Consiglio di Stato
Adunanza plenaria
Sentenza 7 ottobre 2025, n. 12

Presidente: Maruotti - Estensore: Franconiero

FATTO E DIRITTO

1. Con l'ordinanza n. 3649 del 2025, la Seconda Sezione di questo Consiglio ha rimesso a questa Adunanza plenaria il seguente quesito: «quale sia la disciplina giuridica applicabile alle modalità di accertamento della dipendenza da causa di servizio con riferimento a patologie tumorali insorte in capo a militari che siano stati esposti ad uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, in occasione del servizio prestato all'estero o presso i poligoni di tiro sul territorio nazionale».

Si chiede «in particolare» di stabilire se l'accertamento della causa di servizio «postuli il riscontro effettivo del nesso eziologico secondo il consueto canone civilistico del "più probabile che non"», oppure se - con riguardo al caso di specie, concernente patologie tumorali contratte da un militare che si afferma essere stato esposto ad uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti in occasione di servizi prestati in missioni internazionali NATO o presso poligoni di tiro in Italia - vi sia «una presunzione iuris tantum di sussistenza del detto nesso, superabile solo attraverso l'individuazione di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia».

2. La rimessione trae origine da una controversia promossa contro il Ministero della difesa dagli odierni appellati in qualità di eredi di un militare di ruolo dell'Esercito italiano al quale era stata diagnosticata una patologia tumorale con esito fatale (avvenuto nel 2012).

Prospettatane l'origine nel servizio prestato nel corso della missione internazionale NATO nella ex Jugoslavia, ed in particolare a causa dell'esposizione all'uranio impoverito e alle nanoparticelle di metalli pesanti derivanti dall'impiego di armamenti composti dai materiali in questione, gli eredi domandavano il riconoscimento della dipendenza della patologia da causa di servizio, ai fini dell'equo indennizzo previsto dal regolamento approvato con il d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461.

3. Il Ministero della difesa respingeva l'istanza con il decreto n. 646 del 2019, reso in conformità ai pareri negativi del comitato di verifica per le cause di servizio (di data 13 luglio 2017 e, su istanza di riesame, 1° febbraio 2019).

Il diniego veniva fondato sulla mancanza nei rapporti di servizio concernenti il militare di elementi dai quali si potesse correlare causalmente la patologia ad una sua esposizione a fattori specifici di rischio, con riguardo particolare al fatto che l'impiego in missione dello stesso si era protratto per "soli tre mesi" (in Kosovo, dal 4 marzo 2002 al 4 luglio 2002) e si era limitato al disbrigo di pratiche amministrative di vettovagliamento.

4. In accoglimento del ricorso degli eredi, con la sentenza impugnata il T.A.R. per la Toscana ha reputato illegittimo, per eccesso di potere, il giudizio di non dipendenza della patologia dal servizio ed ha ordinato all'amministrazione di rivalutare l'istanza di equo indennizzo.

5. Il T.A.R. ha più nello specifico ritenuto che la motivazione a base del diniego fosse inadeguata, avuto riguardo al fatto che in ambito medico e istituzionale «la correlazione tra alcune patologie tumorali (...) e l'attività militare svolta in ambienti contaminati da uranio impoverito (in particolare Balcani, l'Iraq, l'Afghanistan e il Libano)» è stata riconosciuta:

- da «indagini e studi commissionati da parte di organismi internazionali», alla base dell'adozione di misure di protezione dei militari «conosciute dallo Stato Italiano sin dal 1992», e di una risoluzione ONU «n. 1996/16» recante il divieto di impiego di armi contenenti uranio impoverito;

- da «studi epidemiologici condotti in Italia che hanno riscontrato, tra i militari impiegati nelle missioni all'estero con esposizione a polveri di uranio impoverito, l'insorgenza del linfoma»;

- in base ai «dati dell'Istituto Superiore della Sanità, che hanno confermato le conseguenze patogene dell'esposizione a tale sostanza, l'abbassamento delle difese immunitarie indotto dai vaccini cui vengono sottoposti i militari destinati all'estero».

Quindi, richiamata la giurisprudenza amministrativa formatasi in materia, il T.A.R. ha ritenuto che la «mancanza di una legge scientifica universalmente valida che stabilisca un nesso diretto fra l'operatività nei contesti caratterizzati dalla presenza di uranio impoverito e l'insorgenza di specifiche patologie tumorali» non osti all'accertamento della dipendenza da causa di servizio della patologia; e che, al contrario, dalla ricostruzione «in termini probabilistico-statistici» del nesso causale si possa enucleare la conseguenza che grava sul Ministero l'onere di fornire la prova contraria.

6. Posta questa premessa, il T.A.R. ha accertato, da un lato, che il militare defunto è stato esposto a fattori contaminanti ai quali è astrattamente correlabile la patologia tumorale contratta e, d'altro lato, che il Ministero non ha dato alcuna prova contraria ed in particolare non ha dimostrato «la sussistenza di fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l'insorgere dell'infermità».

7. In questo senso, il T.A.R. ha valorizzato il fatto che il servizio prestato nella missione NATO è stato svolto «in aree potenzialmente interessate da contaminazione ambientale da uranio impoverito»; e che, pertanto, il militare è stato esposto «a fattori di rischio specifico che non sono certo neutralizzati dalle mansioni di addetto al vettovagliamento svolte o dalla durata non eccessivamente lunga del periodo di permanenza sul territorio potenzialmente contaminato», a causa dell'impiego di ordigni «arricchiti con uranio impoverito che, una volta esplosi, hanno liberato nell'aria, come prodotto della combustione, metalli pesanti altamente cancerogeni (Nichel, Cadmio, Tungsteno), sotto forma di polveri sottili e micro-particelle che si depositano sul terreno e nell'acqua contaminando l'ambiente, e che sono idonee a provocare varie cancerogenesi».

A questo specifico riguardo il T.A.R. ha valutato in senso convergente le «analisi istologiche depositate in giudizio in data 28 aprile 2020» su campioni biologici prelevati dal defunto, attestanti la presenza «di metalli pesanti di provenienza esogena, ovvero di un quadro compatibile con la tesi relativa al possibile contatto con metalli o uranio impoverito».

8. Sul conseguente appello del Ministero della difesa, in resistenza del quale si sono costituiti gli originari ricorrenti, la Seconda Sezione di questo Consiglio di Stato ha deferito all'esame dell'Adunanza plenaria la questione sopra sintetizzata.

9. L'ordinanza di rimessione ha rilevato che sulle modalità di accertamento del rapporto di causalità tra il servizio prestato dal militare e la patologia tumorale da questo contratta vi è un contrasto nella giurisprudenza amministrativa di secondo grado.

10. Viene al riguardo ricordato che - per un primo indirizzo - l'accertamento della dipendenza da causa di servizio seguirebbe le regole generali del procedimento disciplinato dal d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, ed in particolare dal suo art. 11, il quale rimette al giudizio medico-legale del comitato per la verifica delle cause di servizio di stabilire la «riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione».

Sulla base di tale disciplina, si afferma che occorre la dimostrazione in positivo che la patologia è riconducibile al servizio prestato, e nello specifico alle condizioni operative di questo e all'ambiente in cui lo stesso si è svolto.

L'ordinanza di rimessione ha poi richiamato l'opposto orientamento secondo cui la dipendenza da causa di servizio della patologia tumorale sarebbe invece presunta per legge. La presunzione sarebbe ricavabile dall'art. 603 dell'ordinamento militare, recante una norma di autorizzazione di spesa «per indennizzi al personale italiano esposto a particolari fattori di rischio» (così la rubrica); il personale interessato dalla disposizione è quello «che, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura effettuate entro e fuori i confini nazionali», ed inoltre quello «impiegato nei poligoni di tiro e nei siti dove vengono stoccati munizionamenti», che «abbia contratto infermità o patologie tumorali per le particolari condizioni ambientali od operative» (comma 1). La presunzione non avrebbe peraltro carattere assoluto, ma porrebbe a carico del Ministero della difesa l'onere di provare un'eziopatogenesi dell'infermità alternativa a quella correlabile per legge ai fattori di rischio da essa enunciati.

11. La Seconda Sezione ha quindi riscontrato una prevalenza dell'orientamento secondo cui le regole generali in materia di riparto degli oneri di prova della dipendenza da servizio della malattia non sarebbero derogate per le ipotesi previste dal citato art. 603 del codice dell'ordinamento militare. Anche in questo caso si applicherebbero le disposizioni del d.P.R. n. 461 del 2001, incentrate sui concetti di causalità o concausalità efficiente, la cui prova è a carico del dipendente, in conformità alla teoria condizionalistica che in tesi costituisce la matrice della disciplina regolamentare.

Il sistema, quindi, non sarebbe integrato da quello concernente la speciale elargizione alle vittime del dovere, estesa dall'art. 1, comma 564, della l. 23 dicembre 2005, n. 266, a coloro che «abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative». Ad esso e non anche all'equo indennizzo ex d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, farebbe quindi esclusivo riferimento il citato art. 603 del codice dell'ordinamento militare.

12. Per l'opposta tesi, la disciplina generale sull'indennizzo per infermità da causa di servizio e quella sulla elargizione alle vittime del dovere si devono intendere "integrate", sulla base di una concezione della causalità non ristretta alle sole ipotesi di esistenza di leggi scientifiche di copertura in grado di ravvisare relazioni eziologiche in termini di certezza o alta credibilità razionale.

Ad avviso del secondo orientamento giurisprudenziale, la causa della patologia tumorale va pertanto accertata in coerenza con la sua connotazione multifattoriale, secondo un criterio statistico-probabilistico di carattere relativo, in base al quale il servizio può essere considerato la causa della patologia quando tra le varie alternative date esso costituisca quella avente maggiore consistenza probabilistica rispetto alle altre ("più probabile che non").

In questo senso avrebbe quindi disposto l'art. 603 del codice dell'ordinamento militare con specifico riferimento alle patologie tumorali insorte in capo a militari di cui è accertata l'esposizione ad uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, in ragione del servizio da loro prestato in particolari contesti operativi, con una presunzione di esistenza del rapporto causale superabile attraverso la prova contraria a carico del Ministero della difesa.

13. Tutto ciò premesso, sulla questione di diritto deferita dalla Seconda Sezione questa Adunanza plenaria ravvisa ragioni per aderire all'orientamento di giurisprudenza per il quale - quando è accertata una patologia tumorale di un militare esposto ad uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti in ragione del suo servizio prestato in particolari contesti operativi - la legge pone a suo favore una presunzione relativa sulla sussistenza del nesso di causalità, superabile se il Ministero della difesa fornisce la prova contraria.

14. Un primo profilo da chiarire è che il sistema del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un'infermità, ai sensi del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, rimane la disciplina normativa di riferimento per la tutela indennitaria del dipendente.

Permane quindi inalterata l'esigenza di individuare sul piano medico-legale la causa della malattia, onde ricondurla ad un fattore di rischio imputabile all'Amministrazione, e dunque alle mansioni lavorative svolte o all'ambiente in cui il dipendente ha operato.

Nondimeno, il giudizio medico-legale su cui si controverte non segue regole rigide ed immutabili, ma è soggetto all'evoluzione normativa che tiene conto delle sempre maggiori conoscenze mediche, epidemiologiche e statistiche.

Come ogni campo del sapere umano, anche la scienza medica si connota per il progresso delle conoscenze, orientato al superamento dei limiti preesistenti e all'accrescimento della comprensione dei fenomeni naturali, in particolare quelli fisio-patologici che costituiscono l'ambito elettivo della medicina.

Allo stesso modo, anche la valutazione sul piano legale delle cause di una determinata patologia è immanentemente soggetta ad un'evoluzione dei criteri di giudizio da seguire nel suo percorso logico.

Nella descritta costante tensione verso il progresso, la mancanza di conoscenza delle relazioni causali tra eventi ad un dato momento storico assume dunque le caratteristiche di limite epistemologico, insito nell'incapacità di comprensione umana di tutti i fenomeni naturali, ma che l'osservazione e lo studio tendono a superare con la progressiva acquisizione di nuove conoscenze.

15. Il limite epistemologico ora enunciato non esaurisce tuttavia il suo ruolo dialettico in campo scientifico. Esso è infatti prima di tutto un problema di carattere giuridico, nel cui ambito si pone l'esigenza di regolare le conseguenze dei limiti della conoscenza umana dei fenomeni naturali sul versante dei rapporti tra consociati.

16. Con specifico riguardo alla questione deferita a questa Adunanza plenaria, la problematica di carattere normativo è quella di un'equa allocazione del rischio della causa ignota della patologia contratta dal militare impiegato in determinati contesti operativi rispetto alla sua pretesa al riconoscimento della dipendenza di questa dal servizio prestato.

La questione si pone a causa del fatto che - in ragione dei poc'anzi richiamati limiti della conoscenza umana - il rischio della causa ignota della malattia graverebbe per intero sul militare, qualora si applicassero unicamente le regole generali sull'equo indennizzo, di cui al richiamato d.P.R. n. 461 del 2001, incentrate come sopra esposto nella prova in positivo del nesso causale tra il servizio e l'infermità contratta dal dipendente.

17. In presenza di patologie connotate da multifattorialità, come in particolare quelle tumorali, il rischio in questione tenderebbe a tradursi in un "diabolico" onere della prova.

Si profilerebbero così potenziali vuoti di tutela e ambiti di sostanziale irresponsabilità dell'Amministrazione datrice di lavoro, nondimeno soggetta all'obbligo - sancito dall'art. 2087 del codice civile - di tutelare l'integrità fisica del lavoratore secondo «l'esperienza e la tecnica» e dunque di adeguarsi costantemente a queste ultime.

Ad una disposizione di legge, quale quella ora citata, in cui l'obiettivo di protezione del lavoratore è posto in correlazione con il progresso scientifico, in funzione della realizzazione di livelli crescenti di tutela a favore di quest'ultimo, verrebbe quindi a contrapporsi un sistema amministrativo di tutela di carattere indennitario costantemente imperniato su regole e criteri di giudizio insensibili alle nuove acquisizioni della conoscenza umana in ambito medico.

18. Non ammettere in quest'ultimo una "presunzione relativa sulla sussistenza del nesso di causalità" comporterebbe tuttavia aporie nell'ordinamento giuridico, per le più agevoli condizioni di accesso al rimedio risarcitorio rispetto a quello di carattere indennitario, malgrado del primo quest'ultimo costituisca un minus.

Solo in sede di domanda ex art. 2087 del codice civile l'evoluzione scientifica si presterebbe infatti a fungere da "fattore di spinta" sul datore di lavoro nella direzione dell'innalzamento dei livelli di tutela a favore del lavoratore, con il connesso onere di fornire la prova di avere adottato tutte le cautele imposte dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, una volta che il lavoratore abbia dimostrato la nocività dell'ambiente di lavoro e la riconducibilità ad esso della patologia contratta sul piano causale.

Per contro, poiché ai fini dell'equo indennizzo previsto dal d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, occorre individuare in positivo lo specifico fattore eziopatogenetico della malattia, l'evoluzione tecnico-scientifica recederebbe a circostanza irrilevante per il giudizio medico-legale sulla causa di servizio. Altrettanto irrilevante sarebbe pertanto anche la mancata adozione da parte datoriale di misure preventive adeguate allo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche.

19. Rispetto alla descritta situazione e in vista del suo superamento, va assegnato un ruolo decisivo alla legge, con la scienza operante come strumento di interpretazione dei fatti per la migliore disciplina dei rapporti giuridici.

Quindi, con riguardo specifico all'accertamento della dipendenza da causa di servizio di una malattia occorsa al lavoratore, può costituire in astratto un obiettivo legittimo sul piano normativo quello di ridurre il poc'anzi richiamato rischio della causa ignota, quando esso si traduca nella sostanza in una preclusione generalizzata all'accesso del dipendente alle provvidenze previste in caso di compromissione del suo stato di salute, e dunque divenga socialmente inaccettabile sulla base del livello delle conoscenze medico-scientifiche raggiunto in un determinato momento storico.

Nella descritta prospettiva può allora essere inquadrato il già citato art. 603 del codice dell'ordinamento militare, su cui si basa l'orientamento giurisprudenziale finora minoritario sulla questione deferita nella presente sede nomofilattica.

20. Peraltro, prima ancora della disposizione di legge ora richiamata si pone nella medesima direzione, sul piano teorico, la rinnovata concezione della causalità medico-legale in ambito giuridico, non rigidamente ancorata alla teoria condizionalistica a base delle leggi universali o statistiche di copertura, ma sul criterio della maggiore probabilità relativa ("più probabile che non"), più aderente ai sopra evidenziati limiti della capacità umana di comprensione dei fenomeni naturali in generale e nello specifico di quelli fisio-patologici.

Si tratta di una concezione della causalità potenzialmente determinante in sede processuale, per l'accertamento della dipendenza da causa di servizio di patologie rispetto alle quali non è possibile affermare con sufficiente grado di certezza l'esistenza di un nesso eziologico, ma per converso nemmeno escluderlo, e dunque come fattore di attenuazione dell'onere della prova a carico del lavoratore.

21. Sul distinto versante amministrativo dell'equo indennizzo rileva invece la disposizione di legge che costituisce l'ultima espressione in ordine di tempo delle scelte del legislatore verso una tutela effettiva del personale militare esposto per ragioni inerenti al suo servizio a fattori patogeni nocivi per la sua salute.

22. Nel modificare l'art. 603 del codice dell'ordinamento militare nella versione oggi vigente, la l. 22 febbraio 2011, n. 9, di conversione, con modificazioni, del d.l. 9 dicembre 2010, n. 228, ha enunciato in apertura il «fine di pervenire al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi»; quindi, ha individuato i destinatari e i presupposti della riforma: «personale italiano che, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura effettuate entro e fuori i confini nazionali, abbia contratto infermità o patologie tumorali per le particolari condizioni ambientali od operative», e quello «impiegato nei poligoni di tiro e nei siti dove vengono stoccati munizionamenti»; ed infine la misura introdotta, consistente in una spesa autorizzata «di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010».

23. Nel suo contenuto dispositivo la legge si è quindi limitata ad un'autorizzazione di spesa, ma - come ha correttamente osservato l'ordinanza di rimessione - la sua portata sostanziale non può essere disconosciuta.

24. Di rilievo è la tipizzazione di un rischio professionale specifico, legato a «particolari condizioni ambientali od operative» e consistente nelle «infermità o patologie tumorali» insorte «in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura».

Può allora ritenersi che l'individuazione di un "rischio tipico e specifico" per la salute, insito nello svolgimento di prestazioni lavorative in determinati contesti operativi, esprima un nuovo paradigma nel sistema dell'equo indennizzo per dipendenza di malattia da causa di servizio, in cui essa è considerata sussistente direttamente dalla legge.

Sul punto la legge ha operato una valutazione astratta, con l'obiettivo di superare le difficoltà probatorie legate al caso concreto e che - come dà atto la sentenza di primo grado - trae fondamento sul piano razionale nelle acquisizioni della scienza medica e negli esiti delle indagini svolte in sede amministrativa, anche in sede internazionale, sulla pericolosità delle operazioni richieste al personale militare nell'ambito delle «missioni di qualunque natura effettuate entro e fuori i confini nazionali», quali contesti lavorativi in cui si annidano rischi di contrarre patologie di carattere tumorale.

25. Nella prospettiva così delineatasi sono pertanto superabili i dubbi suscitati da un dato normativo mancante di elementi di sicuro ancoraggio per considerare innovato il sistema del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, come ha segnalato l'ordinanza di rimessione.

I dubbi ineriscono peraltro non solo al fatto che la rubrica dello stesso art. 603 del codice dell'ordinamento militare qualifica espressamente la norma come autorizzazione di spesa, ma anche alla complessiva formulazione delle sue disposizioni di attuazione, contenute agli artt. da 1078 a 1081 del regolamento di esecuzione del codice, di cui al d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90.

L'art. 1078 reca le definizioni dei concetti enunciati dalla normativa primaria, ed in particolare di «missioni di qualunque natura» (lett. a); delle «nanoparticelle di metalli pesanti» (lett. c); e delle «particolari condizioni ambientali od operative» (lett. d).

Con riguardo alla questione in esame, rileva in particolare l'art. 1081, il quale - per l'«accertamento della dipendenza da causa di servizio delle infermità o patologie tumorali, ai sensi dell'articolo 1079, comma 1» - fa rinvio testuale alle «procedure di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461».

26. Come ha segnalato l'ordinanza di rimessione, tale richiamo potrebbe sembrare indicativo di una volontà normativa di riaffermare le regole di carattere generale per l'accertamento della dipendenza da causa di servizio anche per le patologie tumorali contratte dal personale militare esposto alle «particolari condizioni ambientali od operative», cui fa menzione l'art. 603 del codice dell'ordinamento militare.

Secondo questa lettura, l'interessato rimarrebbe pertanto onerato di provare «la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione», ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461.

Peraltro, in termini analoghi potrebbe essere intesa la disciplina della speciale elargizione alle vittime del dovere, per la quale l'art. 1079, comma 1, del regolamento prevede che essa sia corrisposta ai «soggetti di cui all'articolo 603 del codice», quando le condizioni previste dal precedente art. 1078, «comprese l'esposizione e l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico», abbiano costituito «la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle infermità o patologie tumorali permanentemente invalidanti o da cui è conseguito il decesso».

27. Questa ricostruzione, ad avviso dell'Adunanza plenaria, non può essere condivisa, poiché non tiene in adeguata considerazione l'obiettivo del legislatore enunciato chiaramente dalla sopra citata l. n. 9 del 2011, consistente nel «pervenire al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi al personale italiano», e nello strumento approntato, dato dalla spesa conseguentemente autorizzata dalla norma primaria di cui all'art. 603 del codice dell'ordinamento militare.

Nella linea interpretativa imperniata sulla valorizzazione dell'elemento finalistico ricavabile da quest'ultima espressione legislativa, si desume che con essa si sia inteso facilitare il riconoscimento della causa di servizio, attraverso disposizioni integrative del sistema prefigurato in generale dal d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, in considerazione delle acquisizioni scientifiche e più in generale della consapevolezza ormai raggiunta anche in sedi istituzionali circa la pericolosità per la salute umana dell'utilizzo a scopi bellici dell'uranio impoverito.

28. Sul punto vanno richiamate le risultanze di causa, su cui si è basata la sentenza di accoglimento del ricorso in primo grado.

Da esse si ricava che l'impiego del prodotto, derivante dallo scarto del processo di arricchimento, se da un lato facilita la capacità offensiva degli armamenti, sotto il profilo della penetrazione di corpi corazzati, dall'altro lato comporta la dispersione nell'area di particelle di metalli pesanti nocive per la salute umana, attraverso l'inalazione o l'ingestione.

Sul fenomeno sono state istituite commissioni parlamentari di inchiesta e sono stati elaborati studi e ricerche (prodotti da parte ricorrente nel giudizio di primo grado).

29. Tuttavia, nonostante i progressi registratisi, non può dirsi raggiunto presso la comunità scientifica un consenso generalizzato sulla rilevanza causale dell'esposizione all'uranio impoverito rispetto a patologie tumorali, i cui fattori eziopatogenici possono essere plurimi e per lo più indeterminabili.

Se ne ricava un quadro in cui non si può affermare con certezza o con alto grado di probabilità razionale, ma per converso nemmeno escludere, che l'esposizione alle nanoparticelle di metalli pesanti prodotte dall'esplosione di proiettili all'uranio impoverito costituisca la causa delle neoplasie contratte dal personale militare impiegato in missioni NATO in cui si è fatto uso di tali ordigni.

30. L'incertezza sul piano scientifico può pertanto essere individuata come la decisiva ragione della riforma legislativa, con la quale il rischio professionale è stato assunto ad elemento su cui basare il giudizio medico-legale necessario per giungere al riconoscimento della causa di servizio ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461.

Nell'ambito dei normali rischi per la salute umana insiti nell'ambiente lavorativo, il legislatore ha tipizzato quelle «particolari condizioni ambientali od operative» alle quali fa riferimento l'art. 603 del codice dell'ordinamento militare, in cui il personale si sia trovato a svolgere il servizio, al seguito di «missioni di qualunque natura effettuate entro e fuori i confini nazionali» o in «poligoni di tiro e nei siti dove vengono stoccati munizionamenti»; e che «in occasione o a seguito» del lavoro prestato in questi ambienti «abbia contratto infermità o patologie tumorali».

31. Nel descritto quadro normativo assume valore interpretativo il duplice riferimento all'occasionalità dell'esposizione al rischio insito nelle particolari condizioni ambientali o operative e alla correlazione meramente temporale («a seguito»).

La disposizione primaria ha tenuto conto non soltanto del dato medico-scientifico, ma anche di un criterio empirico, per cui la patologia tumorale è in astratto correlabile causalmente al servizio nei descritti contesti operativi quando essa si manifesti a livello diagnostico in seguito all'impiego in essi del militare (post hoc ergo propter hoc).

Pur se i limiti della conoscenza umana non hanno consentito di istituire un rapporto di causalità con certezza o alto grado di probabilità razionale, la legge - approvata dopo un maturo esame in sede parlamentare da parte della commissione di inchiesta appositamente istituita (agli atti di causa) - ha nondimeno considerato le risultanze delle osservazioni epidemiologiche dei reduci di missioni NATO e delle indagini svolte in ambito istituzionale ed ha attribuito rilevanza all'esposizione a nanoparticelle di metalli pesanti derivanti dall'impiego di munizioni all'uranio impoverito quale fattore cui a livello statistico segue la diagnosi di neoplasie.

32. Il legislatore ha così individuato un "rischio professionale specifico" nel servizio svolto nelle descritte condizioni ambientali o operative, le quali a livello di normativa attuativa dell'art. 603 del codice dell'ordinamento militare sono così definite, all'art. 1078, lett. d), del regolamento di esecuzione: «condizioni comunque implicanti l'esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie o fatti di servizio che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il personale militare e civile a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto».

L'autorizzazione di spesa (finalizzata «al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi al personale italiano» esposto a maggiori rischi per la sua salute, a causa delle condizioni ambientali o operative che a posteriori, «anche per effetto di successivi riscontri», si sono manifestate in una delle patologie che di quei rischi sono la concretizzazione), si è pertanto basata su una valutazione legislativa in base alla quale il nesso causale tra le patologie medesime e il servizio prestato è dimostrabile in via presuntiva.

Attraverso l'impiego del concetto di "rischio professionale specifico" l'interessato (o il suo erede) è così sollevato dall'onere di dimostrare che la malattia diagnosticata sia effettivamente correlata sul piano medico-legale alle condizioni o all'ambiente in cui il servizio è stato svolto.

Il rischio della causa ignota è stato conseguentemente ribaltato dal legislatore sul Ministero della difesa.

33. Il sistema dell'equo indennizzo per causa di servizio ai sensi del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, è stato dunque innovato nei termini ora esposti dall'art. 603 del codice dell'ordinamento militare e dalla relativa disciplina regolamentare di attuazione (in particolare dall'art. 1078, in precedenza esaminato), con la descritta rimodulazione degli oneri probatori per l'accertamento della causa di servizio.

In linea con il sistema di riparto ricavato dall'art. 2087 del codice civile, il militare è quindi tenuto a dimostrare di avere svolto il proprio servizio, tra quelli tipizzati dalla disposizione di legge ora richiamata (missioni nazionali o internazionali, impiego nei poligoni di tiro o nei siti di stoccaggio del munizionamento), in particolari condizioni ambientali od operative che ne abbiano aumentato il rischio di malattia, e che quella poi manifestatasi in seguito abbia carattere tumorale e sia espressiva di quel rischio.

L'Amministrazione è invece onerata della prova contraria, la quale come precisato nell'ordinanza di rimessione si sostanzia in «una specifica genesi extra-lavorativa della patologia».

34. Ne deriva in conclusione che i giudizi medico-legali dei comitati di verifica per le cause di servizio, qualora si basino sull'assenza di studi scientifici che dimostrino con certezza o alto grado di credibilità razionale la correlazione causale della neoplasia con l'esposizione a fattori di rischio potenziale, risultano viziati per eccesso di potere.

35. Si può dunque rispondere al quesito deferito dalla Sezione rimettente nel senso che «nell'accertamento della dipendenza da causa di servizio di patologie tumorali insorte in capo a militari esposti ad uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, in occasione del servizio prestato all'estero o presso i poligoni di tiro sul territorio nazionale, non è necessario un riscontro effettivo del nesso eziologico: la legge ha considerato il rapporto di causalità come insito nel tipico rischio professionale, sicché grava sull'Amministrazione l'onere di dare la prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia». (*)

36. La Sezione rimettente alla quale il giudizio è restituito, ai sensi dell'art. 99, comma 4, del codice del processo amministrativo, dovrà dunque applicare alla fattispecie controversa al suo esame il principio di diritto, definendo la controversia, anche quanto alle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza plenaria) enuncia il principio di diritto indicato in motivazione e restituisce alla Seconda Sezione la causa, anche per la decisione sulle spese di giudizio.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e degli artt. 5 e 6 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento esclusivamente delle generalità degli appellati, dal momento che tutti gli altri dati possono essere divulgati, sussistendo evidenti ragioni di interesse pubblico.

Note

(*) Il medesimo principio di diritto è enunciato da Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 7 ottobre 2025, nn. 13, 14 e 15.