Corte costituzionale
Sentenza 22 luglio 2025, n. 121
Presidente: Amoroso - Redattore: Buscema
[...] nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 121, 123, 204 e 205, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), così come interpretato dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con sentenza 27 ottobre 2023, n. 29961, promossi dal Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, con ordinanze del 20 dicembre 2024, iscritte ai numeri 15, 16, 19, 21, 22 e 23 del registro ordinanze 2025 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 7 e 8, prima serie speciale, dell'anno 2025.
Visti gli atti di costituzione di F.A. B. e altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'8 luglio 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;
uditi gli avvocati Walter Miceli e Nicola Zampieri per F.A. B. e per le altre parti costituite, nonché l'avvocata dello Stato Laura Paolucci per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 9 luglio 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ordinanze del 20 dicembre 2024, iscritte ai numeri 15, 16, 19, 21, 22 e 23 reg. ord. del 2025 il Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui all'art. 1, commi 121, 123, 204 e 205, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), così come interpretate dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con sentenza 27 ottobre 2023, n. 29961 - adita ai sensi dell'art. 363-bis del codice di procedura civile - nella parte in cui, riconoscendo il diritto a ottenere la cosiddetta Carta docente anche ai docenti non di ruolo che ricevono incarichi annuali ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), non ne prevedono la relativa copertura finanziaria, in riferimento all'art. 81, commi primo e terzo, della Costituzione, e già oggetto dell'ordinanza della Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione sesta, 18 maggio 2022, causa C-450/21, UC.
1.1.- Premette il giudice rimettente di essere stato adito nei giudizi a quibus da diversi docenti assunti con contratti a tempo determinato, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, della legge n. 124 del 1999, che hanno chiesto l'accertamento del proprio diritto all'assegnazione della Carta docente di cui all'art. 1, commi 121, 123, 204 e 205, della legge n. 107 del 2015, con conseguente condanna del Ministero convenuto a consegnare tale Carta accreditando euro 500 per ogni anno scolastico.
A fini ricostruttivi, il Tribunale di Torino dà altresì atto che la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la citata ordinanza 18 maggio 2022 - pronunciandosi su una domanda pregiudiziale in merito all'interpretazione delle clausole 4, punto 1, e 6 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato - formulata dal Tribunale ordinario di Vercelli, sezione lavoro, nell'ambito di un giudizio del tutto sovrapponibile a quello da cui originano le odierne questioni - ha stabilito che «[l]a clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell'istruzione e del merito, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di EUR 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica che può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l'acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l'obbligo di effettuare attività professionali a distanza».
Sulla medesima questione, a valle della pronuncia della CGUE, è intervenuta anche la Corte di cassazione, adita con ricorso pregiudiziale dal Tribunale ordinario di Taranto, sezione lavoro, ex art. 363-bis cod. proc. civ., con il quale si richiedeva che fossero fissati i principi di diritto relativamente ai seguenti profili: se si possa giustificare una differenziazione di trattamento in ragione della durata della supplenza nel singolo anno scolastico; se il beneficio abbia carattere retributivo o riparatorio; se quella derivante dalla Carta docente sia obbligazione pecuniaria o di quale altra natura; se abbiano rilievo i peculiari vincoli e modalità di esercizio che il d.P.C.m. 28 novembre 2016 (Disciplina delle modalità di assegnazione e utilizzo della Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado) pone rispetto all'esercizio del diritto da parte dei docenti di ruolo; se i diritti del docente, in ragione della natura dell'obbligazione, siano soggetti a prescrizione quinquennale ovvero decennale.
La Corte di cassazione, con la richiamata sentenza n. 29961 del 2023, ha enunciato, per quanto di interesse alla presente causa, i seguenti principi di diritto: «1) [l]a Carta Docente di cui all'art. 1, comma 121, L. 107/2015 spetta ai docenti non di ruolo che ricevano incarichi annuali fino al 31.8, ai sensi dell'art. 4, comma 1, L. n. 124 del 1999 o incarichi per docenza fino al termine delle attività [...] didattiche, ovverosia fino al 30.6, ai sensi dell'art. 4, comma secondo, della L. n. 124 del 1999, senza che rilevi l'omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda in tal senso diretta al Ministero. 2) Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui all'art. 1, comma 121, L. n. 107 del 2015 non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale sul loro diritto, siano interni al sistema delle docenze scolastiche, perché iscritti nelle graduatorie per le supplenze, incaricati di una supplenza o transitati in ruolo, spetta l'adempimento in forma specifica, per l'attribuzione della Carta Docente, secondo il sistema proprio di essa e per un valore corrispondente a quello perduto, oltre interessi o rivalutazione, ai sensi dell'art. 22, comma 36, della L. n. 724 del 1994, dalla data del diritto all'accredito alla concreta attribuzione. 3) Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui all'art. 1, comma 121, L. n. 107/2015 non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale, siano fuoriusciti dal sistema delle docenze scolastiche, per cessazione dal servizio di ruolo o per cancellazione dalle graduatorie per le supplenze, spetta il risarcimento, per i danni che siano da essi allegati, rispetto ai quali, oltre alla prova presuntiva, può ammettersi la liquidazione equitativa, da parte del giudice del merito, nella misura più adeguata al caso di specie, tenuto conto delle circostanze del caso concreto (tra cui ad es. la durata della permanenza nel sistema scolastico, cui l'attribuzione è funzionale, o quant'altro rilevi), ed entro il massimo costituito dal valore della Carta, salvo allegazione e prova specifica di un maggior pregiudizio. 4) L'azione di adempimento in forma specifica per l'attribuzione della Carta Docente si prescrive nel termine quinquennale di cui all'art. 2948 n. 4 c.c., che decorre dalla data in cui è sorto il diritto all'accredito, ovverosia, per i casi di cui all'art. 4, comma 1 e 2, L. n. 124/1999, dalla data del conferimento dell'incarico di supplenza [...]».
1.2.- In punto di rilevanza, il giudice rimettente ritiene di dover necessariamente applicare la normativa di riferimento, come interpretata all'esito della sentenza della Corte di giustizia, prima, e dalla Corte di cassazione, in seguito, trattandosi di ricorrenti nel giudizio a quo che avevano tutti stipulato contratti a tempo determinato, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, della legge n. 124 del 1999, negli anni scolastici compresi fra il 2017 e il 2023, e che non avevano potuto fruire della Carta docente a fronte del dettato normativo di cui alla legge n. 107 del 2015.
Ritiene altresì il rimettente di dover necessariamente accogliere il ricorso, in conseguenza della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, che avrebbe offerto interpretazione vincolante per tutte le pubbliche amministrazioni dello Stato membro in merito alla compatibilità della norma italiana con il diritto euro-unitario, a cui si sarebbe adeguata non solo copiosa giurisprudenza di merito, ma anche la stessa Corte di cassazione, con la pronuncia citata, che ha fornito importanti elementi per circoscrivere l'applicabilità di tale strumento.
Eppure, osserva il rimettente che, dall'applicazione di tale normativa - risultato appunto dell'intervento della CGUE e della Corte di cassazione - deriverebbe un aggravio di spesa ai danni dell'erario, che supererebbe necessariamente la copertura prevista in origine dal legislatore statale nel momento in cui aveva istituito il beneficio in oggetto, limitandone il riconoscimento al solo personale docente a tempo indeterminato.
Rappresenta altresì il Tribunale di Torino che negli ultimi cinque anni gli aventi diritto alla Carta docente, all'esito della interpretazione della Corte di giustizia e della Corte di cassazione, dovrebbero essere aumentati a 4.775.038, in luogo dei 3.602.027 per i quali la legge n. 107 del 2015 aveva previsto la copertura di spesa.
1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo sostiene che ai sensi del terzo comma dell'art. 81 Cost., ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Inoltre, ai sensi del primo comma, «[l]o Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico».
Evidenzia che la formulazione complessiva dell'art. 81 Cost. sarebbe il risultato della riforma costituzionale del 2012, avvenuta su impulso delle istituzioni europee, al fine di garantire il rispetto dei vincoli di finanza pubblica e la riduzione del debito (è citato il Patto Euro Plus del Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2011).
L'art. 1, comma 123, della legge n. 107 del 2015, ha previsto, ai sensi dell'art. 81 Cost., che «[p]er le finalità di cui al comma 121 è autorizzata la spesa di euro 381,137 milioni annui a decorrere dall'anno 2015», calcolata sul numero degli insegnanti di ruolo per l'anno scolastico in questione. Sulla base di tale previsione di spesa sarebbero dunque stati redatti i commi 204 e 205, che indicano le spese complessive previste dalle norme introdotte dalla stessa legge n. 107 del 2015.
Tale copertura di spesa non sarebbe mai stata aumentata nel corso degli anni, fatta eccezione per l'anno 2023, a seguito dell'estensione del diritto alla Carta docente anche ai supplenti assunti nel 2023 su posto vacante, ai sensi dell'art. 15, comma 2, del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano), convertito, con modificazioni, nella legge 10 agosto 2023, n. 103.
La ricordata ordinanza della CGUE, emessa in data 18 maggio 2022, avrebbe ampliato notevolmente la platea degli aventi diritto alla Carta docente, in quanto ha dichiarato incompatibile con il diritto euro-unitario l'attribuzione di detto beneficio ai soli docenti a tempo indeterminato; tale decisione, prontamente recepita dalla giurisprudenza nazionale, avrebbe comportato un aumento medio del 32,57 per cento dei docenti che possono rivendicare tale carta elettronica.
Riferisce altresì il rimettente che i dati ottenuti dal Ministero permetterebbero di affermare che non si tratti di una lieve variazione, che potrebbe rientrare nella fisiologia delle previsioni di spesa, ma di uno scostamento del tutto rilevante, che rende evidente l'inadeguatezza dell'originaria previsione di spesa, contenuta nell'art. 1, comma 123, della legge n. 107 del 2015, e anche che per ogni anno scolastico la maggiore spesa varierebbe tra 80 e 110 milioni di euro, rispetto ai 380 milioni circa previsti dalla disposizione censurata.
Sostiene altresì il giudice a quo che il contenzioso avrebbe assunto dimensioni considerevoli: sulla base dei dati forniti dalla cancelleria, soltanto con riferimento al Tribunale di Torino, sarebbero stati depositati 459 ricorsi avverso il Ministero convenuto nel 2021, 1.036 nel 2022, 1.956 nel 2023 e 2.892 nel 2024, oltre il 70 per cento dei quali riguarderebbero l'attribuzione della Carta docente.
Ricorda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la copertura finanziaria della spesa deve essere effettiva per cui la mancata considerazione degli oneri varrebbe a rendere la legge costituzionalmente illegittima per mancanza di copertura non soltanto per spese obbligatorie, ma anche per oneri solo "ipotetici", in quanto l'art. 81 Cost. «impone che, ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (sono citate le sentenze n. 155 del 2022, n. 163 del 2020 e n. 307 del 2013). La copertura di nuove spese, inoltre, sempre secondo la giurisprudenza costituzionale «deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri» (è citata la sentenza n. 64 del 2023).
Anche laddove si dovesse ritenere che «lo stanziamento complessivo per le spese del personale già vigente fosse in grado di sostenere anche il peso dei nuovi oneri, se ne sarebbe dovuta dare un'analitica dimostrazione nella relazione tecnica (art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilità e finanza pubblica»)» (è citata la sentenza n. 200 del 2022 di questa Corte).
Peraltro, lo stesso intervento legislativo di cui all'art. 15, comma 2, del d.l. n. 69 del 2023, come convertito, rappresenterebbe, secondo il rimettente, la conferma indiretta della inadeguatezza delle risorse originariamente previste, poiché ha stanziato, a fronte dell'estensione dei soggetti destinatari, solo per il 2023, un aumento della copertura di spesa, per fare fronte all'allargamento della platea di beneficiari.
Sarebbe dunque lo stesso legislatore ad aver riconosciuto la necessità di intervenire con una nuova copertura di spesa quando ha ampliato i destinatari della Carta, così implicitamente riconoscendo l'insufficienza dell'originaria (ed ancora attuale) previsione di spesa.
Non varrebbe a escludere la non manifesta infondatezza l'osservazione secondo cui l'illegittimità costituzionale della norma non sarebbe originaria, ma sopravvenuta a seguito della pronuncia della CGUE. Anzitutto, riferisce il giudice a quo, la pronuncia della CGUE ha portata retroattiva: quindi l'art. 1, commi 121 e 123, della legge n. 107 del 2015, avrebbe dovuto comprendere, fin dal principio, i docenti a tempo determinato e prevedere una copertura di spesa adeguata. In secondo luogo, il comma 123 stabilisce che «[p]er le finalità di cui al comma 121 è autorizzata la spesa di euro 381, 137 milioni annui a decorrere dall'anno 2015». Pertanto, quantomeno dall'anno scolastico successivo a quello della pronuncia della CGUE (2022-2023), la copertura di spesa non sarebbe più conforme a Costituzione.
Osserva, infine, il rimettente che l'obbligo per il legislatore di intervenire per individuare la copertura finanziaria delle spese in questione, a presidio dell'art. 81 Cost., sarebbe sancito anche dall'art. 61, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ai sensi del quale «[l]e pubbliche amministrazioni che vengono, in qualunque modo, a conoscenza di decisioni giurisdizionali che comportino oneri a carico del bilancio, ne danno immediata comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell'economia e delle finanze. Ove tali decisioni producano nuovi o maggiori oneri rispetto alle spese autorizzate, il Ministro dell'economia e delle finanze presenta, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione delle sentenze della Corte costituzionale o dalla conoscenza delle decisioni esecutive di altre autorità giurisdizionali, una relazione al Parlamento, impegnando Governo e Parlamento a definire con procedura d'urgenza una nuova disciplina legislativa idonea a ripristinare i limiti della spesa globale».
Il legislatore, in altri termini, avrebbe previsto che, in situazioni come quella in cui si verte, vi sia un chiaro obbligo della pubblica amministrazione di attivarsi per far fronte alle maggiori spese introdotte dalle decisioni giurisdizionali. La mancata attivazione del percorso legislativo sarebbe chiaro indice del contrasto della norma originaria, mai modificata, con le richiamate disposizioni costituzionali.
Afferma altresì il rimettente di non ritenere possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate (quale potrebbe essere, ad esempio, la rideterminazione dell'importo spettante al singolo docente per rispettare la copertura di spesa) in quanto il valore della Carta elettronica è previsto espressamente dalla legge.
Sarebbe necessario, quindi, che questa Corte si pronunci sulla compatibilità tra le disposizioni citate e l'art. 81 Cost., valutando se dichiarare costituzionalmente illegittima in toto la previsione che introduce il diritto alla Carta elettronica del docente o rideterminare l'importo pro capite. Tenuto conto della media dei docenti per ogni anno scolastico, pari a circa 955.000 unità, il limite di spesa annuo di euro 381 milioni sarebbe rispettato laddove la Carta elettronica fosse, prudenzialmente (a causa dell'aumento del numero dei docenti negli ultimi anni), di importo pari a euro 380 annui.
2.- È intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atti di intervento di analogo tenore, eccependo plurimi profili di inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni.
2.1.- Anzitutto, sostiene il Presidente del Consiglio dei ministri che la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate non avrebbe utilità alcuna nei giudizi a quibus, perché provocherebbe esclusivamente un vuoto normativo, che spetta al legislatore colmare.
In secondo luogo, secondo l'Avvocatura dello Stato, il giudice rimettente avrebbe chiesto a questa Corte una pronuncia additiva in una materia, come quella dell'individuazione e destinazione delle risorse finanziarie, riservata alla esclusiva discrezionalità del legislatore. Al fine di rendere ammissibile una pronuncia additiva dovrebbe essere individuabile una sola soluzione conforme a Costituzione. Quando, invece, la lacuna normativa possa essere colmata con un ventaglio di possibili diverse soluzioni, l'intervento additivo dovrebbe ritenersi precluso dall'art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) (sono citate le sentenze n. 177 del 2022, n. 146 del 2021 e n. 219 del 2019).
Infine, viene eccepito un terzo profilo di inammissibilità delle censure, che deriverebbe dall'incertezza del petitum, richiedendo il rimettente l'annullamento delle disposizioni e, al contempo, un intervento integrativo delle stesse (è citata la sentenza n. 153 del 2020).
2.2.- L'Avvocatura generale ritiene altresì che le questioni di legittimità costituzionale sollevate non siano fondate.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il giudice rimettente sarebbe incorso in un'erronea interpretazione dell'art. 81 Cost. dal momento che «una disposizione di legge che preveda un finanziamento che si assuma insufficiente per la funzione corrispondente non potrà essere considerata illegittima solo a causa di ciò».
Il giudice a quo, infatti, avrebbe potuto decidere la controversia condannando il Ministero dell'istruzione e del merito ad accreditare la somma di euro 500 euro sulla Carta docente, ove sussistenti i presupposti previsi dalla legge. L'asserita insufficienza del finanziamento si risolverebbe esclusivamente a danno del creditore, ossia a valle, in sede esecutiva, attesa la previsione dell'art. 14 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, che consentirebbe, in presenza di determinati presupposti, di procedere con l'emissione di uno speciale ordine di pagamento rivolto alla tesoreria dello Stato, affinché quest'ultima possa effettuare il pagamento.
Le questioni di legittimità costituzionale sarebbero dunque «irrilevanti».
Dà atto altresì l'Avvocatura generale della sopravvenienza normativa, successiva al deposito delle ordinanze di rimessione, con cui il legislatore statale avrebbe disposto l'estensione, a partire dal 2025, della Carta docente anche al personale non di ruolo assunto con contratto di docenza annuale su posto vacante e disponibile (è citata la legge 30 dicembre 2024, n. 207, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027» che ha disposto con l'art. 1, comma 572, lettere a, b e c, la modifica del censurato art. 1, comma 121; con l'art. 1, comma 573, la modifica del censurato art. 1, comma 123; con l'art. 1, comma 574, l'introduzione del comma 122-bis all'art. 1; con l'art. 1, comma 828, la modifica dell'art. 1, commi 64 e 65, della stessa legge n. 107 del 2015).
Lo stanziamento complessivo per l'anno 2025, previsto dalla richiamata legge n. 207 del 2024, sui capitoli 2173, 2174, 2175 e 2164 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione e del merito, dedicato al finanziamento della Carta, ammonterebbe, conseguentemente, a euro 395.936.321.
La novella avrebbe, dunque, reso flessibile l'importo del valore della Carta, aumentato il finanziamento e introdotto uno specifico strumento di monitoraggio della spesa.
Dal che l'Avvocatura generale insiste per la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.
3.- Nel giudizio promosso con l'ordinanza iscritta al n. 23 reg. ord. del 2025, le parti del giudizio a quo si sono costituite in giudizio, sostenendo la sopravvenuta irrilevanza della questione di legittimità costituzionale - ovvero la «cessazione della materia del contendere» - a fronte dello ius superveniens di cui all'art. 1, commi 572 e 573, della legge n. 207 del 2024, che ha esteso la Carta docente anche agli insegnanti non di ruolo e ha modificato l'importo della stessa, passando dall'importo nominale fisso di euro 500 ciascuno, al tetto massimo «fino a euro» 500 ciascuno.
In subordine, le parti chiedono che venga disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente al fine di verificare l'attualità delle questioni.
In via ulteriormente gradata, le stesse sostengono la non fondatezza delle questioni a fronte del primato del diritto euro-unitario alla formazione professionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il Tribunale di Torino, sezione lavoro, dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni di cui all'art. 1, commi 121, 123, 204 e 205, della legge n. 107 del 2015, così come interpretate dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 29961 del 2023 - adita ai sensi dell'art. 363-bis cod. proc. civ. - nella parte in cui, riconoscendo il diritto a ottenere la cosiddetta Carta docente anche ai docenti non di ruolo che ricevono incarichi annuali ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, della legge n. 124 del 1999, non ne prevedono la relativa copertura finanziaria, in riferimento all'art. 81, commi primo e terzo, Cost., e già oggetto dell'ordinanza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 18 maggio 2022.
1.1.- In punto di rilevanza, il giudice rimettente ritiene di dover necessariamente applicare la normativa di riferimento, come interpretata all'esito della sentenza della Corte di giustizia, prima, e dalla Corte di cassazione, in seguito, trattandosi di ricorrenti nel giudizio a quo che avevano tutti stipulato contratti a tempo determinato, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, della legge n. 124 del 1999, negli anni scolastici compresi fra il 2017 e il 2023, e che non avevano potuto fruire della Carta docente a fronte del dettato normativo di cui alla legge n. 107 del 2015.
Ritiene, altresì, il rimettente di dover necessariamente accogliere il ricorso, in conseguenza della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, che avrebbe offerto un'interpretazione vincolante per tutte le pubbliche amministrazioni dello Stato membro in merito alla compatibilità della normativa italiana con il diritto eurounitario, affermando che «[l]a clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato [...] deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell'istruzione, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio» della Carta docente; interpretazione a cui si sarebbe adeguata non solo copiosa giurisprudenza di merito, ma anche la stessa Corte di cassazione, con la citata sentenza che ha fornito importanti elementi per circoscrivere l'applicabilità di tale strumento.
1.2.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente osserva che ai sensi del terzo comma dell'art. 81 Cost., ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Inoltre, ai sensi del primo comma, «[l]o Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico».
La copertura finanziaria della spesa prevista originariamente dall'art. 1, comma 123, della legge 107 del 2015, calcolata sul numero degli insegnanti di ruolo per l'anno scolastico in questione, non sarebbe mai stata aumentata nel corso degli anni, fatta eccezione per l'anno 2023, a seguito dell'estensione del diritto alla Carta docente anche ai supplenti assunti nel 2023 su posto vacante, ai sensi dell'art. 15, comma 2, del d.l. n. 69 del 2023, come convertito.
A seguito delle pronunce della CGUE e della Corte di cassazione, i destinatari della Carta docente sarebbero aumentati del 32,57 per cento, mentre la dotazione finanziaria sarebbe rimasta invariata. Questo elemento porterebbe a ritenere la stessa non più effettiva. Dal che la richiesta di una sentenza che dichiari l'illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate ovvero che ridetermini l'importo delle risorse occorrenti per garantire a tutti il beneficio.
2.- Le sei ordinanze di rimessione vertono sulle medesime disposizioni e pongono identiche questioni, sicché ne appare opportuna la riunione, ai fini di una decisione congiunta.
3.- Nel giudizio promosso con l'ordinanza iscritta al n. 23 reg. ord. del 2025, le parti del giudizio a quo si sono costituite in giudizio, sostenendo la sopravvenuta irrilevanza della questione di legittimità costituzionale - ovvero la cessazione della materia del contendere - a fronte dello ius superveniens di cui all'art. 1, commi 572 e 573, della legge n. 207 del 2024, che avrebbe esteso la Carta docente anche agli insegnanti non di ruolo e ne avrebbe modificato l'importo, passando dall'importo nominale fisso di euro 500 ciascuno, al tetto massimo «fino a euro» 500 ciascuno.
In subordine, le parti costituite chiedono che venga disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente al fine di verificare l'attualità delle questioni.
3.1.- Tali richieste non possono essere accolte.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, le sopravvenienze normative non retroattive non sono idonee a incidere sui fatti regolati dalla disciplina previgente relativamente alla quale si è instaurato il giudizio principale. La restituzione degli atti al giudice a quo, infatti, si dispone quando lo ius superveniens può applicarsi nel giudizio principale, con conseguente onere per il giudice rimettente di effettuare una nuova valutazione sulla perdurante rilevanza e non manifesta fondatezza della questione (da ultimo, ex plurimis, ordinanza n. 136 del 2024).
Le sopravvenienze normative rispetto alla disciplina censurata nell'odierno giudizio, invece, non incidono sulle questioni sollevate dal Tribunale di Torino. L'art. 1, comma 572, lettere a), b) e c), della legge n. 207 del 2024, ha modificato la disciplina originaria della Carta docente, prevedendo che, a partire dal 2025, la stessa sia assegnata anche al personale docente non di ruolo che abbia svolto incarichi di supplenza annuali; ne ha altresì modificato l'importo originario, sostituendo la dicitura «di importo nominale di euro» con «fino a euro». È stato altresì rimodulato in aumento l'importo originariamente previsto per la copertura finanziaria di tale strumento (art. 1, comma 573, della medesima legge n. 207 del 2024, ai sensi del quale l'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 123, della legge n. 107 del 2015 è incrementata di 60 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025).
3.2.- Nemmeno può accogliersi la richiesta di cessazione della materia del contendere, dal momento che il giudizio di legittimità costituzionale sorto in via incidentale è attivato su esclusivo impulso del giudice rimettente, il quale autonomamente individua con l'ordinanza di rimessione le questioni da sottoporre al Giudice delle leggi, anche rispetto a eventuali profili di illegittimità costituzionale individuati, nel corso del giudizio a quo, dalle parti con apposita istanza (art. 23 della legge n. 87 del 1953). Ne deriva che tale conseguenza si può, infatti, determinare solo nei casi di giudizio di legittimità costituzionale introdotto con ricorso in via principale (ex plurimis, sentenza n. 227 del 2021).
4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, eccepisce l'irrilevanza delle questioni perché il problema della copertura finanziaria si registrerebbe solo a valle della decisione del giudice a quo. Pertanto, le questioni di legittimità costituzionale dovrebbero ritenersi inammissibili perché inutili alla definizione dei giudizi a quibus.
Peraltro, sempre secondo l'Avvocatura generale dello Stato, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa censurata non avrebbe utilità alcuna nei giudizi a quibus, perché provocherebbe esclusivamente un vuoto normativo, che spetterebbe al legislatore colmare.
L'eccezione non è fondata.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, «il giudizio di rilevanza esige soltanto la dimostrazione della necessità, da parte del rimettente, di fare applicazione della norma censurata nel processo a quo, e non richiede invece la dimostrazione che l'accoglimento della questione sia effettivamente suscettibile di incidere sull'esito del processo medesimo. Ciò che è essenziale è, piuttosto, la dimostrazione che un eventuale accoglimento inciderebbe quanto meno sull'iter motivazionale che conduce alla decisione» (sentenza n. 25 del 2024, nonché, ex multis, sentenze n. 88 e n. 19 del 2022 e n. 202 del 2021).
4.1.- Le successive due eccezioni di inammissibilità possono leggersi congiuntamente.
Secondo l'Avvocatura dello Stato, infatti, il giudice rimettente avrebbe chiesto a questa Corte una pronuncia additiva, idonea a individuare le risorse finanziarie a copertura della Carta docente per gli insegnanti assunti con contratti a tempo determinato che svolgano incarichi annuali, così invadendo l'area riservata alla esclusiva discrezionalità del legislatore.
Peraltro, analogamente a quanto eccepito dalla difesa delle parti, l'inammissibilità dovrebbe dichiararsi per l'incertezza del petitum, richiedendo il rimettente al contempo l'annullamento della norma e un intervento integrativo della stessa.
Il rimettente, lamentando la lesione del parametro sulla copertura finanziaria degli interventi normativi, chiede a questa Corte di accertare se sussista o meno tale copertura. In caso di accoglimento spetterebbe a questa Corte valutare ulteriormente se indicare al legislatore una soluzione costituzionalmente adeguata, ovvero rimettergli in toto l'individuazione della scelta.
Per costante giurisprudenza costituzionale, il petitum non è interamente vincolante per questa Corte, qualora ritenesse fondate le questioni (ex multis, sentenze n. 176 del 2024 e n. 221 del 2023), dal che la non fondatezza delle eccezioni.
5.- In via preliminare, è opportuno precisare l'oggetto delle censure del rimettente e ricostruire, in sintesi, il panorama normativo che fa ad esse da sfondo.
Di là dalla complessa articolazione del petitum, deve ricordarsi che la legge n. 107 del 2015, nella sua formulazione originaria, ha previsto per i docenti di ruolo (quindi esclusivamente assunti con contratto a tempo indeterminato) l'assegnazione della «Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado», anche nota come Carta docente (art. 1, comma 121). Si tratta di un beneficio (originariamente) pari a euro 500, per ciascun anno scolastico, istituito per sostenere la formazione continua dei docenti e valorizzarne le competenze professionali. Con il d.P.C.m. 28 novembre 2016 sono state disciplinate le modalità di assegnazione e di utilizzo della Carta.
Tale beneficio per la formazione annuale veniva quindi originariamente assegnato solo ai docenti assunti con contratto a tempo indeterminato.
All'indomani dell'entrata in vigore della normativa, numerosi docenti non di ruolo, chiamati a svolgere incarichi di supplenza annuale (quindi, assunti con contratti a tempo determinato), hanno adito i tribunali ordinari contro il Ministero dell'istruzione e del merito chiedendo che venisse loro attribuita la Carta docente.
Come ricostruito nel fatto, in uno di tali contenziosi è stata sollevata questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, che ha accertato come osti al diritto euro-unitario (precisamente, al più volte citato accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato) l'assegnazione del beneficio ai soli docenti di ruolo, escludendo quelli assunti con contratto a termine, pur a fronte dello svolgimento delle medesime mansioni (CGUE, ord. 18 maggio 2022).
In seguito alla pronuncia della Corte di giustizia, nel corso di altro giudizio è stata adita anche la Corte di cassazione, con rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 363-bis cod. proc. civ., perché venissero enunciati principi di diritto idonei a individuare - delle molteplici possibili - la sola interpretazione da ritenersi legittima. Per quanto di interesse nel presente giudizio, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 29961 del 2023, ha stabilito che «La Carta Docente di cui all'art. 1, comma 121, L. 107/2015 spetta ai docenti non di ruolo che ricevano incarichi annuali fino al 31.8, ai sensi dell'art. 4, comma 1, L. n. 124 del 1999 o incarichi per docenza fino al termine delle attività [...] didattiche, ovverosia fino al 30.6, ai sensi dell'art. 4, comma secondo, della L. n. 124 del 1999, senza che rilevi l'omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda in tal senso diretta al Ministero».
Il legislatore è poi intervenuto anzitutto con l'art. 15 del d.l. n. 69 del 2023, come convertito, disponendo che la Carta docente sia riconosciuta, per l'anno 2023, anche agli insegnanti con contratto di supplenza annuale su posto vacante e disponibile, ossia con contratto a tempo determinato, provvedendo a rideterminare la dotazione di spesa inizialmente fissata dal comma 123 dell'art. 1 della legge n. 107 del 2015, al fine di considerare gli effetti finanziari conseguenti alla indicata spesa.
Successivamente, l'art. 1, comma 572, della già richiamata legge n. 207 del 2024, ha esteso i beneficiari della Carta docente, a decorrere dal 2025, in senso sostanzialmente adesivo a quanto affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea e dalla Corte di cassazione.
6.- Così ricostruiti i tratti fondamentali della normativa, le questioni sollevate dalle ordinanze indicate in epigrafe non sono fondate.
Il rimettente pone a questa Corte questioni di legittimità costituzionale, sotto il profilo della copertura finanziaria, della normativa applicabile in seguito all'intervento nomofilattico della Corte di cassazione con la sentenza n. 29961 del 2023, che ha esteso il contributo anche ai docenti non di ruolo.
L'odierno rimettente lamenta, infatti, che l'estensione della Carta docente anche agli insegnanti non di ruolo assunti per svolgere incarichi di insegnamento annuale non sia stata accompagnata dallo stanziamento delle relative risorse. Egli dubita, pertanto, della legittimità costituzionale delle disposizioni censurate in riferimento all'art. 81 Cost., segnatamente al principio che impone l'obbligo di garantire la copertura finanziaria delle spese.
Nondimeno, egli deve accertare il diritto dei ricorrenti nei giudizi a quibus all'assegnazione della Carta docente e, conseguentemente, condannare il Ministero dell'istruzione e del merito a consegnare loro tale Carta accreditando euro 500 per ogni anno scolastico, alle condizioni stabilite dai principi di diritto espressi dalla Corte di cassazione con la più volte citata sentenza n. 29961 del 2023.
Soltanto in questo modo il rimettente assicura la primazia del diritto euro-unitario e una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione, come richiesto dall'art. 19, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea. L'ordinanza della Corte di giustizia del 18 maggio del 2022, infatti, ha affermato che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato osta a una normativa nazionale che riservi al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell'istruzione e del merito, e non anche al personale a tempo determinato del medesimo Ministero, tale beneficio.
6.1.- Il principio dell'obbligo della copertura finanziaria delle spese espresso nell'art. 81 Cost., erroneamente evocato dal rimettente a fondamento delle proprie censure, impone un preciso vincolo non al giudice, ma al legislatore e opera per ogni legge, inclusa la legge di bilancio, traducendosi nell'obbligo di predisporre, all'atto dell'approvazione delle norme, anche i mezzi per fronteggiare gli oneri che ne derivano. In questa prospettiva, la norma sulla copertura finanziaria, contenuta fin nell'originario art. 81 Cost., attiene in generale all'estensione e alla natura della sovranità finanziaria: è al contempo fondamento e limite dell'iniziativa parlamentare di spesa.
Tale principio, vincolante sia per lo Stato che per le regioni, è altresì funzionale a preservare il principio dell'equilibrio di bilancio, in attuazione degli impegni assunti dal nostro Paese con la sottoscrizione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria del 2012, ratificato e reso esecutivo con legge 23 luglio 2012, n. 114 e a livello euro-unitario attraverso il cosiddetto six pack (regolamenti UE 2011/1173, 2011/1174, 2011/1175 e 2011/1176, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, rispettivamente, relativo all'effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro, sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro, che modifica il regolamento CE n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche e sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici nonché direttiva UE 2011/85 del Consiglio, dell'8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri e regolamento UE 2011/1177 del Consiglio, dell'8 novembre 2011, che modifica il regolamento CE n. 1467/97 per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi).
In proposito, questa Corte non ha mancato di rilevare che la copertura finanziaria delle spese e l'equilibrio di bilancio sono «due facce della stessa medaglia» (sentenza n. 274 del 2017), dal momento che l'equilibrio presuppone che a ogni intervento programmato corrispondano le relative risorse, quantificate in relazione all'intero arco temporale di riferimento. L'equilibrio di bilancio, infatti, costituisce un obbligo sostanziale per il legislatore statale e regionale e si considera rispettato allorché la copertura sia credibile e sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale (ex multis, sentenze n. 255 e n. 253 del 2022, n. 226 e n. 106 del 2021, n. 115, n. 112 e n. 4 del 2020).
L'obbligo di copertura finanziaria delle leggi trova conferma per lo Stato nella legge n. 196 del 2009 il cui art. 17, rubricato «Copertura finanziaria delle leggi», prevede che «[i]n attuazione dell'articolo 81 della Costituzione [...] ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, provvedendo alla contestuale copertura finanziaria dei medesimi oneri ai sensi del presente comma».
Quanto alle regioni, tale principio è espressamente previsto dall'art. 38 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42).
6.2.- Deve tuttavia ricordarsi che, per fronteggiare l'aumento delle spese conseguenti a decisioni delle autorità giurisdizionali o di questa Corte, il nostro ordinamento ha adottato procedure idonee a garantire, da un lato, l'effettività delle pronunce e, dall'altro, gli equilibri di bilancio.
L'art. 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) disciplina i casi in cui un aumento della spesa pubblica non dipenda da un intervento legislativo, bensì sia conseguenza di «sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri», stabilendo che «[i]l Ministro dell'economia e delle finanze, allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione. La medesima procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri».
Analogamente, l'art. 61, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, dispone che a fronte di decisioni giurisdizionali che comportino nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio, rispetto alle spese autorizzate, il Ministro dell'economia e delle finanze presenta, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione delle sentenze della Corte costituzionale o dalla conoscenza delle decisioni esecutive di altre autorità giurisdizionali, una relazione al Parlamento, impegnando Governo e Parlamento a definire con procedura d'urgenza una nuova disciplina legislativa idonea a ripristinare i limiti della spesa globale.
Infine, l'art. 37, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea) prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei possa «proporre al Consiglio dei Ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure d'infrazione nei confronti dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento».
Quanto all'odierna fattispecie, le spese conseguenti alle decisioni dei giudici di merito di condanna del Ministero dell'istruzione e del merito ad attribuire ai docenti non di ruolo la Carta docente per gli anni di insegnamento effettivamente prestato, trovano copertura mediante la disciplina prevista dall'art. 14, comma 1, del d.l. n. 669 del 1996, come convertito, ai sensi del quale «[l]e amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici e l'ente Agenzia delle entrate - Riscossione completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo [...]».
È di tutta evidenza, quindi, che il principio dell'obbligo di copertura finanziaria delle spese vincola esclusivamente il legislatore, statale o regionale.
Le censure sollevate dalle ordinanze di rimessione non sono dunque fondate.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 121, 123, 204 e 205, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), così come interpretato dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 27 ottobre 2023, n. 29961, sollevate, in riferimento all'art. 81, commi primo e terzo, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, con le ordinanze indicate in epigrafe.