Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Basilicata
Sentenza 16 settembre 2025, n. 51

Presidente: Cirillo - Estensore: Romano

FATTO

1. Con atto di citazione depositato in data 3 ottobre 2024, la Procura regionale presso questa Sezione conveniva in giudizio i sigg.ri U. Mario, C. Annateresa, B. Francesco Saverio, Ba. Pietro e M. Francesco, contestando ai medesimi un addebito pari a complessivi euro 22.164,51 per un supposto danno di pari importo arrecato, in concorso ed a titolo di colpa grave, al Comune di Campomaggiore (PZ), con condotte tenute in tempi risalenti nei diversi e rispettivi ruoli istituzionali ricoperti presso l'ente.

La citazione risultava preceduta da indagini attivate a seguito della comunicazione (con nota del Segretario comunale in data 15 febbraio 1018, pervenuta il 19 febbraio 2018) della delibera del Consiglio comunale di Campomaggiore n. 4 del 29 gennaio 2018 avente ad oggetto il riconoscimento di un debito fuori bilancio conseguente all'assunzione, illo tempore, di un'obbligazione negoziale parzialmente priva di copertura ed il cui mancato pagamento aveva occasionato l'instaurazione nell'anno 2005 di un contenzioso civile contro il Comune, che aveva resistito in giudizio ed era stato infine condannato con la sentenza del Tribunale di Potenza n. 272/2017 del 7 marzo 2017, non appellata ed eseguita in base alla suddetta delibera consiliare, con oneri a carico del Comune più contenuti rispetto a quelli di cui alla condanna, in quanto in tale sede rideterminati in via transattiva rispetto al debito consacrato in sentenza, ma comunque maggiorati rispetto al debito originario.

In maggior dettaglio, con la sentenza in argomento l'ente veniva condannato al pagamento di ingente somma di denaro pari ad euro 71.821,00, oltre ad accessori, interessi e spese legali, in favore del Consorzio di cooperative di produzione e lavoro di Reggio Emilia, impresa affidataria dell'intervento di costruzione di impianto per la distribuzione del gas metano in area comunale finanziato con le contribuzioni di cui alla l. 28 novembre 1980, n. 784, il tutto a titolo di mancata corresponsione - da parte della stazione appaltante - oltreché dell'importo dei lavori commissionati, anche dell'IVA relativa agli stessi, diversamente da quanto espressamente previsto nel contratto di affidamento originario sottoscritto il 17 settembre 1991 e repertoriato con il n. 25. Atteso che in via transattiva il Consorzio aveva rinunziato agli interessi, i maggiori oneri a carico del Comune consistevano, quindi, in euro 11.876,84 per le spese legali di controparte liquidate in sentenza, interamente corrisposte con mandato di pagamento n. 292 del 7 marzo 2019, nonché nei costi (complessivi euro 41.935,83 fino al 2039) per l'estinzione del mutuo contratto con Cassa depositi e prestiti a parziale copertura del debito da pagare, questi ultimi già corrisposti per gli anni 2019-2023 in misura di euro 10.287,67 (come da mandati in atti) nei n. 10 ratei semestrali in scadenza in tale periodo secondo il convenuto piano di ammortamento ventennale.

Proprio i maggiori oneri sopra indicati già giunti alla fase del pagamento, con salvezza di ulteriori iniziative per gli esborsi futuri e ancora da maturare, formavano oggetto dell'azionata pretesa risarcitoria, preceduta da rituali contestazioni rivolte ai singoli convenuti, con inviti a dedurre emessi in data 26 marzo 2024 e notificati in varie date dal 2 aprile al 15 maggio 2024.

2. Gli elementi istruttori acquisiti presso l'ente (nota n. 4689 del 29 novembre 2018 a firma del Segretario comunale) e posti a base della domanda risarcitoria documentavano la complessa ed articolata vicenda che aveva avuto epilogo nel richiamato provvedimento di riconoscimento e nella correlata acquisizione, mediante ricorso all'indebitamento, della provvista finanziaria necessaria a ricondurre ad equilibrio il bilancio comunale e a dare esecuzione alla sentenza di condanna.

Secondo l'esposizione in fatto contenuta nell'atto introduttivo del giudizio ed asseverata da documentazione a supporto, la passività fuori bilancio in questione si innestava nell'ambito della gestione scaturita dalla decisione, assunta dal Comune di Campomaggiore con delibera consiliare n. 69 del 14 ottobre 1985, di istituire in territorio comunale il servizio di distribuzione di gas metano, da allestire e gestire - insieme ad altri Comuni lucani consorziati in apposito ed unitario bacino di utenza (bacino n. 10) - in conformità a quanto previsto dalla l. 28 novembre 1980, n. 784 e dalla conseguente delibera CIPE 25 ottobre 1984 e grazie alla fruizione di prestiti agevolati e contributi pubblici per la c.d. metanizzazione del Mezzogiorno, dando mandato alla Giunta ed al Sindaco di adottare tutti gli atti a ciò necessari.

In questo contesto, il Comune dava avvio alle attività previste dal CIPE per ottenere il finanziamento, allo scopo affidando, con convenzione quadro n. prot. 2301 del 7 settembre 1988, all'impresa Consorzio cooperativa di produzione e lavoro, avente sede a Reggio Emilia, le attività di consulenza, progettazione, direzione lavori, costruzione, manutenzione e gestione del metanodotto comunale. Il progetto dell'intervento, redatto dal Consorzio e modificato su indicazioni dell'Agensud, veniva poi definitivamente approvato con deliberazione G.c. n. 50 del 19 marzo 1991 per un quadro economico di spesa complessiva di lire 1.376.000.000, articolato in plurime voci e relative coperture, ma senza alcun riferimento a oneri da IVA. In tale misura conseguiva l'ammissione a finanziamento agevolato con d.m. Tesoro n. 317381/50 del 23 luglio 1991. La spesa per l'intervento, così quantificata, veniva iscritta ed autorizzata in specifica posta di bilancio.

Su tali basi, il Comune procedeva, quindi, a perfezionare con la predetta impresa CCPL il contratto attuativo di rep. n. 25 del 7 settembre 1991, avente ad oggetto l'affidamento di lavori di costruzione del metanodotto per un corrispettivo netto convenuto di lire 1.272.500.000 al quale andava addizionata - per espressa clausola negoziale contenuta nell'art. 5 - la corresponsione dell'IVA "come per legge" (senza determinare l'aliquota di riferimento).

L'importo delle dette obbligazioni contrattuali, già ab origine eccedente quello delle spese autorizzate in bilancio per l'intervento di cui trattasi ove computato al lordo dell'IVA secondo l'aliquota ordinaria dell'epoca (20%), veniva poi ulteriormente incrementato per effetto di convenzioni aggiuntive successive che portavano l'importo netto dei lavori a coincidere interamente con quello dei finanziamenti erogati e stanziati in bilancio, parimenti prevedendone la corresponsione con aggiunta dell'IVA, ma senza alcun incremento di coperture.

A fronte di tale evenienza e della mancata corresponsione dell'IVA su fatture già emesse e da emettere dal Consorzio CPL per lavori eseguiti e collaudati, con conseguente azione dell'appaltatore contro il Comune, la Giunta comunale, con deliberazione G.c. n. 39 del 27 maggio 2005, stabiliva di resistere in giudizio ritenendo di avere provveduto ai pagamenti per i lavori stessi, in ragione delle somme previste e comprese nel piano tecnico-finanziario dell'opera, e dando in tal senso indirizzo al Sindaco per la nomina di un legale di fiducia, tempestivamente disposta con atto monocratico di conferimento del mandato prot. 2238 del giorno 28 maggio 2005.

Le difese espletate nel giudizio civile, tutte respinte dal Tribunale di Potenza - oltre che sulla vantata inammissibilità della domanda di controparte, per la presenza nel contratto di clausola compromissoria di ricorso all'arbitrato in caso di controversie - facevano perno sulla tesi per la quale, essendo il metanodotto un'opera pubblica finanziata con contributi pubblici, la sua costruzione avrebbe dovuto essere considerata come esente da IVA, secondo quanto affermato in un parere del Ministero delle finanze n. 52/E del 1997 (fascicolo del P.M., doc. 3, all. 8), riferito però al caso dell'erogazione di contributi pubblici per la realizzazione di metanodotti direttamente a favore di una società concessionaria di ente pubblico, incaricata della realizzazione e gestione di un impianto di metanodotto ed obbligatasi al successivo trasferimento dell'opera all'ente. Detto parere, peraltro, come evidenziato nella richiamata sentenza del Tribunale di Potenza n. 272/2017, non era validamente invocabile nel caso di specie, concernente l'erogazione indiretta dei contributi per la realizzazione di metanodotto, concessi al Comune ma da questo corrisposti all'impresa a titolo non di contributo (senza alcuna corrispettività con l'opera di realizzare), bensì di corrispettivo di un contratto di appalto per la realizzazione del metanodotto di proprietà della stazione appaltante (ovvero utilizzati quale prezzo da pagare in forza di un vincolo contrattuale sinallagmatico), corrispettivo in quanto tale assoggettato ad IVA; così come, del resto, puntualizzato sia nell'atto di citazione del Consorzio CPL in data 2 gennaio 2005, posto a base della contestata delibera del 27 maggio 2005 con cui la Giunta del Comune di Campomaggiore aveva deliberato di resistere in giudizio, sia nei provvedimenti nella stessa citazione richiamati a sostegno delle pretese attoree, consistenti nel diverso parere dell'Agenzia delle entrate emesso in data 27 marzo 2003 e nella diversa e precedente sentenza del Tribunale di Potenza che richiamava quest'ultimo parere (sent. n. 365/2004). Tali provvedimenti - in fattispecie del tutto analoghe a quella qui in esame (in quanto relative proprio alla realizzazione di impianti di distribuzione di gas metano in altri Comuni della Regione Basilicata, diversamente dal parere invocato dalla difesa del Comune) - avevano ritenuto dovuta l'IVA sui pagamenti effettuati al Consorzio CPL, proprio per la natura non di contributo, ma di corrispettivo dell'appalto, di tali pagamenti.

In particolare, la sentenza n. 272/2017, in accoglimento della citazione del CCPL, affermava con chiarezza che: «... la domanda spiegata da parte attrice è fondata. Essa trova fondamento, innanzitutto, nel contratto azionato in cui è dato leggere: "Art. 5: Al Consorzio verranno corrisposte le somme di cui ai punti a) e b), oltre all'IVA di legge"; ed anche nel successivo atto aggiunto del 22 ottobre 1994, di previsione di ulteriori lavori: "... pari a lire 1.349.363.508, oltre l'IVA"».

Quanto alla tesi di parte convenuta, secondo cui gli importi erogati al consorzio dovrebbero essere esenti dall'IVA, stante il sotteso finanziamento pubblico, la stessa si fonda su note dell'amministrazione finanziaria e su una risposta del Ministero delle finanze in sede di interrogazione parlamentare.

Osserva il Tribunale che tali determinazioni sono relative ad una ipotesi diversa da quella per cui è processo, ossia quella della erogazione diretta dei contributi previsti dalla l. 784/1980 ai soggetti che per concessione dovevano provvedere alla realizzazione delle reti di distribuzione di metano, obbligandosi poi al ritrasferimento all'amministrazione dell'opera realizzata.

Nel caso di specie, per contro, il contributo statale previsto per la realizzazione dell'impianto è stato percepito direttamente dal Comune (circostanza non contestata). L'ente territoriale, per la successiva attività di esecuzione ha inteso stipulare un contratto di appalto pattuendo un prezzo (giustamente) comprensivo di IVA.

In termini analoghi, si rimanda alla sentenza n. 365/2004 pubblicata in data 10 maggio 2004 dal Tribunale di Potenza, prodotta in copia da parte attrice.

Si riporta, per chiarezza espositiva, il testo del parere dell'Agenzia delle entrate del 27 marzo 2003, relativo proprio ai contributi previsti per alcuni Comuni della Basilicata per la costruzione degli impianti di distribuzione del gas metano: "... si ritiene che nel caso di specie abbiano natura di contributo (e perciò siano fuori dal campo di applicazione IVA) le somme percepite dai comuni ai sensi della citata legge n. 784 del 1980, per la realizzazione dei metanodotti, essendo quest'ultima riconducibile al soddisfacimento di un benessere collettivo (la metanizzazione) e non ad una controprestazione in favore del soggetto che eroga tali somme. Di contro le somme pagate, al consorzio dei comuni (grazie ai suddetti contributi), per le opere di costruzione condotte dal medesimo in appalto, prefigurano per i relativi contratti un rapporto di natura sinallagmatica. Tali enti territoriali, avvalendosi di strumenti privatistici, concludono contratti per effetto dei quali assumono una generica obbligazione monetaria, quale controprestazione in denaro delle opere che il consorzio deve eseguire. Sulla base delle suesposte considerazioni (e del contesto delle altre previsioni contrattuali) sì ritiene di essere in presenza di un rapporto di appalto, riconducibile alle ordinarie disposizioni degli artt. 1655 e ss. del codice civile: le somme corrisposte al consorzio, in tale ambito contrattuale, rappresentano corrispettivi delle opere realizzate e rientrano, pertanto, nel generale campo di applicazione dell'IVA" (cfr. all. n. 13 del fascicolo di parte attrice).

In definitiva, le erogazioni qualificabili come contributi, in quanto mere movimentazioni di denaro, sono escluse dall'imposta, mentre quelle configurabili come corrispettivi per prestazioni di servizi o cessioni di beni rilevanti ai fini dell''imposta, vi sono assoggettate.

Per quanto sopra, il giudice ordinario condannava il Comune a corrispondere all'impresa quanto ancora dovuto secondo la contabilità dei lavori svolti e fatturati con incremento dell'IVA, con interessi a decorrere dal 1999 e spese legali.

In pendenza del termine per impugnare il Comune (nota n. 3255 del 14 settembre 2017 a firma del Sindaco pro tempore) proponeva una transazione volta ad ottenere un abbattimento del quantum debeatur alla quale faceva seguito l'accettazione da parte dell'impresa creditrice di un pagamento immediato delle spese e della sorte, con rinuncia agli interessi.

Seguiva, quindi, la richiamata delibera del Consiglio comunale di Campomaggiore n. 4 del 29 gennaio 2018, che riconosceva un debito quantificato in complessivi euro 83.697,84 (di cui euro 71.821,00 per sorte capitale - senza gli interessi in quanto transatti - ed euro 11.876,84 per le spese legali di controparte), disponendone la copertura con indebitamento, inizialmente per intero e poi solo in parte (delibera C.c. 1° agosto 2018). Acquisite le risorse (con mutuo presso la Cassa dd.pp., foriero di ulteriori interessi passivi a carico del Comune) si provvedeva ai pagamenti, tutti disposti con mandati del 7 marzo 2019.

3. Valutati gli elementi in atti, la Procura contestava ai convenuti, in ragione del ruolo rivestito presso l'ente all'epoca dei fatti e del diverso apporto dato nella assunzione dell'obbligazione priva di copertura, le condotte gravemente colpose come di seguito indicate e valorizzate ai fini del riparto della responsabilità per il danno richiesto:

- a M. Francesco, di aver sottoscritto, nella qualità di Commissario straordinario pro tempore del Comune, il contratto di affidamento dei lavori al Consorzio CPL per un importo comprensivo di IVA sui lavori stessi e, perciò, maggiore dell'importo del progetto ammesso a finanziamento e stanziato in bilancio, in violazione delle regole di contabilità pubblica relative alla regolarità dell'impegno contabile, senza avvedersi della carenza di risorse necessarie a farvi fronte, come sarebbe stato possibile dai plurimi richiami al progetto contenuti nello istesso contratto; con addebito, stante la cessazione da ogni carica presso l'ente ai tempi della decisione di resistere nel giudizio civile, limitato alla sola componente di danno relativa agli interessi per il mutuo contratto a copertura postuma della spesa in carico, commisurato in ragione del 60,32% dell'esborso effettuato a titolo di interessi alla Cassa dd.pp. e cioè in euro 6.205,52;

- a U. Mario, all'epoca Sindaco di Campomaggiore, ed a C. Annateresa e B. Francesco Saverio, componenti della Giunta, di avere deciso di contestare le pretese di controparte, resistendo temerariamente in giudizio, cioè senza motivazioni ed ancorché la corresponsione dell'IVA sui lavori fosse stata espressamente prevista in contratto e gli orientamenti del Ministero delle finanze a sostegno dell'esenzione fossero datati e pacificamente non pertinenti, in quanto riferiti a diversa fattispecie di contribuzioni pubbliche erogate direttamente a terzi concessionari e non attribuite all'ente per il finanziamento di lavori non direttamente eseguiti ma appaltati a terzi, in tal modo provocando un maggior danno da interessi e spese legali alle casse comunali. Le quote di responsabilità venivano calcolate sull'intero danno (interessi alla Cassa dd.pp. e spese legali) nelle seguenti misure: per Mario U. in euro 4.654,54, pari al 21% del totale, e per C. Annateresa e B. Francesco Saverio in euro 3.324,67 ciascuno, pari al 15% del totale;

- infine, a Ba. Pietro, al tempo Segretario comunale, di aver apposto - sulla deliberazione con cui è stata decisa la resistenza in giudizio - il parere di regolarità tecnica, anziché rilevare la temerarietà della lite che si intendeva intraprendere, pur avendo le competenze tecniche per evidenziare l'infondatezza della contestazione e il dovere di fornire l'assistenza giuridica alla Giunta ed al Sindaco prevista dall'art. 97, comma 2, del d.lgs. 267/2000 per evitare di allontanare nel tempo la soluzione della controversia con ulteriori esborsi anche di natura legale; con addebito di una quota di danno pari a euro 4.654,54 (21% dell'intero).

4. A seguito delle controdeduzioni presentate dagli invitati e delle audizioni, ove richieste, la Procura riteneva che le argomentazioni poste a difesa delle rispettive condotte non potessero essere accolte e così promuoveva l'azione di responsabilità amministrativa nei confronti degli stessi, ritenendo indubbiamente sussistenti tutti i presupposti della responsabilità amministrativo-contabile.

5. Nei termini di rito antecedenti all'udienza di discussione, fissata con decreto presidenziale del 3 ottobre 2024 per il giorno 18 febbraio 2024, tutti i convenuti si costituivano in giudizio, per il tramite di legali di fiducia.

5.1. In tale sede M. Francesco, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea de Bonis, con comparsa di costituzione del 27 gennaio 2025, formulava in via pregiudiziale richiesta di ammissione al rito abbreviato ex art. 130 c.g.c., per la definizione agevolata della controversia con parere espresso dalla Procura regionale depositato in pari data, ma condizionato alla ridefinizione della somma offerta, in misura non inferiore al 40% del danno contestato. All'esito della Camera di consiglio del 18 febbraio 2025, con il decreto n. 1/2025 veniva accolta l'istanza, ritenendo congruo, ai fini della definizione del giudizio, il pagamento di una somma pari ad euro 2.250,00 (circa il 30% del danno dedotto in giudizio e ascritto al Commissario prefettizio). Agli esiti del previsto accertamento di avvenuto tempestivo e regolare versamento della somma indicata da parte del convenuto nella Camera di consiglio precedente alla discussione odierna nel merito del giudizio, la posizione del dott. M. è stata separata e definita con apposita sentenza all'esito di camera di consiglio stessa, con prosecuzione del rito ordinario nei confronti degli altri convenuti.

5.2. In merito alle contestazioni mosse, gli avv.ti Pancrazio Marsilio e Rocco Antonello Stasi, costituendosi in rappresentanza di U. Mario, C. Anna Teresa e B. Francesco Saverio, con un'unica comparsa depositata in data 28 gennaio 2025, preliminarmente eccepivano l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno, per ritenuto decorso del termine quinquennale dalla data di verificazione dell'evento dannoso. In specie, essi individuavano l'exordium praescriptionis vuoi nel giorno 7 marzo 2017, data di deposito della sentenza di condanna del Tribunale di Potenza e di oggettiva manifestazione esterna dell'evento lesivo, in tal modo divenuto non solo percepibile e riconoscibile da parte del Comune, ma anche effettivamente conosciuto, stante l'avvio tempestivo dell'attività transattiva culminata della delibera di riconoscimento n. 4 del 29 gennaio 2018; vuoi, al più tardi, nella data del passaggio in giudicato della sentenza stessa, cioè dal 7 ottobre 2017, con conseguente tardività della contestazione mossa con l'invito a dedurre (notificato in varie date dal 2 aprile 2024 al 15 maggio 2025).

Le argomentazioni in questione, già avanzate in fase istruttoria, erano state in citazione confutate dalla Procura istante, da un lato, evidenziando "che l'esordio della prescrizione coincide con il momento in cui si verifica l'esborso del denaro pubblico, a nulla rilevando se i fatti che hanno determinato il danno sono temporalmente antecedenti. Nel caso di specie, infatti, gli interessi sul mutuo contratto - per la quota parte contestata come di seguito - sono stati liquidati su mutuo contratto il 1° gennaio 2019 e liquidati con rate semestrali posticipate al 30 giugno e al 31 dicembre di ogni anno a decorrere dal 2019 come risulta dall'attestazione e dai mandati cumulativi. Le spese legali di controparte pari a euro 11.876,84 sono state invece liquidate con mandato del 7 marzo 2019"; dall'altro, precisando che l'ordinario termine prescrizionale quinquennale, nella specie, incorreva per il periodo dall'8 marzo 2020 al 31 agosto 2020 nella sospensione contemplata, per la fase dell'emergenza COVID, dall'art. 85, comma 4, del d.l. n. 18/2020 convertito dalla l. n. 27/2020. In forza di tale sospensione, il termine sarebbe nella specie spirato ad agosto 2024, con la conseguenza che l'invito a dedurre, emesso il 26 marzo 2024, avrebbe avuto piena efficacia interruttiva.

Nel merito, i nominati convenuti chiedevano in via principale di dichiarare e riconoscere la non addebitabilità di alcuna colpa grave nella decisione dei convenuti, contestando con svariate argomentazioni la possibilità di una prefigurazione ex ante degli esiti negativi del giudizio civile, con aggravio di spese, come prospettata in citazione.

In particolare, ad avviso dei difensori, nessuna censura di superficialità ed avventatezza poteva in concreto essere mossa agli odierni convenuti quanto alla decisione di resistere nel giudizio intentato dall'impresa appaltatrice, stante l'intrinseca difficoltà di disporre di elementi di certezza in merito alla fondatezza delle pretese avanzate dall'impresa, a valle di una vicenda risalente nel tempo, oggettivamente stratificata ed alla cui fase eziologica essi erano totalmente estranei. Evidenziavano, in proposito, come la fattispecie fosse stata connotata nei suoi sviluppi da atti di contenuto discordante, sempre asseverati in punto di regolarità amministrativa e contabile, e da interpretare secondo riferimenti normativi caratterizzati da complessità e scarsa chiarezza. In questo contesto - a fronte cioè di una pretesa dell'affidatario relativa al solo pagamento dell'IVA su lavori da tempo finiti (come da certificato di collaudo del 1996), azionata in mancanza di ogni previsione di tale spesa nel progetto di intervento predisposto dalla stessa impresa, con comportamenti forieri di equivoci ed errori - la scelta di resistere in giudizio, rimettendo la questione al vaglio di un giudice, sarebbe stata al contrario da considerare prudenzialmente intesa a salvaguardare l'interesse dell'ente, non potendosi di per sé considerare sintomo di avventatezza la sinteticità della motivazione del provvedimento, che ha deciso la resistenza in giudizio, con la concisa locuzione per cui "le argomentazioni di controparte appaiono infondate".

A sostegno della alta opinabilità della questione dedotta nel giudizio civile e quindi della correttezza della condotta dei convenuti, venivano riprese le argomentazioni difensive espletate in sede civile dal legale dell'ente in primo grado, reputate in sé non palesemente destituite di fondamento e presumibilmente riconsiderabili con accoglimento in sede di appello, qualora l'ente - senza alcuna possibilità per i convenuti di partecipare a questa scelta, in quanto già cessati dalla carica a far tempo dal 2006 - non avesse concretamente rinunciato al gravame, preferendo chiudere transattivamente la questione e contraendo un mutuo a tal fine.

Sempre nel merito, ma in via gradata, chiedevano il riconoscimento del difetto di legittimazione passiva dei convenuti in ordine alla componente di danno rappresentata dagli interessi pagati sul mutuo, con ricalcolo del medesimo, considerato che il ricorso a tale forma di copertura postuma onerosa del maturato debito sarebbe stato frutto di una scelta dell'ente ai medesimi non imputabile perché effettuata in tempi successivi alla cessazione dei rispettivi mandati di Sindaco ed Assessori, ed inoltre avvenuta senza tener conto sia della possibilità di una riforma in appello della sentenza civile, sia della disponibilità, che sarebbe comprovata da estratti storici - esibiti in sede istruttoria - delle scritture fiscali (modelli dichiarazione IVA dal 2016 al 2023), nel patrimonio comunale di crediti IVA utilizzabili a costo zero per far fronte all'obbligazione tributaria inevasa, fatta oggetto del menzionato contenzioso civile. Rimettevano al Collegio la acquisizione di ulteriore documentazione probatoria della detta capacità patrimoniale alternativa, depositata a fascicolo di Procura e, ove non ritenuta sufficiente, la nomina di un CTU per accertamenti ulteriori e mirati al riguardo.

5.3. Infine, l'avv. Michele Mongelli, per il convenuto Ba. Pietro, formulava controdeduzioni di tenore pressoché identico a quello sopra esposto.

Anzitutto, eccepiva in rito l'intervenuta prescrizione della pretesa per inutile decorso del termine quinquennale, calcolato a decorrere dalla data del deposito della più volte menzionata sentenza del Tribunale di Potenza dalla quale sono derivati il riconoscimento del debito fuori bilancio di cui trattasi, composto come innanzi illustrato, e il ricorso al mutuo a copertura con ulteriore aggravio di interessi di ammortamento.

Chiedeva, in subordine e nel merito, di respingere ogni domanda risarcitoria nei confronti degli odierni convenuti, tra cui il proprio assistito, accertando che nulla era dovuto dagli stessi per insussistenza dei presupposti di responsabilità, stante la piena legittimità della decisione concreta di resistere in giudizio, come correttamente asseverata dal dott. Ba. Pietro, in quanto rispondente al diritto di difesa in giudizio costituzionalmente garantito, il cui solo esercizio irrazionale o arbitrario può essere fonte di addebito. In tale ambito, veniva richiamata l'esistenza di una pluralità di argomenti esistenti a favore del buon diritto del Comune a difendersi avverso le pretese vantate dal Consorzio CPL, con critico richiamo al fatto che non tutti erano stati avanzati a suo tempo all'attenzione del giudice civile da parte della difesa comunale, cosa che - secondo quanto ipotizzato in questa sede - avrebbe pesato negativamente sugli esiti di quel giudizio.

Tra questi, anche quello della supposta natura di stile della clausola contrattuale concernente l'IVA, da intendersi - nel contesto dell'intervento da realizzare e in assenza di commisurazione puntuale - come mero richiamo generico privo di immediata vincolatività e semplicemente subordinato all'eventuale debenza a termini di legge.

6. Nel corso della odierna udienza di discussione nel merito del giudizio, il P.M. ed i difensori dei convenuti presenti in aula illustravano ulteriormente e specificavano gli argomenti svolti negli atti precedentemente depositati, confermando le rispettive ed opposte conclusioni ivi rassegnate.

In particolare, in questa sede, veniva ammesso il deposito tardivo di un parere dell'Agenzia delle entrate concernente la non debenza di IVA da parte di una Regione quale soggetto attuatore di interventi finanziati con contributi PNRR, con la non opposizione del Pubblico Ministero (che pure ne rimarcava la non pertinenza alla fattispecie in discussione).

Il rappresentante della Procura replicava ai rilievi mossi dalle difese nelle comparse, evidenziando:

a) quanto alla prescrizione, che, anche a prescindere dalla sospensione dei termini prescrizionali per il COVID, la notificazione dell'invito a dedurre del 2024 era avvenuta tempestivamente e perfettamente nei termini, dato che l'esordio della prescrizione coincide con il momento dell'effettivo pagamento degli interessi, avvenuto nel 2019;

b) nel merito, che le eccezioni dei convenuti erano infondate, in quanto:

- il contratto prevedeva espressamente il pagamento dell'IVA in apposita disposizione, che non poteva qualificarsi come mera "clausola di stile", in quanto non precisava la aliquota solo perché variabile di anno in anno;

- sulla debenza dell'imposta vi erano già una risoluzione dell'Agenzia dell'entrate del 2003 e una precedente sentenza del Tribunale di Potenza del 2004 su analoga controversia; onde si riteneva "inspiegabile" sia la deliberazione del 2005 con cui il Comune decideva la resistenza in giudizio, la cui motivazione si fondava su una apodittica affermazione di infondatezza delle pretese di controparte, sia la difesa in giudizio del Comune fondata su una risalente risoluzione del 1997;

- il parere dell'Agenzia delle entrate, tardivamente depositato dall'avv. Marsilio, riguardava una diversa ipotesi, relativa ad un soggetto pubblico (in quel caso la Regione) che era solo verificatore della rendicontazione e non beneficiario del contributo;

- non vi era alcuna incertezza e confusione normativa illo tempore circa il pagamento dell'IVA; in particolare, la scelta del C.C.P.L. di procedere con la citazione e non con decreto ingiuntivo era dipesa non da incertezze interpretative, ma dalla maggiore ampiezza di prova e dalla possibilità di formulare domanda riconvenzionale.

In merito al danno, la Procura evidenziava che il credito IVA vantato dal Comune nel 2017, da un lato, non poteva essere portato a compensazione (essendo decorso più di un quinquennio) con debiti IVA relativi a fatture del 2005; dall'altro, comunque non incideva sul danno in contestazione, potendo essere stato utilizzato dal Comune per altri servizi. Precisava, altresì, che non rilevava ai fini della temerarietà della lite una eventuale compensazione delle spese del giudizio; e si opponeva alla richiesta di C.T.U. per assenza di un principio di prova, e per la mancanza di ogni rilevanza dell'istruttoria richiesta.

I difensori insistevano nelle eccezioni formulate nelle rispettive comparse, riportandosi a queste ultime.

In particolare, l'avv. Marsilio rimarcava le difficoltà incontrate dagli amministratori nella scelta di resistere o meno all'azione giudiziale dell'appaltatrice, considerato che:

a) i deliberanti non conoscevano né potevano conoscere né la vicenda a monte (avvenuta circa 9 anni prima) né quali sarebbero state le conseguenze a valle (il pagamento di interessi e spese nel 2018);

b) sebbene il Tribunale di Potenza avesse affermato la debenza dell'IVA un anno prima, i convenuti non ne conoscevano le argomentazioni (fermo restando che il precedente giudiziale non era vincolante per il futuro);

c) la decisione di transigere dopo la condanna civile di primo grado aveva precluso un eventuale diverso esito in sede di appello, ben possibile in presenza di una serie di elementi che potevano condurre al rigetto della domanda per non spettanza dell'IVA;

d) vi era un'obiettiva incertezza circa la fondatezza dell'azione dell'appaltatrice (da cui discendeva la possibilità di una riforma in appello), che emergeva:

- dalla scelta del privato di agire, anziché un decreto ingiuntivo, con un processo ordinario;

- dalla clausola compromissoria del contratto di appalto che imponeva al C.C.P.L. il ricorso all'arbitrato prima di giungere innanzi del Giudice di primo grado;

- dalla circostanza che l'IVA non era prevista nel progetto originario approvato, era stata oggetto di pareri contrastanti del Ministero delle finanze ed era stata richiesta dal C.C.P.L. solo dopo ben 9 anni, in cui aveva incassato tutte le somme dovute senza richiedere l'imposta;

- dalla circostanza che la sentenza del Tribunale di Potenza non fa alcun riferimento a profili di temerarietà dell'azione.

Inoltre, l'avv. Mongelli evidenziava che la resistenza in giudizio era più che legittima ed opportuna sotto vari aspetti, a prescindere dalle scelte difensive dell'avvocato nominato dal Comune (che aveva dato rilievo solo ad alcuni profili), in quanto:

a) il Tribunale civile era privo di giurisdizione, essendo la questione sulla debenza dell'IVA di competenza della Commissione tributaria;

b) non vi era alcuna "temerarietà dell'azione", considerando che:

- il C.C.P.L. aveva sempre fatturato, in corso di appalto, senza includere l'imposta (per cui non aveva potuto richiedere l'emissione di decreto ingiuntivo, ma aveva dovuto proporre azione ordinaria);

- l'IVA era stata richiesta solo dopo il giudizio positivo di collaudo che aveva certificato anche la regolarità contabile, dopo ben 9 anni dai lavori.

Infine, la difesa eccepiva, quanto al danno, che il computo dell'IVA sarebbe stato comunque erroneo, essendo al 4% e quindi non di euro 71.000 ma di euro 21.000.

La Procura replicava che le difese dei convenuti tendevano a riaprire il giudizio civile riversando nel presente giudizio una serie di questioni già correttamente decise dal Tribunale, con sentenza irrevocabile, e dichiarava di non accettare il contraddittorio sul quantum del danno, in merito al quale nulla era stato controdedotto in sede di invito a dedurre. In merito ai pretesi indici di assenza di gravità della colpa, replicava:

- che la Giunta comunale era a conoscenza della esistenza degli sfavorevoli precedenti - in quanto riportati in citazione - (ovvero una sentenza del Tribunale di Potenza e un recente parere del Ministero delle finanze);

- che solo il certificato di pagamento relativo al saldo finale era senza IVA, non le fatture dal 1995 al 2004;

- che nel progetto iniziale non era prevista l'IVA in quanto, se il Comune avesse eseguito l'opera direttamente anziché appaltarla, l'IVA non sarebbe stata dovuta;

- che vi era la giurisdizione del Tribunale sulla debenza dell'IVA, in quanto il titolo a fondamento della pretesa azionata non era l'obbligazione tributaria ma il contratto di appalto.

L'avv. Marsilio controreplicava evidenziando:

- che con le considerazioni giuridiche sulla debenza dell'IVA non si contesta il giudicato civile ma la asserita temerarietà della lite;

- che gli amministratori ben potevano non conoscere la sentenza, e comunque ben vi potevano essere precedenti di segno opposto;

- che la motivazione della deliberazione del 2005 non era apparente o apodittica ma semplicemente sintetica, riportando l'esito di una valutazione complessiva della vicenda;

- che, comunque, alla luce delle circostanze citate e della notoria complessità della materia dell'IVA, non poteva configurarsi una colpa grave dei convenuti;

- che, comunque, la scelta era stata dettata dalla convinzione della non debenza delle somme e dal fine di conservare al Comune somme che potevano essere destinate a servizi di pubblico interesse, e non era comunque imputabile agli amministratori la scelta di non proporre appello;

- che, in ogni caso, doveva ritenersi maturata la prescrizione.

Quindi il giudizio passava in decisione.

DIRITTO

7. È preliminare, nella vicenda all'esame, affrontare la questione della pretesa tardività dell'invito a dedurre e della sua conseguente inidoneità ad esplicare effetto interruttivo della prescrizione a norma dell'art. 66 del c.g.c. Trattasi, infatti, di eccezione sollevata per prima da tutti i convenuti e in sé idonea, ove accolta, a determinare gli esiti del presente giudizio senza entrare nell'esame del merito, quindi nel rispetto di principi di economia processuale.

Al riguardo, ritiene il Collegio che la stessa non sia meritevole di accoglimento, alla luce delle condivisibili argomentazioni espresse dalla Procura istante.

Rileva nella fattispecie all'esame innanzitutto individuare correttamente la data in cui si è verificato il fatto dannoso, data che, a norma dell'art. 1, comma 2, della l. 14 gennaio 1994, n. 20, tuttora vigente e non modificata dal codice di rito, segna l'exordium praescriptionis in tutti i casi, come quello di cui si verte, di assenza di occultamento doloso del danno.

È pacifico in giurisprudenza che il fatto dannoso costa di un evento causativo che è logicamente e cronologicamente antecedente rispetto alla manifestazione dell'effetto dannoso e che quest'ultimo è comunque presupposto necessario per la valida azionabilità della pretesa risarcitoria, altrimenti destituita di attualità. Il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione, quindi, «... coincide con l'esborso del relativo titolo di pagamento: infatti, solo con l'emissione del titolo di pagamento l'Amministrazione viene a subire un'oggettiva deminutio patrimonii avente le caratteristiche della certezza, della concretezza e dell'attualità, che legittimano il P.M. contabile ad esercitare l'azione di responsabilità amministrativa a carico dell'autore del danno (ex plurimis, Corte dei conti, Sez. riun., n. 14/2011/QM)» (Corte conti, Sez. III giur. app., sent. n. 88/2023).

In forza di tale orientamento, dal quale il Collegio non trova motivi per discostarsi in questa sede, non possono essere accolte le tesi difensive intese a far coincidere il computo del termine di cui trattasi con il giorno 7 marzo 2017, data di pubblicazione della sentenza Tribunale di Potenza n. 272/2017 e neppure con quella successiva del 7 ottobre 2017 di passaggio in giudicato della sentenza stessa.

Giova ad abundantiam considerare da un lato che nessuna pretesa risarcitoria poteva essere contestata sulla base di un pronunciamento non definitivo e passibile, sia pure in linea teorica, di impugnazione con richiesta di sospensione di esecutività, dall'altro che nelle more del passaggio in giudicato della sentenza l'ente aveva avviato un'iniziativa transattiva che rendeva in sé incerto l'an ed il quantum del danno.

Ne deriva che il termine prescrizionale non può che avere avvio dalle date degli esborsi in contestazione, coincidenti con quelle di emissione dei pertinenti mandati di pagamento, a cominciare da quello più antico del 7 marzo 2019 concernente la corresponsione delle spese legali di controparte: in altri termini, il termine quinquennale decorre dal singolo esborso (dal singolo mandato), che rappresenta in momento in cui il danno diventa pro quota concreto ed attuale e quindi azionabile in giudizio, laddove prima di tale momento l'azione è improponibile per mancanza di attualità e concretezza del danno, e quindi la prescrizione non può decorrere, per l'espressa previsione dell'art. 2935 c.c.

Così individuato l'exordium praescriptionis, lo spirare del termine quinquennale, che ordinariamente sarebbe coinciso con il 7 marzo 2024 (solo per il primo rateo di mutuo pagato il 7 marzo 2019, laddove per i ratei pagati successivamente lo spirare del termine risulta maturare successivamente al marzo 2024, a mano a mano che i ratei sono stati e verranno corrisposti), sconta la sospensione fissata dall'art. 85, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020, convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, per il quale "In caso di rinvio, con riferimento a tutte le attività giurisdizionali, inquirenti, consultive e di controllo intestate alla Corte dei conti, i termini in corso alla data dell'8 marzo 2020 e che scadono entro il 31 agosto 2020, sono sospesi e riprendono a decorrere dal 1° settembre 2020. A decorrere dall'8 marzo 2020 si intendono sospesi anche i termini connessi alle attività istruttorie preprocessuali, alle prescrizioni in corso ed alle attività istruttorie e di verifica relative al controllo".

La norma emergenziale, come ormai univocamente acclarato in via interpretativa (cfr. Sez. II app., sentt. nn. 57/2025 e 151/2025), detta un regime sospensivo specificamente riferito alle funzioni della Corte dei conti in corso di esercizio alla data indicata, da intendersi esteso in modo omogeneo quanto a periodo di durata (pari a n. 176 gg) ed in base alla lettura in combinato del primo e del secondo alinea, anche alle attività istruttorie che precedono l'avvio del giudizio. Ne deriva che, nel caso concreto, il dies ad quem della prescrizione va spostato in avanti rispetto a quello ordinario di n. 176 giorni venendo a cadere il 1° settembre 2024. Entro tale data, peraltro, l'invito a dedurre - nella specie contestuale ex art. 67, comma 5, c.g.c. - non solo era stato emesso ma anche ritualmente notificato. Ed in effetti, come risulta dalle relate in atti, le notifiche sono tutte andate a buon fine tra il 2 aprile e il 15 maggio 2024, così garantendo la piena ricettizietà dell'invito in pendenza dei termini prescrizionali e con essa l'effetto interruttivo di cui all'art. 66 c.g.c.

L'eccezione è quindi infondata perfino per il più risalente rateo del 7 marzo 2019 (oltre che - a fortiori - per i ratei successivi, comunque non prescritti in quanto maturati dopo che l'invito a dedurre del marzo 2024, ha determinato l'interruzione della prescrizione).

8. Nel merito, stralciata la posizione del sig. M. Francesco, definita con rito abbreviato, il Collegio è chiamato ad esprimersi sulla sussistenza dei capi di responsabilità risarcitoria prospettati da parte attrice nei confronti degli altri convenuti, anche alla luce delle dedotte argomentazioni difensive.

8.1. Anzitutto, sulla base della documentazione in atti ed in specie dei mandati di pagamento, risulta comprovata l'esistenza del contestato danno di euro 22.164,51, pari alla somma di quanto corrisposto al Consorzio CPL a titolo di spese (euro 11.876,84, di cui euro 8.298,00 per spese legali ed euro 3.578,34 per IVA, CPA etc. sui compensi professionali, come da sentenza del Tribunale di Potenza n. 272/2017, erogati all'avv. Matassa con mandato n. 292 del 7 marzo 2019, doc. n. 8 unito alla citazione e menzionato anche nella comparsa di costituzione dei legali dei convenuti U., C. e B.) e di quanto corrisposto alla Cassa dd.pp. a titolo di interessi (euro 10.287,67, pagati in conformità al piano di ammortamento, come risultante dai documenti di cui al n. 11 dell'elenco unito alla citazione, ed in particolare dalle comunicazioni dell'Ufficio incassi dell'istituto mutuante n. 2041709 e del responsabile comunale del settore n. 1551 entrambe del 25 marzo 2024, in ratei semestrali il primo dei quali in scadenza il 30 giugno 2019 e l'ultimo in contestazione il 31 dicembre 2023) sul mutuo contratto per pagare all'impresa l'IVA dovuta in forza della sentenza civile nonché le spese (essendo stati transatti gli interessi sull'IVA).

Invero, detto esborso, in quanto aggiuntivo rispetto al debito originario non pagato prima dell'instaurarsi del giudizio civile, costituisce danno oggettivamente ed a prescindere dall'asserita opinabilità della debenza dell'IVA, profilo quest'ultimo semmai rilevante ai diversi fini dell'ingiustizia del danno stesso e dell'antigiuridicità delle condotte contestate.

8.2. È altrettanto indubbio e comprovato in atti che tale esborso trova causa adeguata nella delibera della Giunta comunale di Campomaggiore n. 39 del 27 maggio 2005, con cui Mario U., in qualità di Sindaco, e C. Annateresa e B. Francesco Saverio in qualità di Assessori - dopo aver dato atto di avere "visto l'atto di citazione presentato da parte del Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro, presentato dall'Avvocato Matassa" per il pagamento di euro 71.821,00, che le pretese azionate erano infondate (essendo stato già corrisposto all'attore quanto dovuto in base alla convenzione con il CCPL) e che era stato acquisito in merito il parere favorevole del responsabile del servizio ex art. 49, comma 1, d.lgs. n. 267/2000 (il Segretario comunale dr. Pietro Ba.) - avevano deliberato di resistere in giudizio dinanzi al Tribunale di Potenza contro il consorzio.

Le condotte dei convenuti, sia dei soggetti deliberanti sia del soggetto che ha dato parere favorevole di regolarità tecnica, si pongono come causa adeguata del verificarsi del danno contestato, ovvero come antecedente causale necessario, dapprima, dell'instaurarsi del giudizio civile; poi, della condanna civile del Comune, da parte del Tribunale di Potenza, al pagamento dell'IVA pretesa dal CCLP (non contestata in questa sede), con interessi legali sulle somme dovute a questo titolo e delle spese di giudizio di controparte; infine, della transazione (con rinuncia del CCPL agli interessi a lui spettanti) e del riconoscimento di debito da parte del Comune, con assunzione di un oneroso mutuo con la Cassa dd.pp. (con ulteriori interessi a carico del Comune). Infatti, i maggiori oneri sostenuti dal Comune sarebbero stati evitati qualora il Comune - anziché decidere di resistere in giudizio - avesse provveduto nel 2005 al pagamento di quanto già richiesto in via stragiudiziale dal CCPL (con plurime raccomandate dal 1996 al 2004, richiamate nella citazione introduttiva del giudizio civile, prodotta alla Procura dallo stesso Comune in allegato alla nota informativa n. 4689 del 29 novembre 2018); scelta causalmente riconducibile non solo alla decisione dei componenti della Giunta che avevano approvato la contestata delibera giuntale di resistenza in giudizio, ma anche al parere del dott. Pietro Ba., essendo ben presumibile - in base all'id quod plerumque accidit (regolarità causale) - che a fronte di un parere contrario del Segretario comunale, che evidenziasse la inopportunità e/o illegittimità di tale resistenza, la Giunta, peraltro tenuta ex art. 49, comma 4, t.u.e.l. a motivare espressamente una diversa posizione, si sarebbe diversamente orientata.

Deve in particolare precisarsi che, a parte la rilevanza sotto il profilo soggettivo (colpevolezza) e sotto il profilo della antigiuridicità (profili oltre esaminati), dal punto di vista oggettivo-causale la successiva decisione della Giunta comunale di riconoscere transattivamente parte del debito accertato a seguito della sentenza civile del Tribunale di Potenza, finanziando il pagamento tramite un mutuo (delibera del Consiglio comunale n. 4 del 2018), non costituisce una concausa da sola sufficiente a cagionare l'evento dannoso, e quindi tale da spezzare il nesso causale con la pregressa e contestata delibera del 2005 con cui si decideva la resistenza in giudizio; infatti, la decisione del Comune di procedere al pagamento dopo una sentenza civile di condanna, che aveva già accertato il torto del Comune, procacciandosi i fondi necessari tramite un mutuo, da punto di vista statistico-probabilistico costituisce uno sviluppo causale del tutto ordinario, a prescindere dalla possibilità di riforma in appello della sentenza civile e della esistenza di ipotetici controcrediti crediti IVA da portare a compensazione della pretesa azionata dal CCPL (circostanze insussistenti, come si dirà, e comunque al limite rilevanti come esimenti da colpa grave o come concause valutabili a fini del riparto dell'addebito).

In ogni caso, in concreto risultano infondate le eccezioni tendenti ad ipotizzare responsabilità dei soggetti che nel 2018 hanno concorso al riconoscimento del debito, anche a titolo di condotta meramente concausale nel danno.

Quanto all'eccezione difensiva di difetto di legittimazione passiva ad causam, ovvero di mancanza di responsabilità per gli interessi pagati alla Cassa dd.pp. a copertura del mutuo contratto, del tutto ininfluente è la circostanza che i convenuti componenti di Giunta erano da tempo cessati dalla carica quando è stata adottata la delibera di riconoscimento del debito (individuando la necessaria fonte di copertura dell'obbligazione); infatti, siffatta copertura della spesa, nello sviluppo concretamente avuto dall'intera vicenda, ne ha rappresentato semplicemente un epilogo obbligato o quanto meno rientrante nell'ordinario sviluppo causale (alla luce dell'art. 194 t.u.e.l.), in presenza di una sentenza civile di condanna comunque esecutiva, alla quale gli organi dell'ente, qualsiasi fosse la loro composizione, non avrebbero in alcun modo potuto sottrarsi.

Risulta altresì infondata l'eccezione con cui si contesta la scelta del ricorso all'indebitamento in presenza di pretese disponibilità di risorse alternative (nella specie rappresentate da crediti IVA di capiente importo risultati dalle scritture fiscali dell'ente), utilizzabili a costo zero per riequilibrare il bilancio a fronte della passività di cui alla sentenza del Tribunale di Potenza n. 232/2017. In merito, va preliminarmente precisato che detti crediti non sarebbero stati in ogni caso assoggettabili a compensazione diretta con il credito accertato dal giudice civile in favore del Consorzio CPL, sebbene consistente in pretesa da rimborso dell'IVA a carico del Comune. Secondo il regime di traslazione proprio di tale imposta (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), infatti, il committente finale sostanzialmente inciso - posizione propria nella specie del Comune di Campomaggiore - rimane formalmente estraneo al rapporto debitorio con il fisco. Semmai - ed è questa la ventilata ipotesi difensiva - avrebbero dovuto essere oggetto di richiesta di rimborso al fisco, con iscrizione in entrata in contabilità finanziaria - come, del resto, da principi contabili vigenti (vedasi all. 2, punto 5.2, al d.lgs. 118/2011) - per compensare, a fini di equilibrio, la passività di nuova iscrizione. Tanto premesso, l'argomento non è comunque dirimente, in quanto - pur volendosi ammettere l'esistenza di un credito comunale nei confronti dell'erario richiedibile a rimborso ed iscrivibile in contabilità contestualmente all'iscrizione del debito (cioè in conto competenza dell'anno 2018 di emanazione della delibera di riconoscimento) - non è comprovato in alcun modo che tali risorse fossero all'epoca liberamente utilizzabili e non vincolate ad altri fini. E ciò neppure può essere accertato nello specifico in questa sede senza sostituirsi impropriamente a valutazioni di stretta spettanza del Consiglio comunale e confluite in un deliberato validamente emesso e mai impugnato, con il quale si dà conto proprio del contrario. Si osservi, peraltro, ad abundantiam che sulla individuazione delle coperture l'ente è tornato anche in un secondo momento, limitando il ricorso al mutuo, e tale rimodulazione più accurata delle coperture, è sintomatica per converso dell'inutilizzabilità allo scopo di componenti dell'attivo comunale da crediti IVA.

8.3. Più complesso è il discorso relativo alla antigiuridicità (violazione dei doveri inerenti al rapporto di servizio) e grave colpevolezza caratterizzanti le condotte dei convenuti.

8.3.1. Ai componenti della Giunta comunale (il Sindaco Mario U. e gli Assessori C. Annateresa e B. Francesco Saverio) si contesta di aver illegittimamente e scriteriatamente deciso (con delibera n. 39 del 27 maggio 2025) di resistere nel giudizio civile intentato dall'impresa appaltatrice (Consorzio CPL), nonostante che la pretesa di quest'ultima fosse fondata su inequivoci rapporti negoziali e su orientamenti interpretativi sfavorevoli all'ente, all'epoca già formatisi sulla medesima questione con riguardo ad altri Comuni della Basilicata. In altri termini, si contesta una "temerarietà" della scelta di resistere nel giudizio civile, scelta in quanto tale irragionevole e dannosa per le casse dell'ente (attesa la assai la probabile soccombenza, infine intervenuta).

In merito tale questione, va anzitutto evidenziato che la responsabilità erariale per "temerarietà della lite", che incombe sui soggetti pubblici che decidano scriteriatamente la resistenza in giudizio dell'amministrazione, non è sovrapponibile alla responsabilità aggravata per lite temeraria di cui all'art. 96 c.p.c.; quest'ultima previsione, infatti, non afferisce al danno subìto dall'amministrazione soccombente a causa della condotta dolosa o colposa dei propri amministratori o dipendenti che hanno deciso di agire o resistere in giudizio, ma al danno subito dalla parte vittoriosa a causa della condotta processuale in mala fede o colpa grave della controparte.

Pertanto, in questa sede non assume alcun rilievo il fatto che il giudice civile, nel caso in esame, non abbia accertato affermato che il Comune abbia resistito in giudizio con dolo o colpa grave, condannandolo al risarcimento ex art. 96 c.p.c., attesa la completa autonomia del presente giudizio da quello civile per diversità di petitum e causa petendi; nel presente giudizio si impone, più propriamente, una valutazione autonoma, ai fini della sussistenza o meno di illeciti erariali, della decisione di resistere in giudizio, quale condotta gravemente colpevole e causativa di danno, nella specie legato agli esiti sfavorevoli del giudizio stesso, da valutarsi in relazione non solo alla fondatezza giuridica della pretesa azionata in giudizio dalla controparte ma anche ai doveri di cautela finanziaria che incombono sul pubblico dipendente.

In altri termini, non è qui in discussione l'esercizio del diritto di agire e difendersi in giudizio, pienamente esercitabile da parte della pubblica amministrazione al pari di quanto avviene per qualsiasi altro soggetto giuridico con i sottesi ordinari margini di aleatorietà, quanto piuttosto il dovere di chi agisce per l'ente pubblico di soppesare in concreto ed ex ante costi e benefici dell'azione che si va ad intraprendere, per non sovraesporre il bilancio dell'ente interessato, su cui in definitiva sono destinati a ricadere gli effetti del pronunciamento giudiziario e i costi di lite, a rischi anomali ed eccedenti la normale aleatorietà sottesa ad ogni giudizio (Corte conti, Sez. II app., sent. n. 36/2001; Sez. I app., sent. n. 483/2021).

Non si richiede, ovviamente, all'agente pubblico di effettuare in questi casi complesse valutazioni di giustizia predittiva, difficili anche per esperti operatori del diritto, quanto di assumere le proprie decisioni in modo consapevole e con l'avvedutezza che si richiede quando si esercitano pubbliche funzioni che implicano una discrezionalità, esigenza sostanziale della quale l'obbligo di motivazione espressa degli atti rappresenta un corollario.

Tanto premesso, se si può discutere sul livello di ponderazione richiedibile in rapporto alle circostanze del caso concreto, è indubitabile che il ricorso alle vie legali a fronte di situazioni conflittuali con soggetti terzi rappresenti una scelta di carattere discrezionale e non costituisce automaticamente ed in assoluto la strada migliore per salvaguardare gli interessi dell'ente. E ciò rende ineludibile fondare le decisioni in tal senso su valutazioni di opportunità effettive ed ostensibili, diversamente da quanto avvenuto nella specie.

In effetti, dagli atti emerge che con la suddetta delibera di Giunta n. 39 del 27 maggio 2005, Mario U., C. Annateresa e B. Francesco Saverio - sulla base del parere favorevole del responsabile del servizio ex art. 49, comma 1, d.lgs. n. 267/2000 (il Segretario comunale dr. Pietro Ba.) - hanno autorizzato la resistenza in giudizio in base solo ad una mera affermazione di avvenuto pagamento di tutto quanto era dovuto in base al piano tecnico-finanziario e ad un generico richiamo alla infondatezza delle pretese di controparte, senza tener conto in alcun modo della presenza di plurimi e macroscopici elementi, noti e comunque di agevole reperibilità, che conducevano invece ad un giudizio di verosimile fondatezza della pretesa azionata dal Consorzio CPL, e quindi accrescevano fortemente il rischio di una condanna civile negativo, con ulteriori oneri a carico del Comune.

Infatti, nel deliberato si dà atto che erano stati "visti" la citazione del CCPL e la convenzione con cui il Comune aveva appaltato la realizzazione dell'opera: dunque i convenuti erano a conoscenza, o quanto meno avrebbero potuto facilmente conoscere (semplicemente leggendo con un minimo di attenzione gli atti predetti) che era in questione dinanzi al Tribunale civile la debenza o meno dell'IVA, la cui spettanza era stata era stata espressamente riconosciuta nel contratto tra l'appaltatore ed il Comune, e che vi erano precedenti sia amministrativi sia giurisprudenziali espressamente e per esteso riportati nella stessa citazione (e ad essa allegati) che avevano espressamente riconosciuto la debenza dell'IVA, proprio in relazione a contratti di appalto di altri Comuni per la realizzazione di metanodotti nella Regione Basilicata. Pertanto, nel valutare l'opportunità di resistere in giudizio ed a prescindere da ogni diverso convincimento, sarebbe stato doveroso tener conto dell'esistenza di tali recenti ed univoci orientamenti dell'Agenzia delle entrate e del Tribunale di Potenza sulla medesima questione qui in esame con riguardo ad altri Comuni della Basilicata (che superavano l'opposto parere, peraltro risalente e non conferente alla concreta fattispecie, della medesima Agenzia); orientamenti all'epoca già formatisi e conosciuti o agevolmente conoscibili dai convenuti in quanto non solo riportati per esteso nella citazione a giudizio, che i convenuti stessi richiamavano nelle premesse della loro deliberazione di resistenza in giudizio, ma anche versati agli atti di causa dalla controparte in fase di avvio del contenzioso dinanzi al Tribunale di Potenza (come sopra precisato).

In ogni caso, e soprattutto, quand'anche si fossero nutriti dubbi sulla questione di carattere fiscale a monte della fattispecie (peraltro infondati, alla luce non solo della sentenza del Tribunale di Potenza, ma anche del più recente parere del Ministero delle finanze, peraltro attinente proprio alla fattispecie in esame, diversamente da quello invocato dal Comune), non si poteva ignorare - trattandosi del cuore della controversia civile e del fondamento della pretesa creditoria - che il Comune aveva a suo tempo sottoscritto un contratto con l'impresa che contemplava in apposita clausola la corresponsione dell'IVA, così generando nella controparte non solo un diritto al relativo pagamento (a prescindere da quanto previsto negli atti precedenti il contratto, in specie il quadro economico dell'opera) ma anche obblighi e pretese nei confronti dell'erario, derivanti dal regime di traslazione e discarichi proprio di tale imposta. In altri termini, se pure vi fossero stati dubbi sulla debenza dell'imposta ed a prescindere dalla complessa disciplina fiscale sull'IVA (ed anzi, proprio per questa), le parti avevano già disciplinato nel contratto di appalto le questioni relative alla debenza o meno dell'IVA, e dunque ben poteva l'impresa tenuta alla riscossione dell'imposta pretenderne il pagamento, onde evitare rischi di contestazione a suo carico da parte dell'amministrazione finanziaria. Il che dimostra anche l'infondatezza dell'eccezione di parte convenuta circa un preteso difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla questione in esame (eccezione, peraltro, non sollevata nel giudizio civile), essendo controverso tra le parti giudizio civile la spettanza di somme in forza non del rapporto tributario ma del contratto: eventuali contestazioni sulla debenza dell'IVA in forza del rapporto tributario avrebbero dovuto semmai essere azionate dal Comune nei confronti dell'erario.

In questo contesto ed a fronte della affermata complessità della res litigiosa, i convenuti non solo non hanno sentito l'esigenza di condurre - come sarebbe stato consigliabile - specifici approfondimenti tecnici anche con il ricorso ad idonei supporti professionali, ma non si sono neppure preoccupati di assumere con minimo sforzo quelle informazioni che mettevano in serio dubbio la asserita "infondatezza" delle pretese del CPPL. E ciò rende tanto più grave la negligenza nella quale sono incorsi, quanto più sarebbe stato semplice venire a conoscenza del forte livello di rischio di esito avverso della lite che vincoli negoziali specifici e orientamenti interpretativi pregressi di fatto creavano.

A fronte di tali elementi oggettivi ed inequivocabili (una clausola contrattuale che espressamente affermava la debenza dell'IVA, e precedenti amministrativi e giudiziali sfavorevoli all'ente), non assumono alcun rilevo le considerazioni difensive volta ad affermare - a sostegno della prudenza e accortezza della deliberata resistenza giudiziaria - la ignoranza della annosa vicenda dell'appalto pregressa al deliberato, la circostanza che nel piano economico l'IVA non fosse prevista, e la pretesa opinabilità della soluzione data alla vicenda dal giudice civile e la possibilità di una loro riforma in appello (possibilità che il Comune stesso, evidentemente melius perpensa re, ha ritenuto non coltivabile, preferendo chiudere la questione in via transattiva con risparmio notevole di interessi da ritardato pagamento).

Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che la scelta di resistere nel giudizio civile sia stata irragionevole e dannosa per le casse dell'ente e quindi illegittima (per violazione dei principi di economicità ex art. 1 l. n. 241/1990 e di ragionevolezza in funzione dell'eccesso di potere), nonché scriteriata e gravemente colposa, in presenza di una assai verosimile soccombenza in sede civile (successivamente, puntualmente intervenuta).

8.3.2. Analogamente antigiuridica e colposa, per i medesimi motivi, deve ritenersi anche la condotta del Segretario comunale pro tempore presso il Comune di Campomaggiore, dr. Pietro Ba., che in tale veste aveva asseverato la regolarità tecnica della deliberazione di resistere in giudizio, senza peritarsi di approfondire e segnalare all'attenzione degli organi deliberativi del Comune, come sarebbe stato nei compiti della sua funzione, la presenza degli elementi di forte rischio nel procedere in questa direzione, consistenti tanto nei contenuti del contratto sottoscritto con l'impresa tanto nei menzionati pronunciamenti degli organi dell'Amministrazione finanziaria e del Tribunale di Potenza. Al riguardo, non si può omettere di considerare che a norma dell'art. 97, comma 2, del d.lgs. 267/2000 il Segretario comunale è chiamato a svolgere compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti e ciò implica necessariamente il dovere di documentarsi compitamente sulle questioni poste alla sua attenzione, senza accedere pedissequamente alle scelte degli organi politici. In questi termini, la condotta del sig. Ba. appare violare i doveri di diligenza minimi in cui si sarebbe sostanziata la sua funzione, specie in una fattispecie delicata come quella di fronte alla quale il Comune di Campomaggiore si era venuto a trovare. Si tratta, quindi, di un comportamento gravemente colpevole e causativo del danno ascritto.

8.4. Sussistono in conclusione tuti i presupposti legali della responsabilità amministrativa dei convenuti, di cui agli artt. 83 del r.d. 2440/1923, 52 del r.d. 1214/1934, 1 e segg. della l. 20/1994 (rapporto di servizio, danno collegato da nesso causale con condotta antigiuridica, per violazione di doveri pubblicistici, e gravemente colpevole dei componenti di Giunta e del Segretario comunale).

8.5. Il riparto dell'addebito tra tali soggetti deve essere proporzionato, come per legge, al contributo causale dato da ciascuno dei nominati convenuti alla produzione del danno, limitando la condanna alla parte che ognuno vi ha preso (art. 1, comma 1-quater, l. n. 20/1994), e con esclusione delle condotte imputabili a terzi rispetto al giudizio (ex art. 83 c.g.c.).

In tal senso, risulta corretto il riparto riportato in citazione, che attribuisce maggior rilievo causale (nella misura pro quota di euro 4.654,54, il 21% del danno complessivo) alla condotta del Sindaco Mario U. (che non solo ha partecipato alla decisione, ma l'ha anche successivamente portata ad esecuzione con il conferimento di mandato legale, in essa persistendo senza alcun momento di resipiscenza), nonché alla condotta del Segretario comunale Ba. Pietro (per avere apposto - sulla deliberazione con cui è stata decisa la resistenza in giudizio - il parere di regolarità tecnica, anziché rilevare la temerarietà della lite che si intendeva intraprendere, pur avendo le competenze tecniche per evidenziare l'infondatezza della contestazione e il dovere di fornire l'assistenza giuridica alla Giunta ed al Sindaco prevista dall'art. 97, comma 2, del d.lgs. 267/2000 per evitare di allontanare nel tempo la soluzione della controversia con ulteriori esborsi anche di natura legale), rispetto alle condotte degli Assessori C. Annateresa e B. Francesco Saverio (cui si imputano pro quota euro 3.324,67 ciascuno, pari al 15% del danno complessivo, avendo essi solo dato parere favorevole alla deliberazione).

Non possono invece riconoscersi concorsi concausali di terzi, per i motivi sopra precisati.

8.6. Infine, accertata per quanto sopra la responsabilità dei convenuti, il Collegio ritiene che ricorrano nella fattispecie i presupposti per l'applicazione del potere riduttivo ex art. 83 del r.d. 2440/1923, in considerazione della stratificazione della vicenda nel tempo e del numero di atti che ne hanno connotato lo sviluppo, in particolare per la mancata precisazione della debenza dell'IVA negli atti prodromici al contratto con il CPPL.

L'addebito, pertanto, va rideterminato in riduzione rispetto alle richieste attoree, conservandone la proporzione, data dai diversi ruoli istituzionali dagli stessi svolti e dal diverso grado di diligenza ai ruoli stessi sotteso, come sopra esposto, per B. Francesco Saverio e C. Annateresa in euro 2.500,00 ciascuno e per Mario U. e Pietro Ba. in euro 3.500,00 ciascuno.

8.7. Attesa la natura dell'obbligazione risarcitoria (di valore) il danno va liquidato applicando alle somme predette la rivalutazione monetaria, condannando i convenuti al pagamento di quest'ultima, da calcolarsi per ogni convenuto applicando sulla somma rispettivamente dovuta gli indici ISTAT, a decorrere dalla data di ogni pagamento indebito fino alla data di pubblicazione della presente sentenza. Sulla somma così computata sono altresì dovuti, ai sensi dell'art. 1282 c.c., gli interessi legali, da calcolarsi per ognuno dei convenuti sulla somma rivalutata dovuta dal deposito della presente decisione fino al soddisfo.

8.8. Le spese del giudizio, da dividersi in parti uguali tra i convenuti, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte, così decide:

a) condanna U. Mario e Ba. Pietro al pagamento in favore del Comune di Campomaggiore (PZ) della somma di euro 3.500,00 ciascuno, oltre ad accessori di legge;

b) C. Annateresa e B. Francesco Saverio al pagamento in favore del Comune di Campomaggiore (PZ) della somma di euro 2.500,00 ciascuno, oltre ad accessori di legge;

c) condanna i convenuti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da nota segretariale a margine alla presente sentenza.