Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Ordinanza 21 giugno 2025, n. 16646
Presidente: Esposito - Relatore: Panariello
RILEVATO CHE
1. Biagio G. sosteneva di aver lavorato alle dipendenze di V. Paolo Francesco presso l'esercizio "bar tabacchi" gestito dal V. in Sessa Aurunca, dal 30 settembre 2009 al 3 giugno 2012 con mansioni di barista, inquadrabili nel 5° livello CCNL pubblici esercizi. Assumeva di aver lavorato da lunedì alla domenica dalle ore 04,30 alle ore 12,30 e il martedì per metà giornata.
Adìva il Tribunale di S. Maria Capua Vetere per ottenere l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro e la condanna del V. al pagamento della complessiva somma di euro 64.941,44 a titolo di differenze retributive e di t.f.r.
2. Costituitosi il contraddittorio, assunte le prove testimoniali ammesse, il Tribunale rigettava le domande.
3. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello rigettava il gravame interposto dal G.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) l'appellante non contesta la valutazione dell'istruttoria compiuta dal Tribunale, ma si duole della mancata applicazione del principio di non contestazione, avendo il V. ammesso l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato seppure con diverse mansioni, diverso orario, differenti date di inizio e fine del rapporto;
b) dall'esame della memoria difensiva di primo grado del V. non si evince alcuna ammissione dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti;
c) invero nella predetta memoria il V. ha dedotto che, ai sensi dell'art. 28, comma 2, l. n. 1293/1957, si è fatto autorizzare dai Monopoli di Stato ad avere come assistente il suocero Biagio G., senza facoltà di essere sostituito come titolare durante le assenze dall'esercizio ed ha quindi dedotto che, in virtù di tale autorizzazione, il G. era impegnato per quattro ore al giorno, dalle 08,30 alle 12,30, e che per l'opera prestata aveva ricevuto il pagamento della complessiva somma di euro 19.258,80;
d) questa prospettazione dei fatti contenuta nella memoria difensiva di primo grado è incompatibile con la sussistenza di un vincolo di subordinazione e quindi implica la contestazione della subordinazione;
e) del resto il G. era stato definito dal V. come "coadiutore" in quanto rientrante fra i soggetti indicati dall'art. 64 d.P.R. n. 1074/1958 (regolamento di esecuzione), a norma del quale "coadiutore può essere il coniuge, il figlio o altra persona parente del rivenditore entro il quarto grado o affine entro il terzo grado";
f) quindi la tesi del V. è che il rapporto era proprio di un contratto d'opera o comunque di collaborazione familiare, non di lavoro subordinato;
g) è dunque inammissibile, integrando domanda nuova, la richiesta in appello di pagamento di t.f.r., 13a e 14a mensilità rispetto ad un asserito rapporto di lavoro subordinato completamente diverso da quello allegato nel ricorso di primo grado;
h) parimenti inammissibili sono le richieste di acquisizione documentale (comunicazioni UNILAV su assunzione e licenziamento, estratto contributivo INPS, modello C2/storico) risalenti ad epoca antecedente al deposito del ricorso di primo grado e che quindi dovevano essere prodotti tempestivamente, ma che non lo sono stati in considerazione della diversa prospettazione del rapporto di lavoro contenuta nel ricorso di primo grado;
i) non può trovare applicazione il principio di ricerca della verità materiale, perché l'acquisizione dei predetti documenti consentirebbe l'ingresso di una prospettazione del rapporto di lavoro completamente diversa;
j) in ogni caso il predetto principio può operare solo quando vi siano significative "piste probatorie" (Cass. n. 11845/2018), condizione che nella specie non ricorre.
4. Avverso tale sentenza G. Biagio ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5. V. Paolo Francesco ha resistito con controricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7. Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1. In punto di fatto il ricorrente nega di essere mai stato suocero del V.; precisa che un suo figlio ha sposato una sorella del V. peraltro solo in data 6 luglio 2012, quindi in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro con il V. (v. ricorso per cassazione, p. 16).
2. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) (rectius 4), c.p.c., il ricorrente lamenta "violazione e falsa applicazione" degli artt. 420, 421 e 437 c.p.c. per avere la Corte territoriale escluso l'ammissibilità della nuova produzione documentale in appello. Deduce che si trattava di documenti indispensabili, dei quali aveva già in primo grado chiesto l'acquisizione al Tribunale, senza esito. Assume che quei documenti avrebbero consentito di fugare ogni dubbio sulla natura subordinata del rapporto di lavoro, derivante dal contrasto fra le dichiarazioni rese dai testimoni escussi.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato che nel rito del lavoro costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell'art. 437, comma 2, c.p.c., quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio, oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass., ord. n. 16358/2024; Cass., n. 401/2023; Cass., Sez. un., n. 10790/2017).
La Corte territoriale non ha compiuto tale valutazione di indispensabilità, sulla base del presupposto per cui il "coadiutore" sarebbe incompatibile con un rapporto di lavoro subordinato.
Tale presupposto è errato.
L'atto amministrativo di natura autorizzatoria, rilasciato dai Monopoli di Stato, in relazione alla figura del "coadiutore" prevista dall'art. 64 d.P.R. n. 1074 cit. attiene al rapporto fra il titolare della rivendita di generi di monopolio e lo Stato, ma è un atto del tutto "neutro", ossia non significativo, rispetto al diverso e distinto rapporto privatistico fra il titolare ed il "coadiutore", che - come ogni rapporto avente ad oggetto un'attività umana - può atteggiarsi in termini sia di lavoro autonomo che di lavoro subordinato. Dunque quell'autorizzazione - contrariamente all'assunto della Corte territoriale - non è affatto incompatibile con l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Ne deriva che il contrasto delle deposizioni testimoniali, da un lato, che pur aveva condotto il Tribunale a rigettare le domande, e, dall'altro, l'ammissione del V. circa l'esistenza di un rapporto di lavoro con il G. sia pure come "coadiutore" ex art. 64 d.P.R. n. 1074/1958 rappresentano una sufficiente "pista probatoria" idonea a giustificare l'istanza di ammissione di nuovi documenti in appello.
La dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte territoriale viola dunque l'art. 437 c.p.c. Va al riguardo ribadito che nel rito del lavoro occorre contemperare il principio dispositivo con quello di verità, sicché, ai sensi dell'art. 437, comma 2, c.p.c., il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure non è oggetto di preclusione assoluta ed il giudice può ammettere, anche d'ufficio, detti documenti ove li ritenga indispensabili ai fini della decisione, in quanto idonei a superare l'incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purché allegati nell'atto introduttivo, seppure implicitamente, e sempre che sussistano significative "piste probatorie" emergenti dai mezzi istruttori, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado (Cass., n. 22907/2024; Cass., ord. n. 11845/2018).
Resta ovviamente ferma la necessità di valutare l'ammissibilità della domanda in relazione a voci retributive e/o a periodi eventualmente diversi da quelli rivendicati e prospettati con il ricorso di primo grado, atteso che il divieto della domanda nuova in appello (art. 437 c.p.c.) non ammette eccezioni nel rito del lavoro. Tale accertamento resta impregiudicato e dovrà essere nuovamente compiuto dalla Corte territoriale, fermo restando tuttavia che, quanto alle mansioni ("addetto alla cassa" piuttosto che "barista") evincibili da quei documenti di cui il ricorrente ha chiesto l'ammissione in appello, la loro esatta individuazione rileva non ai fini della domanda di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, bensì ai più limitati fini del calcolo delle eventuali differenze retributive.
2. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) (rectius 4), c.p.c., il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell'art. 437, comma 2, c.p.c. per avere la Corte territoriale rilevato una novità della domanda in appello rispetto a quella di primo grado invece inesistente.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., il ricorrente lamenta "violazione e falsa applicazione" degli artt. 2697 c.c. e 64 d.P.R. n. 1074/1958 per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente fra le parti in lite un rapporto di affinità entro il terzo grado idoneo ad ottenere l'autorizzazione dei Monopoli di Stato, senza tuttavia che il V. avesse dato alcuna prova di tale rapporto.
I due motivi restano assorbiti dall'accoglimento del primo.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, in relazione al motivo accolto, nonché per la regolamentazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.