Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 11 agosto 2025, n. 7008
Presidente: Corradino - Estensore: Bernardini
FATTO
1. La Prefettura di Napoli, dopo aver completato la procedura in esito all'istanza di emersione prodotta dalla datrice di lavoro, per rapporto di lavoro domestico a favore dell'odierno appellante, conclusasi con la sottoscrizione del previsto mod. 209, emetteva un provvedimento di revoca del modello citato e di respingimento dell'istanza per "attesa occupazione", avendo l'originaria datrice di lavoro presentato denuncia querela contro ignoti per disconoscere ogni altro rapporto di lavoro domestico, comunicando di aver presentato un'unica istanza riguardante altro lavoratore straniero.
1.1. Avverso la decisione l'interessato adiva il T.A.R., lamentando, tra l'altro, l'omessa notifica del prodromico e presupposto provvedimento prefettizio di revoca del mod. 209, nonché la violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990.
2. Il T.A.R., adito dall'interessato, respingeva il gravame, ritenendolo inammissibile, in quanto:
«L'assunto del ricorrente, circa la inidoneità della comunicazione indirizzata al consulente di lavoro a determinare la conoscenza ovvero la conoscibilità dell'atto, collide apertamente con lo stesso contegno serbato in sede procedimentale.
La deduzione in esame, indi, integra all'evidenza - in disparte ogni altra considerazione - una condotta processuale confliggente con la stessa condotta tenuta in sede procedimentale.
Ciò che depone financo per la inammissibilità della prospettazione, come che inverante in parte qua una ipotesi esemplare di venire contra factum proprium.
In questa ottica, l'agere processuale del ricorrente si appalesa contrastante con il canone della buona fede, che rileva non solo sul piano sostanziale e/o procedimentale, ma anche su quello processuale, allorquando le tesi giudiziali collidano, all'evidenza, con il comportamento tenuto dalla parte nella fase precedente del rapporto e/o del contatto, ovvero con le allegazioni che in punto di fatto sostengono lo stesso atto processuale.
Gli obblighi di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico si dispiegano con continuità anche nella fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes.
Di talché, le iniziative processuali, la meritevolezza e l'ammissibilità dell'interesse che le sostiene, vanno disvelate e poste in rilievo anche in forza dell'apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti, in sede procedimentale ovvero in altre e diverse sedi giurisdizionali...
Il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell'ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale.
Espressione dell'abusivo esercizio di un potere, anche processuale, quale è quello di dedurre motivi di gravame ovvero di formulare deduzioni ed eccezioni, è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium.
Orbene, dalla mancata, tempestiva, impugnazione dell'atto presupposto - portato nella sfera di conoscenza del ricorrente in guisa tutt'affatto aderente a quella espressamente indicata da esso ricorrente - discende, irrefragabile, la inammissibilità del gravame.
E ciò a cagione della inoppugnabilità della primigenia determinazione prefettizia, indefettibilmente condizionante il consequenziale diniego del Questore che su essa determinazione in definitiva solo riposa».
3. Con il gravame qui in scrutinio, l'appellante impugna la sentenza di primo grado, stigmatizzando tra l'altro che:
«L'eventuale notificazione all'indirizzo pec del consulente che si è occupato dell'inoltro della domanda, poteva, pertanto al più, avere validità ed efficacia nei confronti solo del datore di lavoro, il quale era l'unico legittimato all'inoltro dell'istanza e, dunque, l'unico a poter aver validamente fornito il recapito pec e/o a conferire delega e/o ad eleggere domicilio presso il professionista.
Non è, pertanto, condivisibile l'assunto secondo cui l'atto presupposto - revoca del mod. 209 - risulta per tabulas, è stato ritualmente comunicato a mezzo pec al consulente del lavoro dell'attuale ricorrente in guisa coerente alle indicazioni da questi fornite in quel procedimento non avendo mai quest'ultimo conferito alcuna delega né eletto domicilio presso nessuno, per la semplice ragione che non era lui a dovere e potere inoltrare la richiesta di emersione.
D'altronde, nessuna prova, nel corso del giudizio, è stata fornita dall'Amministrazione dell'esistenza di un uguale elezione di domicilio del lavoratore presso il consulente e il di lui domicilio digitale.
È evidente, pertanto, che sussisteva la denunciata omessa notifica del mod. 209 all'appellante di guisa che, ingiusta ed errata è la valutazione del Giudice di prime cure...
Il T.A.R., incorre anche in un evidente errore nella valutazione delle risultanze probatorie, laddove ritiene che la comunicazione dell'atto effettuata presso un indirizzo pec non indicato in domanda possa avere efficacia e validità, in assenza di espressa elezione di domicilio presso tale indirizzo digitale e, soprattutto, come detto, in assenza di indicazione di tale recapito nella domanda di emersione.
Dall'esame del modulo E-Dom di inoltro della domanda (all. 3 del ricorso di primo grado - all. 18 del presente ricorso), la pec: [omissis] dove parrebbe essere stata effettuata la notifica del provvedimento di revoca del modello 209, non è mai indicata in nessuna parte del modulo, benché meno tra i recapiti presso cui si intendevano ricevere le comunicazioni!
Tra gli stessi, infatti, risulta, oltre all'indirizzo di [omissis] in [omissis], solo il recapito telefonico dell'appellante nonché un semplice indirizzo di posta ordinaria.
La notificazione della revoca del mod. 209, pertanto, doveva e poteva essere validamente effettuata solo a tali recapiti...
... riferisce alla sentenza n. 4798 del 15 luglio 2022 (all. 19 del presente ricorso) che così ha così stabilito: "Ritiene il Collegio che non possa essere ritenuta decisiva la circostanza che la predetta comunicazione (preavviso) sia stata inviata presso l'indirizzo di posta elettronica indicato nell'istanza di emersione e ciò, in quanto, è verosimile che tale circostanza non sia stata comunicata al lavoratore dall'intermediario o dallo stesso datore di lavoro. Si trattava, in specie, di un indirizzo non personale del lavoratore ma bensì di uno studio professionale presumibilmente incaricato dello svolgimento della pratica amministrativa".
Il ricorso di primo grado è ed era, dunque, ammissibile e tempestivo, in virtù anche del principio della "piena conoscenza", avendo il ricorrente appreso del contenuto e delle motivazioni della revoca del mod. 209 solo in data 3 novembre 2022 in esito all'espletamento dell'accesso agli atti presso il SUI-Prefettura di Napoli ove veniva consegnata copia al procuratore.
Ad abundantiam, si ribadisce che la procedura di emersione è ad impulso del solo datore di lavoro, ragion per cui, l'eventuale elezione di domicilio presso il soggetto che materialmente ha proceduto alla trasmissione della pratica ha valenza esclusiva solo nei confronti di quest'ultimo.
Ciò nonostante, benché l'iniziativa spetta al datore di lavoro, è di tutta evidenzia che il lavoratore costituisce uno dei destinatari necessari del provvedimento cosicché l'Amministrazione risultava tenuta a comunicare in modo effettivo al lavoratore irregolare tutti gli atti del procedimento. (Cons. di Stato sentenza n. 5716/2020). Nel caso che ci occupa, non vi è dubbio che vi fosse, quantomeno una situazione di incertezza circa l'effettiva conoscenza dell'atto - revoca del mod. 20 - che imponeva una diversa valutazione da parte del T.A.R.».
4. L'Amministrazione si è costituita, senza controdedurre, depositando gli atti del primo grado.
5. Con decreto cautelare n. 4945/2023 è stata accolta l'istanza di misure cautelari monocratiche: "Considerato le censure avanzate da parte appellante meritano adeguato approfondimento in sede collegiale;
Considerato che, in assenza di contestata pericolosità, devono ritenersi prevalenti le esigenze di tutela prospettate da parte appellante".
6. In esito alla camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2024, con ord. n. 111/2024, è stata accolta l'istanza cautelare:
"Rilevato che le censure sollevate da parte appellante meritano adeguato approfondimento nella sede di merito e che, nel bilanciamento tra contrapposti interessi, la tutela della posizione giuridica del cittadino straniero risulta prevalente".
7. In esito all'udienza del 6 febbraio 2025, è stata emanata l'ordinanza collegiale n. 1359/2025, con cui:
"Considerato che, dalla lettura degli atti depositati dall'Amministrazione appellata, emerge un'avvenuta denuncia in sede penale sulla legittimità del contratto di soggiorno per lavoro domestico sottoscritto in data 20 dicembre 2021, da cui è derivata la revoca del permesso di soggiorno.
Il Collegio ritiene necessario, ai fini del decidere, acquisire dall'Ufficio Territoriale del Governo di Napoli una dettagliata relazione sui fatti di causa, con particolare riferimento allo stato attuale dell'eventuale procedimento giudiziario in sede penale, assegnando, per l'espletamento dell'incombente istruttorio, il termine di 30 giorni a decorrere dalla notificazione e/o comunicazione della presente ordinanza".
7.1. In riscontro a detta ordinanza, la Prefettura di Napoli ha riepilogato la vicenda, con il deposito di atti relativi:
- precisando che la revoca è stata notificata all'appellante "per il tramite del domicilio elettronico del consulente del lavoro indicato in atti quale recapito del lavoratore ([omissis]), al fine di garantire l'esercizio di ogni eventuale azione ricorsiva, nonché alla Sig.ra [omissis] (all.to 8), per il tramite dell'Avv. [omissis] ([omissis]), e alla Questura di Napoli per gli adempimenti di propria competenza";
- soggiungendo che "non si ravvisa competenza di questa Prefettura in ordine al riferimento dello stato attuale dell'eventuale procedimento giudiziario in sede penale".
8. All'udienza pubblica del 5 giugno 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente va osservato, con riferimento alla mancata notifica della revoca nei confronti del lavoratore straniero destinatario della procedura di emersione, che più volte in passato la Sezione si è espressa evidenziando una lesione sostanziale delle prerogative partecipative che si consuma appunto rispetto ad un soggetto cui sono destinati gli effetti diretti del provvedimento finale (ex art. 7 l. n. 241/1990).
1.1. Nel merito, giova citare la sentenza n. 3609/2024, laddove statuisce che "sul versante delle garanzie partecipative preme affermare, a tacitazione di ogni dubbio applicativo sul punto, che l'interesse alla partecipazione procedimentale nella procedura di emersione dal lavoro sommerso di cui all'art. 103, comma 1, del d.l. 34/2020 si radica sicuramente in capo al datore di lavoro, in quanto soggetto formalmente istante a norma del primo comma, legittimato a concludere, purché operante nei settori enucleati dal legislatore, "un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero di dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri che siano già stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell'8 marzo 2020 ovvero che abbiano soggiornato in Italia prima dell'8 marzo 2020", senonché un interesse di pari rilievo deve essere predicato altresì in capo allo straniero in qualità di beneficiario dell'emersione.
Difatti, questi riveste innegabilmente una posizione differenziata e qualificata tutelata dall'ordinamento, bastando porre mente al riguardo alla circostanza che lo Sportello unico, verificata l'ammissibilità dell'istanza e acquisiti i pareri favorevoli della Questura e dell'Ispettorato territoriale del lavoro, convoca entrambe le parti - e non già la sola parte datoriale - per la stipula del contratto di soggiorno, per la comunicazione obbligatoria di assunzione e la compilazione della richiesta del permesso di soggiorno per lavoro subordinato (art. 103, comma 15, d.l. 34/2020).
Invero, la posizione giuridica soggettiva che fa capo allo straniero acquista concretezza nel dipanarsi dei vari segmenti procedimentali: dapprima, lo straniero nutre un indubbio interesse ad aver notizia dell'avvio della procedura giacché la sua pendenza preclude l'espulsione in via amministrativa ex art. 103, comma 17, cit.; dipoi, egli matura un interesse all'attiva partecipazione procedimentale nelle forme prescritte, se del caso compulsando financo il proprio datore di lavoro alla regolarizzazione della documentazione ovvero facendosi parte attiva nel sanare eventuali carenze documentali, per quanto da lui esigibile secondo l'ordinaria diligenza. Infine, va da sé che egli ha innegabile interesse alla proficua conclusione del procedimento con la sottoscrizione del contratto di soggiorno in ragione della definitiva regolarizzazione della propria posizione amministrativa con contestuale estinzione degli illeciti per l'ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale (art. 103, comma 17, secondo periodo, d.l. cit.).
Tanto chiarito e contrariamente a quanto opinato dal giudice di prime cure, la mancata integrazione del contraddittorio e l'omissione del preavviso di rigetto nei confronti del lavoratore straniero destinatario della procedura di emersione implica una lesione sostanziale delle prerogative partecipative che si consuma appunto rispetto ad un soggetto cui sono destinati gli effetti diretti del provvedimento finale".
1.2. Ancora in materia di emersione dal lavoro irregolare, è emblematica la sentenza n. 3643/2024, sempre di questa Sezione, che con riferimento al diniego motivato in relazione a circostanze estranee alla sfera di responsabilità del ricorrente, afferma che:
"... fermo restando anche per il legislatore il vincolo della ragionevolezza nel disciplinare in modo diseguale situazioni estremamente affini, ciò che rileva nella fattispecie in esame è che il rigetto della pretesa del ricorrente in ragione di una irregolarità formale non imputabile all'interessato, e senza un accertamento della reale sussistenza sul piano sostanziale dei presupposti per l'accesso all'utilità rivendicata, determina la definitiva ed irreversibile frustrazione dell'interesse pubblico primario - che informa la disciplina in questione - alla regolarizzazione di lavoratori stranieri (obiettivo evidentemente ritenuto dal legislatore necessario anche per fronteggiare le esigenze del mercato del lavoro e del sistema economico nel suo complesso), nonché dell'interesse legittimo fondamentale del ricorrente alla regolarizzazione - sussistendone i presupposti sostanziali - della condizione di permanenza sul territorio dello Stato (il tutto nell'acclarata assenza di elementi, anche presuntivi, di pericolosità sociale, e in presenza di un accertato inserimento sociale e lavorativo, privo di elementi di controindicazione).
Anche il rilevato profilo teleologico, e la connessa esigenza di procedere ad un'interpretazione funzionale (rispetto alla tutela dei richiamati interessi protetti della normativa in questione) e costituzionalmente orientata (onde prevenire l'irragionevole, definitiva frustrazione di tali interessi - anche in conseguenza della segnalata disparità di trattamento normativo di fattispecie analoghe - in assenza dell'accertamento della effettiva e sostanziale mancanza delle condizioni legittimanti l'adozione del provvedimento richiesto) depongono dunque nel senso anzidetto (dal momento che, come si sta anche per specificare ulteriormente, una consapevole applicazione della disciplina generale dell'attività amministrativa può costituire rimedio, nell'ottica dei richiamati canoni esegetici, alla possibile disparità di trattamento tra fattispecie analoghe derivante dalla normativa regolante lo specifico procedimento).
Il modello di relazione fra legge e potere amministrativo improntato al principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) induce infatti a ritenere che l'esercizio del potere discrezionale debba essere parametrato non (solo) al formale rispetto della regola, ma (anche) al raggiungimento del risultato voluto dalla norma attributiva.
Non si tratta di porre in tal modo su piani contrapposti ed alternativi il principio di buon andamento rispetto al principio di legalità: al contrario, fondare l'adozione del provvedimento di diniego sulla ricorrenza solo formale (e non anche sostanziale) dei presupposti legittimanti lo stesso, in una complessa fattispecie quale quella qui dedotta (condizionante la sorte dei fondamentali interessi pubblici e privati sopra richiamati), non può ritenersi conforme - se non in modo meramente apparente - al principio di legalità".
2. Alla luce di quanto detto, nel caso di specie va rilevato che dall'esame degli atti di causa emerge che le argomentazioni del ricorrente sono fondate, con riferimento alla doglianza relativa alla mancata notifica del preavviso di rigetto.
3. Va, altresì, rilevato che la mancanza di difese dell'Amministrazione e la solo parziale ottemperanza alle richieste rivoltegli dal giudice, in sede istruttoria, di fornire documentati chiarimenti, anche in relazione ad eventuali esiti in sede penale, si appalesa come un comportamento processuale tale da indurre all'applicazione dell'art. 64, comma 4, c.p.a. che, in analogia a quanto previsto, relativamente ai giudizi civili, dall'art. 116, comma 2, c.p.c., autorizza il giudice amministrativo a desumere argomenti di prova dal contegno processuale delle parti.
4. Per le considerazioni sin qui esposte il Collegio ritiene di dover accogliere l'appello, salve le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione.
In considerazione della particolarità della vicenda le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti con essa impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e degli artt. 5 e 6 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell'appellante e di ogni altra persona fisica citata nella presente decisione.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Campania, sez. VI, sent. n. 5604/2023.