nonché sulla riduzione dei termini e sulla loro regolazione uniforme.
Come riconosciuto da questa Corte, sono dunque i principi di tempestività e semplificazione sottesi al codice delle comunicazioni elettroniche a richiedere «di regola un intervento del legislatore statale che garantisca l'esistenza di un unitario procedimento sull'intero territorio nazionale, caratterizzato, inoltre, da regole che ne consentano una conclusione in tempi brevi» (ancora una volta, sentenza n. 336 del 2005). La confluenza in un unico procedimento dell'iter finalizzato all'ottenimento dell'autorizzazione a costruire tali impianti risponde proprio ai principi generali sopra richiamati (sentenze n. 265 e n. 129 del 2006; ordinanza n. 203 del 2006).
2.7.- Anche l'art. 93, cod. comunicazioni elettroniche, all'epoca vigente e rubricato «Divieto di imporre altri oneri», risponde alle medesime esigenze di semplificazione, uniformità e accelerazione delle procedure volte alla realizzazione della rete di telecomunicazioni.
Al comma 1, tale disposizione prevedeva che «[l]e Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge». Un divieto analogo era previsto anche dal d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni) e, in particolare, all'art. 238 (Divieto di imporre altri oneri), abrogato dal cod. comunicazioni elettroniche a decorrere dal 16 settembre 2003.
Lo stesso art. 93, al comma 2, disponeva che «[g]li operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l'obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale. Nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica [...]».
2.7.1.- L'art. 93, comma 2, cod. comunicazioni elettroniche è stato oggetto di due interventi di interpretazione autentica.
Dapprima, il decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33, recante «Attuazione della direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità», in vigore dal 10 marzo 2016, ha stabilito, all'art. 12, comma 3, che «[l]'articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione».
Questa norma interpretativa è stata modificata dal decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, che, con l'art. 8-bis, comma 1, lettera c), vi ha aggiunto un inciso finale, in base al quale resta «escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto».
A fronte dell'ampia previsione contenuta nell'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche, nella sua versione previgente, le successive modifiche evidenziano l'intento del legislatore di specificare la tipologia di oneri e canoni che non possono essere posti a carico degli operatori di telecomunicazione. L'art. 54 cod. comunicazioni elettroniche nella formulazione attuale, introdotto dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2021, in sostituzione del precedente art. 93, ha precisato, poi, che gli oneri a carico degli operatori del settore possono essere solo quelli stabiliti dallo stesso codice, con esclusione, pertanto, di oneri previsti da altre norme di rango primario.
Infine, il divieto è stato esteso anche alle spese «per la modifica o lo spostamento di opere o impianti resisi necessari per ragioni di viabilità o di realizzazione di opere pubbliche», come previsto dall'art. 32, comma 1, lettera c-bis, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, recante «Ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)», convertito, con modificazioni, nella legge 29 giugno 2022, n. 79.
2.8.- Questa Corte ha ripetutamente affermato che il divieto di cui all'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche costituisce espressione di un principio fondamentale della materia, in quanto «"finalità della norma è anche quella di 'tutela della concorrenza', di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l'ingresso di nuovi soggetti nel settore"» (sentenza n. 47 del 2015; in senso analogo, sentenze n. 272 del 2010, n. 450 del 2006, e n. 336 del 2005).
È stato rilevato che, in mancanza di un tale principio, ogni regione «potrebbe liberamente prevedere obblighi "pecuniari" a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti» (sentenza n. 246 del 2020, che richiama la sentenza n. 272 del 2010).
Più in generale, è stato riconosciuto che le esigenze di celerità e la conseguente riduzione dei termini per l'autorizzazione all'installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica costituiscono, per finalità di tutela di istanze unitarie, principi fondamentali della materia «ordinamento della comunicazione» (sentenze n. 265 del 2006 e n. 336 del 2005).
Si tratta di una scelta ordinamentale che si pone in armonia con l'esigenza di un'installazione capillare delle infrastrutture, ritenuta strumentale rispetto all'obiettivo di matrice europea della copertura universale del territorio.
3.- Ciò premesso, deve essere in primo luogo disattesa l'eccezione preliminare di inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.
Le difese della Regione Molise e del Comune di Campobasso lamentano che nel giudizio a quo sarebbe mancata una rituale decisione sull'eccezione preliminare di inammissibilità dell'appello sollevata dal Comune di Campobasso, avendo il giudice a quo respinto tale eccezione con ordinanza, anziché con sentenza.
Nel caso in esame, il Consiglio di Stato non si è limitato a sospendere il giudizio per la questione di legittimità costituzionale, previo esame incidentale delle eccezioni preliminari, ma ha attribuito alla statuizione sull'eccezione di inammissibilità dell'appello una portata effettivamente decisoria, sebbene non definitoria dell'intero giudizio.
Alla luce del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, enunciato dalla giurisprudenza ordinaria e amministrativa, i provvedimenti che contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio e, ancorché qualificati ordinanza, vanno considerati sentenze non definitive (Corte di cassazione, sesta sezione civile, ordinanza 13 aprile 2022, n. 12065; sezioni unite civili, sentenza 11 dicembre 2007, n. 25837; sezione lavoro, sentenza 7 aprile 2006, n. 8174; sezioni unite civili, sentenze 24 ottobre 2005, n. 20470 e 24 febbraio 2005, n. 3816; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 21 agosto 2023, n. 7858 e 19 luglio 2023, n. 7076). Deve escludersi, pertanto, che nel giudizio a quo sia mancata una decisione sull'eccezione preliminare di inammissibilità dell'appello.
Il rimettente ha sufficientemente e non implausibilmente motivato sull'ammissibilità dell'appello e, quindi, sulla rilevanza della questione: tanto è sufficiente a superare il vaglio di ammissibilità, che per la costante giurisprudenza costituzionale «è meramente estern[o] e strumentale al riscontro di una adeguata motivazione in punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale» (sentenze n. 62 del 2025 e n. 49 del 2024; nello stesso senso, tra le molte, sentenze n. 59 del 2025, n. 164 del 2023, n. 193 e n. 192 del 2022 , n. 240 e n. 32 del 2021 e n. 224 del 2020).
4.- Deve essere parimenti respinta l'eccezione di inammissibilità, sollevata dalla Regione Molise, secondo cui il giudice a quo non avrebbe proceduto al doveroso tentativo di interpretazione conforme, in particolare nel senso di ritenere che l'atto di impegno e la certificazione fideiussoria non siano necessari ai fini dell'autorizzazione dell'impianto, bensì solo con riferimento alla sua messa in esercizio.
Il Consiglio di Stato ha esplorato in maniera approfondita la possibilità di un'interpretazione conforme alla Costituzione, ma l'ha consapevolmente esclusa alla luce del tenore letterale della disposizione censurata e del suo significato, anche sotto il profilo sistematico.
Come chiarito ormai da tempo e in modo costante dalla giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'ammissibilità della questione è sufficiente che il giudice a quo abbia motivato - come qui ha fatto - sulle ragioni di impraticabilità dell'interpretazione adeguatrice, mentre la valutazione circa la condivisibilità dell'esito interpretativo raggiunto dal rimettente attiene alla successiva verifica di fondatezza della questione (tra le più recenti, sentenze n. 73 e n. 23 del 2025; n. 163, n. 105 e n. 6 del 2024).
5.- Va rigettata l'ulteriore eccezione, sollevata dalla Regione Molise, di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza poiché, anche in caso di accoglimento della questione in esame, i comuni - quali enti esponenziali della comunità amministrata - sarebbero comunque legittimati a imporre garanzie a tutela di interessi pubblici di cui sono titolari, anche a prescindere dalla previsione legislativa regionale.
Tuttavia, tale possibilità deve ritenersi preclusa dal chiaro tenore testuale dell'art. 93, comma 1, cod. comunicazioni elettroniche, applicabile ratione temporis che - in coerenza con le esigenze di uniformità e semplificazione sottese alla disciplina del codice delle comunicazioni elettroniche - vieta espressamente ai comuni (oltre che a tutte le altre pubbliche amministrazioni) di imporre ai soggetti operanti sul proprio territorio «oneri o canoni che non siano stabiliti per legge» ai fini del rilascio delle autorizzazioni.
6.- Quanto al merito, non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera d), della legge reg. Molise n. 20 del 2006, mentre lo è quella della lettera e) del comma 3 dello stesso art. 5.
6.1.- Nel caso in esame, il Consiglio di Stato denuncia il contrasto della disposizione regionale censurata con l'art. 117, terzo comma, Cost., poiché, nel richiedere ulteriori adempimenti non previsti dalla legge statale al fine dell'autorizzazione di nuovi impianti, violerebbe il principio fondamentale della materia «ordinamento della comunicazione» posto dall'art. 93, comma 1, cod. comunicazioni elettroniche, che, nella versione applicabile ratione temporis, vietava a tutte le pubbliche amministrazioni di imporre «oneri o canoni che non siano stabiliti per legge».
6.2.- Occorre, innanzitutto, superare alcuni argomenti spesi dalla Regione Molise e dal Comune di Campobasso a sostegno della non fondatezza della questione in esame.
Si deve escludere, in particolare, che la riserva di legge prevista dall'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche consenta anche un intervento del legislatore regionale.
Questa Corte ha già escluso tale possibilità, sul rilievo che, se così non fosse, sarebbe contraddetta la stessa ratio legis, individuata nella finalità di «evitare che ogni Regione possa liberamente prevedere obblighi "pecuniari" a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio» (sentenza n. 246 del 2020; nello stesso senso, sentenza n. 272 del 2010).
6.3.- Inoltre, risulta corretto il presupposto interpretativo da cui muove il Consiglio di Stato.
Infatti, non può essere condivisa l'interpretazione, sostenuta dalle difese della Regione Molise e del Comune di Campobasso, secondo la quale la disposizione censurata richiederebbe l'atto di impegno e la certificazione fideiussoria non ai fini dell'autorizzazione all'impianto, bensì solo con riferimento al suo esercizio.
Tale interpretazione - oltre a contrastare con il dato letterale della disposizione regionale censurata, espressamente dedicata alla disciplina delle autorizzazioni «per nuovi impianti» - porterebbe a conseguenze incoerenti anche sul piano sistematico. Infatti, oltre a non essere ipotizzabile, per l'operatore di telecomunicazioni, alcuna utilità derivante dalla sola realizzazione dell'infrastruttura disgiunta dalla sua messa in esercizio, tale ricostruzione porterebbe a riconoscere uno svolgimento bifasico della procedura di autorizzazione: la prima fase, sostanzialmente priva di utilità per l'operatore, avente a oggetto la sola installazione dell'infrastruttura; la seconda, volta a consentire l'attivazione e l'esercizio dell'impianto. Ciò risulta incompatibile con la disciplina statale dell'autorizzazione, che - in applicazione dei principi di tempestività, semplificazione e uniformità - configura il titolo abilitativo come un atto unico e onnicomprensivo.
Deve ritenersi che la disposizione regionale censurata imponga di allegare il certificato fideiussorio e l'atto di impegno sin dalla presentazione dell'istanza di autorizzazione e non solo ai fini della successiva attivazione dell'impianto.
6.4.- Ciò posto, occorre, di seguito, esaminare distintamente i due adempimenti richiesti dalla disposizione regionale censurata.
7.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera d), della legge reg. Molise n. 20 del 2006 non è fondata.
La disposizione in esame prevede l'allegazione all'istanza di autorizzazione di un atto d'impegno alla corretta manutenzione dell'impianto, nel rispetto delle prescrizioni impartite dall'ARPAM, nonché al ripristino del sito al momento della sua disattivazione.
In effetti, l'art. 107 cod. comunicazioni elettroniche, al comma 1, sia prima che dopo le modifiche da ultimo introdotte, già impone l'obbligo per gli operatori di telecomunicazioni di presentare una «dichiarazione di impegno ad osservare specifici obblighi, quali [...] il rispetto delle norme di sicurezza, di protezione ambientale, di salute della popolazione ed urbanistiche», come condizione necessaria ai fini dell'autorizzazione generale all'espletamento dell'attività.
Anche il successivo art. 115, comma 2, cod. comunicazioni elettroniche, pure nel testo vigente, stabilisce che «[i]l soggetto, titolare di autorizzazione generale, è tenuto a rispettare le disposizioni vigenti in materia di sicurezza, di salute della popolazione, di protezione ambientale, nonché le norme urbanistiche e quelle dettate dai regolamenti comunali in tema di assetto territoriale».
Inoltre, lo stesso art. 93, comma 2, primo periodo, cod. comunicazioni elettroniche, nella precedente versione (ora trasfusa nell'art. 54, comma 6, del codice vigente), dispone che «[g]li operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l'obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale».
La disposizione censurata non determina né un aggravamento della procedura di autorizzazione né impone «oneri o canoni» ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge statale. Essa si limita a ribadire e a specificare il contenuto di un obbligo, già previsto dal codice delle comunicazioni elettroniche, avente a oggetto il corretto svolgimento del servizio - nel rispetto delle norme di sicurezza, di protezione ambientale e di salute della popolazione - e, in caso di disattivazione, il ripristino delle aree coinvolte dagli interventi di installazione degli impianti.
Pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera d), della legge reg. Molise n. 20 del 2006, sollevata in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., deve essere dichiarata non fondata, poiché non è ravvisabile la violazione del divieto posto dall'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche.
8.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera e), della legge reg. Molise n. 20 del 2006 è, invece, fondata.
Questa disposizione introduce a carico degli operatori di telecomunicazioni che intendano presentare istanza di autorizzazione dell'impianto un adempimento che in effetti non risulta espressamente previsto dal codice delle comunicazioni elettroniche, nonostante il carattere analitico e di dettaglio di molte delle sue previsioni. Si tratta dell'obbligo di presentare un apposito certificato fideiussorio relativo agli oneri di smantellamento e ripristino ambientale che non è compreso nell'elenco dei documenti da produrre a corredo dell'istanza di autorizzazione, contenuto nel previgente Allegato n. 13 al codice delle comunicazioni elettroniche.
La previsione in esame si discosta dalla disciplina statale del procedimento autorizzatorio, poiché richiede agli operatori di telecomunicazioni una prestazione di carattere pecuniario (quale è la stipula di un contratto a titolo oneroso, ossia di una polizza fideiussoria), non espressamente prevista tra quelle tipizzate dall'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche.
Pertanto, la disposizione regionale censurata viola la disposizione espressa dal richiamato art. 93, la cui natura di principio fondamentale è stata più volte ribadita da questa Corte «in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni» (sentenze n. 246 del 2020, n. 47 del 2015, n. 272 del 2010, n. 450 del 2006 e n. 336 del 2005).
Infatti, in mancanza di tale principio, come già ricordato, ogni regione «potrebbe liberamente prevedere obblighi "pecuniari" a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti» (sentenze n. 246 del 2020 e n. 272 del 2010). Per queste ragioni, come è stato chiarito, «finalità della norma è anche quella di "tutela della concorrenza", di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l'ingresso di nuovi soggetti nel settore» (sentenza n. 47 del 2015).
È vero che questa Corte ha riconosciuto che «[l]e Regioni, nel quadro e nel rispetto dei principî fondamentali così fissati dalla legge statale, ben possono prescrivere, eventualmente, ulteriori modalità procedimentali rispetto a quelle previste dallo Stato, in vista di una più accentuata semplificazione delle stesse» (sentenza n. 336 del 2005).
Ma, nel caso in esame, la disposizione censurata richiede agli operatori del settore una prestazione di contenuto patrimoniale (la stipula e la produzione di un'apposita garanzia fideiussoria) non prevista dalla legge statale: va escluso che ciò realizzi una più accentuata semplificazione della procedura autorizzatoria stabilita dal codice delle comunicazioni elettroniche.
Deve essere, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera e), della legge reg. Molise n. 20 del 2006, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all'art. 93 cod. comunicazioni elettroniche.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera e), della legge della Regione Molise 10 agosto 2006, n. 20 (Norme per la tutela della popolazione dall'inquinamento elettromagnetico generato da impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera d), della legge reg. Molise n. 20 del 2006, sollevata, in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 93 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), nella versione applicabile ratione temporis, dal Consiglio di Stato, sezione sesta, con l'ordinanza indicata in epigrafe.