Corte di cassazione
Sezione I civile
Ordinanza 18 aprile 2018, n. 9579

Presidente: Genovese - Relatore: Nazzicone

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 28 dicembre 2013, la Corte d'appello di Venezia ha respinto le domande proposte dalle società attrici, ai sensi dell'art. 33 l. 10 ottobre 1990, n. 287, volte all'accertamento dell'abuso di posizione dominante e della concorrenza sleale posto in essere dal Comune di Rovigo e dalle società convenute dal medesimo partecipate, con dichiarazione di nullità, inefficacia o all'annullamento dell'atto costitutivo della società a responsabilità limitata costituita dal Comune di Rovigo in violazione dell'art. 54 della l. reg. Veneto 4 marzo 2010, n. 18, norma che imponeva di separare i servizi cimiteriali istituzionali dalle attività di mere onoranze, nonché all'accertamento della nullità del decreto del Sindaco di Rovigo del 12 aprile 2011, n. 4 ed alla condanna delle controparti al pagamento della somma di Euro 100.000,00 mensili dal 25 marzo 2011.

La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) la competenza della corte d'appello ex art. 33 cit. è limitata alle azioni di nullità e di risarcimento del danno, mentre ogni altra fattispecie di concorrenza sleale compete al giudice ordinario di primo grado, onde non andasse essere esaminata; b) la carente individuazione della competenza della corte induce a valutare se le allegazioni attoree si inquadrino nell'art. 3 o nell'art. 8 della l. n. 287 del 1990; c) l'art. 8 cit. prevede che la normativa antitrust si applichi anche alle società pubbliche, ma le società convenute rispettano l'art. 54 della l. reg. Veneto 4 marzo 2010, n. 18, la quale impone l'esistenza di due soggetti giuridici distinti, come è nel caso in esame, anche tenuto conto che il privato detiene una quota pari al 10% del capitale sociale della s.r.l. e che è provata la conclusione di un patto parasociale che ne aumenta sensibilmente i poteri rispetto alla percentuale formale del capitale nominale; d) l'art. 3 cit. richiede che sia individuato il "mercato di riferimento", come, tuttavia, non è avvenuto da parte dell'attrice: pertanto, se si vuole guardare al mercato nazionale, va negata l'esistenza di una posizione dominante delle società partecipate comunali; né sussiste ciò nel territorio comunale, perché le attrici operano anche nella provincia, e, di conseguenza pure sotto tale profilo non è ravvisabile un abuso di posizione dominante; e) non è provato che, sulla base del fatturato complessivo, sussista una dominanza nel settore, né va accolta l'istanza ex art. 210 c.p.c. «senza una pari discovery da parte delle attrici».

Per la cassazione di tale sentenza viene proposto ricorso, sulla base di quattro motivi, cui hanno replicato gli intimati con controricorso.

Sono state depositate le memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere così riassunti:

1) violazione [de]gli artt. 115 c.p.c., 33 e degli articoli dei titoli da I a IV della l. 10 ottobre 1990, n. 287, 28 e 54 legge reg. Veneto 4 marzo 2010, n. 18, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, perché la separazione societaria posta in essere dal Comune di Rovigo è meramente fittizia, come dimostrato dalla sentenza del T.a.r. Veneto n. 171/2013, che ha annullato la deliberazione del consiglio comunale del 15 marzo 2011, n. 15;

2) difetto di motivazione per non avere valutato la pronuncia di detta sentenza amministrativa e violazione dell'art. 54 l. reg. Veneto n. 18 del 2010, che non è stato rispettato, posto che la norma impone la separazione delle attività, mentre il Comune di Rovigo è l'unico socio della ASM Rovigo s.p.a., a sua volta socia al 90% della s.r.l., appositamente costituita con un socio privato di minoranza, della quale determina quindi gli indirizzi;

3) violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per avere ritenuto non individuato il mercato di riferimento, ai sensi dell'art. 3 della l. n. 287 del 1990, che invece è stato sufficientemente delimitato con l'evidenziare che le ricorrenti operano nell'ambito del Comune di Rovigo e delle sue frazioni, in regime di concorrenza con le due società resistenti;

4) error in procedendo ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. con violazione dell'art. 210 c.p.c., per non avere accolto l'istanza di esibizione dei documenti con assenza assoluta di motivazione sul punto.

2. I primi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

Le ricorrenti insistono nel richiamare la violazione della normativa regionale con riguardo alla struttura societaria delle società controricorrenti, violazione che, tuttavia, non sussiste: come è palesato dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 6200 del 2014, incontestatamente sopravvenuta, la quale ha disatteso le domande di annullamento dell'atto amministrativo del consiglio comunale, annullando la sentenza del tribunale amministrativo regionale posta al centro dei due motivi in questione.

3. Il terzo motivo è fondato.

3.1. L'art. 33 della l. 287 del 1990, nel testo applicabile ratione temporis (anteriore al d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, il quale ha introdotto le parole «al tribunale competente per territorio presso cui è istituita la sezione specializzata di cui all'art. 1 del d.lgs. 26 giugno 2003, n. 168, e successive modificazioni», in luogo delle precedenti), stabiliva che azioni di nullità di un'intesa vietata e quelle di risarcimento del danno fossero promosse davanti alla corte d'appello competente per territorio.

3.2. L'art. 3 della l. n. 287 del 1990 vieta l'abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese, all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

Onde è certamente onere di chi agisce ai sensi delle norme richiamate individuare gli elementi costitutivi della pretesa: anzitutto, l'esistenza di una «posizione dominante» all'interno di un «mercato», che sia il punto di riferimento dei necessari accertamenti demandati al giudice del merito.

Al riguardo, è stato da tempo precisato che l'art. 3 della l. n. 287 del 1990, nel vietare l'abuso, non mira ad impedire la conquista di una posizione dominante ovvero di una posizione di monopolio (obiettivo questo, se mai, delle norme che disciplinano le concentrazioni), bensì ad impedire che tali posizioni, una volta raggiunte, tolgano competitività al mercato, ledendo la sua essenziale struttura concorrenziale e, quindi, il diritto degli altri imprenditori a competere con il dominante. La posizione dominante è, dunque, abusiva (secondo la citata norma) quando viene esercitata per ostacolare l'effettiva concorrenza (Cass. 17 maggio 2000, n. 6368).

Né, si noti, la norma è messa fuori gioco dall'esistenza di società a partecipazione pubblica: come chiarisce l'art. 8 della l. n. 287 del 1990, la disciplina continua ad applicarsi alle imprese pubbliche o a prevalente partecipazione statale, anche qualora esse svolgano, mediante società separate, attività in mercati diversi da quelli ove, per disposizioni di legge ed in modo strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati, esercitino la gestione di servizi di interesse economico ovvero operino in regime di monopolio sul mercato (art. 8, commi 2 e 2-bis, l. n. 287 del 1990).

Circa la c.d. perimetrazione del mercato rilevante, questa Corte ha altresì chiarito come, nella fattispecie di «abuso di posizione dominante», la perimetrazione del «mercato rilevante» rappresenti un prius logico e pratico, ovvero il presupposto essenziale dell'illecito in relazione al quale la condotta considerata può assumere i tratti dell'abuso.

Questa Corte ha già chiarito da tempo che, ai fini dell'accertamento di una condotta anticoncorrenziale ai sensi dell'art. 3 della l. 10 ottobre 1990, n. 287, la perimetrazione del mercato rilevante si attua «attraverso l'analisi della sostituibilità della domanda (ed eventualmente dell'offerta), con riferimento a beni e servizi intercambiabili dal consumatore in ragione delle loro caratteristiche, dei loro prezzi, delle abitudini e tendenze dei consumatori e con riferimento ad una determinata area geografica in cui le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee» ed essa «rappresenta un presupposto essenziale per l'eventuale individuazione di un abuso di posizione dominante» (Cass. 4 giugno 2015, n. 11564; Cass. 17 maggio 2000, n. 6368).

Dunque, a tal fine «occorre prendere in considerazione tanto l'estensione geografica in cui l'operazione denunciata si colloca o sortisce effetti (mercato geografico), quanto l'ambito del prodotto o del servizio che la medesima operazione investe (mercato del prodotto)» secondo i «parametri ritenuti essenziali dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, costituiti dalla sostituibilità della domanda e dalla sostituibilità dell'offerta» (Cass. 13 febbraio 2009, n. 3638).

Poiché, inoltre, detta operazione decisoria implica l'applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di «mercato rilevante» come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, essa resta sindacabile in sede di legittimità per violazione di legge.

Infatti, sebbene la definizione del «mercato rilevante» implichi indubbiamente un accertamento di fatto, ad esso segue poi l'applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche relative come interpretate dalla giurisprudenza: onde l'operazione di c.d. contestualizzazione delle norme, all'esito di una valutazione giuridica complessa che adatta al caso specifico concetti giuridici indeterminati, quale il «mercato rilevante» e «l'abuso di posizione dominante», è sindacabile in sede di legittimità per violazione di norme di legge, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

Come, invero, già precisato da questa Corte (cfr., di recente, Cass. 10 novembre 2015, n. 22950), il giudizio è rimesso al sindacato del giudice del merito solo ove esso appartenga all'esclusiva e specifica singolarità del caso concreto, come tale destinato a restare confinato, appunto, nell'ambito di tale giudizio. Tuttavia, dove, al contrario, la fattispecie concreta sia idonea a fungere da modello generale di comportamento in una serie indeterminata di casi analoghi, là si ravvisa allora un giudizio di diritto e la necessità dell'intervento nomofilattico della Cassazione, al fine di garantire la prevedibilità delle future decisioni, posto che si tratta d'integrare il contenuto della norma indeterminata o della clausola generale predetta (cfr., con riguardo alla nozione di mercato rilevante, la già citata Cass. 4 giugno 2015, n. 11564; in ordine al concetto indeterminato di licenziamento «per giusta causa», e multis Cass. 13 agosto 2008, n. 21575; con riguardo al giudizio di normalità e ragionevolezza dell'uso del mezzo di trasporto, al fine dell'indennizzo dell'infortunio in itinere, Cass. 3 agosto 2001, n. 10750; con riguardo alla formula di cui all'art. 92, comma 2, c.p.c., sulla compensazione delle spese, Cass., sez. un., 22 febbraio 2012, n. 2572).

3.3. Nella specie, la corte territoriale ha escluso l'esistenza dell'abuso di posizione dominante, senza compiere una opportuna delimitazione del mercato rilevante in concreto, cioè in funzione della specifica ipotesi di abuso denunciata.

Essa si è limitata ad affermare che non è individuabile il mercato in questione, il quale non potrebbe consistere in quello nazionale, nel quale una dominanza «non è neppure immaginabile», né in quello comunale «poiché le imprese ricorrenti operano anche nella provincia sicché anche per tale via non è ravvisabile un abuso di posizione dominante».

Ma, in tal modo, la corte del merito ha violato l'art. 3 l. n. 297 del 1990, traducendosi detta motivazione in una falsa applicazione della norma predetta. Essa ha invero omesso di verificare l'esistenza di un mercato rilevante, sotto il profilo geografico, nel quale le imprese siano in concorrenza tra loro, limitandosi, in particolare, a sostenere che l'operare oltre il territorio comunale da parte delle ricorrenti di per sé escluderebbe che il mercato rilevante si possa individuare in quello del Comune di Rovigo, ove le odierne controricorrenti pacificamente operano e che da essa fu sin dall'inizio dedotto come quello rilevante.

Onde occorre concludere per la falsa applicazione della norma invocata.

4. Il quarto motivo è assorbito.

5. La sentenza va dunque cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso, respinti il primo ed il secondo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.