Corte di giustizia dell'Unione Europea
Prima Sezione
Sentenza 11 settembre 2025
Presidente: Biltgen - Relatore: von Danwitz
«Rinvio pregiudiziale - Direttiva 2000/78/CE - Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - Articolo 2 - Discriminazione fondata sulla disabilità - Licenziamento di un lavoratore assente per malattia - Normativa nazionale che prevede lo stesso limite di numero di giorni di assenza per malattia per anno civile per tutti i lavoratori di un medesimo settore di attività - Articolo 5 - Soluzioni ragionevoli».
Nella causa C‑5/24 [Pauni] (*), avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Ravenna (Italia), con ordinanza del 4 gennaio 2024, pervenuta in cancelleria il 5 gennaio 2024, nel procedimento P.M. contro S. Snc.
[...]
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).
2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra P.M. e la S. Snc in merito al licenziamento di P.M. a causa del superamento del limite di 180 giorni di assenza per malattia per anno civile, previsto dalla normativa nazionale applicabile.
Contesto normativo
Diritto internazionale
3. L'articolo 27, paragrafo 1, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, conclusa a New York il 13 dicembre 2006 e approvata a nome della Comunità europea dalla decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009 (GU 2010, L 23, pag. 35) (in prosieguo: la «convenzione dell'ONU»), intitolato «Lavoro e occupazione», prevede quanto segue:
«Gli Stati parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, inclusivo e accessibile alle persone con disabilità. Gli Stati parti garantiscono e favoriscono l'esercizio del diritto al lavoro, anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l'impiego, prendendo appropriate iniziative, anche legislative, in particolare al fine di:
(...)
h) [f]avorire l'impiego di persone con disabilità nel settore privato attraverso politiche e misure adeguate che possono includere programmi di azione antidiscriminatoria, incentivi e altre misure;
i) [g]arantire che alle persone con disabilità siano forniti accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro;
(...)
k) [p]romuovere programmi di orientamento e riabilitazione professionale, di mantenimento del posto di lavoro e di reinserimento nel lavoro per le persone con disabilità».
Diritto dell'Unione
4. I considerando 17, 20 e 21 della direttiva 2000/78 affermano che:
«(17) La presente direttiva non prescrive l'assunzione, la promozione o il mantenimento dell'occupazione né prevede la formazione di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando l'obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili.
(...)
(20) È opportuno prevedere misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell'handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento.
(21) Per determinare se le misure in questione danno luogo a oneri finanziari sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell'organizzazione o dell'impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni».
5. Ai sensi del suo articolo 1, tale direttiva «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».
6. L'articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Nozione di discriminazione», ai paragrafi 1 e 2 così prevede:
«(1) Ai fini della presente direttiva, per "principio della parità di trattamento" si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all'articolo 1.
2. Ai fini del paragrafo 1:
a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:
i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che
ii) nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all'articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi».
7. L'articolo 3 della medesima direttiva, rubricato «Campo d'applicazione», al paragrafo 1 dispone quanto segue:
«Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva, si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
a) alle condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;
(...)
c) all'occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;
(...)».
8. L'articolo 5 della direttiva 2000/78, rubricato «Soluzioni ragionevoli per i disabili», così dispone:
«Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l'onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili».
Diritto italiano
CCNL
9. Il Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) per i dipendenti da aziende del settore turismo - Confcommercio - del 20 febbraio 2010 (in prosieguo: il «CCNL»), prevede all'articolo 173, intitolato «Conservazione del posto»:
«1. In caso di malattia accertata o di infortunio il personale che non sia in periodo di prova o di preavviso ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di 180 giorni per anno, intendendosi per tale il periodo compreso tra il 1º gennaio e il 31 dicembre.
2. Ove il lavoratore si ammali o si infortuni più volte nel corso dell'anno i relativi periodi di assenza sono cumulabili agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di cui al precedente comma.
3. Per il personale assunto a termine, la conservazione del posto è comunque limitata al solo periodo di stagione o di ingaggio.
4. Qualora allo scadere del periodo per il quale è obbligatoria la conservazione del posto, il personale non possa riprendere servizio per il protrarsi della malattia, il rapporto di lavoro si intenderà risolto con diritto all'intero trattamento di fine rapporto ed a quanto altro dovuto, esclusa l'indennità sostitutiva di preavviso».
10. Ai sensi dell'articolo 174 del CCNL, rubricato «Aspettativa generica»:
«1. Nei confronti dei lavoratori ammalati e infortunati sul lavoro la conservazione del posto, fissata nel periodo massimo di 180 giorni dall'articolo 173 del presente Contratto, sarà prolungata, a richiesta del lavoratore, per un ulteriore periodo non superiore a centoventi giorni, alle seguenti condizioni:
a) che non si tratti di malattie croniche e/o psichiche, fatto salvo quanto disposto al successivo articolo 175 (malattie oncologiche);
b) che siano esibiti dal lavoratore regolari certificati medici o di degenza ospedaliera;
c) che la richiesta del periodo eccedente i 180 giorni sia fatta dal lavoratore come "aspettativa generica" senza retribuzione e senza diritto a maturazione di alcun istituto contrattuale;
d) che il lavoratore non abbia già fruito dell'aspettativa in precedenza.
2. I lavoratori che intendano beneficiare del periodo di aspettativa di cui al precedente comma dovranno far pervenire all'azienda richiesta a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, prima della scadenza del centottantesimo giorno di assenza per malattia o infortunio e firmare espressa dichiarazione di accettazione delle suddette condizioni.
3. Al termine del periodo di aspettativa il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento ai sensi del precedente articolo 173; il periodo stesso è considerato utile ai fini dell'anzianità di servizio in caso di prosecuzione del rapporto».
11. Conformemente all'articolo 175 del CCNL, intitolato «Malattie oncologiche»:
«1. Con riferimento ai malati con gravi patologie oncologiche accertate da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, il periodo di aspettativa generica di cui all'articolo 174 sarà prorogato anche se eccedente i 120 giorni.
2. Gli interessati dovranno far pervenire all'azienda, prima della scadenza del centoventesimo giorno di aspettativa generica, l'ulteriore certificazione medica a comprova dello stato di salute e della inidoneità alla ripresa del lavoro, contenente i giorni di proroga concessi dal medico curante o dalla struttura ospedaliera».
Legge n. 300
12. L'articolo 5 della legge n. 300 - Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, del 20 maggio 1970 (GURI n. 131, del 27 maggio 1970) (in prosieguo: la «legge n. 300»), così dispone:
«Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.
Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.
(...)».
Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
13. L'impresa S., che occupa in media nove dipendenti, opera nel settore della ristorazione. P.M. è stata assunta da tale impresa con contratto di lavoro a tempo determinato in qualità di commis di sala/cucina a partire dal 1° settembre 2021. Il suo contratto di lavoro a tempo determinato è stato trasformato in contratto di lavoro a tempo indeterminato a partire dal 1° gennaio 2022.
14. P.M. è stata assente per malattia, giustificata da certificati medici, dal 18 giugno 2022 al 19 dicembre 2022, data in cui il suo datore di lavoro l'ha licenziata, a seguito della scadenza del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro in caso di sospensione di un rapporto di lavoro dovuta a malattia, previsto all'articolo 173 del CCNL, corrispondente a 180 giorni nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022. Sebbene il primo certificato medico, relativo al periodo dal 18 giugno all'8 agosto e redatto in lingua tailandese, menzionasse il motivo dell'assenza, vale a dire un'emorragia subaracnoidea dovuta a una rottura di aneurisma, i certificati successivi, redatti da un medico generico italiano e attestanti l'incapacità di P.M. a lavorare fino all'8 gennaio 2023, non precisavano il motivo di assenza, cosicché il suo datore di lavoro non poteva esserne a conoscenza, conformemente all'articolo 5 della legge n. 300.
15. Durante tale assenza per malattia, il 4 novembre 2022 P.M. ha chiesto il riconoscimento amministrativo della sua disabilità, senza informarne il suo datore di lavoro. Dall'ordinanza di rinvio risulta che, in data 17 febbraio 2023, P.M. ha ottenuto lo status legale di persona disabile e che la sua malattia è proseguita diversi mesi dopo il suo licenziamento, cosicché una ripresa del lavoro sembrava improbabile.
16. Il 16 ottobre 2023 P.M. ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale ordinario di Ravenna (Italia), giudice del rinvio, facendo valere il carattere discriminatorio del suo licenziamento. Ella afferma, infatti, che l'articolo 173 del CCNL, che prevede un periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, non tiene conto della disabilità del lavoratore. Di conseguenza, ella chiede la reintegrazione nel suo posto di lavoro o, in mancanza, il versamento di quindici mensilità di retribuzione, e il risarcimento del danno in misura pari alle mensilità di retribuzione non corrisposte dalla data del licenziamento alla sentenza, oltre al pagamento dei contributi previdenziali omessi nel corso di tale periodo, nonché il versamento di un risarcimento di importo pari a EUR 10 000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale che deriverebbe dalla discriminazione fatta valere e il rimborso delle spese legali.
17. Il giudice del rinvio indica che, ai sensi del CCNL, un lavoratore assente per malattia ha il diritto di conservare il suo posto di lavoro per un periodo di 180 giorni all'anno, durante il quale è retribuito dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dal suo datore di lavoro, il quale si fa carico di circa due mensilità di stipendio. Al termine di tale periodo, detto lavoratore può chiedere, conformemente all'articolo 174 del CCNL, un'aspettativa supplementare unica e non retribuita di 120 giorni, salvo in caso di malattia cronica e/o psichica. In caso di malattia oncologica, il limite di 120 giorni può essere revocato ai sensi dell'articolo 175 del CCNL.
18. Alla luce del considerando 17 della direttiva 2000/78 e delle sentenze dell'11 aprile 2013, HK Danmark (C-335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222), nonché del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero (C‑270/16, EU:C:2018:17), il giudice del rinvio si chiede, in particolare, se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale possa dar luogo a una discriminazione indiretta, dal momento che prevede un medesimo trattamento applicabile a tutti i lavoratori assenti per malattia, siano essi disabili o meno. Il giudice del rinvio osserva tuttavia che tale normativa tutela tali lavoratori per un periodo molto lungo e sembra essere stata concepita, fin dall'inizio, per coprire le assenze legate a una disabilità. Pertanto, sussisterebbe un dubbio quanto al suo carattere discriminatorio.
19. Nei limiti in cui possa essere constatata una differenza di trattamento, il giudice del rinvio tende a considerare che la normativa di cui trattasi consentirebbe di tutelare, da un lato, il lavoratore assente per malattia, essendo quest'ultimo mantenuto nel suo impiego, con la sua retribuzione, per un semestre all'anno e, dall'altro, il datore di lavoro, il quale sarebbe autorizzato a porre fine a un rapporto di lavoro divenuto al contempo stabilmente e oggettivamente non redditizio, vale a dire dopo la scadenza di detto periodo di 180 giorni. Per quanto riguarda l'aspettativa ulteriore e non retribuita di 120 giorni, prevista all'articolo 174 del CCNL, il giudice del rinvio ritiene che essa sia potenzialmente discriminatoria, non essendo prevista per i lavoratori che soffrono di malattie croniche e/o psichiche, alla luce del loro carattere duraturo. Tuttavia, nel caso di specie, P.M. non avrebbe chiesto il beneficio di tale aspettativa ulteriore, cosicché il problema di sapere se tale articolo rappresenti una discriminazione non sarebbe rilevante ai fini della definizione della controversia principale.
20. Infine, il giudice del rinvio precisa che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale tutela anche la vita privata del lavoratore, il quale non sarebbe tenuto a rivelare al datore di lavoro né il suo stato di disabilità, né la diagnosi medica che giustifica la sua assenza per malattia. Il datore di lavoro che procedesse al licenziamento del lavoratore assente per malattia alla scadenza del periodo di 180 giorni retribuiti previsto all'articolo 173 del CCNL, aumentato, se del caso, di 120 giorni corrispondenti all'aspettativa ulteriore e non retribuita, agirebbe quindi senza essere, in linea di principio, a conoscenza del motivo dell'assenza per malattia o dell'eventuale esistenza della disabilità di tale lavoratore.
21. In tali circostanze, il Tribunale ordinario di Ravenna ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) [S]e la direttiva 2000/78 sia di ostacolo ad una normativa nazionale che, prevedendo il diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia per 180 giorni retribuiti, nel periodo dal [1º gennaio] al 31 [dicembre] di ciascun anno, oltre ad ulteriori 120 giorni di aspettativa non retribuita (fruibili questi [una] sola volta) su richiesta del lavoratore, non preveda una disciplina differente tra lavoratori qualificabili come disabili e lavoratori che non lo sono;
2) laddove la normativa nazionale [di cui trattasi nel procedimento principale] dovesse essere considerata astrattamente integrante una discriminazione indiretta, se la normativa stessa sia comunque oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;
3) se un accomodamento ragionevole idoneo e sufficiente ad evitare la discriminazione possa essere rappresentato dalla previsione di un'aspettativa non retribuita, a richiesta del lavoratore, successiva allo scadere dei 120 giorni di malattia ed idonea ad impedire il licenziamento sino alla sua scadenza;
4) se possa ritenersi ragionevole un accomodamento consistente nel dovere del datore di lavoro di concedere - alla scadenza del periodo di 180 giorni di malattia retribuita - un ulteriore periodo retribuito integralmente a suo carico, senza ottenere una controprestazione lavorativa;
5) se, al fine di valutare il comportamento discriminatorio del datore di lavoro, possa valutarsi (ai fini dello stabilire la legittimità o meno del licenziamento) la circostanza che anche [un eventuale] ulteriore periodo di stabilità del rapporto retribuita a carico del datore di lavoro non avrebbe consentito il rientro al lavoro del disabile, permanendo il suo stato di malattia».
22. Il giudice del rinvio ha chiesto altresì alla Corte di sottoporre la presente causa a procedimento accelerato ai sensi dell'articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. Con ordinanza del 9 aprile 2024, S. Snc (C‑5/24, EU:C:2024:315), il presidente della Corte ha deciso di respingere tale domanda.
23. In risposta a una domanda di chiarimenti della Corte, rivolta al giudice del rinvio in forza dell'articolo 101, paragrafo 1, del regolamento di procedura, quest'ultimo ha precisato che la terza questione conteneva un lapsus calami e avrebbe dovuto riguardare la scadenza del periodo di 180 giorni di assenza per malattia previsto all'articolo 173 del CCNL, al quale può aggiungersi, ai sensi dell'articolo 174 del CCNL, un periodo supplementare, non retribuito, di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulle questioni prima e seconda
24. Con la prima e la seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 2, paragrafo 2, e l'articolo 5 della direttiva 2000/78 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che conferisce a un lavoratore assente per malattia un diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito e rinnovabile di 180 giorni per anno civile, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta di tale lavoratore, un periodo non retribuito e non rinnovabile di 120 giorni, senza istituire un regime specifico per i lavoratori disabili.
25. Per quanto riguarda l'applicabilità della direttiva 2000/78, occorre ricordare, da un lato, che la nozione di «handicap», ai sensi di tale direttiva, deve essere intesa come concernente una limitazione della capacità, risultante, in particolare, da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 34 e giurisprudenza citata).
26. Dall'altro lato, secondo il suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c), detta direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene, in particolare, alle condizioni di licenziamento. A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, la nozione di «licenziamento» si riferisce, in particolare, alla cessazione unilaterale di qualsiasi attività menzionata all'articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della medesima direttiva. Tale nozione dev'essere interpretata pertanto nel senso che essa comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punti 35 e 36 nonché giurisprudenza citata)
27. Nel caso di specie, sebbene la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale sembri vertere sulle condizioni di licenziamento, ai sensi della direttiva 2000/78, spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se la malattia della ricorrente nel procedimento principale rientri effettivamente nella nozione di «handicap», alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 25 della presente sentenza.
28. A tal riguardo, occorre precisare che il fatto che la persona interessata sia riconosciuta come persona disabile, ai sensi del diritto nazionale, non comporta a priori che essa sia affetta da un handicap ai sensi della direttiva 2000/78 (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 32).
29. Ciò premesso, se una malattia, curabile o incurabile, comporta una limitazione della capacità della persona, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 25 della presente sentenza, e se tale limitazione è di lunga durata, una siffatta malattia può rientrare nella nozione di «handicap», ai sensi di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza dell'11 aprile 2013, HK Danmark, C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punto 41).
30. A tal proposito, il carattere duraturo della limitazione deve essere esaminato tenuto conto dello stato di incapacità, in quanto tale, dell'interessato allorché è stato adottato l'atto asseritamente discriminatorio nei confronti di quest'ultimo. Tra gli indizi che consentono di considerare duratura una limitazione della capacità figura in particolare la circostanza che, all'epoca del fatto asseritamente discriminatorio, l'incapacità dell'interessato non presentava una prospettiva ben delimitata di superamento nel breve periodo o il fatto che tale incapacità poteva protrarsi in modo rilevante prima della guarigione di tale persona (v., in tal senso, sentenza dell'11 settembre 2019, Nobel Plastiques Ibérica, C‑397/18, EU:C:2019:703, punti 44 e 45).
31. Pertanto, una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale può rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva 2000/78, alla luce della giurisprudenza ricordata ai punti da 28 a 30 della presente sentenza.
32. Al fine di rispondere alla prima e alla seconda questione, occorre ricordare, anzitutto, che la direttiva 2000/78 concretizza, nel settore da essa disciplinato, il principio generale di non discriminazione sancito dall'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), che vieta qualsiasi discriminazione fondata, in particolare, su una disabilità. Inoltre, ai sensi dell'articolo 26 della Carta, l'Unione europea riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 40 e giurisprudenza citata).
33. Occorre poi precisare che le disposizioni della Convenzione dell'ONU possono essere invocate al fine di interpretare quelle della direttiva 2000/78, di modo che quest'ultima deve essere oggetto, per quanto possibile, di un'interpretazione conforme a tale convenzione (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 41 e giurisprudenza citata).
34. In tale contesto, si deve rammentare che un trattamento sfavorevole basato sulla disabilità pregiudica la tutela prevista dalla direttiva 2000/78 unicamente nei limiti in cui costituisca una discriminazione ai sensi dell'articolo 2, della stessa. Infatti, il lavoratore disabile che rientri nella tutela offerta da detta direttiva deve essere protetto contro ogni discriminazione rispetto ad un lavoratore non disabile. Occorre quindi esaminare se una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale possa comportare una discriminazione nei confronti delle persone disabili (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 36 e giurisprudenza citata).
35. Ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78, sussiste una discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1 di tale direttiva, tra i quali figura l'handicap, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga.
36. Secondo una giurisprudenza costante, non è possibile ritenere che una disposizione o una prassi introducano una differenza di trattamento direttamente basata sulla disabilità, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 1 e dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della suddetta direttiva, ove esse si fondino su un criterio che non è inscindibilmente legato alla disabilità (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C‑16/19, EU:C:2021:64, punto 44 e giurisprudenza citata).
37. Nel caso di specie, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale si applica allo stesso modo a tutti i lavoratori, indipendentemente dal fatto che siano o meno disabili. Non si può considerare che una siffatta normativa instauri una differenza di trattamento basata direttamente sulla disabilità, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1 e 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.
38. Ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva sussiste una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari, o che, nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica detta direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all'articolo 5 della stessa direttiva, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi.
39. Inoltre, conformemente a tale articolo 5, per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli, il che significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Il suddetto articolo precisa che tale soluzione non è sproporzionata allorché l'onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro di cui trattasi a favore dei disabili.
40. Nel caso di specie, spetta, di conseguenza, al giudice del rinvio valutare se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale e, in particolare, l'articolo 173 del CCNL, che si applica uniformemente a tutti i lavoratori interessati senza tener conto di un'eventuale disabilità, possa comportare uno svantaggio particolare a danno dei lavoratori disabili.
41. A tale proposito, non discende né dall'espressione «particolare svantaggio», utilizzata all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, né da altre precisazioni contenute in tale articolo che il suddetto svantaggio sussisterebbe soltanto in presenza di un caso grave, manifesto e particolarmente rilevante di disuguaglianza. Tale nozione dev'essere intesa nel senso che sono precisamente le persone tutelate da tale direttiva, tra le quali figurano i lavoratori disabili, che si trovano svantaggiate a causa della disposizione, del criterio o della prassi di cui trattasi (v., per analogia, sentenze del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punti 99 e 100, nonché del 15 novembre 2018, Maniero, C‑457/17, EU:C:2018:912, punto 47 e giurisprudenza citata).
42. L'esistenza di un siffatto particolare svantaggio potrebbe quindi essere dimostrata, segnatamente, se fosse provato che detta disposizione, detto criterio o detta prassi colpiscono negativamente in proporzione significativamente maggiore i lavoratori disabili rispetto a coloro che non lo sono. Spetta al giudice del rinvio valutare se ciò avvenga nel procedimento principale [v., per analogia, sentenze del 24 febbraio 2022, TGSS (Disoccupazione dei collaboratori domestici), C‑389/20, EU:C:2022:120, punto 41 e giurisprudenza citata, nonché del 19 dicembre 2024, Loredas, C‑531/23, EU:C:2024:1050, punto 53].
43. Nel caso di specie, sembra che un lavoratore disabile sia, in linea di principio, più esposto al rischio di vedersi applicare l'articolo 173 del CCNL rispetto a un lavoratore non disabile. Infatti, rispetto a quest'ultimo, un lavoratore disabile è esposto a un rischio più elevato di ferirsi o, più in generale, di essere assente per problemi di salute, a causa della sua disabilità o di una malattia connessa alla sua disabilità. Pertanto, tale lavoratore corre un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza per malattia e, quindi, di raggiungere il limite dei 180 giorni retribuiti contemplato da tale articolo. Risulta quindi che la regola prevista dal suddetto articolo è idonea a svantaggiare i lavoratori disabili e, dunque, a comportare una differenza di trattamento indirettamente basata sull'handicap ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78 (v., per analogia, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 39).
44. In primo luogo, conformemente all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78, occorre verificare se la differenza di trattamento tra i lavoratori disabili e i lavoratori non disabili che può risultare dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima, se i mezzi attuati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e se essi non eccedano quanto necessario per conseguirla (sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 40).
45. Secondo una giurisprudenza costante, gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità non solo nella scelta di perseguire una determinata finalità in materia di politica sociale e di occupazione, ma altresì nella definizione delle misure atte a realizzarla (sentenze del 19 luglio 2017, Abercrombie & Fitch Italia, C‑143/16, EU:C:2017:566, punto 31, nonché del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 43 e giurisprudenza citata).
46. Nel caso di specie, come ha sostanzialmente rilevato l'avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, risulta dal considerando 17 della direttiva 2000/78 che quest'ultima non prescrive il mantenimento dell'occupazione di un individuo non più capace o non più disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando, tuttavia, l'obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili. In tale contesto, assicurarsi della capacità e della disponibilità dei lavoratori ad esercitare la loro attività professionale può costituire una finalità legittima di politica sociale.
47. Occorre tuttavia verificare, come menzionato al punto 44 della presente sentenza, se i mezzi attuati dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale per il conseguimento di tale finalità siano adeguati e non eccedano quanto necessario per conseguirla.
48. Quanto all'adeguatezza della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, occorre constatare che essa autorizza un datore di lavoro a porre fine ad un rapporto di lavoro divenuto non redditizio, tutelando al contempo i lavoratori assenti per malattia, compresi quelli in situazione di disabilità, mantenendoli nel posto di lavoro per un periodo massimo di 180 giorni all'anno, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta del lavoratore, un periodo, certamente non retribuito e non rinnovabile, di 120 giorni. Una siffatta normativa sembra, a tale titolo, essere appropriata al fine di conseguire la finalità legittima di cui al punto 46 della presente sentenza.
49. Quanto al carattere necessario di una siffatta normativa, occorre ricollocarla nel contesto in cui essa si inserisce e prendere in considerazione il danno che essa può causare alle persone interessate. Pertanto, spetta al giudice nazionale esaminare se si sia tenuto conto di elementi rilevanti che riguardano, in particolare, i lavoratori disabili (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punti 49 e 50).
50. Non deve, infatti, ignorarsi il rischio cui sono soggette le persone disabili, le quali, in generale, incontrano maggiori difficoltà rispetto ai lavoratori non disabili a reinserirsi nel mercato del lavoro ed hanno esigenze specifiche connesse alla tutela richiesta dalla loro condizione (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 51).
51. Infine, il giudice nazionale adito deve altresì verificare se l'ordinamento giuridico nazionale contenga disposizioni specifiche dirette a tutelare le persone disabili e che siano idonee a impedire e a compensare gli svantaggi derivanti dalla disabilità, compresa l'eventuale insorgenza di malattie legate alla disabilità (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 55).
52. Nel caso di specie, sebbene l'ordinanza di rinvio non menzioni disposizioni specifiche, nell'ordinamento giuridico nazionale, che mirerebbero a tutelare i lavoratori disabili e che sarebbero idonee a prevenire e a compensare gli svantaggi derivanti dalla disabilità, risulta tuttavia dalle indicazioni del giudice del rinvio, riassunte al punto 18 della presente sentenza, che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale sarebbe stata concepita, fin dall'inizio, per tutelare i lavoratori, in particolare, contro le assenze dovute a una disabilità. Sembra quindi che gli autori di tale normativa abbiano tenuto conto di elementi rilevanti che riguardano, in particolare, i lavoratori disabili, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 49 della presente sentenza, sebbene detta normativa non istituisca un regime specifico per tali lavoratori.
53. In ogni caso, spetta al giudice del rinvio verificare se i mezzi attuati dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non eccedano quanto necessario per conseguire la finalità legittima di cui al punto 46 della presente sentenza, tenendo conto, in particolare, del contesto in cui tale normativa si inserisce e delle disposizioni specifiche dirette a tutelare le persone disabili.
54. In secondo luogo, in forza dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), ii), della direttiva 2000/78, occorre esaminare se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale obblighi il datore di lavoro interessato ad attuare soluzioni ragionevoli, ai sensi dell'articolo 5 di tale direttiva.
55. Infatti, sebbene, come risulta dal considerando 17 della suddetta direttiva, quest'ultima non prescriva che una persona non più capace di svolgere le funzioni essenziali del lavoro in questione mantenga il proprio posto di lavoro, ciò non toglie che il datore di lavoro è tenuto a prevedere soluzioni ragionevoli per i disabili.
56. Per quanto riguarda tali soluzioni, dalla formulazione dell'articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce dei considerando 20 e 21 di quest'ultima, risulta che il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti appropriati, vale a dire provvedimenti efficaci e pratici, tenendo conto di ciascuna situazione individuale, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione senza imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 43 e giurisprudenza citata).
57. A tal riguardo, occorre rammentare che la Corte ha dichiarato che l'articolo 5 della direttiva 2000/78 osta a una normativa nazionale in conformità della quale il datore di lavoro può porre fine al contratto di lavoro a motivo dell'inidoneità permanente del lavoratore a svolgere i compiti a lui incombenti in forza di tale contratto, causata dal sopravvenire, nel corso del rapporto di lavoro, di una disabilità, senza che tale datore di lavoro debba prima prevedere o mantenere soluzioni ragionevoli al fine di consentire al lavoratore di conservare il suo posto di lavoro, né dimostrare, eventualmente, che siffatte soluzioni costituirebbero un onere sproporzionato (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 53).
58. Orbene, nel caso di specie, sembra che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non preveda espressamente per il datore di lavoro l'obbligo di attuare soluzioni ragionevoli prima di procedere al licenziamento di un lavoratore disabile che abbia raggiunto il limite di 180 giorni di assenza per malattia per anno civile previsto all'articolo 173 del CCNL.
59. È vero che, come risulta dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio, il datore di lavoro non può, in linea di principio, essere a conoscenza del motivo dell'assenza prolungata del lavoratore e non può quindi, in linea di principio, essere a conoscenza dell'esistenza della sua disabilità, a meno che il lavoratore non lo abbia informato di propria iniziativa.
60. Tuttavia, sembra che, anche supponendo che il lavoratore di cui trattasi abbia preso l'iniziativa di informare il suo datore di lavoro dell'esistenza della sua disabilità alla scadenza del periodo di 180 giorni previsto all'articolo 173 del CCNL, tale datore di lavoro sia autorizzato a procedere al licenziamento, senza essere obbligato a mettere in atto soluzioni ragionevoli o a dimostrare che queste ultime costituirebbero per lui un onere sproporzionato.
61. Se tale fosse la portata della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, una situazione siffatta sarebbe tale da pregiudicare l'effetto utile dell'articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce dell'articolo 27, paragrafo 1, della Convenzione dell'ONU, ai sensi del quale occorre garantire e favorire l'esercizio del diritto al lavoro anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l'impiego, nonché il mantenimento nel posto di lavoro. Inoltre, tale situazione pregiudicherebbe l'obiettivo di inserimento professionale delle persone con disabilità, enunciato all'articolo 26 della Carta (v., per analogia, sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 50).
62. Spetta tuttavia al giudice del rinvio valutare se ciò si verifichi alla luce di tutte le disposizioni nazionali pertinenti, comprese quelle che recepiscono l'articolo 5 della direttiva 2000/78.
63. Alla luce di tutti i suesposti motivi, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l'articolo 2, paragrafo 2, e l'articolo 5 della direttiva 2000/78 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che conferisce a un lavoratore assente per malattia un diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito e rinnovabile di 180 giorni per anno civile, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta di tale lavoratore, un periodo non retribuito e non rinnovabile di 120 giorni, senza istituire un regime specifico per i lavoratori disabili, a condizione che:
- tale normativa nazionale non ecceda quanto necessario per conseguire la finalità di politica sociale consistente nell'assicurarsi della capacità e della disponibilità del lavoratore ad esercitare la sua attività professionale; e che
- detta normativa nazionale non costituisca un ostacolo al pieno rispetto dei requisiti previsti da tale articolo 5.
Sulla terza questione
64. Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 5 della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che prevede, a favore di un lavoratore assente per malattia, ma indipendentemente dalla sua eventuale disabilità, un periodo non retribuito di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni, che si aggiunge a un periodo retribuito di conservazione del posto di lavoro di 180 giorni, costituisce una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
65. La formulazione di tale articolo 5 riguarda espressamente, alla sua seconda frase, i provvedimenti, adottati da un datore di lavoro, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione.
66. Nel caso di specie, occorre constatare, da un lato, che l'articolo 174 del CCNL costituisce parte integrante della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale e, dall'altro, che esso conferisce un diritto ai lavoratori assenti per malattia, senza prendere in considerazione una loro eventuale disabilità. Tale articolo non costituisce quindi un provvedimento adottato da un datore di lavoro a favore di una persona disabile e, alla luce della formulazione dell'articolo 5 di tale direttiva, non può quindi costituire una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
67. Di conseguenza, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l'articolo 5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che prevede, a favore di un lavoratore assente per malattia, ma indipendentemente dalla sua eventuale disabilità, un periodo non retribuito di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni, che si aggiunge a un periodo retribuito di conservazione del posto di lavoro di 180 giorni, non costituisce una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
Sulle questioni quarta e quinta
68. Con le sue questioni quarta e quinta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 5 della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che un periodo supplementare di aspettativa retribuita, che sia integralmente a carico del datore di lavoro e che si aggiunga ai periodi di conservazione del posto di lavoro previsti dal diritto nazionale, possa essere considerato una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
69. A tal riguardo, dalle indicazioni del giudice del rinvio risulta, da un lato, che la normativa nazionale di cui trattasi non prevede un periodo supplementare di assenza retribuita al di fuori di quello previsto all'articolo 173 del CCNL e, dall'altro, che il datore di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale non ha proposto alla ricorrente nel procedimento principale di beneficiare di un siffatto periodo supplementare di assenza retribuita poiché l'ha licenziata immediatamente al termine del periodo di 180 giorni di cui a tale articolo 173. Dall'ordinanza di rinvio non risulta neppure che la ricorrente nel procedimento principale abbia chiesto un siffatto periodo di assenza supplementare retribuita. Lo stesso giudice del rinvio riconosce del resto che si tratterebbe di una possibilità teorica. Di conseguenza, la quarta e la quinta questione sono ipotetiche e quindi irrilevanti ai fini della soluzione della controversia principale.
70. Orbene, secondo una giurisprudenza costante, la Corte può rifiutarsi di statuire su una questione sollevata da un giudice nazionale, in particolare qualora il problema sia di natura ipotetica. Infatti, la ragion d'essere del rinvio pregiudiziale non consiste nella formulazione di pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia (v., in tal senso, sentenze del 17 ottobre 2024, Karl und Georg Anwander Güterverwaltung, C‑239/23, EU:C:2024:888, punto 82, nonché del 3 aprile 2025, Swiftair, C‑701/23, EU:C:2025:237, punto 21 e giurisprudenza citata).
71. Ne consegue che la quarta e la quinta questione sono irricevibili.
Sulle spese
72. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M.
la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) L'articolo 2, paragrafo 2, e l'articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che conferisce a un lavoratore assente per malattia un diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito e rinnovabile di 180 giorni per anno civile, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta di tale lavoratore, un periodo non retribuito e non rinnovabile di 120 giorni, senza istituire un regime specifico per i lavoratori disabili, a condizione che:
- tale normativa nazionale non ecceda quanto necessario per conseguire la finalità di politica sociale consistente nell'assicurarsi della capacità e della disponibilità del lavoratore ad esercitare la sua attività professionale e che
- detta normativa nazionale non costituisca un ostacolo al pieno rispetto dei requisiti previsti da tale articolo 5.
2) L'articolo 5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che prevede, a favore di un lavoratore assente per malattia, ma indipendentemente dalla sua eventuale disabilità, un periodo non retribuito di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni, che si aggiunge a un periodo retribuito di conservazione del posto di lavoro di 180 giorni, non costituisce una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
Note
(*) Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.