Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Sentenza 9 ottobre 2017, n. 23498

Presidente: Napoletano - Estensore: Balestrieri

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso per revocazione S. Antonino impugnava la sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria n. 298/15, con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, era stata disattesa la sua domanda diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogatogli dalla datrice di lavoro Banca Nuova s.p.a. il 21 novembre 2010, ed alla conseguente reintegrazione.

Il S. sosteneva l'esistenza di errori di fatto, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., in ordine a più punti della sentenza.

Contestualmente chiedeva la sospensione dell'esecuzione della sentenza ai sensi degli artt. 373 e 401 c.p.c. deducendo l'esistenza di un grave ed irreparabile danno, chiedendo altresì la sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione.

Resisteva la Banca Nuova s.p.a.

Con sentenza n. 916/15, depositata il 15 luglio 2015, la Corte d'appello di Reggio Calabria rigettava il ricorso e la richiesta sospensione dei termini.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il S., affidato a due articolati motivi.

Resiste la Banca con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 365 (recte: 395), comma 4, c.p.c.

Lamenta che la sentenza impugnata fondò il suo convincimento su di una rappresentazione della realtà frutto di una distorta ed impropria percezione degli atti di causa e di fatti che sono risultati nuovi perché in larga parte contenuti in una relazione interna della Banca, entrata a far parte degli atti del giudizio solo in modo "residuale" e senza una formale acquisizione da parte del giudicante.

Lamenta ancora che la sentenza impugnata valutò erroneamente le dichiarazioni rese dal ricorrente in data 23 luglio 2010 e nella lettera dell'11 ottobre 2010; che ritenne autografa la sigla apposta su di una autorizzazione di bonifico; che ritenne erroneamente contestatagli anche la violazione delle norme antiriciclaggio, che non era mai stata oggetto di addebito nella lettera della Banca dell'8 ottobre 2010; che parimenti era incorsa in errore di fatto circa una presunta contestazione di mancata segnalazione, da parte del ricorrente, alla centrale allarme interbancaria; in ordine all'emissione di assegni circolari su insoluti e di assegni tratti su Poste Italiane; e di tutta una serie di presunte contestazioni disciplinari non contenute nella lettera di addebiti dell'8 ottobre 2010, ed in particolare circa i rapporti con tal G.

1.1. Il motivo è inammissibile in base al principio desumibile dall'art. 403 c.p.c., secondo cui "Non può essere impugnata per revocazione la sentenza pronunziata nel giudizio di revocazione. Contro di essa sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione". Ne consegue che nel ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza emessa nel giudizio di revocazione non sono deducibili censure diverse da quelle previste dall'art. 360 c.p.c., e, in particolare, non sono denunciabili vizi revocatori ex art. 395 c.p.c., non rilevando in contrario la circostanza che la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione non possa essere a sua volta impugnata per revocazione (Cass. n. 15386 del 28 giugno 2010, Cass. n. 6441 del 19 marzo 2007).

Nella specie l'odierno ricorrente evidenzia inammissibilmente, ai sensi dell'art. 403 c.p.c., una serie di errori di fatto percettivi a suo avviso commessi dalla sentenza impugnata.

Deve in ogni caso evidenziarsi che il ricorrente censura nella sostanza apprezzamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, ivi compreso l'esercizio dei poteri istruttori rimessi alla sua prudente valutazione, nel regime di cui al novellato n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c. che limita il sindacato sulla motivazione, ivi compresi l'esercizio dei poteri istruttori e la valutazione delle prove, all'omesso esame su di un "fatto decisivo" non esaminato dal giudice di merito (Cass. n. 21439/2015, Cass. n. 18817/2015, Cass. n. 14324/2015).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 111, comma 2, Cost. e dell'art. 158 c.p.c., anche alla luce della nuova formulazione dell'art. 2, comma 3, della l. n. 117/1988.

Lamenta che la sentenza impugnata è affetta da nullità in quanto il collegio era costituito da due giudici che avevano preso parte alla precedente decisione oggetto di revocazione.

Evidenzia che tale principio è stato rafforzato dalla citata norma costituzionale (che statuisce il principio di un giudice terzo ed imparziale) e dall'art. 2, comma 3, della l. n. 117/1988 in tema di responsabilità civile dei magistrati che ha aggiunto al riguardo esplicitamene l'ipotesi di travisamento del fatto o delle prove.

2.1. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già affermato che, salvo che nell'ipotesi prevista dall'art. 395, n. 6, c.p.c. (dolo del giudice), secondo l'ordinamento processuale vigente non sussiste, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione (Cass. n. 19498/2006, Cass. n. 8180/2009). In tali pronunce, che il Collegio condivide, si è affermato che è ben vero che la revocazione si propone davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 398 c.p.c.) - da intendersi quale stesso ufficio giudiziario - ma è possibile, tuttavia, che il collegio giudicante sia formato (in tutto o in parte) dalle medesime persone - non sussistendo, secondo l'ordinamento processuale vigente, alcuna incompatibilità, a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, trattandosi di errore percettivo e non già valutativo che, come tale, ben può essere riparato anche dallo stesso giudice o collegio giudicante.

Coerentemente, per i magistrati, che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, la incompatibilità, a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione, appunto, sussiste - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine le sentenze n. 19498/2006, 2222/1987, 1624/1965, 2342/1962) - soltanto nella ipotesi in cui risulti denunciato, nel caso concreto, il vizio revocatorio del dolo del giudice.

Fonti del diritto processuale, infatti, sono, essenzialmente, il codice di procedura civile, leggi speciali e principi fondamentali della Costituzione (quali gli artt. 24, 25, 111), nella stessa materia (arg. ex art. 1 c.p.c.), mentre gli atti amministrativi, che sogliono disciplinare il rito nei suoi aspetti organizzativi, e le consuetudini valgono - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, la sentenza n. 23543/2006) - solo se richiamati dal codice di rito o da legge speciale (vedi, ad esempio, l'art. 531 c.p.c., comma 1). Tanto basta per ritenere irrilevante la prassi prospettata, anche a volere prescindere dalla palese differenza, che corre - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 1018/2006, 12869/2002, 12507/1999, 4231/1975, 713/1974, 1079/1972, 1226/1970) - tra prassi, appunto, e consuetudini, che costituiscono fonti di diritto.

A prescindere dalle superiori argomentazioni - peraltro assorbenti - la eventuale incompatibilità di uno o più componenti di qualsiasi collegio giudicante - che, per quanto si è detto, non ricorre, tuttavia, nella specie - in nessun caso, costituisce causa di nullità della sentenza - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, la sentenza n. 5030/2007) - costituendo, semmai, la stessa circostanza elemento da valutare ai fini della astensione del giudice oppure della sua ricusazione ad opera delle parti (ai sensi degli artt. 51 e 52 c.p.c.).

Né rileva, poi, il principio costituzionale del "giusto processo", invocato dal ricorrente, secondo cui "ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale", fornendo il quadro normativo in materia di incompatibilità ed eventuale ricusazione una adeguata garanzia circa l'imparzialità del giudice in ipotesi di giudizio di revocazione.

Né può condurre a diverse conclusioni, in ordine alla composizione del collegio giudicante nel giudizio di revocazione, l'invocata disciplina in tema di responsabilità civile dei magistrati di cui alla l. n. 117/1988 (ove è prevista l'ipotesi del travisamento del fatto o delle prove), posto che essa, accanto alla possibilità di ricusazione del giudice, contribuisce a rafforzare e ad ulteriormente garantire l'imparzialità del collegio giudicante, e certamente comunque non imponendo che esso debba essere mutato qualora debba giudicare della revocazione, basata su di un dedotto errore percettivo e non valutativo.

3. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, nel testo risultante dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.