Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 9 febbraio 2021, n. 95

Presidente: Taormina - Estensore: Caleca

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata, n. 1269 del 31 maggio 2017 il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Sezione Staccata di Catania - ha respinto il ricorso di primo grado proposto dalla odierna appellante Signora Anne France R.T. volto ad ottenere l'annullamento del Decreto dirigenziale n. 5832 del 5 dicembre 2016, con il quale l'Assessorato Beni Culturali e dell'Identità Siciliana - Dipartimento Beni Culturali e Ambientali - Servizio Tutela e acquisizioni, le aveva ingiunto, ai sensi dell'art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, come sostituito dall'art. 27 del d.lgs. n. 157/2006, il pagamento di una somma, quale indennità pecuniaria relativa alla realizzazione di un'opera abusiva realizzata dal suo dante causa, nel territorio del comune di Lipari.

2. La originaria ricorrente aveva prospettato un unico articolato motivo di censura, riposante nella avvenuta prescrizione della pretesa punitiva, anche in ragione del disposto di cui all'art. 28 della l. 24 novembre 1981, n. 689.

2.1. L'Assessorato regionale delle attività produttive - Dipartimento regionale delle attività produttive e dell'Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identità siciliana - si era costituito in giudizio chiedendo la reiezione dell'impugnazione, in quanto infondata.

3. Alla camera di consiglio del giorno 8 giugno 2017 ai sensi dell'art. 60 c.p.a. il T.A.R. ha trattenuto la causa in decisione e con la sentenza impugnata ha respinto il ricorso di primo grado, affermando che:

a) la natura giuridica del titolo giuridico posto a fondamento dell'ingiunzione emessa ex art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 riposava in una indennità risarcitoria (e non trattavasi di vera e propria sanzione amministrativa);

b) ciò, in quanto dovevano essere valorizzati i seguenti elementi contenuti testualmente nell'art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42:

1) nella rubrica l'indennità in questione veniva qualificata come "indennità pecuniaria", e non come sanzione, e ciò è confermato dalle previsioni riguardo all'utilizzazione delle relative somme ("finalità di salvaguardia, interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione delle aree degradate");

2) la somma ivi prevista era espressamente volta a tutelare l'interesse alla protezione dei beni indicati nell'art. 134;

3) in punto di commisurazione, la somma da determinarsi era equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.

3.1. Il primo giudice ha poi escluso che fosse maturata la prescrizione, rifacendosi ad un pregresso orientamento giurisprudenziale: pertanto (così, testualmente, il T.A.R.) "attesa la natura e la funzione dell'indennità prevista dall'art. 15 L. 29 giugno 1939, n. 1947 (oggi art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), viene privata di fondamento l'opinione che individua la cessazione dell'illecito paesaggistico al momento del rilascio della concessione edilizia in sanatoria" in quanto "solo con l'atto di pagamento, secondo la misura determinata dall'Amministrazione, il trasgressore provvede realmente a ristabilire nel paesaggio quegli equilibri di valori alterati dall'utilizzo sine titulo... e solo l'atto di pagamento si colloca nella struttura del provvedimento quale condicio facti per l'estinzione dell'illecito paesaggistico altrimenti destinato a permanere fino a quando con la corresponsione della somma dovuta non si è provveduto effettivamente a reintegrare il paesaggio dei valori che l'opera abusiva gli ha sottratto indebitamente" (CGA n. 718/2013)".

4. La sentenza suindicata è stata tempestivamente appellata dalla originaria ricorrente rimasta soccombente, che ne ha criticato le conclusioni, sostenendo trovarsi al cospetto di una sanzione amministrativa, soggetta alla previsione di cui all'art. 28 della l. 24 novembre 1981, n. 689 e che pertanto posto la pretesa era irrimediabilmente prescritta la sentenza di prime cure avrebbe dovuto essere riformata.

5. L'amministrazione regionale odierna appellata, dopo avere depositato costituzione di stile e documenti, in data 31 dicembre 2020 ha depositato una breve memoria, chiedendo la reiezione dell'appello in quanto infondato e facendo presente che, laddove il Collegio decidente avesse ritenuto di conformarsi alla tesi per cui la disposizione di cui all'art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 rientrava nel novero delle sanzioni amministrative, si sarebbe dovuto tenere conto della recente affermazione di tale orientamento al fine della regolazione delle spese processuali.

6. In data 25 gennaio 2021 l'appellante ha depositato una nota chiedendo che la causa venisse posta in decisione sugli scritti.

7. Alla odierna pubblica udienza del 4 febbraio 2021 tenutasi con modalità telematiche da remoto la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L'appello è fondato e va accolto nei sensi di cui alla motivazione che segue.

2. In punto di fatto, deve essere rappresentato che:

a) l'odierna appellante aveva volturato la originaria domanda di sanatoria, presentata ai sensi della l. n. 47 del 1985;

b) con provvedimento n. 28 del 28 novembre 2011, notificato il 21 dicembre 2011 ha ottenuto il condono, ed ivi è stato fatto presente che si sarebbe formato il silenzio-assenso sulla domanda, ex art. 17, comma 6, della l.r. n. 4 del 16 aprile 2003;

c) l'atto impugnato (D.D.S. n. 6041) è stato emesso in data 13 dicembre 2016 e protocollato per la notifica il 14 febbraio 2017, prot. n. 8277.

3. Ciò premesso in punto di fatto, il Collegio può adesso vagliare le critiche appellatorie, mercé le quali si sostiene che la pretesa dell'amministrazione sarebbe estinta per prescrizione.

3.1. Si anticipa in proposito che il Collegio condivide l'approdo finale dell'appello, secondo cui sarebbe maturata la prescrizione, con le precisazioni che seguono.

3.2. Va ribadito anzitutto che l'odierno appellante sin dall'atto introduttivo del giudizio chiese che venisse dichiarata la prescrizione, e va preliminarmente richiamato il costante orientamento della giurisprudenza, dal quale non si ravvisano motivi per discostarsi, secondo cui:

a) in virtù del principio iura novit curia di cui all'art. 113, comma 1, c.p.c., il giudice ha potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonché all'azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidono con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame (ex aliis ancora di recente C.d.S., Sez. III, 18 maggio 2020, n. 3118);

b) "nel processo amministrativo, il ricorrente è onerato esclusivamente della specifica formulazione dei motivi d'impugnazione, con riguardo ai principi di diritto che si ritengono disattesi, ma non dell'esatta indicazione delle norme violate o applicabili alla fattispecie concreta, essendo, in definitiva, rimesso al giudice tale apprezzamento tecnico" (C.d.S., Sez. III, 13 aprile 2017, n. 1755, e, in passato: C.d.S., Sez. V, 20 novembre 1989, n. 749: "nel giudizio amministrativo, la mancata indicazione delle disposizioni normative che si assume siano state violate ovvero la loro citazione in materia errata o parziale, non impedisce al giudice di individuare i motivi dell'impugnazione ove risulti in maniera chiara, in tutte le sue implicazioni, il vizio che si è inteso dedurre").

4. Ciò premesso, il primo giudice ha ritenuto di aderire alla tesi giurisprudenziale secondo cui il fondamento dell'ingiunzione emessa ex art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 riposerebbe in una indennità risarcitoria (e che, quindi, non ricorresse una fattispecie di una vera e propria sanzione amministrativa), mentre - si ripete - l'appellante ritiene ricorra nel caso di specie di una sanzione amministrativa, soggetta alla previsione di cui all'art. 28 della l. 24 novembre 1981, n. 689.

4.1. Sebbene il Collegio ritenga che (per le ragioni che verranno di seguito chiarite) l'approfondimento di tale questione sia perfino superflua, nel caso di specie, si osserva quanto di seguito.

4.2. Come è noto, parte della giurisprudenza ha ritenuto che la disposizione di cui all'art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 si ascriva nel novero delle sanzioni amministrative (Consiglio di Stato: V, 24 aprile 1980, n. 441; 24 novembre 1981, nn. 700 e 702; VI, 29 marzo 1983, n. 162; VI, 4 ottobre 1983, n. 701; VI, 5 agosto 1985, n. 431; VI, 16 maggio 1990, n. 242, VI, 31 maggio 1990, n. 551; VI, 15 aprile 1993, n. 290; VI, 2 giugno 2000, n. 3184; VI, 9 ottobre 2000, n. 5386; IV, 12 novembre 2000, n. 6279; IV, 2 marzo 2011, n. 1359; V, 26 settembre 2013, n. 4783; VI, 8 gennaio 2020, n. 130; II, 25 luglio 2020, n. 4755. Consiglio di giustizia amministrativa Regione Siciliana: Sez. cons., 16 novembre 1993, n. 452; Sez. giur., 13 marzo 2014, n. 123; 17 febbraio 2017, n. 58; 23 marzo 2018, n. 168; 17 maggio 2018, n. 293; 22 agosto 2018, n. 484; 29 novembre 2018, n. 958; 25 marzo 2019, n. 251; 20 marzo 2020, n. 198; 1° luglio 2020, n. 505; 3 luglio 2020, n. 527. Cassazione: Sez. un., 18 maggio 1995, n. 5473; 10 agosto 1996, n. 7403; 4 aprile 2000, n. 94; 10 marzo 2004, n. 4857; 10 marzo 2005, n. 5214).

Detta tesi, si fonda principalmente sulla considerazione che tanto l'art. 15 della l. 29 giugno 1939, n. 1497, (antesignano storico della disposizione in esame) quanto il successivo art. 164 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 facevano riferimento al concetto di "indennità" (e non di sanzione) e si riferivano al "trasgressore" mentre sub art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (comma V) si esplicita la nozione di "sanzione". Tale disposizione quindi (espressiva di un precetto prima previsto dall'art. 15 della l. n. 1497 del 1939) non avrebbe natura risarcitoria ma di sanzione amministrativa applicabile a prescindere dal danno ambientale effettivamente arrecato (C.d.S., Sez. II, 4 maggio 2020, n. 2840; Sez. V, 13 luglio 2006, n. 4420; Sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4631; Sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1090).

4.2.1. Detta tesi - limitando l'esposizione agli elementi che rilevano nella causa in esame - ritiene la applicabilità alla fattispecie del principio di cui all'art. 28 della l. 24 novembre 1981, n. 689 (manifestando tuttavia qualche difformità di vedute circa il momento di individuazione del dies a quo a partire dal qual far decorrere la prescrizione).

4.2.2. Tale prospettazione (propugnata dall'appellante e disattesa dal T.A.R.) ha sempre convissuto con un'altra, nell'ambito della quale da un canto si riconosceva la natura "risarcitoria ripristinatoria" della fattispecie in esame, e purtuttavia, si riteneva (in punto di prescrizione) pur sempre applicabile la l. 24 novembre 1981, n. 689 (e segnatamente l'art. 28: "Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione. L'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile") in quanto detta sanzione prevista dall'art. 167 è determinata in una somma pecuniaria.

4.3. Come è noto, più di recente, ha trovato affermazione una linea di tendenza che è pervenuta a conclusioni almeno in parte difformi, spingendosi sino a sostenere che l'obbligazione prevista ex art. 167 citato abbia natura risarcitoria-ripristinatoria od indennitaria, ed alla stessa non possano applicarsi i precetti di cui alla l. 24 novembre 1981, n. 689.

Ad avviso di tale approccio interpretativo (si veda C.d.S., IV, 31 agosto 2017, n. 4109 e, più di recente, II, 30 ottobre 2020, n. 6678) posto che alle sanzioni pecuniarie sostitutive di una misura ripristinatoria di carattere reale, per consolidata giurisprudenza, non si applica la l. 24 novembre 1981, n. 689 (cfr. C.d.S., Sez. VI, 20 ottobre 2016, n. 4400) una volta riconosciuta tale natura a quella sub art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 citato deve escludersi che i precetti di cui alla citata legge generale sulle sanzioni amministrative possano trovare applicazione a tal riguardo.

Dalla stessa dovrebbe per coerenza conseguire l'inapplicabilità del citato art. 28.

5. Ora però, nel caso di specie (e tenuto conto della circostanza che l'appellante ha sempre con decisione prospettato la doglianza concernente la avvenuta estinzione della pretesa dell'Amministrazione in quanto estinta per prescrizione) sembra al Collegio irrilevante immorare sulle problematiche concernenti la qualificazione giuridica della fattispecie sub art. 167 citato.

5.1. Considerato infatti che - per le ragioni già esposte in via preliminare - è certamente necessario vagliare la doglianza in punto di maturata prescrizione, si osserva che - anche laddove si aderisse al recente orientamento giurisprudenziale prima richiamato e per tal via alla premessa maggiore esposta nella sentenza impugnata - pur sempre dovrebbe affermarsi l'estinzione della pretesa dell'Amministrazione per intervenuta prescrizione.

5.2. In proposito, si rammenta che il primo Giudice ha respinto la censura rifacendosi ad un remoto precedente di questo C.G.A.R.S. (decisione n. 718 del 26 agosto 2013): ma il Collegio non considera appagante detta ricostruzione.

5.2.1. Invero, se si dovesse seguire l'appellante, e si dovesse ritenere che la disposizione di cui all'art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 si ascriva nel novero delle sanzioni amministrative, la tesi dell'avvenuta maturazione della prescrizione troverebbe un saldo referente nelle molteplici pronunce di questo C.G.A.R.S. (ex aliis decisioni 31 luglio 2017, n. 346; 13 marzo 2014, n. 123; 17 febbraio 2017, n. 58; 23 marzo 2018, n. 168; 17 maggio 2018, n. 293; 22 agosto 2018, n. 484; 29 novembre 2018, n. 958; 25 marzo 2019, n. 251; 20 marzo 2020, n. 198; 1° luglio 2020, n. 505) e del Consiglio di Stato (Sez. I, 12 luglio 2013, n. 3565; Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4468; Sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1090; Sez. II, 4 maggio 2020, n. 2840; Sez. II, 25 luglio 2020, n. 4755).

5.3. Ma, anche a volere ipotizzare l'inapplicabilità alla vicenda in esame dell'impianto di cui alla l. 24 novembre 1981, n. 689 (e per quel che rileva, anche della prescrizione quinquennale ivi prevista ex art. 28), muovendosi dalla natura di sanzione riparatoria alternativa al ripristino dello status quo ante della disposizione di cui all'art. 167, si dovrebbe convenire che essa trova la propria ragione giustificatrice in un fatto antigiuridico, che riposa nella lesione inferta al paesaggio e che trova la propria forza legittimante nel versari in re illicita.

Si muoverebbe, cioè da un fatto illecito "a monte" formale o sostanziale riconducibile allo schema tipico dell'art. 2043 c.c.; che dovrebbe condurre al ripristino previa demolizione; che non sfocia in tale evento a cagione della deliberazione latamente discrezionale, sia sull'an che sul quantum di compatibilità, resa dall'Autorità preposta al vincolo; ed è corretto che in tale alveo trovi disciplina la problematica della prescrizione (il tema, all'evidenza, rileverebbe unicamente per questioni sistematiche, posto che la disciplina è identica a quella di cui all'art. 28 della l. 24 novembre 1981, n. 689 che ad essa interamente si rifà).

Detto fatto illecito, verrebbe, di norma, sanzionato in via reipersecutoria (id est: ripristino); ma se il ripristino non ha luogo (e non ha luogo perché la responsabile lata discrezionalità tecnica dell'Amministrazione preposta ha irredimibile la lesione al paesaggio ed al vincolo apposto per tutelarlo ex comma 5 dell'art. 167: "qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica") allora il ripristino avverrebbe mercé il "pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione".

5.3.1. Una volta che la competente amministrazione abbia deliberato la compatibilità esercitando la propria lata discrezionalità tecnica investente il profilo della non rilevante compromissione del paesaggio ed il quantum che costituisce alternativa all'obbligo del ripristino, pur sempre inizierebbe a prescriversi il diritto della stessa a pretendere il pagamento della somma suddetta.

5.3.2. Non sembra al Collegio pertinente l'evocazione del concetto (di derivazione penalistica) di illecito permanente (di cui alla impugnata decisione, ed al precedente giurisprudenziale ivi richiamato) che, così inteso, confonde in realtà due piani: la (eventualmente anche coattiva) riscossione della somma, e la irrogazione della stessa.

Non è al momento del pagamento effettivo che deve guardarsi, quindi, ma semmai al momento deliberativo in cui l'Autorità preposta stabilisce la compatibilità dell'intervento e "sostituisce" il ripristino con l'obbligo di pagare la somma da essa determinata, a cagione della affermata possibilità del privato di mantenere il bene pur illegittimamente realizzato.

Il pagamento effettivo integra adempimento al "comando" dell'amministrazione discendente dall'avvenuta discrezionale valutazione di compatibilità paesaggistica ma l'esercizio del potere da parte dell'amministrazione coincide con tale momento.

La tesi esposta nell'impugnata decisione, peraltro, contiene una endemica contraddizione: si converrà, infatti, con la circostanza che il "pagamento" non può avvenire se prima non sia determinata la somma dovuta; ma se si scompone il momento deliberativo sulla valutazione di compatibilità paesaggistica che è il presupposto, ed il momento attuativo della quantificazione della somma dovuta, si potrebbe pervenire all'assurdo logico di una obbligazione che non si prescrive mai:

a) non prima della valutazione di compatibilità paesaggistica, ovviamente;

b) non dopo quest'ultima e prima della determinazione del quantum debeatur, altrettanto ovviamente (ché prima di tale quantificazione il privato non sarebbe neppure edotto - ancora - della somma che dovrebbe pagare); e ciò comporterebbe che il privato resti assoggettato sine die a tale obbligo;

c) ma neppure, in tesi, allorché fosse avvenuta la quantificazione, laddove questi abbia provveduto ad impugnarla.

5.3.3. Sembra al Collegio evidente la non condivisibilità di detta ricostruzione e la distonia rispetto ai principi generali del codice civile.

5.4. Sul punto, però, una precisazione va fatta: deve essere chiaro che in ogni caso, sia che si voglia concordare con la tesi secondo cui la disposizione sub art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 trovi la propria disciplina nella l. 24 novembre 1981, n. 689, sia che la si consideri "ripristinatoria" e quindi affrancata dal "regime" di cui alla l. 24 novembre 1981, n. 689, considerando che la ridetta "sanzione" è sostitutiva del ripristino, alla prima non potrebbe darsi corso laddove, al contempo, abbia contemporaneamente luogo la previsione del ripristino/demolizione: ché argomentando diversamente si finirebbe con l'applicare all'autore dell'intervento abusivo, o comunque al titolare della res, congiuntamente, una previsione in realtà alternativa.

È per tale ragione che nell'ipotesi in cui - come nel caso di specie - la richiesta di nulla osta rivolta alla Soprintendenza si inserisca in una vicenda condonistica, il provvedimento espresso di nulla osta (e quindi di compatibilità dell'abuso con il paesaggio) o il silenzio-assenso formatosi, ed anche l'eventuale contestuale determinazione discrezionale della somma dovuta dal privato non integrerebbero (ancora) il dies a quo a partire dal quale inizierebbe a maturare la prescrizione della pretesa pecuniaria avanzata ex art. 167 citato.

Tenuto conto infatti che sulla richiesta di condono dovrebbe pronunciarsi il comune, e che lo stesso potrebbe denegarlo per le più diverse ragioni, non afferenti al vincolo paesaggistico insistente sull'area (parametro, quest'ultimo citato, di esclusiva pertinenza dell'autorità preposta alla gestione del vincolo suddetto) fino a che non sia stato rilasciato il permesso di costruire in sanatoria non potrebbe iniziare a prescriversi la pretesa ex art. 167 (in termini, con riferimento alla individuazione del dies a quo di maturazione dal quale far decorrere il tempo necessario alla prescrizione, tra le tante: C.G.A.R.S. 5 giugno 2017, n. 270; 22 agosto 2018, n. 484; 27 dicembre 2018, n. 1034, che fanno coincidere "il momento della cessazione del carattere permanente dell'illecito paesaggistico con il rilascio della concessione edilizia in sanatoria").

Invero, ipotizzare che la prescrizione decorra dalla emissione del nulla osta e della (eventuale) coeva determinazione della sanzione costituirebbe inspiegabile errore prospettico: fino al momento in cui il comune non concede la sanatoria, il privato non è in grado di conoscere se effettivamente potrà mantenere l'immobile, ovvero (pur a seguito della favorevole delibazione dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo) non dovrà invece demolirlo perché il comune riterrà di non concedere la sanatoria (ed a questo punto, si converrà, nulla sarebbe dovuto, neppure ex art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 429).

La pretesa dell'Amministrazione non sarebbe esigibile, proprio perché sino al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria non vi sarebbe neppure certezza sulla possibilità, per il richiedente, di conservare l'immobile (o di non doverlo, invece, demolire): è del tutto evidente che la prescrizione non possa decorrere, armonicamente con il principio di cui all'art. 2935 c.c.

L'Amministrazione deve invece richiedere la somma al privato, nel termine prescrizionale decorrente da quest'ultimo provvedimento comunale di rilascio del permesso in sanatoria, in forza del quale viene acclarato il "diritto" del privato a mantenere il bene.

5.5. Ora, tenuto conto di quanto sinora affermato, il Collegio è consapevole di una possibile obiezione: si potrebbe infatti sostenere che tale ricostruzione lasci il privato esposto all'incertezza di una determinazione della sanzione ex art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 429, successiva all'avvenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria che egli consideri "esosa" e pertanto non "conveniente".

Ciò avverrebbe sia nei casi in cui il nulla osta si sia formato per silentium, sia nelle fattispecie in cui sia stato emesso un provvedimento espresso e purtuttavia l'Autorità preposta alla tutela del vincolo non abbia coevamente provveduto alla discrezionale determinazione del quantum debeatur, rinviando tale incombente ad un momento successivo al rilascio della concessione in sanatoria (prassi, questa, non condivisibile, eppure invalsa in alcune parti d'Italia).

Osserva in proposito il Collegio che è certamente auspicabile che - almeno nei casi di provvedimento espresso - l'Autorità provveda immediatamente a quantificare la somma dovuta ex art. 167 (sebbene, per le già chiarite ragioni non possa ancora pretenderne il pagamento, se non a partire dal momento in cui il comune avrà rilasciato il permesso di costruire in sanatoria e di ciò avrà notiziato l'Autorità preposta al vincolo).

Tuttavia, laddove ciò non avvenga (ovvero laddove ciò costituisca ineliminabile fisiologia, in quanto il nulla-osta sia stato reso per silentium), ben il privato (che ha diritto a conoscere preventivamente il costo globale della procedura di condono) potrà presentare apposita richiesta in tal senso all'Autorità tutoria, ed attivare la procedura del silenzio-inadempimento laddove la stessa rimanga senza risposta, al fine di ottenere la quantificazione della somma dovuta ex art. 167.

Ciò che è certo, però, è che:

a) sino al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria nessun termine prescrizionale della pretesa ex art. 167 può decorrere;

b) lo stesso inizia a decorrere a partire dall'avvenuto rilascio del condono.

5.5.1. Di converso infine - si osserva per aspirazione alla completezza, sebbene la questioni non rilevi nell'odierno processo - negli eccezionali casi normati dall'art. 25 della l.r. Sicilia del 10 agosto 2016, n. 16 nella parte in cui richiama l'art. 182, comma 3-bis, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in cui il nulla osta della Soprintendenza (ed annesso, discrezionale, giudizio di compatibilità) sopravvenga al provvedimento di concessione in sanatoria, il dies a quo di maturazione della prescrizione non potrebbe che coincidere con l'esercizio della valutazione da parte dell'Autorità preposta al vincolo paesaggistico.

6. Traslando le superiori coordinate all'odierna causa, per quanto sinora chiarito - quale che sia la tesi prescelta in punto di qualificazione giuridica dell'art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 - ritiene il Collegio che è al momento di rilascio della concessione in sanatoria che, nel caso di specie, debba farsi riferimento (in quanto successivo alla delibazione sulla compatibilità: cfr. C.G.A.R.S. n. 681 del 28 luglio 2020 in tema di silenzio-assenso) per verificare l'avvenuta maturazione della prescrizione della pretesa avanzata dall'Amministrazione ex art. 167 citato.

6.1. Nel caso in esame, si ribadisce che - come fatto presente nell'incipit della presente decisione - dal momento del rilascio della concessione in sanatoria (quest'ultimo successivo al nulla osta reso attraverso il silenzio-assenso) trascorsero cinque anni senza che l'Amministrazione abbia emesso il discrezionale provvedimento determinativo e quantificatorio della sanzione ex art. 167; deve pertanto dichiararsi l'illegittimità dell'impugnato provvedimento, in quanto emesso allorché la pretesa dell'amministrazione era già estinta per prescrizione.

7. Le spese processuali del doppio grado vanno all'evidenza compensate a cagione della peculiarità in fatto della vicenda processuale e della complessità delle tematiche giuridiche esaminate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi di cui alla motivazione, e per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento dell'atto impugnato.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.