Corte costituzionale
Sentenza 31 luglio 2025, n. 142

Presidente: Amoroso - Redattrice: Navarretta

[...] nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 4 del codice civile approvato con regio decreto 25 giugno 1865, n. 2358; dell'art. 1 della legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana); dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), promossi dal Tribunale ordinario di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione cittadini UE, con ordinanza del 26 novembre 2024; dal Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, con ordinanza del 21 marzo 2025; dal Tribunale ordinario di Milano, sezione dodicesima specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, con ordinanza del 3 marzo 2025, e dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, con ordinanza del 7 marzo 2025; iscritte rispettivamente al n. 247 del registro ordinanze 2024 e ai numeri 65, 66 e 86 del registro ordinanze 2025, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, numeri 4, 16 e 18 dell'anno 2025.

Visti gli atti di costituzione di A. D. S. A. e altri, C. B. d. A. e altri, J. A. A. N. e altri, E. D. F. A. G. e altri, nonché gli atti di intervento di AUCI - Avvocati uniti per la cittadinanza italiana e di AGIS - Associazione giuristi iure sanguinis, nel giudizio iscritto al n. 247 reg. ord. del 2024, di Circolo Trentino di San Paolo del Brasile e di Circolo Domus Sardinia, nel giudizio iscritto al n. 86 reg. ord. del 2025;

udita nell'udienza pubblica del 24 giugno 2025 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

uditi gli avvocati Marco Mellone e Antonio Achille Cattaneo per A. D. S. A. e per le altre parti costituite, nonché gli avvocati Diego Corapi, Giovanni Bonato, Monica Lis Restanio e Patrizio Ivo D'Andrea per E. D. F. A. G. e per le altre parti costituite;

deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2025.

RITENUTO IN FATTO

1.- Con ordinanze, rispettivamente, del 26 novembre 2024 (iscritta al n. 247 reg. ord. del 2024), del 21 marzo 2025 (iscritta al n. 65 reg. ord. del 2025), del 3 marzo 2025 (iscritta al n. 66 reg. ord. del 2025), e del 7 marzo 2025 (iscritta al n. 86 reg. ord. del 2025), i Tribunali ordinari di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione cittadini UE, di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, di Milano, sezione dodicesima specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, e di Firenze, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte in cui, stabilendo che «[è] cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini», non prevede alcun limite all'acquisizione della cittadinanza iure sanguinis.

1.1.- Il solo Tribunale di Milano ha censurato anche l'art. 4 del codice civile approvato con regio decreto 25 giugno 1865, n. 2358, nonché l'art. 1 della legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana), sempre nella parte in cui non pongono alcun limite all'acquisizione della cittadinanza iure sanguinis.

1.2.- Tutti i rimettenti ritengono violati gli artt. 1, secondo comma, e 3 della Costituzione, quest'ultimo sotto il profilo della irragionevolezza e non proporzionalità.

I Tribunali di Bologna, di Milano e di Firenze sollevano questioni di legittimità costituzionale anche in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., relativamente agli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, questi ultimi con riguardo all'art. 9 del Trattato sull'Unione europea e all'art. 20 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Infine, il Tribunale di Roma e quello di Milano reputano la norma censurata lesiva dell'art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento rispetto a diversi termini di raffronto.

2.- In punto di fatto, i giudici a quibus riferiscono di dover accertare la cittadinanza italiana di ricorrenti, nati all'estero - in particolare: in Brasile e in Uruguay - ivi residenti e con la cittadinanza di quei medesimi Paesi, che vantano una linea ininterrotta di discendenza da cittadini o cittadine italiani (nati in Italia, rispettivamente: il 27 aprile 1874 quelli costituiti nel giudizio bolognese; il 27 gennaio 1873 quelli costituiti nel giudizio romano; il 14 settembre 1843 quelli costituiti nel giudizio milanese; l'11 gennaio 1903 quelli costituiti nel giudizio fiorentino).

3.- Sotto il profilo della rilevanza delle questioni, i rimettenti sostengono di dover applicare la disciplina censurata e di essere tenuti a riconoscere la cittadinanza italiana di tutti i ricorrenti, in quanto essi vantano l'unico presupposto acquisitivo della cittadinanza italiana previsto da detta normativa.

Il rimettente milanese esclude, inoltre, espressamente la percorribilità di una interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni che recano le norme oggetto delle odierne questioni.

4.- Di seguito, i giudici a quibus motivano, con argomenti ampiamente convergenti, la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.

4.1.- In via preliminare, si soffermano, con esposizioni di ampiezza e respiro variabili, sulle ragioni di contesto che giustificherebbero i dubbi di legittimità costituzionale.

4.1.1.- In particolare, il Tribunale di Bologna e quello di Firenze illustrano diffusamente la peculiarità della situazione italiana caratterizzata, specie nel secolo trascorso, da un massiccio fenomeno migratorio in uscita. Evocando varie fonti, rilevano come fra il 1870 e il 1970 circa 27 milioni di cittadini italiani avrebbero lasciato il Paese e di questi circa la metà non vi avrebbe più fatto ritorno. I loro discendenti andrebbero presumibilmente a superare il numero dei cittadini che risiedono in Italia.

4.1.2.- A dispetto di simile contesto, l'ordinamento italiano sarebbe fra i pochi a non aver posto limiti al riconoscimento della cittadinanza per discendenza o iure sanguinis.

La situazione risulterebbe poi aggravata, per un verso, dall'avvento di tecnologie, che agevolerebbero la ricostruzione della propria linea di discendenza, e, per un altro verso, dal carattere attrattivo della cittadinanza italiana, tenuto conto delle gravi crisi economiche che hanno interessato i Paesi verso i quali si era prevalentemente rivolto il fenomeno migratorio. Attualmente, infatti, la cittadinanza italiana offrirebbe la possibilità di trasferirsi in qualunque Paese dell'Unione europea e di evitare il visto d'ingresso negli Stati Uniti d'America.

4.1.3.- Il quadro di fatto delineato dai rimettenti si completa con la constatazione dell'inerzia e della condizione «di stallo dei consolati all'estero» (così, ordinanze iscritte ai n. 247 reg. ord. del 2024 e n. 86 reg. ord. del 2025; in senso analogo anche l'ordinanza iscritta al n. 65 reg. ord. del 2024), il che avrebbe moltiplicato le richieste di accertamento della cittadinanza dinanzi ai tribunali italiani.

5.- Alla luce di simile premessa, i rimettenti ritengono che la disciplina censurata si ponga simultaneamente in contrasto con la nozione di «popolo», di cui all'art. 1, secondo comma, Cost., e con il principio di ragionevolezza e proporzionalità, di cui all'art. 3 Cost.

5.1.- Rispetto a questa prima censura, gli argomenti spesi dai quattro giudici a quibus sono sostanzialmente convergenti e in parte perfettamente sovrapponibili (specie quelli addotti dai Tribunali di Bologna e di Firenze).

Secondo i rimettenti, l'art. 1, secondo comma, Cost. implicherebbe una «stretta coincidenza fra popolo e sovranità» (così l'ordinanza iscritta al n. 247 reg. ord. del 2024), che risulterebbe alterata dall'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, là dove esso attribuirebbe la «cittadinanza a decine di milioni di persone prive di effettivo collegamento con l'Italia» (ancora la citata ordinanza).

La Costituzione italiana, pur stabilendo che «[l]a sovranità appartiene al popolo», non fornirebbe una definizione della nozione di popolo. Questo dimostrerebbe il rilievo che rivestono le norme concernenti i criteri di riconoscimento, di perdita e di riacquisto della cittadinanza, che i rimettenti configurano quale «diritto umano fondamentale di partecipare, sulla scorta del principio democratico, al governo della società in cui si vive» (sempre la citata ordinanza iscritta al n. 247 reg. ord. del 2024). Alcuni dei giudici a quibus ritengono, a riguardo, che sarebbe pacifica la sussistenza di una riserva di legge statale (in tal senso, le ordinanze iscritte ai numeri 247 reg. ord. del 2024 e 86 reg. ord. del 2025).

5.2.- Dal rilievo che rivestirebbero le norme sulla cittadinanza rispetto alla nozione di popolo discenderebbe - secondo i rimettenti - la sussistenza di limiti costituzionali alla discrezionalità legislativa, non potendo le menzionate categorie reputarsi quali «scatole vuote, lasciate all'assoluta discrezionalità del Legislatore» (così, l'ordinanza iscritta al n. 86 reg. ord. del 2025 e, in senso identico, ordinanza iscritta al n. 247 reg. ord. del 2024).

La «cittadinanza [sarebbe] densa di contenuti pacificamente consistenti nel complesso di diritti e doveri riconosciuti dalle norme costituzionali, che dettano i principi sui quali si fonda il concetto di "popolo" italiano» (ordinanza iscritta al n. 66 reg. ord. del 2025). Essa presenterebbe «come dati e connotati strutturali ed immanenti la relazionalità e l'integrazione con la comunità dei cittadini e, quindi, implic[herebbe] e presuppo[rrebbe] altresì prossimità, al popolo e al territorio» (così ordinanza iscritta al n. 65 reg. ord. del 2025).

Secondo i rimettenti, la normativa censurata scinderebbe la cittadinanza da «condizioni di appartenenza, partecipazione, relazionalità, integrazione, prossimità» con l'ordinamento italiano, rendendola uno «status puramente astratto, afferente ad una sfera meramente individuale», privandola così della sua «dimensione comunitaria e pubblicistica oltre che di sostanzialità ed effettività» (in tal senso, ordinanza iscritta al n. 65 reg. ord. del 2025).

La norma censurata finirebbe, in sostanza, per includere nel concetto di popolo al quale appartiene la sovranità «soggetti di fatto totalmente estranei alla comunità nazionale» (ordinanza iscritta al n. 66 reg. ord. del 2025).

5.3.- I rimettenti ritengono che, per rendere il legame che deriva dalla linea di discendenza criterio di per sé sufficiente a superare i dubbi di legittimità costituzionale, non basti evocare l'art. 29 Cost., poiché tale norma costituzionale richiamerebbe una nozione di famiglia che presuppone un «necessario ancoramento alla realtà sociale» (in tal senso, ordinanza iscritta al n. 247 reg. ord. del 2024).

Parimenti, i giudici a quibus escludono che possa essere l'art. 35 Cost. a confutare l'illegittimità costituzionale della disciplina censurata, posto che la necessaria protezione del lavoro all'estero non implicherebbe il diritto al «riconoscimento della cittadinanza dopo generazioni» (ordinanza iscritta al n. 247 reg. ord. del 2024).

5.4.- Il senso della violazione dell'art. 1, secondo comma, Cost., si apprezzerebbe, in particolare, secondo i giudici a quibus, ponendo in relazione il principio enunciato da tale disposizione con l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza e del difetto di proporzionalità.

Sarebbe, infatti, irragionevole e non proporzionato non porre alcun limite al meccanismo dell'acquisto della cittadinanza per mera discendenza.

Simile violazione non potrebbe rinvenire un sufficiente correttivo nelle previsioni secondo cui solo otto deputati su quattrocento (art. 56, secondo comma, Cost.) e quattro senatori su duecento (art. 57, secondo comma, Cost.) possono essere eletti nella «circoscrizione Estero» (art. 1 della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante «Norme per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero»). Tale normativa, infatti, non neutralizzerebbe la «evidente interferenza della smisurata dilatazione del numero di cittadini con l'esercizio della sovranità popolare, sia per la possibilità di iscrizione comunque presso le liste elettorali interne, sia per l'incidenza sul quorum previsto per il referendum popolare dall'art. 75, quarto comma della Costituzione [...] sia per [...] l'operatività del referendum costituzionale di cui all'articolo 138 della Costituzione» (così ordinanze iscritte al n. 247 reg. ord. del 2024 e al n. 86 reg. ord. del 2025).

5.5.- Al fine di sanare il denunciato vulnus le varie ordinanze indicano diverse soluzioni.

Il Tribunale di Bologna prospetta quale «ragionevole punto di equilibrio [...] il limite di due generazioni, salva la prova che uno degli ascendenti o la persona interessata abbia vissuto in Italia per almeno due anni»; in alternativa, evoca l'ipotesi di «tenere conto del più lungo termine di oblio previsto nell'ordinamento, pari a 20 anni, come per la prescrizione per i più gravi reati e per l'usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari».

Il Tribunale di Roma ritiene che l'acquisizione della cittadinanza per nascita debba avvenire automaticamente, «ove il richiedente cittadino straniero possa dimostrare direttamente la cittadinanza [italiana] del/i genitore/i», mentre, qualora debba risalirsi alla cittadinanza di un ascendente di secondo grado, dovrebbe trovare applicazione l'art. 4, comma 1, della legge n. 91 del 1992, norma in relazione alla quale solleva poi anche una questione di legittimità costituzionale per irragionevole disparità di trattamento.

Ancora, il Tribunale di Milano non individua il rimedio per sanare il vulnus, se non indirettamente sollevando anche una questione di legittimità costituzionale per irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista per il coniuge di cittadino o di cittadina italiani.

Infine, il Tribunale di Firenze si limita a indicare la necessità di individuare ragionevoli limitazioni idonee a superare i dubbi manifestati.

6.- Con un secondo gruppo di censure tutti i rimettenti - fatta eccezione per il Tribunale di Roma - ravvisano una violazione anche dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione sia agli «obblighi internazionali» sia ai «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario», questi ultimi con riguardo all'art. 9 TUE e all'art. 20 TFUE.

6.1.- Quanto alla prima censura, i giudici a quibus rilevano che il diritto internazionale, pur riservando la materia della cittadinanza alla disciplina degli Stati, nondimeno, imporrebbe loro di rispettare il principio di effettività del vincolo di cittadinanza; pertanto, non si potrebbero prendere «in considerazione valutazioni del diritto interno che non si appoggi[no] su una reale appartenenza dell'individuo al gruppo sociale» (così ordinanza n. 247 del reg. ord. del 2024).

I rimettenti, prendendo le distanze dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 24 agosto 2022, n. 25317, secondo la quale «certamente non è una fictio il vincolo di sangue», ritengono che la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con gli obblighi internazionali, poiché qualunque «pretesa dello Stato di considerare proprio cittadino chi in realtà non abbia con esso rapporti sociali effettivi sia internazionalmente destituita di fondamento sicché, conseguentemente, gli altri Stati non sono tenuti a rispettarla» (ancora la citata ordinanza).

A riguardo, i giudici a quibus si soffermano diffusamente sulla sentenza della Corte internazionale di giustizia, 6 aprile 1955, Liechtenstein contro Guatemala, secondo la quale la cittadinanza implicherebbe «a social fact of attachment, a genuine connection of existence, interests and sentiments, together with the existence of reciprocal rights and duties».

6.2.- Di seguito, sempre in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., i Tribunali di Bologna, di Milano e di Firenze dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, per contrasto con i vincoli che impone, attraverso l'art. 9 TUE e l'art. 20 TFUE, il diritto dell'Unione europea.

In particolare, le ordinanze di Bologna e di Firenze rammentano che l'art. 9 TUE attribuisce la cittadinanza europea a «chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro» e che l'art. 20 TFUE prevede che sia «istituita una cittadinanza dell'Unione. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce».

Il diritto dell'Unione europea, pur rimettendo agli Stati membri la disciplina della cittadinanza, imporrebbe il rispetto del principio di effettività e il carattere genuino della cittadinanza nazionale. Infatti, la cittadinanza europea comporterebbe l'attribuzione di una serie di diritti e doveri (quali la libertà di circolazione e di soggiorno all'interno dell'Unione, con il connesso diritto di esercitare la propria attività lavorativa e di chiedere il ricongiungimento dei propri familiari), nonché i diritti di partecipazione politica e quello di ottenere la tutela diplomatica da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro nel territorio di un Paese terzo, in cui il proprio Stato di origine non sia rappresentato.

Il Tribunale di Milano ritiene, inoltre, che il diritto europeo presupporrebbe, ai fini della libera circolazione dei cittadini europei, «un legame territoriale fra il cittadino e il Paese comunitario di origine».

Nel complesso, i rimettenti dubitano che la norma censurata rispetti i vincoli imposti dal diritto dell'Unione europea e, specificamente, «il principio di proporzionalità», come elaborato dalle sentenze della Corte di giustizia (in tal senso, ordinanze iscritte al n. 247 reg. ord. del 2024 e al n. 86 reg. ord. del 2025).

7.- Infine, i Tribunali di Roma e di Milano sollevano questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, per violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento che viene ravvisato in riferimento a diverse discipline.

7.1.- In particolare, nell'atto introduttivo del Tribunale di Roma si ipotizza una similitudine fra la situazione di chi vanta un ascendente cittadino italiano di grado remoto e chi è discendente di chi era cittadino italiano e non lo è più, situazione quest'ultima presa in considerazione sia dall'art. 4, comma 1, della legge n. 91 del 1992, concernente l'acquisto della cittadinanza sulla base di meri presupposti legali, sia dall'art. 9, comma 1, lettera a), della medesima legge relativo a un acquisto concessorio della cittadinanza.

In entrambe le fattispecie l'acquisizione della cittadinanza sarebbe limitata a due gradi di ascendenza parentale e si richiederebbe la concorrenza di altri requisiti, «che afferiscono [...] ad una relazionalità effettiva del richiedente con lo Stato, il territorio, il popolo italiani».

Nondimeno, tra le due fattispecie normative sarebbe la prima - ad avviso del rimettente capitolino - a essere «più appropriatamente confrontabile» con la disciplina censurata. In ambo i casi, la cittadinanza viene, infatti, acquisita ipso iure sulla base della mera ricognizione dei requisiti occorrenti, configurandosi, dunque, quale diritto soggettivo, e non quale mero interesse legittimo.

In particolare, secondo il Tribunale di Roma, non sussisterebbe una «differenza sostanziale - tale da giustificare una diversità di disciplina giuridica così marcata come quella intercorrente tra l'articolo 4, comma 1, da un lato, e, dall'altro, l'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. n. 91/1992 - fra la situazione di chi (avente cittadinanza di altro Stato) discenda da un genitore o da un nonno che era cittadino italiano ma poi è rimasto privo della cittadinanza (prima della nascita del richiedente, almeno nel caso del genitore, poiché diversamente si ricadrebbe nell'ipotesi più generale del figlio di cittadino) e la situazione di chi (del pari cittadino straniero) discenda da genitori e nonni e, sovente, da ascendenti in linea retta di grado ancor più remoto che non hanno (o che comunque non risulti abbiano) mai accertato, rivendicato, esercitato o posseduto lo status civitatis».

In entrambi i casi difetterebbe la «effettività di cittadinanza».

7.2.- Venendo alle censure mosse dal Tribunale di Milano, anche quest'ultimo rileva, in generale, la diversità di approccio fra la disciplina che regola l'acquisizione iure sanguinis della cittadinanza e altre norme attributive della stessa che, come quelle concernenti i cittadini di Paesi terzi, richiedono «la puntuale dimostrazione del loro radicamento sul Territorio nazionale».

Nello specifico, il giudice a quo di Milano impernia il dubbio di irragionevole disparità di trattamento, di cui all'art. 3 Cost., su un tertium comparationis costituito dalla normativa che consente di acquisire la cittadinanza sul presupposto del vincolo matrimoniale con un cittadino o una cittadina italiani. Tale disciplina richiede, in particolare, la dimostrazione o di un livello intermedio di conoscenza della lingua italiana o, in alternativa, la sottoscrizione di un accordo di integrazione.

8.- Con atti depositati, rispettivamente, il 10 febbraio, il 5 e il 6 maggio 2025, si sono costituiti: nove ricorrenti del giudizio principale pendente dinanzi al Tribunale di Bologna; tutti i ricorrenti del giudizio principale pendente dinanzi al Tribunale di Milano; tutti i ricorrenti del giudizio principale pendente dinanzi al Tribunale di Roma, che in data 17 giugno 2025 hanno anche depositato, fuori termine, una memoria integrativa.

Inoltre, si sono costituiti in giudizio, in data 16 maggio 2025, quattro ricorrenti nel giudizio principale pendente dinanzi al Tribunale di Firenze - che, in data 3 giugno 2025, hanno altresì depositato memoria integrativa - nonché, in data 20 maggio 2025, altri sette ricorrenti del medesimo giudizio principale.

9.- Tutte le parti costituite hanno eccepito la inammissibilità delle questioni sollevate, con argomenti in parte sovrapposti o sovrapponibili.

9.1.- Secondo le difese dei ricorrenti nei giudizi principali dinanzi ai Tribunali di Bologna, di Firenze e di Roma, le censure sarebbero inammissibili, in quanto i giudici a quibus avrebbero sollevato dubbi su una norma - l'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992 - che non sarebbe applicabile a tutti i ricorrenti, essendo alcuni di loro nati prima della sua entrata in vigore.

A ciò si aggiunge che i rimettenti avrebbero, comunque, erroneamente individuato le norme da applicare, in quanto avrebbero omesso di censurare anche quelle riferibili ratione temporis ai vari ascendenti dei ricorrenti, ovverossia il codice civile del 1865, la legge n. 555 del 1912 e la legge 21 aprile 1983, n. 123 (Disposizioni in materia di cittadinanza).

9.2.- Di seguito, le difese di tutti i ricorrenti nei quattro giudizi principali hanno eccepito l'inammissibilità delle questioni per non aver esperito i giudici a quibus il tentativo di interpretazione conforme a Costituzione.

9.3.- Ancora, le difese di tutte le parti, a esclusione dei ricorrenti dinanzi al Tribunale di Firenze che si sono costituiti con atto del 16 maggio 2025, hanno obiettato che le questioni si fondano su un presupposto, ovverossia che i ricorrenti nei giudizi principali non abbiano altro legame con l'Italia se non quello che deriva dal vincolo di filiazione, che sarebbe postulato e non dimostrato. I giudici a quibus non avrebbero «assunto alcun tipo di informazione sulla vita, sulla cultura, sulla lingua, sugli aspetti motivazionali ed emozionali e su tutti gli altri fattori che avrebbero potuto essere rilevanti al fine di accertare quel presupposto di fatto da cui è partito il ragionamento giuridico del Giudice a quo, ovverosia la non-appartenenza sostanziale dei ricorrenti alla Comunità italiana» (atti di costituzione in giudizio del 10 febbraio 2025, del 5 maggio 2025, del 6 maggio 2025 e del 20 maggio 2025). I rimettenti si sarebbero limitati apoditticamente a concludere che i ricorrenti «non fossero membri "effettivi" della Comunità italiana. Il tutto, senza un accertamento, senza una prova, senza un'istruttoria».

Tale rilievo si unisce alla considerazione che la ragione sottesa ai giudizi principali non atterrebbe a reali dubbi di legittimità costituzionale, bensì sarebbe da rinvenire nell'esigenza di reagire al sovraccarico di richieste che sono pervenute dinanzi alle autorità giudiziarie italiane, in conseguenza delle inadempienze e dei ritardi da parte delle autorità consolari.

9.4.- Le difese di tutte le parti, a esclusione dei ricorrenti dinanzi al Tribunale di Firenze che si sono costituiti con atto del 16 maggio 2025, hanno, di seguito, contestato, altresì, l'ammissibilità delle censure, adducendo che la motivazione sulla non manifesta infondatezza delle questioni si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, con il diritto vivente e con la prassi applicativa dei tribunali, dinanzi ai quali pendono i giudizi principali.

In particolare, a detta delle richiamate difese, la giurisprudenza costituzionale si sarebbe già in passato misurata con il criterio dello ius sanguinis, sicché se il suo operare «senza ulteriori condizioni fosse stato incostituzionale [...] allora tale aspetto non avrebbe potuto sfuggire allo scrutinio, anche indiretto, di Codesta Ecc.ma Corte» (atti di costituzione in giudizio del 10 febbraio e del 5, 6 e 20 maggio 2025).

A ciò le parti aggiungono la considerazione che nessun giudice avrebbe mai manifestato dubbi di legittimità costituzionale sulla acquisizione della cittadinanza iure sanguinis. Al contrario, la Corte di cassazione avrebbe anche di recente sottolineato, a sezioni unite (sono evocate Cass., n. 25317 del 2022 e Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 24 agosto 2022, n. 25318), che il su menzionato criterio è «intimamente legato alla storia italiana ed alla specifica scelta, costante e centenaria, del legislatore italiano di mantenere (attraverso il vincolo di sangue per l'appunto) il rapporto tra l'Italia ed i suoi "figli" ovunque essi nascessero e vivessero» (così i già richiamati atti di costituzione in giudizio).

Le medesime parti concludono, quindi, nel senso che «ad oggi esist[erebbe] un inconfutabile e granitico "diritto vivente" sulla legittimità costituzionale del diritto di trasmissione della cittadinanza per via sanguigna che non è stato mai messo in discussione, neanche in tempi recenti».

9.5.- Tutte le parti hanno, inoltre, eccepito l'inammissibilità delle questioni per essere la materia riservata alla discrezionalità del legislatore.

In particolare, le difese richiamate nel punto precedente ritengono che questa Corte non possa «mettere in discussione quella che è stata e quella che è una scelta [...] del legislatore» in materia di cittadinanza, frutto di una sua precisa valutazione «discrezionale».

Considerano, pertanto, l'eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale alla stregua di una «violazione dell'articolo 70 Cost. in relazione al detentore della funzione legislativa, dell'articolo 71 Cost. in relazione ai soggetti titolari di iniziativa legislativa e dell'articolo 134 Cost. in relazione alle funzioni di [questa] Ecc.ma Corte Costituzionale».

9.6.- Di seguito, le difese di tutte le parti hanno eccepito il carattere manipolativo del tipo di intervento di sistema richiesto a questa Corte, nonché la natura generica e apodittica delle censure.

Nelle difese delle parti indicate nel precedente punto 9.4., l'eccezione viene argomentata evidenziando come l'intervento richiesto si risolverebbe nel suggerimento di introdurre una riforma, che contempli «nuove condizioni legislative, non presenti nell'attuale testo normativo e mai adottate dallo Stato italiano in centosessanta anni di disciplina della cittadinanza italiana». Inoltre, secondo tali difese, la prospettazione dei rimettenti risulterebbe «generica, ipotetica, astratta».

Nell'atto di costituzione in giudizio depositato il 16 maggio 2025 da alcuni ricorrenti dinanzi al Tribunale di Firenze, si contesta, poi, più specificamente che, in una materia in cui è elevata la discrezionalità legislativa, si prospetterebbe a questa Corte un intervento che «implica valutazioni sistemiche rimesse all'apprezzamento del legislatore e scelte di fondo tra opzioni alternative», andando a limitare il «criterio di acquisizione della cittadinanza iure sanguinis [con] elementi arbitrariamente individuati dallo stesso remittente e assolutamente privi di qualsiasi appiglio nell'ordinamento».

Quest'ultima difesa evidenzia, infine, sia pure nell'ambito delle considerazioni svolte sul merito, il carattere generico delle censure volte a individuare il tipo di collegamento effettivo che dovrebbe consolidare il vincolo con l'Italia di chi è nato e vive all'estero. Si osserva, infatti, che «i termini di questo tipo di legame sono individuati in maniera generica e oscura dal remittente (cosa significa legame con la "comunità"? Residenza nel territorio? Per quanto tempo? Trattasi di legame "culturale"? E in quali termini? Padronanza della "lingua"? A che livello?)».

9.7.- Da ultimo, sempre nell'atto di costituzione in giudizio depositato il 16 maggio 2025, viene eccepita l'inammissibilità per carente motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, per inconferenza dei parametri evocati e poiché, nella censura posta in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., relativamente agli obblighi internazionali, non sarebbe stata indicata alcuna «specifica fonte di diritto internazionale che vieterebbe di prevedere l'acquisizione della cittadinanza per discendenza senza le limitazioni ch'esso ipotizza».

10.- Nel merito, tutte le difese delle parti ritengono non fondate le questioni sollevate, adducendo argomenti di tenore analogo, con motivazioni talora sovrapposte o sovrapponibili.

10.1.- Non vi sarebbe, anzitutto, violazione degli artt. 1, secondo comma, e 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e non proporzionalità.

10.1.1.- Le difese delle parti rammentano, preliminarmente, che la disciplina censurata costituisce il criterio di attribuzione della cittadinanza che trova applicazione da centosessant'anni in Italia.

Il suo operare quale criterio di acquisizione dello status civitatis non accompagnato da ulteriori presupposti sarebbe il riflesso della scelta politica effettuata dal legislatore di mantenere un legame con gli emigranti italiani e con i loro discendenti.

Tale legame avrebbe apportato notevoli benefici all'Italia, tant'è che «[l]e rimesse degli italiani emigrati all'estero» avrebbero contribuito a sostenere l'economia italiana, giungendo a «rappresentare quasi il 4% del pil italiano in alcuni anni». Inoltre, in occasione di eventi drammatici, come le due guerre mondiali, molti emigrati «rientrarono dai rispettivi paesi di emigrazione e misero a disposizione la propria vita per servire l'esercito italiano [nel] difendere la patria». E ancora, ogni qual volta l'Italia è stata colpita da catastrofi naturali o da altri gravi eventi, compresa la emergenza epidemiologica da COVID-19, le comunità italiane dei discendenti degli emigranti avrebbero «immediatamente reagito con una gara di solidarietà senza pari», come attesterebbe l'istituzione di molteplici fondi di solidarietà ai quali le difese si richiamano.

A ciò si aggiunge il rilievo secondo cui le comunità italiane all'estero promuoverebbero la cultura italiana nei rispettivi Paesi.

La scelta legislativa di preservare la purezza dello ius sanguinis non sarebbe, inoltre, né irragionevole né sproporzionata, in quanto il cittadino italiano residente all'estero non graverebbe sullo Stato, non accedendo ai benefici del welfare italiano. Inoltre, non vi sarebbe alcuna minaccia per l'integrità del principio democratico, posto che i cittadini italiani all'estero sarebbero chiamati a eleggere solo il due per cento del Parlamento, esercitando in tal modo una limitata influenza politica.

La stessa Costituzione, del resto, accorderebbe una particolare tutela agli emigranti e ai cittadini italiani residenti all'estero (si menzionano, a riguardo, gli artt. 35 e 48 Cost.).

10.1.2.- A quanto sopra richiamato, la difesa delle parti costituite con atto del 16 maggio 2025 aggiunge il rilievo secondo cui l'affermazione dei rimettenti, in base alla quale la cittadinanza presupporrebbe una nozione di popolo, sottenderebbe un errore. Si obietta, infatti, che «[i]l "popolo", cui l'art. 1 Cost. attribuisce la sovranità, consiste[rebbe] nella totalità dei cittadini, di talché è il "popolo" a presupporre la definizione normativa di cittadinanza, e non il contrario».

La medesima difesa rileva, inoltre, che «il Costituente non [avrebbe] inteso inserire in Costituzione i criteri di acquisto e di perdita della cittadinanza, eccezion fatta per il divieto di privazione per motivi politici ex art. 22 Cost.». Di conseguenza, «gli artt. 1 e 22 Cost. non impo[rrebbero] al legislatore alcun limite positivo nella definizione del set di regole che determinano l'acquisizione e il trasferimento della cittadinanza».

Infine, viene ravvisata una contraddittorietà nelle affermazioni dei rimettenti. Questi, infatti, non coglierebbero che il carattere di acquisto a titolo originario proprio della cittadinanza e la sua giustiziabilità attraverso una pronuncia dichiarativa e non costitutiva farebbero sì che il legame che viene in considerazione non sia quello con un lontano ascendente, bensì quello diretto con il genitore, stante la «linea di trasmissione ininterrotta» della cittadinanza.

10.1.3.- A tale rilievo si collega quello della difesa dei ricorrenti nel giudizio bolognese, secondo cui il petitum vòlto a limitare l'acquisizione della cittadinanza iure sanguinis per i nati all'estero a due generazioni, salvo prova di residenza in Italia, sarebbe fonte di discriminazioni e non potrebbe essere applicato retroattivamente.

10.2.- Le difese delle parti escludono, di seguito, che vi sia violazione dell'art. 117 Cost., primo comma, Cost.

Non solo si contesta l'uso improprio del concetto di "effettività della cittadinanza", che non troverebbe alcuna corrispondenza nella giurisprudenza della Corte di giustizia UE richiamata, ma oltretutto si rileva come non sia stato affatto dimostrato che il supposto principio si declini «nel senso di impedire in radice agli Stati di prevedere l'acquisizione della cittadinanza per discendenza».

10.3.- Da ultimo, le parti costituitesi con atto depositato in data 16 maggio 2025 hanno dato conto dell'introduzione - nella pendenza del presente giudizio - del decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza), in quel momento non ancora convertito in legge.

Di seguito, nella memoria integrativa depositata in data 3 giugno 2025 (successiva alla conversione, con modificazioni, del citato decreto-legge nella legge 23 maggio 2025, n. 74), la difesa di quelle stesse parti ha sostenuto che la norma non trovi applicazione ai giudizi dai quali originano le questioni di legittimità costituzionale, essendo la nuova disciplina riferibile solo ai procedimenti avviati a partire dal 28 marzo 2025. Pertanto, le parti insistono nel sottolineare che il principio dell'acquisizione della cittadinanza iure sanguinis è radicato nella tradizione giuridica italiana sin dal codice civile del 1865. Inoltre, rilevano come esso sia condiviso da diversi Stati membri dell'Unione europea, posto che la propagazione dello status civitatis a partire dallo status filiationis sarebbe espressione della continuità familiare, indipendentemente dal luogo di nascita.

Ad avviso della difesa di queste parti, l'accoglimento delle questioni sollevate determinerebbe una perdita retroattiva di massa della cittadinanza, il che si porrebbe in contrasto sia con l'art. 22 Cost., sia con il diritto dell'Unione europea, specie avendo riguardo al principio di proporzionalità e al diritto al contraddittorio, sia con il diritto internazionale, che contemplerebbe un divieto di privazione arbitraria della cittadinanza.

10.4.- Le parti costituitesi con atto depositato in data 20 maggio 2025 si sono parimenti soffermate sul d.l. n. 36 del 2025, come convertito, e, sul presupposto che tale disciplina trovi applicazione anche ai giudizi principali, adducono che le relative norme introdurrebbero limiti retroattivi al riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, in violazione di numerosi precetti costituzionali (tra i quali vengono menzionati gli artt. 1, 2, 3, 10, 22, 24, 25, 29, 35 e 117 Cost.).

La difesa delle parti chiede, pertanto, che questa Corte sollevi dinanzi a se stessa questioni di legittimità costituzionale delle norme previste dal d.l. n. 36 del 2025, come convertito, o, in subordine, che promuova rinvio pregiudiziale di interpretazione dinanzi alla Corte di giustizia UE per valutare la compatibilità della nuova disciplina con il diritto dell'Unione europea.

10.5.- In data 4 giugno 2025, le parti del giudizio a quo, di cui all'ordinanza iscritta al n. 247 reg. ord. del 2024, hanno depositato, fuori termine, memoria integrativa.

11.- Con atti depositati entrambi l'11 febbraio 2025 hanno chiesto di intervenire ad opponendum, nel giudizio iscritto al n. 247 reg. ord. del 2024, AUCI - Avvocati uniti per la cittadinanza italiana e AGIS - Associazione giuristi iure sanguinis, argomentando in ordine all'ammissibilità dei propri interventi.

In data 3 giugno 2025, AUCI - Avvocati uniti per la cittadinanza italiana e AGIS - Associazione giuristi iure sanguinis hanno depositato memorie integrative di identico tenore, insistendo sugli argomenti di cui agli atti di intervento.

12.- In data 11 febbraio 2025, l'Associazione USEF Brasil - Unione siciliana emigrati e famiglie ha depositato una opinio quale amicus curiae, ammessa con decreto presidenziale del 20 maggio 2025.

In tale atto, USEF sostiene che le questioni sollevate siano inammissibili, in quanto non prospetterebbero una soluzione costituzionalmente obbligata, ma entrerebbero in un ambito riservato alla discrezionalità legislativa. Inoltre, non verrebbero indicati con precisione i parametri normativi europei che sarebbero violati, rendendo la censura sull'art. 117 Cost. generica e non fondata.

Peraltro, l'accoglimento delle questioni comprometterebbe diritti già maturati da milioni di discendenti italiani in Brasile, violando i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia di norme sulla cittadinanza.

L'opinio evidenzia l'importanza della comunità italo-brasiliana, composta da circa 25-30 milioni di persone, che svolge una funzione di ponte culturale e rappresenta una risorsa strategica per l'Italia. Vengono citati studi economici che dimostrerebbero come la doppia cittadinanza favorisca investimenti, scambi commerciali e mobilità internazionale.

13.- Con atti di identico tenore, depositati in data 20 maggio 2025, hanno spiegato intervento ad opponendum, nel giudizio iscritto al n. 86 reg. ord. del 2025, il Circolo Trentino di San Paolo del Brasile e il Circolo Domus Sardinia, che, in data 27 maggio 2025, hanno depositato memorie sintetiche ex art. 5, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, dal contenuto di identico tenore.

14.- Nell'udienza pubblica svoltasi il giorno 24 giugno 2025, le parti hanno insistito per le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Con le ordinanze iscritte al n. 247 reg. ord. del 2024, e ai numeri 65, 66 e 86 reg. ord. del 2025, i Tribunali di Bologna, di Roma, di Milano e di Firenze hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, nella parte in cui, stabilendo che «[è] cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini», non prevede alcun limite all'acquisizione della cittadinanza iure sanguinis.

Il solo Tribunale di Milano ha censurato anche l'art. 4 del codice civile del 1865, nonché l'art. 1 della legge n. 555 del 1912, sempre nella parte in cui non pongono alcun limite all'acquisizione della cittadinanza iure sanguinis.

2.- In particolare, i giudici a quibus, chiamati ad applicare la disciplina censurata a ricorrenti che sono discendenti di cittadini o cittadine italiani, ma sono nati all'estero, ivi residenti e con la cittadinanza di un altro Stato, dubitano della legittimità costituzionale delle citate norme sotto molteplici profili.

2.1.- Tutti i rimettenti ritengono violati gli artt. 1, secondo comma, e 3 Cost., quest'ultimo sotto il profilo della irragionevolezza e non proporzionalità.

In particolare, sostengono che il riconoscimento della cittadinanza a favore di chi, in presenza dei richiamati elementi di collegamento con l'ordinamento di un Paese straniero, possa vantare solo la discendenza da un cittadino o da una cittadina italiani, senza avere altri legami con l'ordinamento interno, determinerebbe una profonda alterazione della nozione di popolo, incidendo sullo stesso esercizio della sovranità popolare e, in ultima analisi, sul funzionamento della democrazia.

2.2.- I Tribunali di Bologna, di Milano e di Firenze sollevano questioni di legittimità costituzionale anche in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., relativamente agli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, questi ultimi con specifico riguardo all'art. 9 TUE e all'art. 20 TFUE.

Secondo i giudici a quibus, le citate fonti internazionali vincolerebbero gli Stati a prevedere norme sulla cittadinanza che attestino un legame effettivo con l'ordinamento giuridico attributivo dello status civitatis.

2.3.- Infine, il Tribunale di Roma e quello di Milano reputano la norma censurata lesiva dell'art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento rispetto a diversi termini di raffronto.

Il rimettente capitolino ravvisa quale tertium comparationis l'art. 4, comma 1, della legge n. 91 del 1992, che disciplina l'acquisizione della cittadinanza a favore del discendente di chi aveva, ma ha perso, lo status di cittadino italiano.

Il giudice a quo di Milano ritiene, invece, irragionevole la disparità di trattamento rispetto alla normativa che regola l'acquisizione della cittadinanza da parte del coniuge di cittadino o di cittadina italiani.

3.- Così compendiate, in estrema sintesi, le questioni sollevate nei diversi giudizi, si deve disporre la loro riunione affinché siano decisi con un'unica sentenza, avendo essi a oggetto medesime o analoghe norme ed essendo fondati su censure e su parametri in larga misura coincidenti (tra le tante, sentenze n. 72 del 2025, n. 171 del 2024 e n. 220 del 2023).

4.- Nei giudizi riuniti hanno presentato istanza di intervento varie associazioni, la cui partecipazione in qualità di parti deve ritenersi inammissibile.

4.1.- In particolare, sono stati già dichiarati inammissibili, con ordinanza n. 85 del 2025, gli interventi ad opponendum spiegati dal Circolo Trentino di San Paolo del Brasile e dal Circolo Domus Sardinia, nel giudizio introdotto con l'ordinanza del Tribunale di Firenze, iscritta al n. 86 reg. ord. del 2025.

4.2.- Parimenti, sono inammissibili gli interventi spiegati nel giudizio introdotto con l'ordinanza del Tribunale di Bologna, iscritta al n. 247 reg. ord. 2024, dalle associazioni AUCI - Avvocati uniti per la cittadinanza italiana e AGIS - Associazione giuristi iure sanguinis, con atti di identico tenore depositati l'11 febbraio 2025.

4.2.1.- Per costante orientamento di questa Corte, la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è riservata, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4, commi 1 e 2, delle Norme integrative), a soggetti titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis, ordinanze allegate alle sentenze n. 19 del 2025, n. 144 e n. 140 del 2024).

Quanto alla posizione di soggetti rappresentativi di interessi collettivi o di categoria, quali sono gli intervenienti, questa Corte ha più volte precisato che è inammissibile un loro intervento qualora essi vantino, rispetto all'oggetto del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, un interesse solo indiretto, connesso in via generale agli scopi statutari di tutela dei propri iscritti (ordinanza allegata alla sentenza n. 19 del 2025, nonché sentenze n. 130 e n. 35 del 2023; ordinanza n. 202 del 2020). Ciò vale tanto più in considerazione del vigente art. 6 delle Norme integrative, che consente alle formazioni sociali senza scopo di lucro e ai soggetti istituzionali portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di legittimità costituzionale di presentare a questa Corte un'opinione scritta in qualità di amici curiae (così anche ordinanza allegata alla sentenza n. 144 del 2024).

4.2.2.- Ebbene, le associazioni intervenienti non sono titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che ne legittimi l'intervento, atteso che esse non sono titolari di una posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata immediatamente e irrimediabilmente dall'esito del giudizio incidentale. Per converso, esse vantano un interesse solo indiretto rispetto all'oggetto del giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, essendo tale interesse correlato, in generale, agli scopi statutari delle due associazioni, che assistono i professionisti dediti al patrocinio nelle procedure di riconoscimento e di conseguimento della cittadinanza italiana.

Per le ragioni esposte, gli interventi di AUCI e AGIS sono inammissibili.

5.- Si sono, invece, legittimamente costituite numerose parti ricorrenti nei giudizi a quibus, che hanno eccepito l'inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni sollevate.

Alcune di esse hanno rilevato come - nella pendenza del presente giudizio - sia stato introdotto il d.l. n. 36 del 2025, come convertito, che ha innovato la disciplina censurata in maniera tutt'altro che marginale.

Nello specifico, le parti costituite con atto depositato in data 20 maggio 2025 hanno ritenuto che il citato decreto-legge sia applicabile al presente giudizio, mentre quelle che si sono costituite con atto depositato in data 16 maggio 2025 lo hanno escluso. Inoltre, le prime hanno chiesto a questa Corte di rimettere dinanzi a se stessa questioni di legittimità costituzionale della nuova normativa.

6.- Si rende, allora, necessario esaminare, in via preliminare, i tratti della disciplina oggetto delle odierne questioni e le modifiche a essa apportate dal citato decreto-legge.

6.1.- Il censurato art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, stabilisce che «[è] cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini».

Il criterio enunciato associa automaticamente il meccanismo acquisitivo della cittadinanza allo status filiationis.

Questo trova conferma nei successivi artt. 2, 3 e 14 della legge n. 91 del 1992, che, rispettivamente, collegano l'acquisizione dello status civitatis al riconoscimento del figlio o all'adozione o alla sussistenza di un vincolo di filiazione che preesista all'acquisto o al riacquisto della cittadinanza da parte dell'ascendente.

Tale disciplina riprende quanto già previsto, seppure in un contesto ancora impermeabile al principio di eguaglianza fra uomini e donne, dalla legge n. 555 del 1912 (che, all'art. 1, primo comma, considerava «cittadino per nascita: 1° il figlio di padre cittadino») e, prima ancora, dal codice civile del 1865, che, all'art. 4 del Libro primo, Titolo I, riteneva «cittadino il figlio di padre cittadino», recependo, a sua volta, il modello del Code Napoléon del 1804, ai sensi del quale «[t]out enfant né d'un Français dans un pays étranger est Français» (art. 10 del Libro primo, Titolo I).

Rimosso il fattore discriminatorio dall'art. 1, primo comma, della legge n. 555 del 1912, grazie alla sentenza n. 30 del 1983 di questa Corte, la regola dell'acquisizione della cittadinanza attraverso il vincolo di filiazione è transitata, inizialmente, nel primo comma dell'art. 5 della legge n. 123 del 1983, il quale, al secondo comma, prevedeva, altresì, che il figlio con doppia cittadinanza, divenuto maggiorenne, avesse l'onere di optare per una sola cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età.

Di seguito, la legge n. 91 del 1992, per un verso, ha abrogato la legge n. 123 del 1983, senza riprodurre il contenuto precettivo del citato art. 5, secondo comma.

Per un altro verso, con la disposizione oggi censurata, ha confermato l'automatica correlazione fra status civitatis e status filiationis.

6.2.- In sintonia con i tratti propri del presupposto costitutivo della cittadinanza, ovverossia lo stato di figlio, la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità hanno qualificato la natura di tale modo di acquisto della cittadinanza come a titolo «originario» (la citata sentenza n. 30 del 1983, nonché Cass., sent. n. 25317 e n. 25318 del 2022).

Contestualmente, il diritto vivente ha sottolineato che lo status civitatis fondato sul vincolo di filiazione ha carattere «permanente ed è imprescrittibile [e] giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano» (le citate Cass., sent. n. 25317 e n. 25318 del 2022).

6.3.- A fronte del richiamato assetto normativo, è intervenuto, nella pendenza del presente giudizio, il d.l. n. 36 del 2025, come convertito, che ha inciso sull'automatica correlazione fra cittadinanza e status filiationis, nel caso di soggetti nati all'estero e in possesso di altra cittadinanza.

In particolare, l'art. 1, comma 1, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito, ha aggiunto alla legge n. 91 del 1992 un nuovo art. 3-bis, il quale prevede che, «[i]n deroga agli articoli 1, 2, 3, 14 e 20 della presente legge, all'articolo 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123, agli articoli 1, 2, 7, 10, 12 e 19 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nonché agli articoli 4, 5, 7, 8 e 9 del codice civile approvato con r.d. n. 2358 del 1865, è considerato non avere mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all'estero anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo ed è in possesso di altra cittadinanza, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni».

Le lettere a), a-bis) e b) individuano - nella presentazione alle autorità competenti della domanda di accertamento della cittadinanza, corredata dalla necessaria documentazione e presentata «entro le 23:59, ora di Roma, [...] del 27 marzo 2025» - lo spartiacque che separa la persistente applicabilità della pregressa disciplina dall'operatività delle nuove condizioni richieste per l'acquisizione della cittadinanza iure sanguinis.

Queste ultime sono, in particolare, indicate dalle lettere c) e d), le quali stabiliscono che la cittadinanza italiana si acquista attraverso il vincolo di filiazione: se l'ascendente di primo o di secondo grado possiede, o possedeva al momento della morte, esclusivamente la cittadinanza italiana; oppure, se il genitore o il genitore adottivo è stato residente in Italia per almeno due anni continuativi successivamente all'acquisto della cittadinanza italiana e prima della data di nascita o di adozione del figlio.

Vengono poi stabilite, all'art. 1, commi 1-bis e 1-ter, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito (disposizioni che integrano l'art. 4 della legge n. 91 del 1992 con i commi 1-bis e 1-ter), varie condizioni cumulative per consentire al figlio minore di un genitore italiano, che non rientri nelle previsioni dell'art. 3-bis, di acquisire la cittadinanza. Nel caso, poi, di acquisto o riacquisto della cittadinanza da parte del genitore, la fattispecie acquisitiva dello status civitatis a favore del figlio minore richiede la residenza di quest'ultimo in Italia, legale e continuativa, protratta per due anni o, qualora il figlio abbia meno di due anni, a partire dalla nascita (art. 1, comma 1-quater, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito, che integra l'art. 14, comma 1, della legge n. 91 del 1992).

Infine, vengono estese al discendente del cittadino italiano le norme che operano per il discendente di chi ha perso la cittadinanza italiana (art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito, che estende il raggio operativo dell'art. 4, comma 1, della legge n. 91 del 1992; nonché art. 1-bis, comma 2, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito, che integra l'art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992).

7.- Stante tale quadro normativo di riferimento, la nuova disciplina, al di là delle assonanze rispetto a quanto prospettato nelle ordinanze di rimessione, non si riverbera sulla rilevanza delle questioni sollevate dalle stesse.

Tutte le controversie oggetto dei giudizi principali sono state, infatti, introdotte sulla base di domande giudiziali presentate prima del 27 marzo 2025, sicché - ai sensi dell'art. 3-bis, comma 1, lettera b), della legge n. 91 del 1992, introdotto con l'art. 1, comma 1, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito - resta applicabile ai giudizi a quibus la pregressa disciplina, cui si riferiscono le odierne censure.

Non sussistono, dunque, i presupposti per restituire gli atti ai rimettenti.

8.- Parimenti, non ricorrono le condizioni in presenza delle quali questa Corte può rimettere dinanzi a sé stessa questioni di legittimità costituzionale.

La nuova disciplina non deve essere applicata nel giudizio costituzionale (ordinanza n. 73 del 1965 e, da ultimo, ordinanza n. 35 del 2024), né sussiste un «rapporto di presupposizione» fra la stessa e quella dedotta dal giudice a quo, tale per cui l'intervento solo su quest'ultima non consentirebbe comunque di rimuovere il vulnus (ordinanze n. 94 del 2022 e n. 18 del 2021). Parimenti, non si rinvengono i presupposti della particolare urgenza (ordinanza n. 73 del 1965) o l'esigenza di evitare che «la Corte - che è il solo organo competente a decidere delle questioni di costituzionalità delle leggi - sia tenuta ad applicare leggi incostituzionali» (ordinanza n. 22 del 1960 e, da ultimo, ordinanza n. 35 del 2024).

9.- Tanto premesso, si può procedere all'esame delle molteplici eccezioni di rito sollevate dalle parti, a partire da quelle che questa Corte reputa ictu oculi non fondate.

9.1.- Sono tali, anzitutto, le eccezioni di inammissibilità che ritengono non correttamente assolto l'onere di motivare la non manifesta infondatezza, in quanto le ordinanze si porrebbero in contrasto con l'orientamento di questa Corte, della Corte di cassazione, nonché degli stessi Tribunali rimettenti, che, ad avviso delle parti, avrebbero asserito e confermato la «legittimità costituzionale» della disciplina contestata negli atti introduttivi.

Occorre, anzitutto, rilevare che questa Corte, a oggi, non è mai stata investita dei dubbi di legittimità costituzionale che vengono in rilievo nelle odierne questioni. Ha avuto occasione, infatti, di pronunciarsi su tutt'altre censure riguardanti la medesima disposizione. In particolare, si è occupata della mancanza di una norma che consentisse l'acquisto della cittadinanza anche per linea materna (sentenza n. 30 del 1983), ma non della mancanza di una norma che limitasse il meccanismo acquisitivo iure sanguinis per persone nate all'estero, ivi residenti e con la cittadinanza di un altro Stato.

In ogni caso, è doveroso, soprattutto, rammentare che questa Corte - diversamente da quanto prospettato dalle parti - giudica l'eventuale illegittimità costituzionale delle norme; pertanto, anche quando si pronuncia per la non fondatezza di una questione, non accerta la conformità a Costituzione della norma censurata, ma si limita a escludere la sussistenza dello specifico vulnus lamentato.

9.2.- Palesemente non fondata è anche l'eccezione che lamenta il mancato esperimento del tentativo di interpretazione conforme alla Costituzione, opposta nei confronti dell'ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano, che ha esplicitamente escluso il possibile superamento in via interpretativa dei dubbi di legittimità costituzionale posti dalla norma censurata.

La medesima eccezione, sollevata anche con riguardo alle ordinanze degli altri rimettenti, non è parimenti fondata.

È, infatti, di evidenza palmare che i giudici a quibus, nel richiedere un intervento additivo e manipolativo dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, abbiano implicitamente ritenuto che il suo dato testuale non potesse ricomprendere le complesse e molteplici aggiunte dagli stessi prospettate.

Il giudice non ha l'onere di esplicitare quanto già traspare, in maniera lampante, dal profilo letterale della disposizione.

Questa Corte ha più volte ribadito, specie di recente, che il dato testuale configura un limite invalicabile in presenza del quale il tentativo di interpretazione conforme cede il passo necessariamente al sindacato di legittimità costituzionale (tra le tante, sentenze n. 88 del 2025, n. 44 del 2024, n. 193 del 2022 e n. 221 del 2019).

10.- Proseguendo, ora, secondo l'ordine logico delle eccezioni, vengono, di seguito, all'esame quelle attinenti al difetto di rilevanza.

10.1.- Non fondata, anzitutto, è l'eccezione di irrilevanza delle questioni, sollevata da alcune parti, sul presupposto che i giudici rimettenti di Bologna, di Roma e di Firenze abbiano censurato solo l'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992 e non anche le precedenti leggi, che regolavano l'acquisizione della cittadinanza iure sanguinis in capo agli ascendenti (la legge n. 123 del 1983, la legge n. 555 del 1912, sino a risalire al codice civile del 1865); e questo, benché alcuni ricorrenti fossero nati prima dell'entrata in vigore della legge n. 91 del 1992.

Simile eccezione è destituita di fondamento, in quanto la cittadinanza italiana, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992 spetta a chi è figlio di cittadino o di cittadina italiani, senza che a ciò sia ostativa un'eventuale diversa regola vigente al momento in cui sorge il vincolo di filiazione.

La nascita, infatti, rappresenta il presupposto acquisitivo dello status filiationis (al pari del riconoscimento e dell'adozione), ma è lo stato di figlio, in quanto tale, che costituisce il titolo acquisitivo dello status civitatis.

10.2.- All'inverso, occorre rilevare d'ufficio l'inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle questioni che il Tribunale di Milano solleva sull'intera catena normativa sopra richiamata e, precisamente, sull'art. 4 del codice civile del 1865 e sull'art. 1 della legge n. 555 del 1912.

Oggetto dei giudizi principali, infatti, non sono le leggi attributive della cittadinanza italiana in capo agli ascendenti degli attuali ricorrenti, che al più - e in via meramente eventuale - possono essere evocate a sostegno della prova della cittadinanza italiana del genitore di chi chiede l'accertamento del proprio status.

Di contro, la disciplina oggetto dei giudizi principali è quella che regola l'acquisizione della cittadinanza italiana dei ricorrenti; e questi, in virtù dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, sono cittadini italiani, in quanto figli di italiani, anche se nati prima del 1992.

10.3.- Quanto all'eccezione che contesta l'irrilevanza delle questioni per mancata dimostrazione, nei confronti dei ricorrenti, della carenza di legami effettivi con l'ordinamento italiano, essa dovrà essere esaminata unitamente a quella che denuncia il carattere manipolativo della previsione di detti legami (infra, punto 12 del Considerato in diritto).

11.- Occorre, invece, ora valutare l'eccezione di inammissibilità per essere la materia riservata alla discrezionalità del legislatore, fatta valere da tutte le difese delle parti.

In particolare, alcune di esse ritengono che questa Corte non possa «mettere in discussione quella che è stata e quella che è una scelta» del legislatore effettuata in materia di cittadinanza, frutto di una sua precisa valutazione «discrezionale».

Considerano, pertanto, l'eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale alla stregua di una «violazione dell'articolo 70 Cost. in relazione al detentore della funzione legislativa, dell'articolo 71 Cost. in relazione ai soggetti titolari di iniziativa legislativa e dell'articolo 134 Cost. in relazione alle funzioni di questa Ecc.ma Corte Costituzionale».

L'eccezione - nei termini sopra prospettati - non è fondata.

11.1.- Questa Corte riconosce «che il legislatore god[e] di ampia discrezionalità nella disciplina dell'attribuzione della cittadinanza» (sentenza n. 25 del 2025). Nondimeno, le norme dettate in materia, non diversamente da altre discipline connotate da elevata discrezionalità, «non si sottraggono per questo al giudizio di costituzionalità, in quanto devono pur sempre essere compiute secondo canoni di non manifesta irragionevolezza e di proporzionalità rispetto alle finalità perseguite (tra le altre, sentenze n. 88 del 2023, n. 194 del 2019, n. 202 del 2013 e n. 245 del 2011)» (sentenza n. 25 del 2025 e, in senso analogo, sentenza n. 195 del 2022).

In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha escluso che un criterio fondativo della cittadinanza possa essere connotato in termini discriminatori (così la già citata sentenza n. 30 del 1983, che ha ravvisato una violazione dell'art. 3 Cost., nella disciplina che prevedeva «l'acquisto originario soltanto della cittadinanza del padre», senza contemplare il medesimo acquisto a titolo originario anche in caso di cittadinanza italiana della madre). Di seguito, questa Corte ha ritenuto manifestamente irragionevoli e sproporzionate, nel loro applicarsi a persone affette da infermità o da menomazione di natura fisica o psichica, norme attributive della cittadinanza che richiedevano la dimostrazione di conoscenze o il compimento di atti nei loro confronti non esigibili (sentenze n. 25 del 2025 e n. 258 del 2017). E ancora, ha dichiarato costituzionalmente illegittima una norma che irragionevolmente includeva, nel novero delle cause ostative al riconoscimento della cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento (sentenza n. 195 del 2022).

11.2.- Non sfugge, invero, a questa Corte la peculiarità della censura sollevata in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 3 Cost., che contesta il mancato rispetto della nozione di popolo quale sarebbe riflessa nelle norme che la Costituzione dedica alla cittadinanza.

Occorre, invero, a riguardo sottolineare che la Costituzione non dà una definizione di popolo e si limita a delineare tratti della cittadinanza, immersi nella complessità del testo costituzionale.

La Costituzione associa la cittadinanza primariamente alla partecipazione politica e ai diritti politici (Titolo IV della Parte prima della Costituzione).

Riferisce, poi, ai cittadini la titolarità di diritti e di doveri (fra i quali il dovere di difesa della Patria; quello di concorrere alle spese pubbliche e il dovere di fedeltà). Tale attribuzione di diritti e di doveri si colloca, nondimeno, nel contesto di una fonte - la Costituzione -, i cui principi fondamentali garantiscono a ciascuna persona i diritti inviolabili e lo stesso principio di eguaglianza (già sentenza n. 120 del 1967 e, negli stessi termini, da ultimo sentenza n. 53 del 2024) e le cui norme riferiscono taluni doveri di solidarietà anche a non cittadini (si consideri il dovere di concorrere alle spese pubbliche, che già il testo costituzionale, all'art. 53 Cost., ascrive a "tutti", o la facoltà di prestare il servizio civile nazionale, che questa Corte ha esteso agli stranieri, qualificando la prestazione del richiamato servizio «come adempimento di un dovere di solidarietà [e] come un'opportunità di integrazione e di formazione alla cittadinanza», in tal senso, sentenza n. 119 del 2015).

Ancora, la Costituzione richiama l'idea di cittadinanza quale appartenenza a una comunità che ha comuni radici culturali e linguistiche, ma, al contempo, disegna una comunità aperta al pluralismo e che tutela le minoranze. Infine, le norme costituzionali evocano una correlazione fra cittadinanza e territorio dello Stato, in quanto luogo che riflette un comune humus culturale e la condivisione dei principi costituzionali.

Dinanzi al senso articolato e complesso dei riferimenti costituzionali alla cittadinanza, spetta, dunque, al legislatore, che vanta un margine di discrezionalità particolarmente ampio, individuare i presupposti per l'acquisizione dello status.

Nondimeno, compete a questa Corte accertare - al metro della non manifesta irragionevolezza e sproporzione - che le norme che regolano l'acquisizione dello status civitatis non facciano ricorso a criteri del tutto estranei ai principi costituzionali e a quei molteplici tratti, che - come sopra evidenziato - connotano la cittadinanza.

Resta ferma la possibilità per il legislatore di declinare in concreto anche i contenuti della cittadinanza, alla luce dei principi costituzionali.

11.3.- Quanto sopra rilevato, trova corrispondenza nell'approccio che la Corte di giustizia ha adottato con riguardo ai vincoli imposti in materia di cittadinanza dal diritto dell'Unione europea, e in specie dall'art. 9 TUE e dall'art. 20 TFUE.

In termini generali, la Corte di giustizia ha riconosciuto che «[l]a determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra, in conformità al diritto internazionale, nella competenza di ciascuno Stato membro» (Corte di giustizia, sentenza 7 luglio 1992, causa C-369/90, Micheletti e altri, punto 10).

Al contempo, tuttavia, la medesima Corte ha precisato che la competenza statale «deve essere esercitata nel rispetto del diritto dell'Unione» (Corte di giustizia, grande sezione, sentenze 29 aprile 2025, causa C-181/23, Commissione europea contro Repubblica di Malta, punti 42, 95 e 98; 5 settembre 2023, causa C-689/21, Udlændinge- og Integrationsministeriet, punto 30; 18 gennaio 2022, causa C-118/20, JY, punto 49; 2 marzo 2010, causa C-135/08, Rottmann, punto 45; e la citata sentenza Micheletti, punto 10).

In una prima fase, è così pervenuta a censurare discipline statali che determinavano la perdita dello status civitatis nei confronti di uno Stato membro e, di riflesso, nei confronti dell'Unione europea. In particolare, ha reputato che le norme sulla cittadinanza contenute nei Trattati fossero ostative a simili discipline, ove queste non consentissero, «in nessun momento, un esame individuale delle conseguenze determinate da tale perdita, per gli interessati, sotto il profilo del diritto dell'Unione» (Corte di giustizia, grande sezione, sentenza, 17 marzo 2019, causa C-221/17, Tjebbes e altri; in senso conforme, sentenza Udlændinge- og Integrationsministeriet, nonché, con riguardo a casi in cui si determinava la condizione di apolidia dell'interessato, le citate sentenze JY, punti 58, 59 e 73, e Rottmann, punto 55).

In una seconda fase, recentissima, la Corte di giustizia ha esteso il proprio sindacato anche alle norme attributive della cittadinanza, rilevando che «l'esercizio della competenza degli Stati membri in materia di definizione dei requisiti per la concessione della cittadinanza di uno Stato membro non è, alla stregua della loro competenza in materia di definizione delle condizioni di perdita della cittadinanza, illimitato» (la già citata sentenza Commissione europea contro Repubblica di Malta, punto 95).

In tale prospettiva, ha evidenziato che la cittadinanza europea si fonda «sui valori comuni contenuti nell'articolo 2 TUE e sulla fiducia reciproca che gli Stati membri si accordano quanto al fatto che nessuno di essi eserciti tale competenza in un modo che sia manifestamente incompatibile con la natura stessa della cittadinanza dell'Unione» (sentenza Commissione europea contro Repubblica di Malta, punto 95).

La Corte di giustizia ha poi aggiunto che i Trattati dell'Unione europea identificano il contenuto della cittadinanza europea: nella garanzia ai cittadini e ai loro familiari della libera circolazione, della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento interne; nella facoltà di godere dei diritti politici e nel diritto alla tutela delle autorità diplomatiche e consolari degli altri Stati membri, alle stesse condizioni dei cittadini di questi ultimi (ancora, sentenza Commissione europea contro Repubblica di Malta, punti 84-90).

Sulla base di tali premesse, la Corte di giustizia ha ritenuto che le norme statali in materia di cittadinanza non debbano essere esercitate «in un modo [da essere] manifestamente incompatibil[i] con la natura stessa della cittadinanza dell'Unione» (ancora, sentenza Commissione europea contro Repubblica di Malta, punto 95). In tal senso, è stato ritenuto in contrasto con il diritto dell'Unione «un programma di naturalizzazione» che concedeva la cittadinanza a seguito di pagamenti o investimenti effettuati nello Stato membro, in quanto «assimilabile a una commercializzazione della concessione dello status di cittadino di uno Stato membro e, per estensione, di quella dello status di cittadino dell'Unione» (sempre sentenza Commissione europea contro Repubblica di Malta, punto 100).

11.4.- Alla luce delle pregresse considerazioni non è, dunque, fondata l'eccezione sollevata dalle parti, in quanto vòlta a escludere, in radice, in ragione della discrezionalità del legislatore, l'ammissibilità di una censura che contesti l'estraneità di una disciplina sulla cittadinanza rispetto sia ai principi costituzionali sia alle norme del TUE e del TFUE, come interpretate dalla Corte di giustizia UE.

12.- Tuttavia, occorre, di seguito, rilevare che i rimettenti, nel sollevare le questioni in riferimento agli artt. 1, primo comma, e 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e non proporzionalità, nonché in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 9 TUE e all'art. 20 TFUE, non contestano che il vincolo di filiazione, quale presupposto acquisitivo della cittadinanza, sia in quanto tale privo di corrispondenza con i tratti identificativi dello status civitatis nel testo costituzionale, così come nelle fonti dell'Unione europea. Le censure non pongono in discussione l'idea secondo cui, in generale, l'appartenenza a una comunità familiare, che è parte della comunità statale, possa implicare l'appartenenza anche a quest'ultima; criterio sul quale, del resto, si fonda lo status civitatis della maggior parte dei cittadini italiani.

Viceversa, ciò di cui dubitano i giudici a quibus è che, in presenza di elementi di collegamento fra il richiedente l'accertamento della cittadinanza italiana e ordinamenti giuridici stranieri e in assenza di elementi di collegamento con l'ordinamento giuridico italiano in aggiunta allo ius sanguinis, il vincolo di filiazione possa risultare sufficiente alla funzione che è chiamato a svolgere quale fondamento della cittadinanza, in quanto la stessa comunità familiare, al verificarsi dei richiamati presupposti positivi e negativi, non sarebbe più in grado di trasmettere una appartenenza alla comunità statale.

12.1.- Ebbene, proprio rispetto a questo tipo di censura, le parti sollevano ulteriori, specifiche eccezioni di inammissibilità.

Anzitutto, obiettano che questa Corte non possa con un intervento manipolativo di sistema sostituirsi al legislatore nel decidere una pluralità di presupposti. Per un verso, dovrebbe stabilire gli elementi di collegamento con ordinamenti giuridici stranieri, in presenza dei quali si indebolirebbe irrimediabilmente la funzione propria dello ius sanguinis. Per un altro verso, dovrebbe indicare, in maniera combinata e sistematicamente correlata, i criteri di collegamento con l'ordinamento giuridico italiano in mancanza dei quali il vincolo di filiazione non potrebbe più svolgere la funzione sua propria di far acquisire la cittadinanza.

Simile eccezione fa corpo con quella che contesta il carattere generico delle censure, là dove alcuni rimettenti prospettano plurime soluzioni alternative, mentre altri neppure indicano in che modo dovrebbe sanarsi il ritenuto vulnus. A ciò si aggiunga che la genericità delle censure sarebbe tale da non farsi neppure carico - secondo le parti costituite in giudizio con l'atto depositato il 16 maggio 2024 - della diversità di situazioni sulle quali andrebbe a ricadere l'auspicato intervento di questa Corte.

Infine, alle richiamate eccezioni si collega quella che contesta l'irrilevanza delle censure, là dove i giudici a quibus avrebbero dato per assunto, senza fornire alcuna dimostrazione o possibilità di prova contraria, che i rimettenti non abbiano quegli altri legami con l'ordinamento italiano, che consentirebbero di evitare il vulnus.

12.2.- Le eccezioni sono fondate.

12.2.1.- Anche solo identificare profili di correlazione con l'ordinamento giuridico straniero, in presenza dei quali la funzione attributiva dello status civitatis propria dello status filiationis risulterebbe indebolita, implica la necessità di effettuare scelte discrezionali fra una molteplicità di possibili opzioni.

Non a caso, le ordinanze di rimessione si limitano genericamente a descrivere la situazione in cui si trovano i ricorrenti nei giudizi principali, che sono nati all'estero, sono cittadini di un altro Stato e sono ivi residenti.

Questa Corte dovrebbe allora decidere se dare rilievo alla nascita all'estero e se essa debba concorrere con entrambi gli altri presupposti o con uno solo di essi; dovrebbe poi valutare se considerare la residenza all'estero dell'ascendente o del discendente o di entrambi, e in quale momento; infine, dovrebbe ponderare il senso del riferimento alla doppia cittadinanza, che varia a seconda che riguardi il discendente o anche l'ascendente.

A ciò si aggiunga che intervenire su ciascuno di tali elementi comporta, non solo valutazioni discrezionali, ma anche rilevanti implicazioni di sistema.

12.2.2.- I caratteri propri di un intervento manipolativo e di sistema, qual è quello prospettato dai giudici a quibus, emergono poi con ulteriore evidenza, ove si consideri che questa Corte sarebbe chiamata a decidere, fra i tanti tratti identificativi della cittadinanza, quello o quelli idonei a dare sufficiente dimostrazione della circostanza che, nonostante la presenza di elementi di collegamento con l'ordinamento giuridico straniero, l'appartenenza al nucleo familiare continui a svolgere la sua funzione giustificativa di una appartenenza anche alla comunità statale.

Questa Corte dovrebbe allora sostituirsi al legislatore nel valutare se valorizzare il legame culturale e linguistico con la comunità statale, tenendo conto della condizione dei cittadini residenti all'estero, o, viceversa, prediligere un collegamento con il territorio.

Non a caso, le stesse prospettazioni dei giudici a quibus spaziano fra plurime e diverse soluzioni.

La genericità e il carattere manipolativo delle censure emergono vieppiù, ove si consideri che i rimettenti neppure si confrontano con la notevole varietà di ipotesi sulle quali l'intervento prospettato dai rimettenti andrebbe potenzialmente a incidere: su coloro che hanno già richiesto l'accertamento della cittadinanza; su coloro che non lo hanno ancora richiesto, ma vantano lo status filiationis; su coloro che acquisiranno tale status.

12.3.- In definitiva, quello che si richiede a questa Corte è un intervento manipolativo oltremodo complesso che potrebbe attingere a un ventaglio quanto mai ampio di opzioni, rispetto alle quali si impongono scelte intrise di discrezionalità e che hanno incisive ricadute a livello di sistema.

Per le ragioni esposte, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 9 TUE e all'art. 20 TFUE, sono inammissibili.

13.- Parimenti inammissibile, per mancata individuazione della norma internazionale interposta al parametro, è la questione di legittimità costituzionale che lamenta la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli obblighi internazionali.

I rimettenti non specificano quale sia la fonte del diritto internazionale lesa, dalla quale discenderebbe il mancato rispetto di obblighi internazionali.

Non sono evocate convenzioni internazionali, che direttamente o indirettamente riguardino la cittadinanza. Non è richiamata la fonte della consuetudine internazionale, che peraltro avrebbe dovuto suggerire una censura anche con riguardo all'art. 10 Cost. Non vi sono, infine, riferimenti ai principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili, che sono fonti del diritto internazionale ai sensi dell'art. 38 dello statuto della Corte internazionale di giustizia.

Per converso, i giudici a quibus si limitano a richiamare il caso Liechtenstein contro Guatemala (CIG, sentenza 6 aprile 1955), sovrapponendo, indebitamente, il piano dei criteri attributivi della cittadinanza con quello, nient'affatto equivalente, che attiene alla possibilità di far valere la cittadinanza nelle relazioni internazionali (solo a tali fini la citata pronuncia e la più recente CIG, sentenza 4 febbraio 2021, Qatar contro Emirati Arabi Uniti, presuppongono l'esistenza di un vincolo effettivo e di un legame genuino con l'ordinamento statuale).

Anche la censura sollevata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., relativamente agli obblighi internazionali è, pertanto, inammissibile.

14.- Sono, viceversa, ammissibili le questioni sollevate rispettivamente dal Tribunale di Roma e da quello di Milano, in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento.

I giudici a quibus, infatti, pur avendo operato taluni confronti generici fra la norma censurata, nella sua applicabilità alla situazione in cui si trovano i rimettenti, e varie discipline attributive della cittadinanza, hanno poi identificato, con sufficiente determinatezza, due precisi tertia comparationis.

14.1.- In particolare, il rimettente capitolino ritiene che l'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, in quanto applicabile a persone nate, residenti all'estero e con la cittadinanza del Paese straniero, comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto all'art. 4, comma 1, della medesima legge, che, fra le varie norme con cui pone a raffronto quella oggetto dell'odierno giudizio, ritiene la «più appropriatamente confrontabile». In ambo i casi - secondo il giudice a quo - verrebbe, infatti, in considerazione una cittadinanza acquisita ipso iure sulla base della ricognizione dei requisiti occorrenti, che, dunque, si configurerebbe alla stregua di un diritto soggettivo e non di un interesse legittimo.

14.2.- Il Tribunale di Milano, a sua volta, dopo aver messo a confronto la norma censurata con varie previsioni attributive della cittadinanza, identifica, quale tertium comparationis, la disciplina che regola l'acquisizione della cittadinanza in capo al coniuge, richiedendo la dimostrazione di un livello intermedio di conoscenza della lingua italiana o, in alternativa, la sottoscrizione di un accordo di integrazione.

15.- Nel merito, le questioni non sono fondate.

Una censura di irragionevole disparità di trattamento impone a questa Corte, anzitutto, di verificare, alla luce della ratio della disciplina, l'omogeneità fra le situazioni posto a confronto. Secondo un costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, si è, infatti, in presenza di una violazione dell'art. 3 Cost. «qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili» (ex plurimis, sentenze n. 171 del 2022, n. 71 del 2021, n. 85 del 2020, n. 13 del 2018 e n. 71 del 2015).

15.1.- Tale sostanziale identità di situazioni difetta anzitutto nella censura mossa dal Tribunale di Roma.

L'art. 4, comma 1, della legge n. 91 del 1992 disciplina ipotesi di acquisto dello status civitatis da parte di stranieri che siano figli di persone che hanno perso la cittadinanza italiana. La norma censurata regola, invece, l'acquisto iure sanguinis della cittadinanza da parte di discendenti di persone che sono cittadini o cittadine italiani.

È, quindi, assorbente il rilievo concernente la mancanza di omogeneità fra le situazioni messe a confronto.

15.2.- Il presupposto dell'omogeneità fra le situazioni poste a raffronto è parimenti carente con riguardo alla censura sollevata dal Tribunale di Milano.

L'acquisto della cittadinanza per matrimonio con un cittadino o una cittadina italiani si fonda su un tipo di vincolo - quello costituito, per l'appunto, dal matrimonio - che non è sovrapponibile, neppure in considerazione della ratio legis della disciplina, con il vincolo di filiazione.

Anche tale censura non è, pertanto, fondata.

16.- In conclusione, sono inammissibili le censure mosse dal Tribunale di Milano rispetto all'art. 4 del codice civile del 1865 e rispetto all'art. 1 della legge n. 555 del 1912.

Parimenti, sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, sollevate in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e non proporzionalità, nonché in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, questi ultimi con riguardo all'art. 9 TUE e all'art. 20 TFUE.

Infine, sono non fondate le questioni di legittimità costituzionale della medesima norma sollevate in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibili gli interventi di AUCI - Avvocati uniti per la cittadinanza italiana e di AGIS - Associazione giuristi iure sanguinis, spiegati nel giudizio relativo all'ordinanza iscritta al n. 247 del registro ordinanze 2024;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4 del codice civile del 1865, approvato con regio decreto 25 giugno 1865, n. 2358, e dell'art. 1 della legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana), sollevate dal Tribunale ordinario di Milano, sezione dodicesima specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 3 della Costituzione, quest'ultimo sotto il duplice profilo sia della irragionevolezza e non proporzionalità sia della irragionevole disparità di trattamento, nonché in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., relativamente agli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, questi ultimi con riguardo all'art. 9 del Trattato sull'Unione europea e all'art. 20 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), sollevate dal Tribunale ordinario di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione cittadini UE, dal Tribunale ordinario di Milano, sezione dodicesima specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, dal Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, e dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 3 Cost., quest'ultimo sotto il profilo della irragionevolezza e non proporzionalità, con le ordinanze indicate in epigrafe; nonché le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione cittadini UE, dal Tribunale ordinario di Milano, sezione dodicesima specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, e dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, questi ultimi con riguardo all'art. 9 TUE e all'art. 20 TFUE, con le ordinanze indicate in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, dal Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, e dal Tribunale ordinario di Milano, sezione dodicesima specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, con le ordinanze indicate in epigrafe.

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