Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 8 novembre 2021, n. 11419

Presidente: Savo Amodio - Estensore: Brancatelli

FATTO

1. Eni s.p.a. impugna, chiedendone l'annullamento, il provvedimento n. 28060/2019 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ("Agcm" o "Autorità") con cui Agcm ha accertato sensi degli artt. 21 e 22 del codice del consumo la scorrettezza della campagna pubblicitaria di Eni incentrata sulla valenza ecologica del combustibile Eni Diesel+.

2. Il procedimento era avviato su segnalazione di alcune associazioni (Movimento difesa del cittadino e Legambiente e la federazione European Federation for Transport and Environment AISBL) e veniva ipotizzata l'ingannevolezza: i) dell'affermazione secondo cui il combustibile Eni Diesel+, senza distinzione derivante dalla categoria di veicoli in cui lo stesso venga utilizzato, assicurerebbe «fino al 40%» di riduzione delle emissioni gassose e in media del 5% di CO2; ii) dell'affermazione secondo cui il combustibile Eni Diesel+ assicurerebbe «fino al 4%» di riduzione dei consumi; iii) dell'utilizzo dei claims «green/componente green», «rinnovabile» «aiuta a proteggere l'ambiente»; iv) dell'attribuzione in maniera significativa delle caratteristiche positive vantate per il prodotto alla componente definita «green» dello stesso.

Poiché la pratica commerciale oggetto del procedimento era stata diffusa anche tramite mezzi di comunicazione di massa, il 15 novembre 2019 veniva richiesto il parere all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell'art. 27, comma 6, del codice del consumo, che lo rilasciava il successivo 18 dicembre 2019.

Il procedimento si concludeva con l'impugnato provvedimento n. 28060/2019 che accertava la scorrettezza della pratica commerciale consistente nella diffusione di informazioni ingannevoli e omissive riguardo al positivo impatto ambientale connesso all'utilizzo del carburante, nonché riguardo alle particolari caratteristiche di tale carburante in termini di riduzione dei consumi e di riduzione delle emissioni gassose, vietandone la continuazione ed irrogando una sanzione di 5 milioni di euro.

3. Avverso il provvedimento sanzionatorio Eni ha presentato ricorso, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi.

I) "Violazione dei principi del contraddittorio per avere l'Agcm formulato nel provvedimento contestazioni diverse da quelle oggetto del procedimento. Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 Cost., dell'art. 6 Cedu, degli artt. 2, 8, 10 l. 241/1990 e 5 dir. 2005/29/CE. Eccesso di potere per perplessità, contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta, sviamento".

L'Agcm avrebbe modificato l'oggetto principale delle proprie contestazioni successivamente alla comunicazione degli addebiti, accertando una pratica commerciale scorretta radicalmente diversa da quella contestata nel corso del procedimento. Così facendo, l'Autorità avrebbe violato i diritti di difesa di Eni e i basilari principi del contraddittorio, che non si sarebbe sviluppato sui reali profili di contestazione. In particolare, mentre nella comunicazione di avvio del procedimento e nella comunicazione degli addebiti il focus delle contestazioni si incentrava sulla fondatezza dei vanti prestazionali e sull'utilizzo dell'olio di palma, nel provvedimento finale Agcm avrebbe "riformulato" gli addebiti ambientali, contestando per la prima volta una scorrettezza "a monte" in grado di mettere in discussione ab origine l'intera impostazione della campagna pubblicitaria, riconducibile all'indebito utilizzo a fini promozionali del termine "green" in associazione ad un gasolio per autotrazione. Tale assunto, aggiunge la ricorrente, sarebbe il frutto della personale percezione di chi lo ha elaborato e non sorretto da dati acquisiti in via istruttoria; l'affermazione si porrebbe anche in contrasto con quanto già sostenuto da questo Tribunale nella sentenza n. 2309/2016, avuto riguardo ai claim di contenuto ambientale e alla necessità di compiere una effettiva valutazione sulla verità di tali messaggi pubblicitari.

II) "Inidoneità dei messaggi pubblicitari a sviare i consumatori sulla effettiva portata dei vanti di minore impatto ambientale e valenza relativa dei termini 'green' o 'verde'. Violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 12 dir. 2005/29/CE, 18, 20, 21 e 22 codice del consumo. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta, ingiustizia e irragionevolezza, sviamento".

L'istruttoria dell'Agcm sarebbe errata sotto un duplice profilo: quello fattuale, poiché ignorerebbe il contenuto complessivo dei messaggi controversi, concentrandosi sull'utilizzo astratto di singoli termini e trascurandone il significato complessivo, nonché per l'assenza di un approfondimento sulla percezione da parte del consumatore finale medio del termine "green"; e sotto l'aspetto tecnico, in quanto la nozione di "green" propugnata dall'Autorità non troverebbe corrispondenza nella realtà, in assenza di prodotti a impatto zero ma solo di opzioni di consumo a minore impatto ambientale rispetto alle alternative esistenti, categoria a cui secondo parte ricorrente sarebbe riconducibile il prodotto Eni Diesel+.

III) "Sulla veridicità e fondatezza dei vanti sulla riduzione delle emissioni e dei consumi. Violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 12 dir. 2005/29/CE, 18, 20, 21 e 22 codice del consumo. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, falsità dei presupposti, difetto di motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta".

Eni formula puntuali censure avverso le contestazioni fatte dall'Autorità circa la fondatezza degli specifici vanti prestazionali sulla riduzione delle emissioni di CO2 legate al processo industriale ("in media del 5%"), delle emissioni gassose allo scarico ("fino al 40%") e dei consumi ("fino al 4%") del prodotto oggetto di pubblicizzazione.

IV) "Erronea determinazione della sanzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, comma 9, codice del consumo e 11 l. 689/1981. Eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità manifesta, difetto di istruttoria, ingiustizia ed irragionevolezza manifeste, sviamento".

Parte ricorrente contesta, infine, l'attività di quantificazione della sanzione, ritenendola errata in relazione al giudizio di gravità, che non avrebbe tenuto conto, sotto il profilo oggettivo, del danno o del pericolo cagionato e, sotto il profilo soggettivo, dell'elemento psichico della condotta. Sarebbe, poi, errato il riferimento alla natura "grave" della pratica in ragione della diffusività dei messaggi pubblicitari e infondato il riferimento alla crescita delle vendite di prodotto fra il 2016 e il 2018. Eni aggiunge che si sarebbe dovuto, invece, tenere conto ai fini di una ridotta quantificazione della sanzione irrogata della minore gravità della violazione in ragione della natura solo ingannevole e non anche aggressiva della pratica contestata nonché del limitato impatto della pratica nei confronti dei consumatori, stante l'impossibilità di configurare in concreto un pregiudizio economico in capo agli stessi.

Sarebbe errata anche l'individuazione della durata della pratica, considerata nel provvedimento ancora in corso al momento della chiusura dell'istruttoria, nonostante a tale data la campagna pubblicitaria risultasse esaurita con riferimento ai principali canali pubblicitari.

Infine, parte ricorrente sostiene che l'Autorità avrebbe indebitamente omesso di considerare, nel quantificare la sanzione, altri elementi rilevanti, quali l'assoluta novità dell'infrazione e il comportamento tenuto da Eni al fine di eliminare o comunque attenuare le conseguenze della stessa.

4. Si sono costituiti in giudizio l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il Movimento difesa del cittadino e Legambiente nazionale Aps chiedendo il rigetto del ricorso.

5. Con atto di intervento ad opponendum si è costituita anche l'Associazione italiana per i diritti del malato e del cittadino Articolo 32-97.

6. In vista dell'udienza fissata per la trattazione del ricorso, il Movimento difesa del cittadino ha eccepito l'inammissibilità ovvero l'improcedibilità del ricorso, sostenendo che Eni, dopo la presentazione di una proposta di impegni nel corso del procedimento, avrebbe cessato la diffusione della campagna contestata e non avrebbe, pertanto, più interesse a contestare la legittimità del provvedimento finale. Legambiente nazionale Aps ha, invece, eccepito il tardivo deposito da parte della ricorrente della documentazione posta a sostegno di quanto sostenuto nel gravame.

7. All'udienza del 20 ottobre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, si rileva l'infondatezza delle eccezioni in rito sollevate dalle associazioni segnalanti.

L'interesse di Eni all'impugnazione del provvedimento dell'Autorità riguarda tanto il contestato accertamento della sussistenza di una pratica commerciale scorretta quanto l'irrogazione della conseguente sanzione e tale interesse non viene meno in ragione della successiva cessazione della condotta che ha determinato l'avvio del procedimento sanzionatorio.

Quanto alla documentazione depositata da Eni il 29 settembre 2021, è stata tempestivamente versata in giudizio, tenuto conto del dimezzamento, ex art. 119, comma 2, c.p.a., dei termini di cui all'art. 73, comma 1, c.p.a.

2. Nel merito, il ricorso è infondato.

3. La prima censura è relativa alla radicale trasformazione del contenuto degli addebiti contestati all'avvio del procedimento rispetto a quelli sanzionati nel provvedimento finale.

Appare utile ricordare che il principio del contraddittorio, in sede amministrativa, postula solo che, prima dell'adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell'addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell'interessato (Cass. civ., Sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935). È sufficiente, poi, che il fatto addebitato sia stato individuato in tutte le circostanze concrete che valgono a caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento finale avendo, l'autorità procedente, l'obbligo di porre a base della contestazione medesima, il nucleo del fatto contestato, inteso nella sua fenomenologia obiettiva e subiettiva e non anche nella definizione giuridica ivi conferitagli.

Tanto premesso, la deduzione della ricorrente si rivela infondata sulla base della piana lettura dell'atto di avvio del procedimento e della comunicazione di conclusione della fase istruttoria, ove l'Autorità fa riferimento all'utilizzo da parte del professionista, nei claim pubblicitari, del termine - ritenuto scorretto - "green". Dunque, la ricorrente era certamente in grado di comprendere il contenuto dell'addebito formulato e le è stato consentito di difendersi, nel corso del procedimento, sul tema della utilizzabilità del termine "green" e, in generale, sulla questione dell'impatto ambientale asseritamente positivo del carburante pubblicizzato.

La circostanza che non sia stata riproposta nel provvedimento finale la deduzione relativa all'utilizzo dell'olio di palma nella lavorazione del prodotto pubblicizzato non altera, quindi, il restante impianto accusatorio, essendo già presente fin dall'inizio del procedimento la contestazione riguardante l'indebito utilizzo a fini promozionali del termine "green".

4. Quanto alla corretta utilizzazione dell'espressione "green" a fini pubblicitari, è utile richiamare quanto sottolineato negli orientamenti della Commissione europea per l'attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali, avuto riguardo all'applicazione della direttiva nel caso di "asserzioni ambientali" e "dichiarazioni ecologiche", vale a dire quelle in cui nell'ambito di una comunicazione commerciale, del marketing o della pubblicità viene suggerito che un prodotto o un servizio abbia un impatto positivo o sia privo di impatto sull'ambiente o sia meno dannoso per l'ambiente rispetto a prodotti o servizi concorrenti.

La Commissione ha osservato, per i profili di interesse, che "sulla base delle disposizioni generali della direttiva, in particolare gli articoli 6 e 7, i professionisti devono presentare le loro dichiarazioni ecologiche in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, al fine di assicurare che i consumatori non siano indotti in errore; sulla base dell'articolo 12 della direttiva, i professionisti devono disporre di prove a sostegno delle loro dichiarazioni ed essere pronti a fornirle alle autorità di vigilanza competenti in modo comprensibile qualora la dichiarazione sia contestata". Esaminando, nello specifico, le asserzioni ambientali che si basano sull'indicazione di benefici ambientali vaghi e generici, quali "ecologico", "sicuro per l'ambiente", "verde", la Commissione ha osservato che tali asserzioni possono integrare una comunicazione pubblicitaria ingannevole tenuto conto che "potrebbe essere difficile, se non impossibile, dimostrare asserzioni riferite a benefici ambientali vaghi e generici. Al tempo stesso, esse potrebbero dare ai consumatori l'impressione che un prodotto o un'attività di un professionista non abbia impatti negativi o abbia solo un impatto positivo sull'ambiente".

Il Collegio rileva che l'Autorità, muovendosi nel solco interpretativo indicato dalla Commissione europea, ha puntualmente motivato sulle ragioni per cui nei messaggi pubblicitari diffusi da Eni il termine "green" era idoneo a generare una "elevata confusione" nei confronti dei consumatori, in quanto all'uso del carburante pubblicizzato era associato un vantaggio ambientale di carattere assoluto e non relativo, incompatibile con l'intrinseca natura inquinante del diesel.

In sostanza, i claim inducevano, in maniera suggestiva, i destinatari a supporre che l'uso del prodotto era in grado di generare un effetto "positivo" sull'ambiente (cfr. i parr. 3 e ss. del provvedimento, che riportano taluni dei messaggi pubblicitari oggetto di accertamento, in cui il prodotto era descritto come "un carburante innovativo che si prende cura del motore e riduce l'impatto ambientale" e che "anche grazie al 15% di componente rinnovabile riduce i consumi, garantendo la piena potenza del motore. Già, i consumi sono ridotti fino al 4% e le emissioni gassose fino al 40% (...)"; ovvero si affermava che "Il 15% di Eni Diesel+ è rinnovabile, per questo aiuta a proteggere l'ambiente. E usandolo lo fai anche tu, grazie a una significativa riduzione delle emissioni").

Sotto questo profilo, risulta immune dai vizi sollevati dalla ricorrente l'affermazione dell'Autorità secondo cui, in assenza di "claim di supporto", non è consentito nella comunicazione pubblicitaria considerare "green" un gasolio per autotrazione, ovvero un carburante che per sua natura è un prodotto altamente inquinante, né dichiarare che attraverso il suo utilizzo è possibile prendersi cura dell'ambiente (par. 81 del provvedimento).

5. La ricorrente sostiene, poi, anche alla luce dell'esito di una indagine Doxa appositamente commissionata, che il "consumatore medio" sarebbe in grado di percepire il significato del termine "green" associato al carburante diesel e, conseguentemente, di comprendere che il senso sarebbe quello di un prodotto "meno inquinante" e non a "impatto zero".

In argomento, è opportuno rammentare che, secondo la giurisprudenza europea e nazionale, il punto di riferimento soggettivo è quello del "consumatore medio" normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici (C.G.U.E., sentenza del 12 maggio 2011, C-122/10, punto 22). L'individuazione del livello di conoscenza del consumatore medio non può conseguire ad una valutazione condotta in termini meramente statistici, dovendo, piuttosto, essere presi in considerazione fattori di ordine sociale, culturale ed economico, fra i quali, in particolare, va analizzato il contesto economico e di mercato nell'ambito del quale il consumatore si trova ad agire, dovendosi dunque fare riferimento, ai fini di individuare il profilo del consumatore "medio" tutelato contro la pubblicità ingannevole, alle caratteristiche proprie dei beni o servizi oggetto di pubblicità (così ex multis T.A.R. Lazio, Sez. I, 21 gennaio 2019, n. 781).

L'Autorità ha opportunamente declinato la nozione di "consumatore medio" applicabile alla presente fattispecie, tenendo in considerazione il contesto di mercato e la particolare natura del bene pubblicizzato, e ha osservato che il consumatore, spesso destinatario di messaggi promozionali nei quali si esalta la "positività" per l'ambiente di taluni prodotti, tenda ad associare ai termini "verde" e "rinnovabile" una valenza positiva assoluta. Tale approccio è determinato, aggiunge l'Autorità, dall'effetto distorsivo sulle capacità razionali di scelta derivanti dal "framing informativo" cui il consumatore è sottoposto, fenomeno psicologico secondo cui la sensibilità della scelta economica da effettuare viene influenzata dalla modalità di presentazione degli elementi rilevanti di un prodotto (cfr. il par. 87 del provvedimento).

Pertanto, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali richiamati, l'analisi svolta dall'Autorità circa l'idoneità decettiva dei messaggi pubblicitari nei confronti del consumatore medio non presenta carenze o elementi di illogicità in grado di inficiare il giudizio espresso.

6. Non coglie nel segno neppure il richiamo alla sentenza di questa Sezione n. 2309/2016, in cui si è affermata la necessità di verificare la veridicità di taluni messaggi riguardanti l'impatto ambientale dei prodotti pubblicizzati.

L'Autorità ha, infatti, diffusamente argomentato circa le ragioni per cui i messaggi pubblicitari erano connotati da vaghezza, genericità e da imprecisioni tali da non rendere "veritiera" l'asserzione ambientale di Eni. In particolare, ha rilevato che la campagna pubblicitaria sul carburante Eni Diesel+ non si era concentrata, in termini relativi, sulla minore dannosità per l'ambiente di un prodotto intrinsecamente inquinante rispetto a prodotti o servizi concorrenti, bensì sulla promozione di un "positivo" impatto ambientale, anche attraverso l'uso di termini vaghi e generici, quali "green". Agcm ha puntualmente descritto i messaggi in questione e ha anche osservato che per la loro composizione grafica e articolazione essi erano in grado di indurre i consumatori a confondere la componente HVO denominata "Green Diesel" con il prodotto pubblicizzato Eni Diesel+, nonché ad attribuire al prodotto nel suo complesso vanti ambientali ascritti a tale sua componente.

L'Autorità ha, poi, rigorosamente verificato la veridicità delle affermazioni riguardanti i vanti sulla riduzione "in media del 5%" delle emissioni di CO2 legate al processo industriale, delle emissioni gassose allo scarico ("fino al 40%") e dei consumi ("fino al 4%").

Quanto al primo aspetto, Eni lamenta una "riformulazione" della contestazione in quanto solo al termine del procedimento le sarebbe stato imputato non già di fregiarsi di risultati non veri, ma di non aver "specifica[to] che intendeva il vanto come riferito all'intero ciclo di vita - dalla produzione all'utilizzo - del prodotto pubblicizzato" (par. 98).

La deduzione è priva di fondamento poiché, proprio a seguito della contestazione da parte dell'Autorità della vaghezza del messaggio pubblicitario quanto alla riduzione delle emissioni di CO2, Eni ha chiarito all'Autorità che la riduzione in questione era da intendersi come relativa all'intero ciclo di vita, dalla produzione all'utilizzo, del prodotto pubblicizzato, implicitamente confermando che il messaggio, così come presentato ai consumatori, era privo di una specificazione essenziale per comprendere la reale portata del "vanto" pubblicizzato.

Avuto riguardo alla riduzione delle emissioni gassose allo scarico "fino al 40%" e dei consumi "fino al 4%", nonostante il tentativo di Eni di difendere l'accuratezza e veridicità scientifica del vantaggio in questione, il Collegio rileva che l'Autorità ha correttamente evidenziato numerosi fattori che rendevano la comunicazione pubblicitaria ingannevole, avuto riguardo alla genericità del termine "fino a", adoperato in maniera volutamente ambigua in modo da ricomprendere valori riguardanti categorie di vetture disomogenee e non in grado di esprimere realmente un valore rappresentativo della riduzione massima raggiungibile.

Dunque, anche sotto questo aspetto l'analisi dell'Autorità è corretta, in quanto i risultati scientifici presentati nel corso del procedimento da Eni sono stati sottoposti a un giudizio particolarmente accurato (cfr. i parr. 91 e ss. del provvedimento), conclusosi con il riscontro della presenza di vizi metodologici e di una parziale rappresentazione degli effettivi vantaggi sulla riduzione di consumi ed emissioni gassose, tali da rendere le affermazioni veicolate con i claim pubblicitari non attendibili.

7. Infine, è immune da vizi anche l'attività di quantificazione della sanzione, che ha portato l'Autorità ad applicare ad Eni la sanzione nel suo massimo edittale, pari a 5 milioni di euro.

La sanzione tiene conto dei criteri di cui all'art. 11 della l. n. 689/1981, richiamati dall'art. 27, comma 13, del codice del consumo, vale a dire della gravità della violazione, dell'opera svolta dall'impresa per eliminare o attenuare l'infrazione, della personalità dell'agente, nonché delle condizioni economiche dell'impresa stessa.

Tenuto conto di tali criteri e della necessità che la sanzione abbia un effettivo valore deterrente, la determinazione della sanzione nel massimo edittale, e per un importo che, quindi, rappresenta una frazione estremamente contenuta del fatturato dell'impresa, risulta congrua, tenuto conto sia della rilevante dimensione e importanza del professionista sia della capillare diffusione dei messaggi pubblicitari tramite una pluralità di mezzi di diffusione (e del conseguente numero di consumatori potenzialmente raggiunti dalla campagna pubblicitaria).

Corretta risulta anche la determinazione della durata dell'infrazione: al momento della chiusura dell'istruttoria la pratica scorretta non poteva, infatti, considerarsi ancora cessata, tenuto conto che le modifiche poste in essere dal professionista alla campagna professionale riguardavano solo parte dei messaggi e delle informazioni diffusi.

8. Per le considerazioni complessivamente esposte, quindi, il ricorso non può trovare accoglimento.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura quantificata in dispositivo in favore dell'Agcm, potendosi compensare nei confronti delle altre parti evocate in giudizio e dell'interveniente ad opponendum.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente a corrispondere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato le spese di lite, che liquida in euro 3.500,00 oltre oneri accessori di legge; compensa le spese nei confronti delle altre parti del giudizio e dell'interveniente ad opponendum.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

L. Della Ragione, R. Muzzica

La riforma del processo penale

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P. Dubolino, F. Costa

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M. Marazza

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