Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 28 settembre 2020, n. 30227

Presidente: Mogini - Estensore: Villoni

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16 ottobre 2019 il GIP del Tribunale di Trapani, a sua richiesta concordata con il PM, ha applicato nei confronti di Valeria D.B. ai sensi dello art. 444 c.p.p. la pena di un anno e quattro mesi di reclusione in ordine al reato di cui agli artt. 81, 314, comma 1, c.p., previo riconoscimento delle attenuanti generiche, della diminuente di cui all'art. 62, n. 6, c.p. ed applicazione della riduzione di un terzo per la scelta del rito.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata che deduce erronea applicazione dell'art. 314 c.p. poiché il fatto contestato - costituito dall'appropriazione di somme di danaro corrispondenti all'imposta di soggiorno pagata dai clienti del residence da lei gestito da riversare all'amministrazione comunale competente a riscuotere il tributo - non costituirebbe reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

2. A sostegno dell'impugnazione v'è l'argomento che l'appropriazione temporanea di una somma di denaro integri in astratto la meno grave ipotesi di illecito penale del peculato d'uso di cui all'art. 314, comma 2, c.p. e che nello specifico il reato non sarebbe neppure configurabile atteso il valore economico asseritamente modesto delle somme oggetto di appropriazione (da un minimo di euro 252,00 ad un massimo di euro 1.308,00 in relazione alle scadenze quadrimestrali o semestrali per gli anni di riferimento).

3. Tanto premesso e a prescindere dalla circostanza che, come correttamente rilevato dal Procuratore generale nelle note scritte, in tal modo la ricorrente non contesta l'erronea qualificazione giuridica del fatto, astrattamente possibile ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p., quanto la configurabilità stessa del reato nella fattispecie considerata, appare evidente l'erroneità della argomentazione giuridica che sorregge il ricorso.

Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità che il peculato d'uso non è mai configurabile rispetto alle somme di denaro, in quanto la sua natura fungibile non consente dopo l'uso la restituzione della stessa cosa, ma solo del tantundem, irrilevante ai fini dell'integrazione della ipotesi attenuata (Sez. 6, sent. n. 49474 del 4 dicembre 2015, Stanca, Rv. 266242; Sez. 6, sent. n. 12368 del 17 ottobre 2012, dep. 2013, Medugno e altro, Rv. 255997; Sez. 6, sent. n. 27528 del 21 maggio 2009, Severi, Rv. 244531).

4. Nelle more della trattazione del ricorso, differita per effetto dell'emergenza epidemica da Covid-19, è, però, intervenuto a modificare la disciplina del versamento dell'imposta di soggiorno da parte dei gestori delle strutture alberghiere e ricettive l'art. 180 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 convertito nella l. n. 77 del 20 luglio 2020.

Trattandosi di vicenda normativa incidente sull'inquadramento giuridico del fatto oggetto di contestazione, è compito del giudice di legittimità prenderne cognizione (art. 609, comma 2, prima parte, c.p.p.) e procederne ad esame.

Questo deve prendere le mosse dalla novella introdotta dal comma 4 dell'art. 180 del d.l. citato, il quale ha stabilito l'inserimento nell'art. 4 d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 del comma 1-ter, il quale recita che "il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno di cui all'art. 14, comma 16, lett. e) d.l. 31 maggio 2010, n. 78 conv. con modif. nella l. 30 luglio 2010, n. 122 con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato - città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Per l'omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell'importo dovuto. Per l'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica una sanzione amministrativa di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471".

È evidente come ai sensi della novella il gestore della struttura venga oggi ad essere individuato, per il futuro, quale responsabile del pagamento dell'imposta (figura prevista e definita dall'art. 64 d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973) di soggiorno e sottoposto alle sanzioni amministrative derivanti dal mancato versamento della stessa.

A partire dall'entrata in vigore della modifica normativa è, pertanto, escluso in radice che possa ulteriormente configurarsi il delitto di peculato, posto che il denaro ancora non versato a titolo d'imposta per definizione non costituisce denaro altrui né quale soggetto giuridico onerato del tributo, il gestore può essere ritenuto incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.).

Diverso era, invece, il ruolo attribuito al gestore della struttura ricettiva dalla previgente e composita normativa di riferimento (art. 4 d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, come modificato ed integrato dall'art. 33 della l. 28 dicembre 2015, n. 221; art. 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446; art. 74, comma 1, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440; art. 178 del r.d. n. 827 del 1924; art. 93, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000 t.u.e.l.; d.lgs. n. 118 del 23 giugno 2011) compiutamente individuata, ricostruita e descritta da Sez. 6, sent. n. 32058 del 17 maggio 2018, Locane Pantaleone, Rv. 273446 cui, nell'economia della presente decisione, si rinvia, poiché egli operava da ausiliario dell'ente locale nella riscossione del tributo e nel maneggiare pubblico denaro, fungeva da agente contabile con obbligo di rendiconto.

In quel contesto normativo e in relazione a fattispecie completamente sovrapponibili a quella in esame, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha, infatti, ritenuto la sussistenza del delitto di peculato sull'assunto che integrasse il reato la condotta posta in essere dal gestore della struttura ricettiva che si era appropriato delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno omettendo di riversarle al Comune, poiché lo svolgimento dell'attività ausiliaria di responsabile della riscossione e del versamento, strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente tra l'ente impositore e il cliente della struttura, determinava l'attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio al soggetto privato cui era demandata la materiale riscossione dell'imposta (Sez. 6, sent. n. 32058/18 cit.; conf. Sez. 6, sent. n. 27707 del 26 marzo 2019, Norsa, Rv. 276220; Sez. 6, sent. n. 53467 del 25 ottobre 2017, Ranieri, non mass.).

Tale giurisprudenza specificava pure che la qualità di incaricato di pubblico servizio sussisteva in capo al gestore della struttura ricettiva residenziale, anche in assenza di preventivo specifico incarico da parte della pubblica amministrazione (in genere attraverso regolamento comunale) trattandosi di agente contabile e non di un sostituto di imposta, incaricato dell'espletamento di un'attività ausiliaria nei confronti dell'ente impositore ed oggettivamente strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente in via esclusiva tra il Comune ed il soggetto alloggiante nella struttura ricettiva (Sez. 6, n. 32058/18 cit.).

Precisava, infine, che il denaro entrava nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso dell'incasso dell'imposta di soggiorno da parte del gestore, cosicché ogni imputazione delle somme riscosse dai contribuenti alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico per il quale erano state versate e ricevute, integrava la condotta appropriativa di cui all'art. 314 c.p. (Sez. 6, n. 27707/19 cit.).

A completamento di tale inquadramento dogmatico della figura del gestore quale ausiliario dell'ente percettore del tributo interveniva Sez. 2, sent. n. 29632 del 28 maggio 2019, PM in proc. Kunsagi, Rv. 276977, secondo cui non sussisteva rapporto di specialità tra la fattispecie penalmente rilevante di appropriazione di somme ricevute a titolo di imposta di soggiorno da parte di operatori commerciali che esercitano attività alberghiere e ricettive (nella specie, contestata ai sensi dell'art. 646 c.p. e riqualificata dalla Corte nell'ipotesi prevista dall'art. 314 c.p.) e quella di mancato versamento alla amministrazione comunale dei medesimi importi, sanzionata in via amministrativa (nella specie, da un regolamento comunale) poiché l'illecito amministrativo concerneva il solo dato dell'omesso versamento di tali somme, onde non trovava applicazione il principio di cui all'art. 9 della l. 24 novembre 1981, n. 681, in mancanza del presupposto costituito dall'identità del fatto.

Ricapitolando la novella costituita dall'art. 180 del c.d. Decreto Rilancio ha modificato i compiti affidati al gestore della struttura ricettiva nella riscossione del tributo da ausiliario del soggetto tenuto alla riscossione (ente locale) a soggetto responsabile del pagamento dell'imposta e del contributo di soggiorno con diritto di rivalsa sul fruitore del servizio, secondo lo schema ricavabile dall'art. 64, comma 3, t.u.i.r.

Conseguenza immediata dell'intervento del legislatore è che il mancato versamento dell'imposta non è ovviamente sussumibile nel fuoco del delitto di peculato (art. 314 c.p.) - che, invece, postula come presupposto necessario la vesta giuridica di incaricato di pubblico servizio - a partire dal giorno (19 maggio) di entrata in vigore del d.l. n. 34 del 2020.

Resta, invece, da stabilire se e quali siano le conseguenze della novella in relazione alle condotte antecedenti, tra cui quella contestata alla ricorrente, in mancanza di norme di diritto intertemporale.

Sul piano materiale siamo in presenza di una modifica delle attribuzioni di un soggetto (il titolare della struttura ricettivo-alberghiera) che opera solamente dall'entrata in vigore della novella e non per il passato.

L'opzione normativa per la natura oggettiva e/o funzionale della nozione di incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.) imponeva, per contro, a legislazione previgente di qualificarlo tale in funzione proprio delle concrete attribuzioni demandategli dalla legge.

La modifica delle modalità di riscossione ha, dunque, trasformato obblighi e attribuzioni del gestore che, in relazione al medesimo tributo, è gravato oggi di oneri completamente diversi.

Sul piano dogmatico si è al cospetto di una successione nel tempo di norme extrapenali in cui, per i fatti anteriori alla novella legislativa, è rimasto inalterato non solo il precetto (art. 314 c.p.), ma anche la qualifica soggettiva (art. 358 c.p.) la cui sussistenza è richiesta ai fini della punibilità a titolo di peculato.

Poiché una dottrina tempestivamente espressasi sul tema ha rilevato che "la modifica normativa ha dunque trasformato l'albergatore da incaricato del pubblico servizio di riscossione della tassa di soggiorno e versamento nelle casse comunali a destinatario dell'obbligo tributario", occorre, pertanto, precisare che la trasformazione della qualifica soggettiva si è prodotta solo per il futuro, come diretta conseguenza della descritta sostituzione di determinati obblighi normativi ad altri.

In estrema sintesi, in precedenza il gestore raccoglieva e custodiva il denaro (pubblico) versato dai clienti a titolo di imposta di soggiorno per poi riversarlo all'ente titolare della riscossione, mentre oggi deve versare il tributo a prescindere dal pagamento da parte degli ospiti della struttura ricettiva, sui quali può esercitare diritto di rivalsa secondo modalità tipiche della figura del responsabile d'imposta di cui all'art. 64 t.u.i.r. e in particolare del suo comma 3 ("Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa").

Si deve di conseguenza escludere che la modifica del quadro di riferimento normativo di natura extra penale che regola il versamento dell'imposta di soggiorno abbia comportato un fenomeno di abolitio criminis, poiché tale effetto si determina solo quando la modifica abbia riguardato norme realmente integratrici della legge penale, come quelle di riempimento di norme penali in bianco o le norme definitorie, ma non anche le norme richiamate da elementi normativi della fattispecie penale, nessuna di tali tra loro differenti situazioni essendosi, peraltro, determinata nella vicenda normativa in esame.

L'accertamento dell'effettiva esistenza di una vicenda normativa di abolitio criminis in base ad un criterio strutturale è il metodo che questa Corte di legittimità, anche nel suo più alto consesso, ha seguito ad es. nella paradigmatica pronuncia Sez. un., n. 2451 del 27 settembre 2007, Magera Rv. 238197 in tema di persistente punibilità dei cittadini romeni espulsi ed autori del reato di inosservanza dell'ordine di allontanamento dallo Stato impartito dal Questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 298 del 2012 pur dopo l'adesione della Romania all'Unione europea e alla perdita dello status di extracomunitari.

Il medesimo criterio era stato adottato da Sez. un., sent. n. 25887 del 26 marzo 2003, Giordano ed altri, Rv. 224605, in tema di modifica delle norme contemplanti i delitti di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 c.c.) e di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario (art. 223, comma 2, n. 1, r.d. 16 marzo 1942, n. 267) ad opera degli artt. 1 e 4 d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, ed in seguito sarebbe stato nuovamente impiegato da Sez. un., sent. n. 19601 del 228 febbraio 2008, Niccoli, Rv. 239398, in tema di modifiche apportate all'art. 1 r.d. n. 267 del 1942 dal d.lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 12 settembre 2007 con riferimento al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore.

Con la sentenza n. 24468 del 26 febbraio 2009, Rizzoli, Rv. 243586, in tema di abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata e di soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (art. 147 d.lgs. n. 5 del 2006), le Sezioni unite hanno, infine, compiutamente elaborato il principio che "in materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno abolitio criminis è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, (ne) consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio" di applicazione.

Ma, come anticipato, nella vicenda in esame si deve registrare un caso di successione di norme extrapenali che pure collocandosi in rapporto di interferenza applicativa sia con la norma che definisce la qualifica soggettiva dell'agente (art. 358 c.p.) sia con quella che stabilisce la struttura del reato (art. 314 c.p.), lasciano, però, entrambe inalterate, potendo al più dirsi richiamate in maniera implicita da elementi normativi contenuti sia nella norma definitoria che nella fattispecie penale.

Per il complesso delle suddette argomentazioni deve conclusivamente ribadirsi la rilevanza penale a titolo di peculato delle condotte, tra cui quella ascritta alla ricorrente, commesse in epoca anteriore alla novatio legis di cui all'art. 180, comma 4, del d.l. n. 34 del 19 maggio 2020, convertito nella l. n. 77 del 20 luglio 2020.

5. Alla dichiarazione d'inammissibilità dell'impugnazione segue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in euro 3.000,00 (tremila).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Depositata il 30 ottobre 2020.

G. Fiandaca, E. Musco

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