Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 21 luglio 2025, n. 6387

Presidente: Volpe - Estensore: Pascuzzi

1. Con il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio gli odierni appellati hanno chiesto l'annullamento:

- dell'intimazione di pagamento n. 122 2021 90022607 78/000 - Lotto di stampa n. 27980 del 12 novembre 2021 intestata all'Agenzia delle entrate - Riscossione competente per la provincia di Verona, con allegato "Modulo di pagamento" Pago PA, inviata al Sig. M. Giuseppe, in qualità di socio della M. Giuseppe & Giorgio società semplice (C.F.: 00903440238), cancellata dal Registro delle imprese il 28 gennaio 2021, a mezzo racc. a.r. ricevuta il 7 dicembre 2021, con la quale è stato richiesto, se non già effettuato, il pagamento - entro 5 giorni dal ricevimento - della somma di euro 48.907,05 - su "residuo" ruolo AGEA "ex D.L. 27/2019" - per "prelievi latte", "interessi", anche di mora, e "oneri di riscossione", in riferimento alla cartella AGEA n. 12220080040337653000 asseritamente notificata il 7 novembre 2008 ed inerente i prelievi latte imputati per il periodo 1999/00 e 2003/04;

- dell'intimazione di pagamento n. 122 2021 90022610 81/000 - Lotto di stampa n. 27985 del 12 novembre 2021 intestata all'Agenzia delle entrate - Riscossione competente per la provincia di Verona, con allegato "Modulo di pagamento" Pago PA, inviata al Sig. M. Giorgio, in qualità di socio della M. Giuseppe & Giorgio società semplice (C.F.: 00903440238), cancellata dal Registro delle imprese il 28 gennaio 2021, a mezzo racc. a.r. ricevuta il 7 dicembre 2021, con la quale è stato richiesto, se non già effettuato, il pagamento - entro 5 giorni dal ricevimento - della somma di euro 48.907,05 - su "residuo" ruolo AGEA "ex D.L. 27/2019" - per "prelievi latte", "interessi", anche di mora, e "oneri di riscossione", in riferimento alla cartella AGEA n. 12220080040337653000 asseritamente notificata il 7 novembre 2008 ed inerente i prelievi latte imputati per il periodo 1999/00 e 2003/04;

- di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguente, anche se non conosciuto al momento della notifica del ricorso, nella parte in cui detti atti, anche se non conosciuti, incidono nella sfera giuridica dei ricorrenti (e quindi anche della società agricola di cui facevano parte), compresi:

- l'atto di iscrizione a ruolo ed il ruolo posto a base della cartella di pagamento indicata nell'intimazione impugnata, e la cartella stessa, ossia la cartella AGEA n. 12220080040337653000;

- il "residuo ruolo" emesso da AGEA ai sensi del d.l. n. 27/2019, convertito con modificazioni dalla l. n. 44/2019 ed ai sensi del decreto del Ministero delle finanze del 22 gennaio 2020 posto a base delle intimazioni di pagamento sopra descritte.

1.1. I ricorrenti in primo grado chiedevano anche la condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento del danno consequenziale (domanda successivamente rinunciata nel giudizio di primo grado).

2. Nel giudizio di primo grado, l'intimata ADER si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, deducendone l'infondatezza nel merito. Non si è, invece, costituita in giudizio AGEA, benché ritualmente evocata in giudizio.

3. Con l'ordinanza n. 323/2022, il T.A.R. per il Veneto ha accolto l'istanza cautelare e, in via istruttoria, ha ordinato «agli Enti resistenti, ciascuno per quanto di competenza, di depositare in giudizio, entro 90 giorni prima della prossima fissanda udienza pubblica, la seguente documentazione, in formato intellegibile al Collegio:- la cartella di pagamento indicata negli atti di intimazione impugnati con la prova della relativa notificazione; - gli atti di accertamento/imputazione dei prelievi relativi e presupposti agli atti impugnati, regolarmente notificati a parte ricorrente (fornendone la relativa prova), le eventuali decisioni giudiziali relative ai singoli atti che abbiano definito le controversie instaurate avverso gli stessi, o l'indicazione e prova dei giudizi eventualmente tuttora pendenti; - ogni atto interruttivo della prescrizione trasmesso a parte ricorrente (fornendone la relativa prova) relativo ai crediti per i quali è causa».

4. Con sentenza n. 2960/2024 il T.A.R. per il Veneto ha accolto il ricorso.

4.1. Con riferimento alla campagna 1999/2000, il T.A.R. ha risolto la controversia alla luce della ragione "più liquida" correlata alla dedotta prescrizione del credito rivestendo detto profilo carattere assorbente, rispetto alle altre questioni sollevate da parte ricorrente. In particolare il primo giudice ha statuito che: «la mancata costituzione in giudizio di AGEA e la mancata produzione, da parte di entrambe le amministrazioni intimate, di ogni documentazione atta a dimostrare l'intervenuta notificazione al ricorrente di atti aventi efficacia interruttiva della prescrizione non può che determinare l'accoglimento del ricorso per tale profilo. Invero, dalla documentazione in atti non figurano, come già evidenziato, atti interruttivi della prescrizione compresi tra la data di notifica della cartella n. 12220080040337653000, avvenuta in data 7 novembre 2008, e la data di notifica delle impugnate intimazioni di pagamento, notificate ai ricorrenti in data 7 dicembre 2021. Poiché, pertanto, nel caso di specie né AGEA né ADER hanno prodotto la prova dell'intervenuta adozione (e notificazione) di alcun atto idoneo ad impedire il decorso del termine decennale, il credito vantato dalle amministrazioni intimate deve ritenersi prescritto, con conseguente accoglimento del ricorso».

4.2. Quanto, invece, alla campagna 2003/2004, il T.A.R., facendo anche in tal caso applicazione del "principio della ragione più liquida", ha ritenuto assorbenti i motivi di ricorso, correlati al fatto che il prelievo in questione è stato annullato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 265/2021 pubblicata il 7 gennaio 2021, nel giudizio R.G. n. 8012/2011. In particolare il T.A.R. ha statuito che: «L'imputazione di prelievo annullata dal Consiglio di Stato costituisce atto presupposto delle intimazioni di pagamento qui impugnate, le quali, in via derivata, devono, quindi, ritenersi affette dallo stesso vizio di violazione della disciplina unionale. Pertanto, in accoglimento delle censure di cui ai nn. I) e VII), le intimazioni di pagamento impugnate vanno, relativamente alla parte concernente la campagna 2003/2004 annullate, reiterando l'ordine ad AGEA contenuto nella richiamata sentenza del Consiglio di Stato di ricalcolare il dovuto».

5. Hanno proposto appello l'AGEA e l'ADER.

6. La causa è stata chiamata alla camera di consiglio del 17 luglio 2025, fissata per la discussione della domanda di sospensione dell'appellata sentenza: nell'occasione, previo avviso ai difensori, il Collegio l'ha trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 60 c.p.a., sussistendo tutte le condizioni per la definizione del giudizio con sentenza redatta in forma semplificata.

7. Il primo motivo di appello è rubricato: «Violazione dell'art. 2943 c.c., per non avere il T.A.R. preso in considerazione plurimi atti interruttivi della prescrizione, qui prodotti. Istanza di ammissione di prova documentale ai sensi dell'art. 104 c.p.a., ai fini della relativa prova».

Le appellanti sostengono che la sentenza del T.A.R. deve essere va riformata, nel merito, in ragione dell'esistenza di diversi atti interruttivi della prescrizione del credito relativo all'annata 1999/2000, di cui anzitutto alla comunicazione di prelievo (non impugnata) notificata il 30 settembre 2000. Si sostiene che dopo il 7 novembre 2008, l'AGEA ha notificato ai produttori diverse intimazioni, ai sensi dell'art. 8-quinquies del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009, n. 33. La prescrizione decennale sarebbe stata dunque tempestivamente interrotta diverse volte entro il decennio successivo al novembre 2008 e prima della notifica delle intimazioni impugnate nel 2021.

7.1. Parte appellante chiede di poter produrre per la prima volta in appello detti atti interruttivi della prescrizione a norma dell'art. 104 c.p.a. visto che gli stessi rivestirebbero la caratteristica dell'indispensabilità ai fini della decisione.

8. Il motivo è infondato alla luce di quanto già statuito dalla Sezione (vedi C.d.S., Sez. VI, 3 febbraio 2025, n. 836).

8.1. Si deve premettere che la Sezione ha già avuto modo di affermare, in più di una occasione e proprio con riferimento a analoghi contenziosi, che «il potere del giudice di appello di acquisire d'ufficio o di ammettere nuove prove, che ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, di cui all'art. 104, comma 2, c.p.a., è da ritenere esercitabile non sempre e comunque, ma solo se le prove non potevano oggettivamente essere prodotte in primo grado: perché la parte non ne aveva la disponibilità, o perché l'esigenza istruttoria è sorta solo in appello. Solo se la lacuna istruttoria è imputabile ad un'omissione del giudice di primo grado, è ammissibile l'integrazione istruttoria in appello, ma non quando - come avvenuto nel caso di specie - è avvenuto esattamente il contrario: il giudice di primo grado aveva ordinato il deposito della prova, ma l'amministrazione pubblica ha ignorato completamente tale incombente istruttorio (in termini C.d.S., Sez. IV, n. 5560/2021)» (C.d.S., Sez. VI, 20 dicembre 2023, n. 11049; 30 gennaio 2024, n. 933, la quale ha anche precisato che «nessuna omissione è imputabile al T.A.R., essendo, invece, l'incompletezza istruttoria posta alla base della decisione ascrivibile in via esclusiva alla condotta dell'amministrazione, che non documenta alcun impedimento alla produzione spontanea della prova o all'adempimento dell'ordinanza istruttoria di primo grado»; 23 luglio 2024, n. 6611).

8.2. Merita richiamare, in particolare, il precedente di cui alla sentenza di questa Sezione n. 4492 del 21 maggio 2024, che ha ulteriormente precisato che «nella valutazione della indispensabilità della produzione documentale, non può prescindersi dalle concrete modalità di svolgimento del giudizio di prime cure, dovendosi all'uopo distinguere tra l'ipotesi in cui il giudice abbia omesso l'attivazione dei propri poteri istruttori officiosi ex artt. 63, comma 1, e 64, comma 4, c.p.a. da quello in cui lo stesso abbia esercitato tali prerogative ordinando la produzione di documenti ma detto ordine sia rimasto in tutto o solo in parte (come nel caso di specie) inadempiuto dalla parte interessata. Nella seconda ipotesi, infatti, si è dinanzi ad una lacuna istruttoria non imputabile al giudice di primo grado non potendosi a questi contestare, sub specie di error in procedendo, l'omessa attivazione dei poteri di integrazione probatoria (i quali hanno, almeno nel giudizio amministrativo di legittimità a carattere impugnatorio, carattere di tendenziale doverosità). Per contro, ove si ammettesse indiscriminatamente l'integrazione istruttoria in appello si finirebbe con lo stravolgere i connotati propri del processo di secondo grado, per come tratteggiati nell'insegnamento della Adunanza plenaria di questo Consiglio (C.d.S., Ad. plen., 30 luglio 2018, nn. 10 e 11). Se è vero che quest'ultimo si atteggia a revisio prioris i[n]stantiae in cui la sentenza di appello si esprime direttamente sull'esito da attribuire alla causa sostituendo, in tutto o in parte, la sentenza di primo grado e ponendosi come nuova decisione idonea a passare in giudicato ciò ha luogo, in applicazione del principio dell'effetto devolutivo, solo nei limiti delle censure dedotte. Sicché anche l'"indispensabilità" della produzione documentale ex art. 104, comma 2, c.p.a. va necessariamente apprezzata dal Collegio in tale peculiare prospettiva. Ciò con l'evidente corollario che, quanto alla posizione specifica di parte appellante (in via principale ovvero incidentale), la nuova produzione documentale in grado di appello deve apparire necessaria a sorreggere una specifica doglianza rivolta nei confronti della sentenza. Viceversa, non può ritenersi "indispensabile", nella prospettiva del giudizio di appello, una produzione documentale che non sia funzionale a evidenziare un errore o un'omissione (in procedendo o in iudicando) del giudice di prime cure ma solo a sopperire ad una mancanza della difesa di parte nel corso del giudizio di primo grado (così C.d.S., Sez. IV, 27 luglio 2021, n. 5560 secondo cui l'integrazione istruttoria in appello è ammessa solo "se la lacuna istruttoria è imputabile ad un'omissione del giudice di primo grado"). Ciò vale a fortiori ove, come nel caso che occupa, il giudice di prime cure abbia reso una statuizione specifica in ordine alla valutazione dell'insufficienza e incompletezza del materiale probatorio acquisito in primo grado (osservando, in particolare, nella sentenza impugnata, che i documenti esibiti in primo grado "non forniscono alcuna prova del fatto che, successivamente alla quantificazione del debito dovuto a titolo di prelievo supplementare sulla produzione del latte e alla richiesta di pagamento di tale importo, siano intervenuti atti interruttivi della dedotta prescrizione del credito"). Infatti, in tal caso parte appellante ha l'onere di muovere nell'atto di gravame una specifica censura avverso tale punto della sentenza non potendosi limitare solo a produrre la documentazione e ad allegarne pertinenza e decisività rispetto al thema probandum (così C.d.S., Sez. VI, 20 dicembre 2023, n. 11049). E ciò denunciando, in particolare, eventuali errori commessi dal T.A.R. con riguardo alle modalità di acquisizione o valutazione della prova medesima ovvero giustificando l'omessa produzione dei documenti».

8.3. Nel caso in esame si constata che la statuizione del T.A.R. si fonda sul rilievo che «Invero, dalla documentazione in atti non figurano, come già evidenziato, atti interruttivi della prescrizione compresi tra la data di notifica della cartella n. 12220080040337653000, avvenuta in data 7 novembre 2008, e la data di notifica delle impugnate intimazioni di pagamento, notificate ai ricorrenti in data 7 dicembre 2021. Poiché, pertanto, nel caso di specie né AGEA né ADER hanno prodotto la prova dell'intervenuta adozione (e notificazione) di alcun atto idoneo ad impedire il decorso del termine decennale, il credito vantato dalle amministrazioni intimate deve ritenersi prescritto, con conseguente accoglimento del ricorso».

8.4. Tali statuizioni non sono state di per sé contestate dalle appellanti, che nell'atto d'appello non sostengono che il T.A.R. sia incorso in errore per non aver rilevato o per non aver correttamente valutato documentazione già prodotta in primo grado; le appellanti, anzi, sostanzialmente ammettono la correttezza del ragionamento del primo giudice, deducendo l'esistenza di vari atti interruttivi della prescrizione che però producono solo in appello, senza neppure tentare di giustificare l'omessa produzione di tale prova in primo grado e, soprattutto, l'omessa ottemperanza all'ordine istruttorio del primo giudice. Da questo punto di vista la nuova documentazione, prodotta dalle Amministrazioni solo nel presente giudizio d'appello, non risulta funzionale a sorreggere una specifica critica all'impugnata decisione, essendo all'evidenza strumentale a sopperire ad una mancanza della difesa di parte nel corso del giudizio di primo grado.

8.5. In base alle considerazioni che precedono la fattispecie in esame risulta sovrapponibile a quelle definite con i precedenti dianzi richiamati: sia in ragione del fatto che il giudice di primo grado ha attivato i propri poteri istruttori, che le Amministrazioni hanno ignorato; sia in ragione della mancanza di una specifica critica al ragionamento che ha consentito al T.A.R. di accertare la prescrizione del credito a causa della mancanza della prova dell'esistenza di atti interruttivi, tra la data della notifica della cartella presupposta (7 novembre 2008) e quella della notifica delle intimazioni impugnate (7 dicembre 2021).

8.6. Non avrebbe pregio sostenere che il primo giudice avrebbe potuto/dovuto reiterare i poteri istruttori: come già affermato nei summenzionati precedenti della Sezione, l'omessa produzione, nel corso del primo grado di giudizio, della documentazione necessaria ai fini del decidere è da ascrivere unicamente alle Amministrazioni, che avrebbero dovuto provvedervi spontaneamente (in ottemperanza a quanto previsto dall'art. 46, comma 2, c.p.a.) e che sono rimaste inerti dopo l'ordinanza istruttoria, con ciò violando anche il dovere di lealtà e probità che è imposto alle parti dal combinato disposto degli artt. 39 c.p.a. e 88 c.p.c.. Infine, il principio di economicità processuale - che si applica certamente anche al processo amministrativo in quanto declinazione del giusto processo, garantito dall'art. 2 c.p.a. - risulta ontologicamente incompatibile con il presunto onere/obbligo del giudice amministrativo di reiterazione dei propri poteri istruttori, in mancanza di una valida ragione giustificatrice.

8.7. Il Collegio non ravvisa, conclusivamente, alcuna ragione per disattendere i principi affermati nei precedenti richiamati, i quali conducono a ritenere inammissibile la documentazione prodotta dalle Amministrazioni appellanti solo nel grado d'appello.

9. Con il secondo motivo di appello si denuncia l'erroneità della sentenza per avere quantificato in cinque anni, invece che in dieci, il termine prescrizionale degli interessi dovuti nell'ambito dei prelievi c.d. "quote latte".

9.1. Il motivo è assorbito in ragione del rigetto del primo motivo di appello.

10. Per tutte le ragioni dianzi esposte l'appello va respinto.

11. Non si provvede sulle spese di lite stante la mancata costituzione in giudizio della parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe (R.G. n. 5269 del 2025), lo respinge.

Nulla spese.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Veneto, sez. IV, sent. n. 2960/2024.