Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 10 gennaio 2020, n. 258
Presidente: Santoro - Estensore: Sabatino
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 4236 del 2016, [omissis] propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, [omissis], con la quale è stato respinto il ricorso proposto dall'attuale appellante contro l'Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'annullamento, previa sospensiva,
a) della delibera dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, resa all'esito dell'Adunanza del [omissis], successivamente notificata, con la quale si è ritenuto che alcuni concorrenti - tra questi la ricorrente [omissis] - avrebbero posto in es[s]ere un'intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell'art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e, per l'effetto, è stata irrogata alla ricorrente una sanzione pari ad euro 119.919,81 da pagare entro il termine di 90 giorni, pena la irrogazione delle sanzioni ulteriori di cui all'art. 27, comma 6, della l. n. 689/1981;
b) ove e per quanto occorra, della nota di comunicazione del provvedimento sub a) nonché di qualsivoglia altro provvedimento recante la irrogazione di sanzioni nei confronti della società ricorrente;
c) ove e per quanto occorra, della delibera dell'Adunanza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato del [omissis], con la quale è stato av[v]iato il procedimento, ai sensi dell'art. 14 della l. n. 287/1990;
d) della nota prot. n. [omissis], con la quale l'A.G.C.M. ha richiesto informazioni sul procedimento I/759 avviato ai sensi dell'art. 14 della l. n. 287/1990;
e) ove e per quanto occorra, della nota del [omissis], con la quale sono state comunicate le risultanze istruttorie;
f) di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi della ricorrente, ivi compreso il verbale di audizione finale del [omissis] e tutte le comunicazioni istruttorie richiamate nel verbale impugnato di comminatoria della sanzione.
Il giudice di prime cure evidenziava che, in seguito all'acquisizione presso gli Uffici della Procura della Repubblica di Firenze nonché presso quelli della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) in data [omissis] avviava un'istruttoria, ai sensi dell'art. 14 l. n. 287/1990, volta ad accertare eventuali violazioni dell'art. 2 l. cit. o dell'art. 101 TFUE relativamente a condotte, poste in essere dai principali operatori del mercato della fornitura di beni e servizi elettromeccanici per il comparto ferroviario, suscettibili di integrare una fattispecie di intesa restrittiva della concorrenza. Successivamente, nel corso del 2014, il procedimento era esteso anche ad altri soggetti.
Comunicate le risultanze istruttorie in data 3 marzo 2015 ed esaminate le memorie conclusive delle Parti, di alcune delle quali era anche effettuata l'audizione finale, l'AGCM adottava il provvedimento finale con il quale, accertata l'esistenza della violazione dell'art. 101 TFUE per via della costituzione di un'intesa orizzontale di natura segreta e restrittiva per oggetto, attuata in tutto il territorio nazionale, tra le principali (quasi esclusive) imprese fornitrici della stazione appaltante Trenitalia S.p.a. (Trenitalia) in relazione a beni e servizi interessati dalle procedure di gara esaminate in istruttoria, nella forma della pratica concordata nel quadriennio 2008-2011, disponeva nei confronti delle varie Parti indicate, tra cui la [omissis] ([omissis]), l'astensione in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quello oggetto dell'infrazione accertata nonché sanzioni amministrativi pecuniarie di vario importo, tra cui quello nei confronti della suddetta società pari ad euro 119.919,81.
In particolare, l'Autorità evidenziava di aver accertato, nel corso dell'istruttoria, che l'intesa in questione era consistita in gravi restrizioni della concorrenza derivanti dall'alterazione dei fisiologici meccanismi di mercato e del corretto confronto competitivo, mediante importanti condizionamenti reciproci alle singole politiche commerciali e di posizionamento strategico dei membri del cartello, con ripartizione del mercato in relazione alle diverse possibili commesse di Trenitalia, tramite accordi funzionali a disciplinare non soltanto le offerte dell'aggiudicatario designato ma anche quelle - artificialmente maggiori - degli altri partecipanti non designati, che risultavano così di mera "copertura". Erano stati - a riprova - individuati continui e sistematici contatti tra le Parti, anche tramite mezzi di comunicazione a distanza, che consentivano di predisporre e aggiornare la relativa contabilità "di cartello", incentrata sul sistema dei "debiti/crediti", il cui computo ricomprendeva anche le compensazioni realizzate tramite sub-forniture o altri simili strumenti. Gli accordi "di cartello" in questione, per l'Autorità, erano risultati idonei a produrre effetti nella forma di un artificioso innalzamento dei prezzi delle prestazioni da rendere alla stazione appaltante, con uno scarso consequenziale incentivo a ottimizzare l'efficienza delle stesse, come confermato dalla circostanza per la quale, al cessare delle condotte collusive (coincidente, di fatto, con l'avvenuta conoscenza da parte delle imprese delle indagini penali a loro carico), Trenitalia aveva stimato una considerevole riduzione dei prezzi di acquisto, nell'ordine medio del 25%.
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, [omissis] chiedeva l'annullamento, previa sospensione, di tale provvedimento nonché degli altri indicati in epigrafe, lamentando, in sintesi, quanto segue.
"I. Violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)".
Per la ricorrente il procedimento sanzionatorio discendeva unicamente dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche acquisite dal processo penale, che, come tali, erano mere supposizioni accusatorie prive di valenza probatoria, non avendo il processo penale registrato alcun rinvio a giudizio degli indagati.
L'AGCM avrebbe quindi dovuto disporre la sospensione del procedimento in attesa degli esiti del processo penale, quale questione pregiudiziale necessaria.
"II. Violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)".
Le intercettazioni telefoniche in questione erano comunque inutilizzabili nel presente procedimento, in applicazione degli artt. 268-270 c.p.p. Non risultavano depositati i decreti di autorizzazione e convalida delle stesse - probabilmente neanche adottati - e il procedimento si era fondato su meri stralci di intercettazioni telefoniche, non resi disponibili ai destinatari e con lesione del loro diritto di difesa.
"III. Violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)".
La norma di cui all'art. 15, comma 1, l. n. 287/1990 prevedeva il riferimento al 10% del fatturato realizzato da ciascuna impresa come limite massimo, applicabile solo in circostanze eccezionali e di particolare gravità. Nel caso di specie la posizione della ricorrente era assolutamente marginale, riguardando solo tre gare su ventiquattro, per cui era illogica l'applicazione della sanzione nella misura massima in riferimento a "gravità" e "durata", ex art. 15 cit., senza idonea motivazione.
Sulla "durata", la ricorrente osservava anche che l'intesa era stata proiettata dall'AGCM nel periodo 2007-2011 ma essa aveva partecipato a sole tre gare nel 2010-2011, per cui la sanzione doveva essere proporzionalmente ridotta del 50%, ai sensi dell'art. 31 l. n. 287/1990 e dell'art. 11 l. n. 689/1981 ivi richiamato.
Sulla "gravità", lo stesso provvedimento impugnato dava atto del coinvolgimento solo marginale della ricorrente per le richiamate tre gare e ammetteva che le condotte erano state già eliminate con la rimozione dell'amministratore unico dell'epoca dei fatti e che il fulcro dell'attività di [omissis] era riconducibile a settore diverso, con conseguente fatturato legati alle forniture a Trenitalia per il solo 1% del totale.
"IV. Violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)".
Del tutto illogica e immotivata, per la ricorrente, era l'esclusione dell'applicazione delle attenuanti ai sensi delle "Linee Guida" approvate dall'AGCM e di una espressa richiesta in tal senso.
"V. Violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)".
Non era stata rispettata la previsione dell'art. 16 l. n. 689/1981 - come richiamata dall'art. 31 l. 287/1990 che fa riferimento al Capo I, sezioni I e II, della l. cit. - che ammette il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione né l'AGCM aveva fatto alcun riferimento a tale possibilità.
"VI. Violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)".
Il provvedimento era erroneo anche nell'individuazione dell'importo posto a base del calcolo della sanzione, ai sensi delle suddette "Linee Guida", perché si doveva prendere a riferimento il valore delle vendite (fatturato) dei beni o servizi oggetto, direttamente o indirettamente, dell'infrazione (e quindi nel caso di specie dell'intesa).
Nel caso di specie, [omissis], nel periodo di riferimento 2010-2011 aveva maturato un fatturato specifico in tal senso pari ad euro 362.965,88 ([omissis]), laddove l'AGCM aveva individuato un fatturato di euro 799,465,40.
La ricorrente, inoltre, specificava - in riferimento a quanto indicato sul punto nel provvedimento impugnato - di non aver partecipato ad altre gare per non averne posseduto i relativi requisiti minimi.
"VII. Violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)".
Per altre concorrenti era stata disposta la riduzione del limite del 10% del fatturato specifico, riduzione - questa - non applicata a [omissis], con conseguente disparità di trattamento.
"VIII. Violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)".
La ricorrente contestava anche nel merito il provvedimento impugnato, in quanto non si era tenuto conto della vigenza del Sistema di Qualificazione Fornitori (SQF) utilizzato da Trenitalia in quel periodo che consentiva agli operatori di venire a conoscenza delle altrui offerte in occasione dell'aperture delle buste nelle varie gare. Né risultava trovato alcun elemento documentale, quali i c.d. "Tabellone" e "Piccolo Tabellone" su cui si era pure fondata l'Autorità, presso la sede della ricorrente o delle altre imprese diversa dalla [omissis]. Non vi era la prova che i prezzi praticati dalle imprese fossero maggiori di quelli del libero mercato e la mancata partecipazione di altre imprese, anche straniere, attestava semmai che i prezzi erano minori di quelli correnti di mercato.
Si costituiva in giudizio l'Autorità intimata, illustrando in una memoria per la camera di consiglio - "unica" per tutto il contenzioso con anche le altre imprese coinvolte - le tesi orientate alla reiezione del ricorso.
Rinviata su istanza di parte la causa alla trattazione di merito, in prossimità di questa l'AGCM depositava altra memoria "unica" riepilogativa delle proprie posizioni.
In prossimità della pubblica udienza l'AGCM depositava nuovamente una memoria "unica" illustrativa e la causa era discussa in data [omissis] e decisa con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell'operato della pubblica amministrazione, in relazione a tutti i profili di doglianza.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l'errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, meglio descritte in parte motiva.
Nel giudizio di appello, si è costituita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
In data 7 novembre 2019 le parti depositavano memorie conclusionali e, alla pubblica udienza del 28 novembre 2019, il ricorso veniva discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. L'appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. In ordine all'inquadramento generale della vicenda, occorre ricordare che l'intesa di cui si discute e il provvedimento dell'Autorità che l'ha sanzionata sono stati già vagliati da questa Sezione che, con la sentenza 10 luglio 2018, n. [omissis], ha condiviso integralmente, rigettando gli appelli ivi proposti, la ricostruzione operata in fatto e in diritto dall'organismo di tutela di settore.
Sulla scorta delle statuizioni contenute in quella sentenza, dalle quali, come si vedrà, non vi sono ragioni di discostarsi, possono essere vagliati i singoli motivi di appello proposti in questa sede.
3. Con il primo motivo di diritto, rubricato "errore in iudicando - violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto arbitrarietà - travisamento - sviamento - difetto di motivazione), la parte appellante censura complessivamente la sentenza, sotto tre diversi profili che ripercorrono, sintetizzandoli, i motivi di impugnazione in prime cure (sebbene in appello la parte ribalti l'ordine originariamente proposto, ritenendo "opportuno articolare separatamente le censure seguendo, però, un ordine opposto rispetto a quello seguito dal T.A.R.").
4. Con il primo profilo di censura, viene lamentata l'erroneità nel merito della decisione gravata, dove il T.A.R. ha ritenuto sussistente la pratica concordata sanzionata dall'Autorità.
4.1. La doglianza non può essere condivisa.
Come rilevabile dalla citata sentenza C.d.S., VI, 10 luglio 2018, n. [omissis], si tratta di un motivo di doglianza già esaminato nei quattro appelli congiuntamente decisi. Le ragioni della presente impugnativa non si discostano da quelli allora vagliati, per cui può riprendersi l'argomentazione allora fatta propria dalla Sezione.
Rinviando a quanto espresso in quella sede (punto 8.1. della sentenza) in merito ai principi applicabili al procedimento antitrust, va qui solo ricordato quanto acclarato in merito all'esistenza della fattispecie contestata.
Va infatti condiviso quanto allora affermato in merito alla circostanza per cui "l'Autorità ha ampiamente assolto l'onere di provare l'esistenza dei fatti costitutivi dell'infrazione contestata, consistente nel coordinamento consapevole dell'attività di 12 operatori indipendenti, attivi nel mercato della fornitura di beni e servizi elettromeccanici, nell'ambito di 24 procedure pubbliche di acquisto indette da Trenitalia s.p.a. per l'acquisto di bobine elettriche e di servizi di riparazione di motori di trazione ferroviaria, nell'arco temporale che [va] dal 2008 al 2011. Le parti dell'intesa illecita, in particolare, concordavano quali imprese avrebbero partecipato, quali avrebbero dovuto risultare aggiudicatarie e quali sarebbero stati i prezzi da offrire.
"Gli elementi di prova sono costituiti da plurimi riscontri esterni non solo documenti reperiti nel corso delle ispezioni, ma anche testimonianze di scambi di informazioni e trattative avvenuti nel corso di colloqui telefonici, incontri fisici e comunicazioni elettroniche delle "trattative" intercorse tra i rappresentanti delle diverse società prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, al fine di orientare i comportamenti delle imprese partecipanti al cartello.
"Particolarmente significativi, al fine di comprendere le concrete dinamiche dell'intesa, sono i due data base rinvenuti presso la sede della società [omissis] (denominati "Tabelloni": cfr. doc. 8 e 15). È stato così possibile esaminare i prospetti dettagliati con cui venivano riepilogate le assegnazioni distribuite a ciascuna impresa partecipante al cartello (a eccezione di Iee, che all'epoca, come si vedrà, non era stata ancora costituita) per ogni appalto indetto da Trenitalia s.p.a., e le conseguenti posizioni di debito o credito maturate dai singoli soggetti nei confronti delle altre imprese. Le imprese a credito per procedure passate maturavano diritti per procedure future, pure nella forma dell'impegno dell'aggiudicatario a cedere parte della commessa (per lo più in forma di subappalto) anche a chi non risultava formalmente tra i partecipanti alla procedura interessata.
"Occorre precisare che, quando la prova della concertazione non è basata sulla semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti, ma dall'istruttoria emerge che le pratiche sono stato frutto di una concertazione e di uno scambio di informazioni in concreto tra le imprese, grava sulle imprese l'onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti. Tale prova nel presente giudizio non è stata fornita.
"Anche le obiezioni relative all'asserita mancata attuazione dell'intesa e all'assenza dei relativi effetti (avuto riguardo al concreto esito delle gare, all'andamento dei fatturati delle imprese partecipanti) sono prive di rilievo.
"Le intese finalizzate alla ripartizione dei mercati, avendo un «oggetto restrittivo» (da intendersi in [senso] economico e non giuridico) della concorrenza, appartengono a una categoria di accordi espressamente vietati dall'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, poiché un siffatto oggetto non può essere giustificato mediante un'analisi del contesto economico e giuridico in cui si inscrive la condotta anticoncorrenziale di cui trattasi (Corte di giustizia UE, 19 dicembre 2013, cause riunite C-239/11 P, C-489/11 P e C-498/11 P; Corte di giustizia 8 dicembre 2011 in C-272/09). In tali casi, non occorre verificarne gli effetti restrittivi concreti dell'intesa al fine della sua qualificazione in termini di illiceità, in quanto l'ordinamento sanziona già di per sé l'effetto potenziale della restrizione. La costituzione di un cartello ovvero di una organizzazione privata avente il fine precipuo di programmare la produzione e le attività dei partecipanti costituisce oggetto di un divieto assoluto, rispetto al quale non sono ammesse controprove neppure sulla circostanza che l'intesa porti con sé guadagni di efficienza che possano giustificarne l'esenzione (purché, in astratto, l'intesa appaia idonea a incidere sulla corretta e fisiologica dinamica della competizione concorrenziale).
"In ogni caso, va rimarcato che non solo i ripetuti contatti hanno senza dubbio consentito ai partecipanti di scambiare reciprocamente informazioni utili, sia per facilitare l'allineamento delle offerte commerciali, sia per consentire il controllo ex post dell'avvenuto rispetto dell'accordo di cartello, ma la concreta attuazione della ripartizione del mercato è dimostrata dal confronto tra quanto pattuito ex ante e quanto effettivamente registratosi ex post sulla base dei dati di fatturato specifico realizzato dalle parti, e dal significativo calo del prezzo dei beni e servizi oggetto di collusione al cessare delle condotte anticoncorrenziali.
Inoltre, va ricordato che "in presenza di comportamenti d'imprese in contrasto con il diritto antitrust, che sono imposti o favoriti da una normativa nazionale che ne legittima o rafforza gli effetti (con specifico riguardo alla determinazione dei prezzi e alla ripartizione del mercato), l'autorità nazionale preposta alla tutela della concorrenza non può infliggere sanzioni alle imprese interessate per comportamenti pregressi soltanto qualora questi siano stati loro imposti dalla detta normativa nazionale, mentre può infliggere sanzioni alle imprese interessate per comportamenti pregressi qualora questi siano stati semplicemente facilitati o incoraggiati da quella normativa nazionale, pur tenendo in debito conto le specificità del contesto normativo nel quale le imprese hanno agito (come stabilito dalla Corte di giustizia 9 settembre 2003, C-198/01).
"Su queste basi, va dunque condivisa l'affermazione dell'Autorità secondo cui nella fattispecie non può trovare applicazione la speciale scriminante della "copertura normativa" dei comportamenti anticoncorrenziali delle imprese, in quanto le condotte anticoncorrenziali (costituite da plurimi e reiterati contatti collusivi) adottate dalle odierne appellanti non sono state imposte né facilitate dalle vigenti disposizioni normative, le quali si limitavano a prevedere un sistema di prequalifica per l'accesso al mercato, basato su determinati requisiti tecnico-finanziari".
Conclusivamente, la doglianza proposta va rigettata.
5. Con il secondo profilo, rubricato "sulla erroneità della decisione gravata nella parte in cui il T.A.R. non ha accolto i motivi con i quali l'appellante ha contestato le modalità di calcolo della sanzione ed, in particolare, sulla mancata applicazione delle attenuanti", vengono riproposte le originarie censure (motivo 3, 4 e 5 del ricorso di prime cure) in merito alle modalità di calcolo della sanzione.
5.1. La censura è infondata.
Nuovamente, sono dirimenti le osservazioni rinvenibili nella sentenza C.d.S., VI, 10 luglio 2018, n. [omissis].
"La quantificazione delle sanzioni operata dall'Autorità costituisce coerente applicazione dei criteri dettati dall'art. 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990, dall'art. 11 della legge n. 689 del 1981, dalle Linee Guida approvate dall'Autorità con delibera del 22 ottobre 2014, n. 25152, nonché dagli «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell'articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003», di cui alla Comunicazione della Commissione 2006/C 210/02.
"Il disvalore delle condotte sanzionate risulta dalle seguenti circostanze: le intese orizzontali di prezzo o di ripartizione dei mercati sono infrazioni "molto gravi" sulla sola base della loro natura; la pratica concordata in esame si è concretata in una cooperazione stabile nel tempo, dal marzo 2008 al settembre 2011; le parti dell'intesa hanno negoziato le principali variabili concorrenziali (quantità, prezzo, numero dei contendenti); le quote di mercato detenute dalle imprese partecipanti al cartello erano pari alla quasi totalità degli operatori attivi nel mercato rilevante; l'intesa è stata attuata dalle parti influenzando l'andamento dei prezzi medi di aggiudicazione delle gare.
"Il «valore delle vendite dei beni e dei servizi oggetto dell'infrazione», da porsi a base di calcolo della sanzione, è stato correttamente rapportato, in applicazione di quanto previsto dal punto 18 delle Linee Guida, agli importi oggetto di aggiudicazione (in tal senso, cfr. ex plurimis, C.d.S., 11 luglio 2016, n. 3047).
"Al valore del fatturato specifico, l'Autorità ha applicato la percentuale minima del 15%.
"L'Autorità ha incrementato l'importo della sanzione per le società [omissis] ed [omissis], rispettivamente del 15% e 10%, in ragione del ruolo svolto da tali società nell'intesa.
"Da ultimo, gli importi, sono stati per alcune società, tra cui IEE, ridotti in ragione del vincolo rappresentato dalla soglia legale massima di cui all'art. 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990, pari al 10% del fatturato totale realizzato nell'ultimo esercizio chiuso (2014) anteriormente alla notifica della diffida".
Anche questo ultimo profilo va quindi ritenuto infondato.
6. Con il terzo profilo di censura, rubricato "sulla erroneità della decisione gravata nella parte in cui il T.A.R. non ha accolto i motivi con i quali l'appellante ha contestato l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche nell'ambito del procedimento sfociato nell'adozione del provvedimento impugnato nonché la mancata sospensione del procedimento nelle more della definizione del presupposto procedimento penale (motivo 1 e 2 di ricorso di primo grado), va evidenziato parimenti la infondatezza della censura dell'appellante.
6.1. In merito alla mancata sospensione del procedimento, va riaffermato che, come espressamente ricordato dal primo giudice, non solo esiste nell'ordinamento un principio di reciproca autonomia tra giudizio penale ed amministrativo (C.d.S., IV, 20 dicembre 2013, n. 6151 - ma anche id., 12 marzo 2012, n. 1386: "la sospensione necessaria del giudizio amministrativo in ragione della pendenza di un giudizio penale di per sé deroga al principio fondamentale, introdotto con il nuovo processo penale, della reciproca autonomia e del parallelismo dei due accertamenti giurisdizionali, i quali operano in ambiti diversi e con finalità differenti. Di conseguenza, essa può essere possibile soltanto se la definizione del giudizio amministrativo ineliminabilmente - per l'appunto - 'dipenda' - come dispone l'art. 295 c.p.c. - da quella del giudizio penale, in quanto ne sia vincolata in modo esclusivo, diretto e consequenziale, e comunque deve essere disposta sulla base di una accezione restrittiva dei presupposti su cui si fonda proprio perché la sospensione rappresenta un'eccezione al principio generale dell'autonomia dei giudizi che ormai informa l'intera giurisdizione"), ma soprattutto non considera che tale norma si applica solo a procedimenti giurisdizionali.
6.2. In merito al tema della utilizzabilità della documentazione inerente ad un procedimento penale pur nell'ambito dell'autonomia sostanziale e funzionale fra i due giudizi, in particolar modo in relazione ai risultati delle intercettazioni telefoniche condotte dagli uffici della Procura della Repubblica, va ripresa ancora la citata sentenza C.d.S., VI, 10 luglio 2018, n. [omissis], trattandosi di un motivo di doglianza già esaminato nei quattro appelli congiuntamente decisi. Le ragioni della presente impugnativa non si discostano da quelli allora vagliati, per cui può riprendersi l'argomentazione allora fatta propria dalla Sezione.
"Va premesso che, né la legge generale sul procedimento amministrativo (ispirato al principio di atipicità dei mezzi istruttori, con il solo limite della loro pertinenza e credibilità), né la specifica disciplina antitrust, contemplano preclusioni in ordine all'utilizzo ai fini istruttori di prove raccolte in un processo penale, a patto che:
"a) le prove siano state ritualmente acquisite in conformità con le regole di rito che presiedono alla loro acquisizione ed utilizzo;
"b) sia salvaguardato il diritto di difesa;
"c) il materiale probatorio formatosi aliunde sia stato oggetto di autonoma attività valutativa.
"In applicazione dei predetti criteri, non vi è motivo per ritenere che, nel caso in esame, la documentazione inerente al procedimento penale fosse inammissibile.
"Secondo quanto dedotto dall'Autorità (e non specificatamente contestato da controparte), la trasmissione della documentazione di cui si discute è stata specificatamente autorizzata dalla Procura della Repubblica di Firenze. Quanto alle intercettazioni, deve precisarsi che «il citato art. 270, comma 1, riguarda specificamente il processo penale, deputato all'accertamento delle responsabilità appunto penali che pongono a rischio la libertà personale dell'imputato (o dell'indagato), cosa questa che giustifica l'adozione di limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale. In ragione di tanto, è solo con riferimento ai procedimenti penali che una ipotetica, piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell'ambito di procedimenti penali diversi da quello per cui le stesse intercettazioni erano state validamente autorizzate contrasterebbe con le garanzie poste dall'art. 15 Cost., a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni. In relazione poi al profilo della utilizzabilità in concreto, è stato precisato che presupposto per l'utilizzo esterno delle intercettazioni è la legittimità delle stesse nell'ambito del procedimento in cui sono state disposte» (Cass., Sez. un., 23 dicembre 2009, n. 27292; 12 febbraio 2013, n. 3271). Sul punto, va anche rimarcato che la prova della conversazione telefonica e del suo contenuto può ben desumersi dalla lettura dei brogliacci di cui all'art. 268, comma 2, c.p.p. (cfr. ex plurimis Cass. pen. n. 49462 del 2015).
"Le imprese coinvolte hanno avuto ampio accesso e possibilità di controprova in merito a tutti gli elementi probatori sulla cui base sono stati mossi gli addebiti.
"Da ultimo, in ragione della mole dei riscontri effettuati, è evidente che l'accertamento del meccanismo di funzionamento dell'intesa è stata il frutto di una attività valutativa autonoma dall'Autorità, non limitata alla mera acquisizione della documentazione presente nel fascicolo dell'indagine penale. È significativo che il procedimento condotto dall'Autorità si sia incentrato su ben ventiquattro procedure di acquisto indette da Trenitalia, mentre il procedimento penale aveva riguardato soltanto una parte (dieci) di esse.
"L'utilizzabilità, al fine di accertare violazioni del diritto antitrust, delle fonti di prova provenienti dal procedimento penale, contrariamente a quanto paventato dalle società appellanti, non si pone in contrasto con il diritto convenzionale.
"Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, le comunicazioni telefoniche e ambientali fanno parte della nozione di «vita privata» e di «corrispondenza» nel senso dell'articolo 8 della Convenzione. La loro intercettazione, la memorizzazione dei dati così ottenuti e la loro eventuale utilizzazione nell'ambito dei procedimenti penali costituisce una «ingerenza da parte di un'autorità pubblica» nel godimento del diritto garantito dalla citata disposizione convenzionale. Tuttavia, tale ingerenza non viola l'articolo 8 quando sia «prevista dalla legge», persegua scopi legittimi, e sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, § 64, serie A, n. 82; Valenzuela Contreras c. Spagna, 30 luglio 1998, § 47, Recueil des arrêts et décisions 1998-V).
"Nel caso che ci occupa, ricorrono tutti i presupposti citati, dal momento che le intercettazioni: sono previste dalle legge (segnatamente: dal Libro III, Titolo III, Capo III, del codice di procedura penale); vengono disposte da un'autorità giudiziaria indipendente; sono previste garanzie processuali adeguate e sufficienti contro gli abusi; costituiscono uno dei principali mezzi di indagine per la repressione degli illeciti anticoncorrenziali.
"Del resto, anche sul versante costituzionale interno, la «libertà» e la «segretezza» della «corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», oggetto del diritto «inviolabile» tutelato dall'art. 15 Cost., può subire limitazioni o restrizioni «in ragione dell'inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante», sempreché l'intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell'interesse e sia rispettata la duplice garanzia della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione (ex plurimis, Corte cost., sentenza n. 20 del 2017).
"In ordine alla doglianza genericamente incentrata sulla violazione delle norme sulla protezione dei dati personali, è dirimente considerare che, ai sensi dell'art. 47 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice in materia di protezione dei dati personali), in caso di trattamento di dati personali effettuato presso uffici giudiziari di ogni ordine e grado «non si applicano», se il trattamento è effettuato per ragioni di giustizia - con tale espressione intendendosi i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie - «le seguenti disposizioni del codice: a) articoli 9, 10, 12, 13 e 16, da 18 a 22, 37, 38, commi da 1 a 5, e da 39 a 45; b) articoli da 145 a 151» (in deroga dunque alle regole ordinariamente per il trattamento dei dati personali da parte dei soggetti pubblici)".
Conclusivamente, facendo proprie le argomentazioni già in precedenza espresse, la Sezione ritiene ancora una volta infondata la ragione di doglianza qui riproposta.
7. Con gli ulteriori motivi di appello, la parte riprende gli originari motivi, riproponendoli a fini devolutivi. Si tratta tuttavia di temi che sono stati già trattati nella disamina dei tre profili del primo motivo di ricorso che ha, sotto questo punto di vista, una funzione dirimente. Pertanto questi possono essere qui sinteticamente ripercorsi, essendosene già valutata le rilevanza in relazione alle censure precedenti.
7.1. Con il secondo motivo, rubricato "violazione di legge (l. n. 287/1990 - art. 101 TFUE - l. 241/1990 - artt. 268 e 270 c.p.p. - art. 79 c.p.a. - art. 295 c.p.c.) - eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto - di istruttoria - erroneità manifesta - travisamento - sviamento)", si lamenta che il procedimento sanzionatorio discenda unicamente dalle risultanze delle indagini eseguite dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze. Si tratta di un tema collaterale alla già vagliata rilevanza dell'impianto accusatorio, ai cui contenuti ci si può quindi rifare.
7.2. Lo stesso dicasi per il terzo motivo, rubricato come il secondo, anch'esso relativo all'utilizzabilità delle intercettazioni.
7.3. Il quarto motivo, rubricato come il secondo, fa riferimento al tema della commisurazione della sanzione, anch'esso già vagliato.
7.4. Lo stesso dicasi per il quinto motivo, rubricato come il secondo, anch'esso relativo alla quantificazione della sanzione sotto l'angolo visuale della mancata applicazione delle attenuanti.
7.5. Parimenti infondato è il sesto motivo, rubricato come il secondo, che, per quanto attiene le modalità della sanzione, è stato già precedentemente esaminato mentre per la gradualità del pagamento, quand'anche sussistente, non integra comunque un motivo di illegittimità, collocandosi a valle dell'esplicazione della pretesa sanzionatoria.
7.6. Nuovamente reiterativo di questioni inerenti la sanzione, in questo caso sulla base di calcolo, è il settimo motivo di diritto, rubricato come il secondo, che è stato vagliato in relazione al tema generale.
7.7. Inconferente è poi l'ottavo motivo, rubricato come il secondo, attesa l'irrilevanza per la parte appellante delle considerazioni espresse in relazione ad altri concorrenti, comunque già prima valutato.
7.8. Il nono motivo, rubricato come il secondo, ritorna sull'argomento dell'inesistenza dell'intesa, già sopra vagliato con motivazioni a cui può farsi rinvio.
Conclusivamente, nessuno dei motivi riprodotti introduce alcun elemento di novità, trovandosi tutte le questioni rilevanti già descritte e vagliate nei tre diversi profili del primo motivo.
8. Infine, va notata l'irrilevanza del tema dell'assoluzione in sede penale di [omissis], all'epoca dei fatti rappresentante legale della [omissis], dal reato di associazione a delinquere per non aver commesso il fatto.
Infatti, in disparte le considerazioni già svolte sull'autonomia del giudizio penale rispetto a quello amministrativo, è la stessa sentenza prodotta (Tribunale di Firenze - Giudice dell'udienza preliminare [omissis]) che dà testimonianza che lo stesso legale rappresentante affermava di aver partecipato alle gare e di "aver presentato le offerte con i prezzi che gli erano stati suggeriti" (pag. 28), tant'è che lo stesso G.U.P. evidenzia che l'assoluzione dal reato associativo avviene "ferma restando la consistenza del quadro indiziario in relazione alla turbativa d'asta" (pag. 27).
In altri termini, al contrario di quanto vantato dalla parte, anche la sentenza penale prodotta conferma l'esistenza di una partecipazione all'intesa anticoncorrenziale.
9. Conclusivamente, l'appello va respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti (così da ultimo, Cass. civ., sez. un., 30 luglio 2008, n. 20598).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. respinge l'appello n. 4236 del 2016;
2. compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche indicate in sentenza.