Corte costituzionale
Sentenza 28 luglio 2025, n. 134
Presidente: Amoroso - Redattore: Antonini
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, della legge della Regione Calabria 26 novembre 2024, n. 36 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 29/2002, n. 24/2008, n. 8/2010, n. 47/2011, n. 24/2013, n. 9/2018, n. 32/2021, n. 10/2022, n. 9/2023, n. 62/2023, n. 6/2024, e disposizioni normative), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24 gennaio 2025, depositato in cancelleria il successivo 28 gennaio, iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2025.
Visto l'atto di costituzione della Regione Calabria, nonché gli atti di intervento del Consorzio legno valle del Mercure e del Consorzio agricolo forestale biomasse Calabria, del Comune di Laino Borgo e altri e dell'Associazione forum ambientalista ODV, quest'ultimo fuori termine;
udito nell'udienza pubblica dell'8 luglio 2025 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi gli avvocati Giancarlo Pompilio per il Consorzio legno valle del Mercure e il Consorzio agricolo forestale biomasse Calabria, Aurelia Zicaro per il Comune di Laino Borgo e gli altri Comuni intervenuti, l'avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giuseppe Naimo per la Regione Calabria;
deliberato nella camera di consiglio del 15 luglio 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ricorso depositato il 28 gennaio 2025 (reg. ric. n. 6 del 2025), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso - in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, commi primo, secondo, lettera s), e terzo, della Costituzione - questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge della Regione Calabria 26 novembre 2024, n. 36 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 29/2002, n. 24/2008, n. 8/2010, n. 47/2011, n. 24/2013, n. 9/2018, n. 32/2021, n. 10/2022, n. 9/2023, n. 62/2023, n. 6/2024, e disposizioni normative).
Il suddetto art. 14 stabilisce: «1. È vietata la realizzazione nei parchi nazionali e regionali di impianti di produzione energetica alimentati da biomasse, con sede ricadente nel territorio calabrese, con potenza eccedente 10MWatt termici. 2. Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, gli impianti di potenza eccedente i 10MWatt termici, di cui al comma 1, sono tenuti a ridurre la potenza, uniformandola alla presente disposizione, a pena di decadenza della relativa autorizzazione».
1.1.- Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente censura l'art. 14, commi 1 e 2, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia».
Introducendo, a priori, un divieto generalizzato, esso si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali dettati dalla normativa statale «in tema di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché di individuazione delle aree idonee e non idonee per l'installazione» degli impianti medesimi.
1.1.1.- Nello specifico, l'Avvocatura generale premette che - ai sensi dell'art. 1, comma 2, lettera b), del decreto del Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica 21 giugno 2024 (Disciplina per l'individuazione di superfici e aree idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili), adottato in attuazione dell'art. 20, comma 1, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili» - le regioni individuano le aree non idonee all'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili (impianti FER) «secondo le modalità stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee guida emanate» con il decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili).
Osserva in primo luogo il ricorrente che, alla stregua del paragrafo 17, punti 1 e 2, delle menzionate Linee guida: a) l'individuazione delle aree non idonee presuppone «un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento [...] di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione»; b) tale istruttoria confluisce nell'ambito di un atto di programmazione con cui «[l]e Regioni e le Province autonome conciliano le politiche di tutela dell'ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e di valorizzazione delle energie rinnovabili».
Aggiunge il ricorrente che nelle aree individuate come inidonee non sarebbe comunque preclusa la realizzazione degli impianti FER: l'Allegato 3 alle Linee guida del 2010, infatti, stabilisce che l'individuazione di queste aree non deve «configurarsi come divieto preliminare [...]».
1.1.2.- Così ricostruito il panorama normativo rilevante ai fini della ricognizione dei principi fondamentali in materia, il ricorrente osserva che, sulla scorta delle descritte previsioni delle Linee guida, questa Corte avrebbe in diverse occasioni dichiarato l'illegittimità costituzionale di disposizioni legislative regionali che avevano individuato direttamente le aree inidonee all'installazione degli impianti FER.
Infatti, sarebbero state dichiarate costituzionalmente illegittime disposizioni che avevano «individu[ato] una serie di aree inidonee alla realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili (nella specie impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW)», perché contrastanti «con le dette linee guida ministeriali, secondo cui (par. 17) la dichiarazione di inidoneità di aree e siti "alla installazione di specifiche tipologie di impianti" deve risultare quale provvedimento finale di un'istruttoria (destinata a sfociare non già in una legge, ma in un atto di programmazione avente natura di provvedimento amministrativo) [...]» (è citata la sentenza n. 216 del 2022).
D'altra parte - aggiunge la difesa statale - la giurisprudenza costituzionale avrebbe anche affermato che, in ogni caso, i limiti agli impianti FER non potrebbero «essere imposti aprioristicamente, ma [dovrebbero] derivare da valutazioni caso per caso nell'ambito dei procedimenti autorizzativi» (è citata la sentenza n. 121 del 2022).
1.1.3.- Alla luce di tali principi, in definitiva, la disciplina introdotta dall'art. 14 della legge reg. Calabria n. 36 del 2024 violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia».
1.2.- Con il secondo motivo d'impugnazione, il ricorrente sostiene che l'art. 14, commi 1 e 2, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024 violi l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, che modifica la direttiva (UE) 2018/2001, il regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell'energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio; alla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, concernente la promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE; alla direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili; alla direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.
1.2.1.- Tali direttive sarebbero dirette a promuovere la massima diffusione delle energie rinnovabili e - ricorda la difesa statale - questa Corte avrebbe affermato che la previsione di «limiti alla facoltà di autorizzare l'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili» si porrebbe in contrasto con l'evocato parametro costituzionale, perché pregiudicherebbe il perseguimento del detto obiettivo.
1.3.- Con il terzo motivo d'impugnazione, il ricorrente sostiene che l'art. 14, commi 1 e 2, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024 rechi un vulnus all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sotto un duplice profilo.
1.3.1.- La disposizione impugnata, per un verso, inciderebbe direttamente sull'evocato ambito materiale alterando il punto di equilibrio individuato dal legislatore statale tra l'esigenza della tutela ambientale e quella della massima diffusione delle energie rinnovabili, senza peraltro innalzare lo standard minimo della tutela stessa, già assicurato nell'ambito del procedimento di autorizzazione all'installazione degli impianti FER.
1.3.2.- Per altro verso, contrasterebbe con la disciplina delle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).
In particolare, secondo la difesa statale, l'art. 11 di questa legge, prevedendo, al comma 1, che «l'esercizio delle attività consentite» all'interno dei parchi nazionali sia disciplinato con regolamento adottato dall'ente parco, imporrebbe, in sostanza, una riserva di regolamento anche quanto ai divieti aventi a oggetto lo svolgimento di determinate attività, senza peraltro contemplare, al successivo comma 3, tra le attività espressamente vietate, l'installazione degli impianti FER.
1.4.- L'ultimo motivo di impugnazione si incentra sul comma 2 dell'art. 14 della legge reg. Calabria n. 36 del 2024, che violerebbe gli artt. 3 e 41 Cost.
1.4.1.- A parere dell'Avvocatura generale, esso produrrebbe effetti «"impropriamente retroattivi"», ciò che sarebbe consentito solo a condizione che la disciplina introdotta non trasmodi «in un "regolamento irrazionale", frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica».
Nella specie, invece, il legislatore regionale avrebbe irragionevolmente compromesso, in particolare, il legittimo affidamento degli operatori del settore nella possibilità di continuare a esercitare alle medesime condizioni l'attività di produzione energetica, e per tal via la libertà di iniziativa economica privata.
Per di più - conclude la difesa statale - la disposizione in esame sarebbe destinata a produrre effetti rispetto a un solo impianto - la centrale del Mercure sita nel Parco nazionale del Pollino - configurandosi, pertanto, quale norma provvedimento, che, come tale, dovrebbe essere sottoposta a uno scrutinio di costituzionalità particolarmente severo.
2.- Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, nella persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, chiedendo di dichiarare inammissibili o, comunque, non fondate le questioni.
2.1.- Il ricorso sarebbe inammissibile in quanto l'impugnato art. 14, «per la parte relativa al Parco del Pollino», riprodurrebbe la disciplina del piano per il parco, il cui Allegato 4, all'art. 3, consente, in alcune sottozone del parco stesso, l'installazione di impianti alimentati da biomasse secche, precisando, però, che la «potenza termica installata [...] non potrà eccedere i 10 MWt termici».
2.2.- Nel merito, la resistente ritiene che il d.m. 21 giugno 2024 riconosca alle regioni il potere di qualificare come non idonee determinate aree «anche con legge, non vietandolo in alcun punto».
Tale facoltà sarebbe, anzi, espressamente prevista sia dal «c. 3 del medesimo decreto» [recte: dall'art. 7, comma 3, del d.m. 21 giugno 2024], a mente del quale sono considerate non idonee le superfici e le aree ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi degli artt. 10 e 136, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e «possono» essere individuate come tali le superfici e le aree ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo; sia dal comma 7 dell'art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, secondo cui le «aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee».
3.- Con atto depositato il 10 marzo 2025, sono intervenuti in giudizio il Consorzio legno valle del Mercure e il Consorzio agricolo forestale biomasse Calabria, chiedendo l'accoglimento del ricorso.
3.1.- I menzionati Consorzi, in quanto esercenti attività di approvvigionamento di biomasse per la centrale del Mercure, assumono di vantare un «interesse economico diretto e qualificato» a tutela del quale sarebbero legittimati a intervenire ad adiuvandum.
Rilevano, inoltre, che l'ammissibilità dell'intervento assicurerebbe loro l'esercizio del diritto di difesa e sarebbe conforme al principio di parità, avuto riguardo alla possibilità, riconosciuta ai soggetti portatori di interessi collettivi o diffusi, di depositare opinio.
4.- Con atto pure depositato il 10 marzo 2025, sono intervenuti ad adiuvandum in giudizio anche i Comuni di Laino Borgo, Castelluccio inferiore, Castelluccio superiore, Laino Castello, Lauria, Mormanno e Papasidero, chiedendo l'accoglimento del ricorso.
4.1.- I Comuni intervenienti espongono che la riduzione di potenza, al di sotto di 10 MW termici, imposta dall'art. 14, comma 2, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024, comporterebbe la chiusura della suddetta centrale, con la conseguente perdita «di centinaia di posti di lavoro» e di ingenti somme, corrisposte loro a titolo di «compensazione e riequilibrio ambientale» in forza di un accordo sottoscritto con la società che gestisce la centrale stessa e utilizzate a favore delle rispettive comunità locali: di qui, a loro avviso, «l'interesse qualificato» a intervenire nel presente giudizio.
5.- Con atto depositato, fuori termine, il 9 maggio 2025, è intervenuta ad opponendum in giudizio l'Associazione forum ambientalista ODV, deducendo, a sostegno della propria legittimazione a intervenire, di essere portatrice di un interesse diffuso - quello alla tutela ambientale - che potrebbe subire «un pregiudizio diretto e immediato in conseguenza dell'esito» dell'odierno giudizio.
6.- Il 9 giugno 2025, la Regione Calabria ha depositato memoria illustrativa con la quale ha precisato che il d.m. 21 giugno 2024 consentirebbe alle regioni di individuare con legge anche le aree inidonee.
Rileva, inoltre, la resistente che la costruzione, all'interno dei parchi naturali, di impianti alimentati da biomasse comporterebbe un evidente impatto sulla biodiversità.
7.- Il 17 giugno 2025 anche il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
L'Avvocatura generale sottolinea l'importanza degli impianti alimentati da biomasse, in quanto, diversamente dagli impianti eolici e fotovoltaici, produrrebbero energia «programmabile».
8.- All'udienza pubblica dell'8 luglio 2025 è stata data lettura dell'ordinanza dibattimentale, riportata in calce, con cui sono stati dichiarati inammissibili gli interventi dei Consorzi legno valle del Mercure e agricolo forestale biomasse Calabria, dei Comuni di Laino Borgo, Castelluccio inferiore, Castelluccio superiore, Laino Castello, Lauria, Mormanno e Papasidero, nonché dell'Associazione forum ambientalista ODV.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 6 del 2025), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l'art. 14 della legge reg. Calabria n. 36 del 2024.
Tale disposizione stabilisce: «1. È vietata la realizzazione nei parchi nazionali e regionali di impianti di produzione energetica alimentati da biomasse, con sede ricadente nel territorio calabrese, con potenza eccedente 10MWatt termici. 2. Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, gli impianti di potenza eccedente i 10MWatt termici, di cui al comma 1, sono tenuti a ridurre la potenza, uniformandola alla presente disposizione, a pena di decadenza della relativa autorizzazione».
2.- A parere del ricorrente, l'impugnato art. 14, commi 1 e 2, violerebbe, in primo luogo, l'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», perché contrasterebbe con i relativi principi fondamentali, che precluderebbero alle regioni la possibilità sia di individuare direttamente con legge, anziché all'esito di apposita istruttoria all'interno di un procedimento amministrativo, le aree inidonee alla installazione e all'esercizio degli impianti FER, sia di prevedere divieti generalizzati alla loro realizzazione.
Risulterebbe, in secondo luogo, leso l'art. 117, primo comma, Cost., dal momento che la disposizione impugnata comprometterebbe la realizzazione del principio della massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili.
Sarebbe, in terzo luogo, violato l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la disciplina impugnata, innanzitutto, altererebbe il punto di equilibrio individuato dal legislatore statale tra l'esigenza della tutela ambientale e quella della massima diffusione delle energie rinnovabili; inoltre, confliggerebbe con l'art. 11 della legge n. 394 del 1991, il quale, prevedendo che «l'esercizio delle attività consentite» all'interno dei parchi nazionali sia disciplinato con regolamento adottato dall'ente parco (comma 1), imporrebbe una riserva di regolamento anche quanto ai divieti concernenti lo svolgimento di determinate attività, senza del resto contemplare, tra le attività vietate, l'installazione di impianti FER (comma 3).
Il comma 2 dell'impugnato art. 14, infine, violerebbe anche gli artt. 3 e 41 Cost.
Prescrivendo, per gli impianti già esistenti alimentati da biomasse, la riduzione della potenza eccedente i 10 MW termici, a pena di decadenza della relativa autorizzazione, la disposizione introdurrebbe una previsione, peraltro qualificabile quale norma provvedimento, che comprometterebbe il legittimo affidamento degli operatori del settore nella possibilità di continuare a esercitare alle medesime condizioni l'attività di produzione energetica e, quindi, la libertà di iniziativa economica privata.
3.- Va preliminarmente disattesa l'eccezione d'inammissibilità che la difesa regionale ha sollevato deducendo che l'impugnato art. 14 recherebbe una disciplina analoga a quella prevista dal piano per il Parco del Pollino, il cui Allegato 4, all'art. 3, consente, in alcune sottozone del parco stesso, l'installazione di impianti alimentati da biomasse secche, precisando, però, che la potenza termica installata non potrà eccedere i 10 MW termici.
Tale circostanza - che, peraltro, riguarda esclusivamente il Parco nazionale del Pollino, mentre nel territorio della Regione Calabria ricadono ulteriori tre parchi naturali - non può in alcun modo incidere sull'ammissibilità delle censure formulate dal ricorrente, che attengono, com'è ovvio, al solo piano legislativo.
4.- Ancora in via preliminare, deve essere dichiarata, d'ufficio, l'inammissibilità della questione promossa in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.
A fondamento della stessa il ricorrente evoca, infatti, indistintamente l'intero corpo di quattro direttive europee, due delle quali peraltro abrogate, senza in alcun modo individuare le norme interposte, espressione del principio della massima diffusione delle energie rinnovabili, di cui lamenta la lesione.
La questione è, pertanto, inammissibile perché generica (ex plurimis, con riferimento ad analoghe censure, sentenze n. 286 del 2019, n. 14 del 2018 e n. 156 del 2016).
5.- Pur in difetto di eccezione sul punto, deve essere parimenti rilevata l'inammissibilità del secondo profilo in cui è articolata la censura di violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
È pur vero che l'art. 11, comma 1, della legge n. 394 del 1991 stabilisce che il regolamento del parco «disciplina l'esercizio delle attività consentite» al suo interno, ma la difesa statale non chiarisce perché da esso sarebbe desumibile la dedotta riserva di regolamento anche quanto alla previsione di divieti, quando è il comma 3 del medesimo art. 11 che si occupa degli stessi. Inoltre, il successivo art. 12, che regola il distinto strumento rappresentato dal piano per il parco, prevede che questo, tra l'altro, articoli il parco stesso in aree o parti - caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela - e disciplini, per quanto interessa, «vincoli» con riferimento a tali aree (comma 1, lettere a e b) e, quindi, anche eventuali divieti.
Il ricorrente non si confronta adeguatamente con queste previsioni normative, omettendo di chiarire perché il divieto di cui si discute nell'odierno giudizio ricadrebbe nella riserva di regolamento e non potrebbe, quindi, essere stabilito anche dal piano per il parco.
6.- Nel merito occorre anzitutto precisare che l'art. 14, comma 1, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024 non stabilisce sul territorio regionale un divieto generalizzato di realizzazione di impianti "verdi" di produzione energetica, ma, in riferimento ai soli impianti alimentati da biomasse, in determinati contesti in cui l'esigenza della protezione dell'habitat naturale è particolarmente forte - ovvero i parchi nazionali e regionali - prevede un limite di potenza, individuato nei 10 MW termici.
Si tratta, dunque, di un divieto mirato quanto al tipo di impianti, alla loro potenza e al contesto nel quale essi sono o potrebbero essere localizzati.
È opportuno, inoltre, ricordare che la criticità ambientale degli impianti termici a biomasse è stata stigmatizzata dallo stesso Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), approvato il 18 dicembre 2019 dalla Conferenza unificata e trasmesso il successivo 31 dicembre alla Commissione europea, in attuazione del regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il clima che modifica le direttive (CE) n. 663/2009 e (CE) n. 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 94/22/CE, 98/70/CE, 2009/31/CE, 2009/73/CE, 2010/31/UE, 2012/27/UE e 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive del Consiglio 2009/119/CE e (UE) 2015/652 e che abroga il regolamento (UE) n. 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.
Nel PNIEC si constata, infatti, il «problema ambientale connesso agli impatti emissivi degli impianti di riscaldamento esistenti a biomasse solide» e si aggiunge che, «[p]ertanto, l'installazione di nuovi impianti di riscaldamento a biomasse dovrà essere guidata in modo da favorire gli impianti ad alta qualità ambientale e ad alta efficienza, considerando anche la possibilità che siano introdotte limitazioni a installazioni ex-novo nelle aree caratterizzate da situazioni critiche sotto il profilo della qualità dell'aria» (pag. 58).
Siccome i parchi naturali ricoprono solo una limitata parte del territorio nazionale o regionale, e quindi sussiste un'abbondante disponibilità di altre aree dove realizzare tali impianti, appare evidente il problema della dubbia coerenza, allo stato attuale dello sviluppo tecnologico, tra la localizzazione in detti siti di questo tipo di impianti, quando superino una certa potenza, e la scelta di preservare i parchi stessi dall'eccesso di contaminazione antropica, che è quella che giustifica la loro costituzione.
Le centrali termiche a biomasse, infatti, possono produrre effetti anche negativi sull'ambiente, non solo per le emissioni nell'atmosfera derivanti dalla combustione, ma anche a causa dell'imponente movimentazione di mezzi di trasporto delle medesime biomasse, spesso solo in parte reperibili in loco, che è necessaria per alimentare questo tipo di centrali e che all'interno dei parchi naturali può avvenire, verosimilmente, solo su gomma.
A differenza degli altri impianti che utilizzano fonti energetiche rinnovabili - la cui realizzazione e operatività si pone, normalmente, in minore conflitto con la tutela dell'ambiente e il cui sviluppo costituisce (ferma restando la valutazione del loro impatto sul paesaggio e quella dell'incidenza sull'ambiente, che comunque non può essere toccato) un interesse «di cruciale rilievo» proprio «rispetto al vitale obiettivo di tutela dell'ambiente, anche nell'interesse delle future generazioni» (sentenza n. 216 del 2022) - per i suddetti impianti alimentati da biomasse, pur anch'esse qualificabili nell'ambito delle FER, un tale conflitto è, invece, più facilmente ipotizzabile, quando lo loro realizzazione avvenga in aree, come i parchi, destinate precipuamente a difendere «l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi», cioè i beni cui fa espresso riferimento il novellato art. 9 Cost.
Anche di recente, al riguardo, questa Corte ha precisato che l'art. 9, terzo comma, Cost., con la «preminente rilevanza accordata [...] alla protezione dell'ambiente», «consacra direttamente nel testo della Costituzione il mandato di tutela dell'ambiente» stesso (sentenze n. 125 del 2025 e n. 105 del 2024).
In proposito, è opportuno ricordare la Comunicazione della Commissione europea del 20 maggio 2020, recante «Strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030», che esplicita gli obiettivi dell'Unione consistenti «nella protezione e nel ripristino della natura»: facendo riferimento agli ecosistemi e alla biodiversità da proteggere, la Comunicazione precisa, tra l'altro, che «le riserve naturali scompaiono sotto i nostri occhi e il numero di specie a rischio di estinzione non è mai stato così alto nella storia dell'umanità» (punto 1). Evidenzia, inoltre, che la crisi della biodiversità e quella climatica sono intrinsecamente legate e che il ripristino della natura è determinante per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Aggiunge, a proposito delle biomasse forestali per la produzione di energia, che «[p]er capire e monitorare meglio i potenziali rischi per il clima e la biodiversità, la Commissione sta valutando la domanda e l'offerta di biomassa nell'UE e nel mondo e la relativa sostenibilità» (punto 2.2.5).
Collegato a questa strategia è il recente regolamento (UE) 2024/1991 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2024, sul ripristino della natura e che modifica il regolamento (UE) 2022/869, per il «recupero a lungo termine e duraturo della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi in tutte le zone terrestri e marine [...] attraverso il ripristino degli ecosistemi degradati» (art. 1, paragrafo 1, lettera a).
Tale regolamento prevede forme di preservazione e miglioramento di diversi habitat naturali. Quanto al rapporto tra tutela degli habitat e realizzazione di impianti "verdi", l'art. 6, paragrafo 2, del suddetto regolamento afferma il principio secondo cui, «[i]n circostanze specifiche e debitamente giustificate, gli Stati membri possono limitare l'applicazione del paragrafo 1» - ovvero la previsione che «la pianificazione, la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili [...] sono presunti di interesse pubblico prevalente» - «a determinate parti del loro territorio nonché a determinati tipi di tecnologie o a progetti con determinate caratteristiche tecniche, conformemente alle priorità stabilite nei rispettivi piani nazionali integrati per l'energia e il clima a norma del regolamento (UE) 2018/1999».
Dunque, il regolamento n. 2024/1991/UE si preoccupa di chiarire che gli Stati membri possono stabilire che la realizzazione di determinati impianti incidenti su specifiche parti del loro territorio sia esclusa dalla presunzione di interesse pubblico prevalente, facendo quindi venir meno il relativo favor.
7.- Fatta questa premessa, si deve, tuttavia, ritenere fondato, nei termini di seguito illustrati, il primo motivo del ricorso statale, che lamenta la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia».
A tale ambito di competenza, per consolidata giurisprudenza costituzionale, deve essere, infatti, ricondotta la normativa regionale in scrutinio, in considerazione del suo oggetto (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2025, n. 27 del 2023, n. 221, n. 216, n. 121 e n. 77 del 2022).
In proposito, questa Corte ha in più occasioni ricostruito i tratti essenziali dell'evoluzione normativa nazionale e del ruolo che questa ha accordato alle regioni nell'individuazione delle aree idonee e inidonee all'installazione degli impianti FER, dando atto del passaggio dalla disciplina introdotta con l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) a quella dettata dall'art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021.
Il comma 4 di quest'ultima disposizione ha, infatti, permesso l'intervento, prima non consentito, della legge regionale nella individuazione delle aree idonee, mentre rimaneva fermo, nella «perdurante assenza» dei decreti interministeriali previsti dal precedente comma 1 (sentenza n. 58 del 2023), che - ai sensi del paragrafo 17 delle Linee guida allora emanate, sulla base del citato art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) e del relativo Allegato 3 - l'individuazione delle aree inidonee dovesse avvenire solo «attraverso un'apposita istruttoria» e, quindi, non con legge ma all'esito di un procedimento amministrativo, e non potesse «configurarsi come divieto preliminare».
7.1.- La valutazione della presente censura governativa della legge calabrese richiede ora a questa Corte di affrontare, per la prima volta ex professo - data la sua pertinenza ratione temporis -, la portata del recente d.m. 21 giugno 2024, che, appunto attuando l'art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 199 del 2021, stabilisce i nuovi principi e criteri omogenei per l'individuazione da parte delle regioni delle superfici e delle aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti FER.
In particolare, l'art. 3, comma 1, del suddetto decreto dispone che le regioni «individuano ai sensi dell'art. 20, comma 4», del d.lgs. n. 199 del 2021, «con propria legge», le aree di cui al precedente art. 1, comma 2, che a sua volta è comprensivo, tra l'altro, delle «superfici e aree» sia «idonee» (lettera a) che «non idonee» (lettera b).
In forza di tale innovazione, i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in precipua relazione all'art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e alle Linee guida del 2010 non possono essere trasposti al nuovo assetto delineato con il d.lgs. n. 199 del 2021 e il d.m. 21 giugno 2024, dal momento che, aderendo a tale opzione ermeneutica, «si finirebbe per obliterare indebitamente il vigente contesto normativo, avuto specifico riguardo alla circostanza per cui, de iure condito, l'articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021 espressamente dispone che sia il Mase», con il prescritto concerto e previo raggiungimento dell'intesa in Conferenza unificata, a stabilire con decreto i principi e i criteri omogenei strumentali all'individuazione delle aree idonee e non idonee (Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, sezione terza, sentenze 13 maggio 2025, n. 9167, n. 9166, n. 9165, n. 9162 e n. 9155 del 2025).
In effetti, le pronunce di questa Corte che hanno dichiarato costituzionalmente illegittime norme regionali che sottraevano parti del territorio regionale, a volte anche particolarmente sensibili (sentenze n. 28 del 2025 e n. 216 del 2022), alla possibilità di localizzazione di impianti di portata superiore a una determinata potenza si fondavano sul precedente assetto dei principi fondamentali statali, che negava in radice una benché minima competenza legislativa regionale in merito (tra le molte, ancora, sentenza n. 216 del 2022).
Nel nuovo quadro dei principi fondamentali della materia, così come integrati, sul piano tecnico (ex plurimis, sentenza n. 77 del 2022), dal d.m. 21 giugno 2024, il potere, previsto dall'art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 199 del 2021, di individuare con legge le aree idonee è ora stato, invece, accordato alle regioni anche con riguardo alle aree non idonee; tale possibilità, del resto, non è espressamente esclusa dal d.lgs. n. 199 del 2021.
7.2.- Va però precisato che un'attenta lettura del suddetto decreto ministeriale fa emergere che la inidoneità dell'area, pur se dichiarata con legge regionale, non si può tradurre in un divieto assoluto stabilito a priori, ma equivale a indicare un'area in cui l'installazione dell'impianto può essere egualmente autorizzata ancorché sulla base di una idonea istruttoria e di una motivazione rafforzata.
L'art. 1, comma 2, lettera b), del d.m. 21 giugno 2024, definisce, infatti, quelle non idonee come le «aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili con l'installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010».
Tale rimando alle precedenti Linee guida sta a significare - stante il menzionato paragrafo 17, il quale prevede una «apposita istruttoria», nonché l'Allegato 3, il quale stabilisce, in ogni caso, che l'individuazione di queste aree non deve «configurarsi come divieto preliminare» - che la decisione definitiva in merito alla realizzazione degli impianti FER, anche se la legge regionale ha qualificato determinate aree come non idonee, va assunta, in ogni caso, all'esito del singolo procedimento di autorizzazione concernente lo specifico progetto di impianto, all'interno del quale si potrebbero comunque evidenziare ragioni a favore della sua realizzazione.
Pertanto, si deve concludere che, nel nuovo contesto dei principi fondamentali della materia, il potere, previsto dall'art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 199 del 2021, di individuare con legge regionale le aree idonee è stato accordato alle regioni anche con riguardo alle aree non idonee, con la precisazione, però, che l'inidoneità non può mai equivalere a un divieto assoluto e aprioristico.
Si tratta, in definitiva, di un assetto funzionale a dare risalto alla autonomia regionale ma al contempo idoneo a scongiurare il rischio che gli organi politici regionali, quando non sussistano evidenti ragioni di salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, ricorrano allo "strappo legislativo" per assecondare la tentazione di ostacolare impianti sui rispettivi territori (secondo l'efficace espressione "Ninmby": not in my back yard), ciò che si porrebbe in palese contrasto con la pressante esigenza dello sviluppo di energie rinnovabili: interesse, come già ricordato, «di cruciale rilievo» proprio «rispetto al vitale obiettivo di tutela dell'ambiente, anche nell'interesse delle future generazioni» (sentenza n. 216 del 2022).
7.3.- Alla luce di questa nuova cornice dei principi fondamentali della materia, deve quindi essere dichiarata l'illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», dell'art. 14, comma 1, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024, nella parte in cui dispone che «[è] vietata», nei parchi nazionali e regionali ricadenti nel territorio calabrese, la realizzazione degli impianti di potenza superiore a 10 MW termici alimentati da biomasse, anziché disporre che i suddetti parchi «costituiscono aree non idonee» alla realizzazione di questa tipologia di impianti.
Rimangono assorbite le altre censure statali.
8.- Deve essere però svolta un'ultima precisazione.
Dal momento che l'individuazione con legge dei parchi nazionali o regionali come aree inidonee alla realizzazione degli impianti alimentati da biomasse con potenza eccedente i 10 MW termici non può comportare un divieto assoluto, l'eventuale dissenso, in seno al successivo procedimento amministrativo, di una delle amministrazioni coinvolte (ad esempio, la regione o l'ente parco) potrebbe essere superato dal Consiglio dei ministri.
Infatti, l'art. 9 del decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190 (Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, letter[e] b e d, della legge 5 agosto 2022, n. 118) prescrive che gli impianti superiori a determinate potenze sono soggetti a un «procedimento autorizzatorio unico», nel corso del quale l'amministrazione procedente convoca una conferenza di servizi, la cui conclusione, ai sensi dell'art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), può avvenire sulla base delle «posizioni prevalenti»; in quest'ipotesi, il successivo art. 14-quinquies stabilisce che le amministrazioni dissenzienti portatrici di interessi cosiddetti sensibili possano proporre opposizione avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 1) e che, ove non venga raggiunta un'intesa tra le amministrazioni partecipanti, l'"ultima parola" spetti al Consiglio dei ministri, che decide sull'opposizione stessa (comma 6).
A questo riguardo, tuttavia, questa Corte ritiene di precisare che, se tale regime potrebbe condurre, di per sé, all'autorizzazione di centrali alimentate da biomasse di elevata potenza termica nei parchi naturali, tale eventualità - stante quanto premesso al precedente punto 6 - potrebbe presentare criticità rispetto alla «preminente rilevanza accordata [...] alla protezione dell'ambiente» dal novellato art. 9 Cost., che ne consacra direttamente nel testo della Costituzione il mandato di tutela e «vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa» (sentenze n. 125 del 2025 e n. 105 del 2024).
Tale mandato costituzionale, evidentemente, dovrà essere attentamente considerato da tutte le amministrazioni procedenti - ivi compreso il Consiglio dei ministri in sede di decisione sull'opposizione di cui all'art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 - in relazione all'esigenza di tutelare la biodiversità e i delicati ecosistemi che si sviluppano nei parchi nazionali o regionali, ove assentissero in questi luoghi alla realizzazione delle suddette centrali.
9.- Le medesime ragioni prima esposte ai punti da 7 a 7.2. conducono a ritenere fondata anche la censura statale di violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. a opera dell'art. 14, comma 2, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024, dal momento che anch'esso si traduce in un divieto assoluto di esercizio per gli impianti già esistenti che non adeguino la potenza generata al limite dei 10 MW entro sei mesi.
In relazione a tale disposizione è fondata anche la censura statale prospettata in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
Benché, infatti, il novellato art. 41, secondo comma, Cost. preveda ora tra i principi limitanti l'iniziativa economica privata anche l'«ambiente», qui rileva che la previsione regionale assume il carattere di legge provvedimento, poiché è riferibile unicamente alla centrale del Mercure (che oggi è il solo impianto a biomasse collocato in un parco nazionale o regionale calabrese) e risulta, quindi, destinata a incidere «su una singola posizione giuridica (sentenze n. 181 del 2019, n. 24 del 2018, n. 231 del 2014), "attraendo nella sfera legislativa quanto normalmente affidato all'autorità amministrativa" (sentenze n. 168 del 2020 e n. 114 del 2017)» (sentenza n. 186 del 2022).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, disposizioni legislative di tal fatta non sono di per sé incompatibili con l'assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione. Tuttavia, «in considerazione del pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di questo tipo, esse devono soggiacere a uno scrutinio stretto di costituzionalità, sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta legislativa» (sentenze n. 186 del n. 2022 e n. 49 del 2021; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 116 del 2020, n. 181 del 2019, n. 182 del 2017, n. 275, n. 154 e n. 85 del 2013, n. 20 del 2012).
La disposizione regionale non supera questo tipo di sindacato, perché trasmoda in una disciplina lesiva del legittimo affidamento.
È pur vero che secondo consolidata giurisprudenza costituzionale questo è «soggetto al normale bilanciamento proprio di tutti principi e diritti costituzionali» (sentenza n. 182 del 2022) e che in riferimento «ai rapporti di durata, e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria [...] il legislatore dispone di ampia discrezionalità» (sentenza n. 36 del 2025).
Tuttavia, nel caso in questione, data anche la brevità del termine richiesto per l'adeguamento (sei mesi) alla riduzione di potenza, la norma impugnata non si giustifica adeguatamente rispetto non solo all'iniziativa economica della società autorizzata alla gestione dell'impianto ma anche alla posizione dei lavoratori nello stesso occupati.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge Regione Calabria 26 novembre 2024, n. 36 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 29/2002, n. 24/2008, n. 8/2010, n. 47/2011, n. 24/2013, n. 9/2018, n. 32/2021, n. 10/2022, n. 9/2023, n. 62/2023, n. 6/2024, e disposizioni normative), nella parte in cui dispone che «[è] vietata», nei parchi nazionali e regionali ricadenti nel territorio calabrese, la realizzazione di impianti di potenza superiore a 10 MW termici alimentati da biomasse, anziché disporre che i suddetti parchi «costituiscono aree non idonee» alla realizzazione di questa tipologia di impianti;
2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 2, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024;
3) dichiara l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, della legge reg. Calabria n. 36 del 2024 promosse, in riferimento agli artt. 117, commi primo e secondo, lettera s), della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 11 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.