Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 23 aprile 2024, n. 3701
Presidente: Simonetti - Estensore: Gallone
FATTO
1. A seguito di segnalazione presentata da alcune associazioni (Movimento difesa del cittadino e Legambiente e la federazione European Federation for Transport and Environment - A.I.S.B.L.) l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato (in seguito anche A.G.C.M. o solo "l'Autorità") ha avviato il procedimento PS11400 a carico di Eni s.p.a. ipotizzando l'ingannevolezza della campagna pubblicitaria intrapresa da detta società ed incentrata sulla valenza ecologica del combustibile Eni Diesel+. In particolare, l'Autorità ha ipotizzato l'ingannevolezza:
i) dell'affermazione secondo cui il combustibile Eni Diesel+, senza distinzione derivante dalla categoria di veicoli in cui lo stesso venga utilizzato, assicurerebbe "fino al 40%" di riduzione delle emissioni gassose e in media del 5% di CO2;
ii) dell'affermazione secondo cui il combustibile Eni Diesel+ assicurerebbe "fino al 4%" di riduzione dei consumi;
iii) dell'utilizzo dei claims "green/componente green", "rinnovabile", "aiuta a proteggere l'ambiente";
iv) dell'attribuzione in maniera significativa delle caratteristiche positive vantate per il prodotto alla componente definita green dello stesso.
1.1. Poiché la pratica commerciale oggetto del procedimento risultava diffusa anche tramite mezzi di comunicazione di massa, il 15 novembre 2019 A.G.C.M. ha richiesto il parere all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell'art. 27, comma 6, del codice del consumo, che lo ha rilasciato il successivo 18 dicembre 2019.
1.2. Il procedimento si è concluso con il provvedimento n. 28060/2019 che ha:
- accertato la scorrettezza ai sensi degli artt. 21 e 22 del codice del consumo della pratica commerciale tenuta da Eni s.p.a. e consistente nella diffusione di informazioni ingannevoli e omissive riguardo al positivo impatto ambientale connesso all'utilizzo del carburante, nonché riguardo alle particolari caratteristiche di tale carburante in termini di riduzione dei consumi e di riduzione delle emissioni gassose;
- ne ha vietato la continuazione irrogando a Eni s.p.a. una sanzione di 5.000.00,00 euro.
2. Con ricorso notificato il 13 marzo 2020 e depositato lo stesso giorno Eni s.p.a. ha impugnato dinanzi al T.A.R. per il Lazio - sede di Roma, chiedendone l'annullamento, il predetto provvedimento n. 28060/2019 di A.G.C.M. In subordine, ha chiesto la rideterminazione della sanzione con applicazione del minimo edittale.
2.1. A sostegno del ricorso di primo grado ha dedotto i motivi così rubricati:
1) violazione dei principi del contraddittorio per avere l'A.G.C.M. formulato nel provvedimento contestazioni diverse da quelle oggetto del procedimento; violazione e falsa applicazione dell'art. 24 Cost., dell'art. 6 CEDU, degli artt. 2, 8, 10 l. 241/1990 e 5 dir. 2005/29/CE; eccesso di potere per perplessità, contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta, sviamento;
2) omesso esame della fondatezza tecnico-scientifica dei claim riferiti al minore impatto ambientale complessivo del prodotto; violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 12 dir. 2005/29/CE, 20, 21 e 22 codice del consumo; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta, ingiustizia ed irragionevolezza manifeste, sviamento;
3) inidoneità dei messaggi pubblicitari a sviare i consumatori sulla effettiva portata dei vanti di minore impatto ambientale e valenza relativa dei termini "green" o "verde"; violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 12 dir. 2005/29/CE, 18, 20, 21 e 22 codice del consumo; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta, ingiustizia e irragionevolezza, sviamento;
4) sulla veridicità e fondatezza dei vanti sulla riduzione delle emissioni e dei consumi; violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 12 dir. 2005/29/CE, 18, 20,21 e 22 codice del consumo; eccesso di potere per difetto di istruttoria, falsità dei presupposti, difetto di motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta;
5) erronea determinazione della sanzione. violazione e falsa applicazione degli art. 27, comma 9, codice del consumo e 11 l. 689/1981; eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità manifesta, difetto di istruttoria, ingiustizia ed irragionevolezza manifeste, sviamento.
3. Ad esito del relativo giudizio, con la sentenza indicata in epigrafe, l'adito T.A.R. ha respinto il ricorso.
4. Ora con ricorso notificato l'8 febbraio 2022 e depositato il 9 febbraio 2022 Eni s.p.a. ha proposto appello avverso la suddetta sentenza chiedendone la riforma.
4.1. Ha affidato il gravame ai motivi così rubricati:
1) error in iudicando in relazione al primo motivo di ricorso, con riferimento alla violazione dei principi del contraddittorio per avere l'A.G.C.M. formulato nel provvedimento contestazioni diverse da quelle oggetto del procedimento; violazione e falsa applicazione dell'art. 24 Cost., dell'art. 6 CEDU, degli artt. 2, 8, 10, l. 241/1990 e 5 dir. 2005/29/CE; eccesso di potere per perplessità, contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta, sviamento;
2) error in iudicando in relazione al secondo motivo di ricorso, con riferimento all'omesso esame della fondatezza tecnico-scientifica dei claim riferiti al minore impatto ambientale complessivo del prodotto; violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 12 dir. 2005/29/CE, 20, 21 e 22 codice del consumo; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta, ingiustizia ed irragionevolezza manifeste, sviamento;
3) error in iudicando in relazione al terzo motivo di ricorso, con riferimento all'inidoneità dei messaggi pubblicitari a sviare i consumatori sulla effettiva portata dei vanti di minore impatto ambientale e valenza relativa dei termini "green" o "verde"; violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 12 dir. 2005/29/CE, 18, 20, 21 e 22 codice del consumo; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta, ingiustizia e irragionevolezza, sviamento;
4) error in iudicando in relazione al quarto motivo di ricorso, con riferimento alla asserita ingannevolezza degli specifici vanti prestazionali sulla riduzione delle emissioni di CO2 legate al processo industriale e alle riduzioni dei consumi; violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 12 della direttiva 2005/29/CE, degli artt. 18, 20, 21 e 22 del codice del consumo; eccesso di potere per difetto di istruttoria, falsità dei presupposti, difetto di motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta insussistenza dei comportamenti illeciti addebitati;
5) error in iudicando in relazione al quinto motivo di ricorso con riferimento all'erronea determinazione della sanzione; violazione e falsa applicazione degli artt. 27, comma 9, codice del consumo e 11 l. 689/1981; eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità manifesta, difetto di istruttoria, ingiustizia ed irragionevolezza manifeste, sviamento.
5. Nelle date, rispettivamente, dell'11 febbraio 2022 e del 16 febbraio 2022 si sono costituiti in giudizio per resistere avverso l'appello l'A.G.C.M. e Articolo 32-97 - Associazione italiana per i diritti del malato e del cittadino.
6. Nelle date, rispettivamente, del 18 e del 19 marzo 2024 Eni s.p.a. e l'Autorità hanno depositato memorie difensive.
7. Nelle date, rispettivamente, del 22 e del 27 marzo 2024 le stesse parti hanno depositato memorie in replica. Il 27 marzo 2024 anche Articolo 32-97 - Associazione italiana per i diritti del malato e del cittadino ha depositato una memoria difensiva.
8. All'udienza pubblica del 4 aprile 2024 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
1. L'appello è fondato e va accolto nei limiti e sensi appresso precisati.
2. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il primo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata dedotta l'illegittimità del provvedimento gravato per violazione del principio del contradditorio in quanto l'A.G.C.M. avrebbe accertato e sanzionato con lo stesso una presunta pratica commerciale scorretta radicalmente diversa da quella oggetto di contestazione nella comunicazione di avvio e nei successivi atti endo-procedimentali.
Nel dettaglio è dedotto che la contestazione centrale formulata dall'Autorità nel provvedimento (par. 77 ss.) - riguardante l'asserita indebita (ex se) utilizzazione del termine green per promuovere un carburante - sarebbe stata del tutto estranea all'originario impianto accusatorio incentrato invece sulle diverse questioni della fondatezza tecnica dei vanti ambientali e, in particolare, delle criticità connesse all'utilizzo dell'olio di palma nella lavorazione del prodotto commercializzato. La sostanziale mutazione delle contestazioni avrebbe, quindi, impedito alla società appellante di esercitare in modo pieno ed esaustivo i propri diritti defensionali.
Il giudice di prime cure avrebbe, pertanto, errato nel rilevare che la comunicazione di avvio e la comunicazione degli addebiti menzionavano l'utilizzo «da parte del professionista, nei claim pubblicitari, del termine - ritenuto scorretto - "green"», deducendo da ciò che Eni s.p.a. «era certo in grado di comprendere il contenuto dell'addebito formulato» nonché «di difendersi, nel corso del procedimento, sul tema della utilizzabilità del termine "green" e, in generale, sulla questione dell'impatto ambientale asseritamente positivo del carburante pubblicizzato».
In particolare, parte appellante mette in evidenza che:
- la comunicazione di avvio, recependo il contenuto della segnalazione era incentrata su due profili: (i) la fondatezza dei vanti prestazionali relativi alla riduzione delle emissioni e dei consumi, in quanto asseritamente basati su test non coerenti con i vantaggi pubblicizzati; e (ii) le criticità connesse all'utilizzo dell'olio di palma nella lavorazione del prodotto, alla luce degli effetti ambientali indiretti asseritamente connessi all'utilizzo di tale sostanza nei processi industriali;
- l'A.G.C.M. avrebbe seguito la medesima impostazione anche nelle successive fasi del procedimento in quanto, dapprima, l'Autorità rigettava gli impegni proposti da Eni rilevando che i messaggi continuavano ad essere svianti «da un lato presentando come "green" la componente HVO del Prodotto nonostante la stessa venga ricavata principalmente a partire da olio di palma», «dall'altro confondendo le caratteristiche ambientali attribuite a tale componente con quelle dell'intero prodotto e continuando a rappresentarne in modo non corretto le caratteristiche prestazionali»; successivamente anche con la comunicazione degli addebiti manteneva immutato il focus sui citati profili, contestando la possibile ingannevolezza del vanto ambientale riportato nei messaggi in quanto «non terrebbe conto dell'effetto che può avere sulle emissioni complessive di CO2 il cambiamento indiretto della destinazione dei terreni a causa dell'utilizzo dell'olio di palma»;
Secondo parte appellante, pertanto, fino alla comunicazione degli addebiti, l'A.G.C.M. avrebbe contestato ad Eni l'ingannevolezza della propria campagna pubblicitaria per avere utilizzato i termini green e similari in maniera ingannevole, e in particolare per aver lasciato intendere al consumatore un minore o ridotto impatto ambientale del prodotto offerto in realtà illusorio, in quanto l'utilizzo dell'olio di palma quale componente rinnovabile del prodotto privava quest'ultimo di una valenza genuinamente green. Solo nel provvedimento finale l'Autorità avrebbe, invece, modificato radicalmente l'impostazione seguita nel corso dell'istruttoria, formulando una nuova, autonoma e centrale contestazione - mai neppure presa in considerazione nella segnalazione e nelle comunicazioni endo-procedimentali - riguardante l'asserita ingannevolezza per sé dell'associazione, a fini promozionali, del termine green a un carburante diesel. Più nel dettaglio, mentre nella comunicazione di avvio e nei successivi atti endoprocedimentali l'A.G.C.M. avrebbe addebitato ad Eni di non aver dimostrato che la componente green fosse realmente in grado di assicurare un "minore o ridotto impatto ambientale del prodotto offerto" (par. 13), nel provvedimento i medesimi vanti ambientali sarebbero stati censurati per ragioni diametralmente opposte, ossia in quanto suscettibili di evocare "nel consumatore medio l'idea di un beneficio assoluto per l'ambiente o comunque di un'assenza di danno per l'ambiente" e dunque a prescindere dalla effettiva capacità della componente green di ridurre l'impatto ambientale del prodotto (par. 78).
Ne discenderebbe la violazione del principio di corrispondenza tra fatti contestati e fatti addebitati in sede di adozione del provvedimento.
2.1. La doglianza in parola è priva di giuridico pregio.
Costituisce principio ormai acquisito in giurisprudenza quello secondo cui, nei procedimenti a matrice sanzionatoria, non v'è la necessità di una stretta identità tra fatti oggetto di contestazione preliminare e fatti addebitati essendo sufficiente anche solo una sostanziale corrispondenza tra gli stessi da apprezzare in via principale con riguardo alla loro dimensione storica e non giuridica (così C.d.S., Sez. VI, 9 giugno 2011, n. 3511).
Del resto, la funzione propria del procedimento, con le sue marcate garanzie difensive, è quella di far emergere e meglio delineare tali fatti, anche operando una scrematura in riduzione ovvero in specificazione degli stessi purché condotte contestate e sanzionate rimangano "omogenee" (C.d.S., Sez. VI, 11 maggio 2017, n. 2177).
Ebbene, nel caso di specie, la comunicazione formale di avvio recava (pag. 5, punto 13), tra gli altri, un riferimento esplicito alla possibile illiceità dell'impiego di claims quale "green/componente green".
Eni s.p.a. è stata, dunque messa in condizione di poter esercitare le proprie prerogative defensionali anche con riguardo al profilo di contestazione preliminare sfociato nell'addebito finale.
Ne è riprova il contenuto delle difese svolte dalla stessa in sede procedimentale (il cui contenuto è stato ripreso dal provvedimento gravato in prime cure ai par. 46 ss.) le quali concernono, tra gli altri, anche i presunti vanti di un impatto ambientale positivo e l'utilizzabilità della qualificazione green in relazione al prodotto.
3. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata dedotta l'illegittimità del provvedimento gravato per mancato esame della effettiva veridicità del vanto ambientale operato nel corso della campagna promozionale.
Osserva parte appellante che il giudice di prime cure non avrebbe neppure menzionato il secondo motivo di ricorso nella enumerazione dei profili di impugnazione riportato nella parte ricostruttiva della sentenza. Ripropone, pertanto, integralmente lo stesso in questa sede.
3.1. Sotto un primo profilo si deduce che sarebbe stato necessario procedere a verifica della fondatezza del claim.
In particolare, parte appellante sostiene che il provvedimento gravato in prime cure sarebbe viziato in quanto la verifica della veridicità del messaggio costituirebbe uno step di analisi essenziale e ineliminabile di qualunque istruttoria in materia di pratiche commerciali scorrette. Ciò in quanto solo sulla base di tale specifico parametro l'Autorità potrebbe concretamente misurare la correttezza o meno del messaggio, della sua enfasi e dell'eventuale grado di suggestione ad esso associato.
Si aggiunge in proposito che:
- la normativa UE e nazionale incentiverebbe, sin dal 2003, la miscelazione di componenti sostenibili all'interno dei carburanti per autotrazione con l'obiettivo di contenere le emissioni gassose climalteranti: essendo le componenti sostenibili di origine vegetale - e come tali rinnovabili (perché ad esempio estratte dai frutti o dalle bacche delle piante che come tali si "rinnovano" stagionalmente) - o comunque ottenute da scarti alimentari (come nel caso degli oli esausti, dei grassi animali o della frazione organica dei rifiuti solidi urbani, c.d. "umido"), esse sarebbero state considerate dal legislatore come un sostituto preferibile dal punto di vista ambientale rispetto alla componente fossile tradizionale;
- Eni avrebbe scoperto, sviluppato e brevettato un innovativo processo di "idrogenazione" che consentirebbe di ottenere una componente vegetale (c.d. HVO) più compatibile con il gasolio fossile e che presenta caratteristiche e proprietà uniche sotto il profilo della sua composizione e delle sue performance ambientali;
- il prodotto Eni Diesel+ sfrutterebbe tale innovativa componente e si distinguerebbe per la miscelazione all'interno del carburante di una componente rinnovabile di origine vegetale (HVO) in misura più che doppia (15%) rispetto a tutti i carburanti tradizionali presenti sul mercato (che si fermano alla soglia tecnica del 7%);
- come riconosciuto ai parr. 24-27 del provvedimento gravato in prime cure, il carburante Eni Diesel+ costituirebbe l'unico prodotto disponibile a livello nazionale che supera i limiti tecnici di miscelazione delle componenti vegetali tradizionali (c.d. blending wall) ai sensi della disciplina applicabile (EN590);
- per questa via Eni Diesel+ riuscirebbe ad assicurare prestazioni indubbiamente e sostanzialmente migliori in termini di riduzione delle emissioni climalteranti rispetto allo standard di mercato.
Secondo parte appellante l'A.G.C.M. avrebbe dovuto verificare il contenuto dei claim pubblicitari contenuti nella campagna di Eni e avrebbe dovuto misurarne l'appropriatezza rispetto alla documentazione scientifica e di supporto sottostante (la documentazione che certifica come "sostenibili" ai sensi dei più elevati standard di riferimento tutte le cariche rinnovabili utilizzate da Eni nel suo ciclo produttivo della componente HVO miscelata all'Eni Diesel+; le ulteriori matrici di calcolo, test e relazioni di esperti puntualmente messi a disposizione dell'A.G.C.M.). Ciò in quanto in materia ambientale non vi sarebbero claim proibiti di per sé (tanto che nella normativa non vi è alcuna black list tipizzata sul punto).
3.2. Sotto un secondo profilo, si deduce che Eni nella sua intera campagna multicanale non avrebbe mai denominato la componente HVO (e tanto meno il prodotto denominato Eni Diesel+) come "green diesel", ma si sarebbe sempre riferita alla "componente green rinnovabile" o avrebbe utilizzato in posizione a latere l'espressione "green 15%" (come nel caso dell'adesivo sovrapompa di cui al par. 11 del provvedimento gravato in prime cure). L'unica eccezione sarebbe stata rappresentata dal sito internet aziendale in cui l'espressione "green diesel" è stata utilizzata in una pagina interna mettendola tra virgolette e con immediata precisazione che si trattava di "una innovativa componente rinnovabile prodotta da HVO presso la bioraffineria di Venezia" (par. 6 del provvedimento gravato in prime cure). Si aggiunge che anche il video di accompagnamento avrebbe recato l'espressione "15% di Green Diesel" ma lo avrebbe fatto immediatamente dopo aver chiarito che Eni Diesel+ era caratterizzato dalla "componente rinnovabile, green, presente al 15%" (par. 7 del provvedimento gravato in prime cure), con ciò eliminando in partenza qualunque potenziale confusione tra componente e prodotto nella prospettiva del destinatario del messaggio.
3.3. Si aggiunge, in ultimo, che non vi sarebbe comunque nulla di censurabile, decettivo o inconsueto nell'attribuire a un prodotto le qualità ascrivibili a una componente importante che lo caratterizza e lo distingue dagli altri succedanei disponibili sul mercato (precisandone, come ha fatto Eni, l'incidenza relativa).
4. Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha respinto il terzo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale Eni s.p.a. ha denunciato l'illegittimità del provvedimento gravato in prime cure per inidoneità dei messaggi pubblicitari impiegati a sviare i consumatori sulla effettiva portata dei vanti di minore impatto ambientale del prodotto.
4.1. In particolare, secondo parte appellante, il T.A.R. avrebbe, anzitutto, errato nell'affermare che l'A.G.C.M. si sarebbe posta "nel solco interpretativo indicato dalla Commissione europea" rilevando all'uopo che l'A.G.C.M. avrebbe correttamente censurato l'accostamento del termine green (e dei connessi vanti ambientali) a un prodotto per sua natura altamente inquinante come il carburante per autotrazione (par. 4 del provvedimento gravato in prime cure) data la "assenza di claim di supporto" in grado di relativizzare tale claim.
Detta statuizione sarebbe errata in quanto i messaggi pubblicitari di Eni sarebbero stati sempre accompagnati da claim di supporto. Tali informazioni aggiuntive sarebbero state, inoltre, impostate in termini relativistici, tanto che avrebbero riferito il vanto ambientale alla riduzione dell'impatto ambientale rispetto ai carburanti tradizionali ed allo specifico apporto della componente HVO. Più nel dettaglio:
- non vi sarebbe un singolo claim, o inciso, in cui il carburante di Eni sia denominato "Green Diesel";
- il nome attribuito al prodotto è Eni Diesel+;
- la locuzione green sarebbe sempre e immancabilmente riferita alla sola componente rinnovabile HVO - ossia all'elemento più caratterizzante del prodotto in questione e che lo ha reso un unicum sul mercato italiano - e/o alla misura percentuale del 15% in cui tale componente è miscelata nel prodotto diesel;
- le migliori performance ambientali sarebbero riferite a una riduzione dell'impatto ambientale in termini di minori consumi e emissioni rispetto ai carburanti tradizionali, e sarebbero anch'esse sempre ricondotte anche all'utilizzo della componente rinnovabile HVO;
- il refrain testuale impiegato nei claim controversi sarebbe: "Eni Diesel+ anche grazie al 15% di componente green rinnovabile riduce l'impatto ambientale e i consumi rispetto al diesel tradizionale".
Dal punto di vista grafico i messaggi (piccoli adesivi "sovrapompa" collocati presso la pistola erogatrice delle stazioni di servizio e delle locandine apparse temporaneamente su alcuni mezzi pubblici a Torino e agli approdi dei vaporetti a Venezia) presentano un riquadro attorno al termine green, il cui impiego sarebbe stato, in ogni caso, contestualizzato e chiaramente limitato con la contigua indicazione della percentuale del 15%.
Il T.A.R. avrebbe errato, quindi, nel ritenere che la sola presenza nel testo promozionale del termine green sia capace di suggestionare a tal punto il consumatore da rendere assolutamente irrilevanti le ulteriori informazioni pur presenti nei messaggi, contaminando irrimediabilmente l'intera campagna promozionale. Ciò porterebbe alla irragionevole conclusione secondo cui il minore impatto ambientale di un prodotto (o di una sua componente), per quanto dimostrato scientificamente e significativo, non potrebbe essere mai accompagnato nei claim pubblicitari da termini, come green, che evocano nel consumatore medio la sussistenza di un beneficio assoluto per l'ambiente. Ciò, in quanto, peraltro, in un'economia produttiva e di consumo non esisterebbero prodotti o servizi con impatto nullo (o positivo) per l'ambiente, ma solo opzioni di consumo con minori conseguenze.
Secondo parte appellante, così facendo si amplierebbe indebitamente la "lista nera" delle pratiche da considerarsi in ogni caso scorrette (all. 1 della dir. 2005/29/CE), la cui enumerazione è da considerarsi invece tassativa stante la natura di armonizzazione massima della direttiva e si avrebbe il paradossale effetto di disincentivare investimenti in materiali, processi e tecnologie innovative nelle industrie che hanno il maggiore impatto ambientale e che proprio per tale ragione presenterebbero i maggiori margini di miglioramento delle proprie performance ecologiche, impedendo di fatto agli operatori che raggiungono tali importanti risultati di rivendicare il proprio contributo alla transizione verso soluzioni meno impattanti.
4.2. Sotto un secondo profilo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto che l'A.G.C.M. avrebbe operato un adeguato apprezzamento delle caratteristiche del destinatario (id est il consumatore medio) e della verosimile decodifica del messaggio che questi avrebbe compiuto in quanto il consumatore medio tenderebbe infatti ad associare "ai termini verde e rinnovabile" una valenza positiva assoluta, posto che la sua sensibilità verrebbe influenzata dal fenomeno psicologico del c.d. "framing informativo".
Osserva parte appellante che il T.A.R. si sarebbe limitato a ripercorrere il ragionamento dell'Autorità senza esplicitare le ragioni della propria adesione ad esso.
Si deduce, in particolare, che la sentenza impugnata non avrebbe spiegato i motivi per cui le evidenze ricavabili dall'indagine Doxa prodotta da Eni, pur basate su una indagine demoscopica e non sulle percezioni soggettive dell'A.G.C.M., dovrebbero considerarsi recessive.
Inoltre, il T.A.R. non avrebbe effettuato correttamente il c.d. "test del consumatore medio" (average consumer test) secondo il quale occorre, dapprima, profilare il "consumatore medio" destinatario del messaggio, anche alla luce dello specifico gruppo di consumatori interessato dalla pratica commerciale (vedi art. 5, comma 2, dir. 2005/29/CE e art. 20, comma 2, codice del consumo, ove si fa riferimento all'idoneità della pratica a falsare il comportamento "del consumatore medio che essa raggiunge [...] o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori") e, successivamente, verificare se tali soggetti potessero effettivamente essere indotti dai messaggi controversi a credere che presso le stazioni di servizio Eni fosse disponibile un prodotto diesel dall'impatto nullo o positivo sull'ambiente.
Sotto il primo aspetto il giudice di prime cure (e prima di questi l'Autorità) avrebbe individuato quale parametro di riferimento il consumatore medio, senza operare ulteriori delimitazioni, nel mentre la campagna promozionale in discussione non si sarebbe rivolta a tutti i consumatori indistintamente, ma sarebbe stata diretta ad un gruppo ben preciso e identificato, ossia gli utilizzatori di un veicolo diesel (ossia gli unici che potevano rifornire il loro veicolo con Eni Diesel+). Si deduce, in particolare, che il membro medio di questo particolare gruppo di utenti, avendo scelto tra le varie alternative disponibili l'alimentazione a diesel, manifesterebbe necessariamente un livello di consapevolezza più elevato in merito alle diverse caratteristiche di tale carburante rispetto alla benzina, quali il minore consumo e le maggiori emissioni (che, come sanno i proprietari di veicoli diesel, portano ad esempio a restrizioni di circolazione più rigide nelle ipotesi di blocco del traffico). In proposito parte appellante chiede che, ove si dovessero nutrire dubbi sull'interpretazione della nozione di consumatore medio ai sensi dell'art. 5, comma 2, della dir. 2005/29/CE nel caso di claim che si indirizzino a un insieme ristretto di utenti, tale questione sia rimessa pregiudizialmente alla Corte di giustizia U.E. ai sensi e per gli effetti dell'art. 267, par. 3, T.F.U.E.
Sotto il secondo aspetto si osserva che attraverso l'Indagine Doxa esibita in primo grado, Eni s.p.a. avrebbe fornito la prova positiva che i suoi messaggi non erano suscettibili di deviare la percezione del termine green da parte del destinatario medio. In particolare, gli esiti della indagine effettuata dalla Doxa, su un campione rappresentativo della popolazione di 18-79 anni composto da circa 1.700 intervistati (di cui circa un terzo utenti diesel), equamente ripartito sul territorio nazionale, secondo le migliori tecniche di campionamento anche sotto il profilo sociale, culturale ed economico sarebbero i seguenti:
- per il 63% del campione degli intervistati un prodotto green non sarebbe un prodotto privo di impatto ambientale, ma un prodotto che ha "un minore impatto ambientale rispetto ad altri della stessa categoria";
- se la domanda viene posta, non con riferimento a un prodotto green astratto ma menzionando un generico carburante green, la percentuale di coloro che vi associano un impatto ambientale ridotto (e non un impatto nullo) salirebbe al 77%, in quanto un maggior di intervistati associa ai carburanti un'inevitabile influenza sull'ecosistema;
- se infine la domanda viene formulata facendo riferimento ai carburanti diesel disponibili in formulazione green presso le stazioni di servizio, ossia l'oggetto del contendere, ben l'81% degli utenti diesel indicherebbe chiaramente di comprendere che si tratta di un carburante "meno inquinante" e non invece a impatto zero.
Pertanto, secondo parte appellante, l'indagine demoscopica dimostrerebbe chiaramente che il consumatore medio (e ancor di più l'utente medio diesel) sarebbe consapevole che oggi alla stazione di servizio non sono disponibili carburanti a impatto zero, che il diesel inevitabilmente inquina e, in ultimo, che il diesel con componente green consente solo di limitare tale impatto negativo sull'ambiente.
Si aggiunge che l'indagine Doxa avrebbe altresì evidenziato come la tesi del presunto effetto di framing (cfr. nota 51 del provvedimento gravato in prime cure) che il T.A.R. ha ritenuto di valorizzare in sede motivazionale, sarebbe in realtà destituita di qualunque fondamento o elemento di conforto. In particolare, le risposte fornite dal campione Doxa smentirebbero nel modo più assoluto che:
- il destinatario medio associ di default al termine verde e/o rinnovabile «una valenza positiva assoluta [...] in considerazione della ampia diffusione di notizie e di messaggi promozionali nei quali si esalta la positività per l'ambiente di prodotti e processi produttivi "verdi" e/o "rinnovabili"» (par. 5 della sentenza impugnata);
- tale ipotetica valenza assoluta, come sostiene il T.A.R., sia talmente forte da rendere irrilevanti i claim di supporto pur contenuti ed evidenziati nelle comunicazioni di Eni.
5. Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto che l'Autorità avrebbe «rigorosamente verificato la veridicità delle affermazioni riguardanti i vanti sulla riduzione "in media del 5%" delle emissioni di CO2 legate al processo industriale, delle emissioni gassose allo scarico ("fino al 40%") e dei consumi ("fino al 4%")» (par. 6 della sentenza impugnata).
Quanto al primo profilo contestato dall'A.G.C.M. con riguardo alle modalità con cui sono state quantificate le percentuali di riduzione delle emissioni vantate nei messaggi controversi (relativo alla presunta ingannevolezza del claim che riferisce a Eni Diesel+ una riduzione delle emissioni di CO2 da processo produttivo "in media del 5%") il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere che l'approccio seguito dall'Autorità sarebbe esente da censure in considerazione del fatto che Eni stessa "ha chiarito all'Autorità che la riduzione in questione era da intendersi come relativa all'intero ciclo di vita, dalla produzione all'utilizzo, del prodotto pubblicizzato" con ciò confermando che il messaggio fosse «privo di una specificazione essenziale per comprendere la reale portata del "vanto" pubblicizzato» (par. 6 della sentenza impugnata).
Secondo la difesa di parte appellante detta statuizione non sarebbe corretta in quanto:
- al consumatore sarebbero state fornite tutte le informazioni necessarie a contestualizzare la rivendicata riduzione delle emissioni nella misura del 5% e a riferirla all'intero ciclo di vita (e non solo alla fase di utilizzo) posto che i relativi claim avrebbero associato sempre tale vanto, in maniera espressa, diretta e immediata, al processo di produzione del carburante ("Un tenore così elevato di componenti green prodotte attraverso un processo ad alta sostenibilità consente di ridurre le emissioni di CO2 in media del 5%");
- i medesimi messaggi che facevano riferimento alla complessiva riduzione delle emissioni nella misura del 5% avrebbero contenuto, immediatamente dopo, il distinto riferimento alla riduzione delle emissioni allo scarico e, dunque, legate all'utilizzo del prodotto, quantificate nella soglia massima e ben più elevata del 40%;
- le modalità comunicative adottate da Eni sarebbero in ogni caso assolutamente conformi ai principi in materia di comunicazione ambientale posti dalla Commissione UE (orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 2005/29/CE del 21 dicembre 202) secondo cui andrebbe precisato se un dato vanto o prestazione si riferisca solo a una determinata fase legata alla produzione o all'utilizzo del prodotto ed andrebbero, di riflesso, evitate caratterizzazioni green ove tale impatto positivo sia annullato o addirittura invertito dalle performance ambientali legate alle altri fasi di produzione e consumo.
5.1. Quanto al secondo profilo contestato dall'A.G.C.M. con riguardo alle modalità con cui sono state quantificate le percentuali di riduzione delle emissioni vantate nei messaggi controversi (relativo alla riduzione delle emissioni gassose allo scarico "fino al 40%" e dei consumi "fino al 4%") la sentenza avrebbe errato nell'affermare che l'Autorità avrebbe «correttamente evidenziato numerosi fattori che rendevano la comunicazioni pubblicitaria ingannevole, avuto riguardo alla genericità del termine "fino a", adoperato in maniera volutamente ambigua in modo da ricomprendere valori riguardanti categorie di vetture disomogenee e non in grado di esprimere realmente un valore rappresentativo della riduzione massima raggiungibile» (par. 6 della sentenza impugnata).
Secondo parte appellante anche questa statuizione non sarebbe corretta e si porrebbe in contrasto con la stessa prassi regolatoria dell'A.G.C.M. In particolare, la locuzione "fino a" sarebbe stata da sempre considerata tra le più prudenziali e cautelative per il consumatore nonché la più indicata per veicolare ai destinatari di un messaggio l'idea di un vantaggio massimo, in quanto tale non ottenibile in ogni situazione e da qualsiasi utente ma che dipende da variabili collegate alle caratteristiche e all'utilizzo di prodotti differenziati. Si osserva che nel caso PS9212 - Facile.it - Comparatore RC Auto l'A.G.C.M. avrebbe "validato" l'utilizzo del claim "Risparmia fino a 500 euro" in relazione all'acquisto di polizze assicurative, ossia con riferimento a prodotti per loro stessa natura caratterizzati da infinite variabili connesse alle diverse coperture, massimali, estensioni in grado di influire sul vantaggio massimo realmente ottenibile dal consumatore. Si aggiunge, sempre in proposito, che vi sarebbe un precedente riguardante la stessa Eni e relativo sempre a un carburante diesel (Agip Blu Diesel Tech - antesignano del Diesel+), in cui proprio l'A.G.C.M.:
- avrebbe espressamente avallato l'utilizzo della locuzione "fino a" con riferimento al vanto sulla riduzione dei consumi ("fino a 500 km in più ogni 20.000 km percorsi"), basandosi esattamente sul fatto che la locuzione "fino a" fosse da sola sufficiente a rendere edotto il consumatore che si trattasse «non [di] un valore medio conseguibile nella generalità dei casi, [ma del] massimo ottenibile ("fino a")»;
- avrebbe ritenuto tale claim provato e supportato da adeguata documentazione scientifica, basandosi a tal fine esattamente sugli stessi test utilizzati da Eni a supporto del claim sulla riduzione dei consumi dell'Eni Diesel+.
Si deduce, ancora, che, nel caso di specie, il claim sulla riduzione delle emissioni gassose allo scarico "fino al 40%" si baserebbe su test:
- effettuati dal C.N.R., il quale avrebbe anche supervisionato e validato gli ulteriori test effettuati da Eni presso il proprio centro ricerche;
- conformi alle migliori best practice di settore (id est la metodologia NEDC, ossia il test ufficiale a livello internazionale per le misurazioni delle emissioni sulle vetture immatricolate prima del 2018);
- che avrebbero coinvolto ben quattro diversi veicoli, per i quali sono state rilevate delle percentuali di riduzione dell'ossido di carbonio (CO) comprese tra il 28% e il 56% e degli idrocarburi incombusti (HC) tra il 13% e i 40%.
6. Le suddette doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente stante l'intima connessione che le avvince, sono fondate e meritano accoglimento.
6.1. È opportuno precisare, in limine, che la verifica della veridicità del messaggio pubblicitario non costituisce, dal punto di vista logico-giuridico, un frangente di analisi necessario nell'accertamento di una pratica commerciale scorretta. Quest'ultima, infatti, ben può sostanziarsi nella diffusione di informazioni che pur non stricto sensu false presentano nondimeno, per come offerte, carattere decettivo.
In altri termini, la scorrettezza può discendere non solo dal contenuto in sé del messaggio ma anche (e a prescindere da ciò) dalle modalità con cui esso è veicolato a condizione che esse siano idonee "a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge" (art. 20, comma 2, d.lgs. n. 206 del 2005).
La giurisprudenza amministrativa ha, in questo senso, chiarito che tale ultima previsione assurge a fattispecie autonoma di illecito costituendo norma di chiusura del sistema applicabile in via residuale (C.d.S., Sez. VI, sentenza 14 aprile 2020, n. 2414).
6.2. Tanto premesso in via generale va rilevato che, nel caso in scrutinio, l'Autorità ha ritenuto scorretto l'utilizzo da parte di Eni s.p.a. di:
- vanti ambientali generici (par. 81 del provvedimento gravato in prime cure);
- messaggi che veicolerebbero l'idea di un impatto ambientale positivo in termini assoluti e non relativi (par. 74 del provvedimento gravato in prime cure);
- messaggi suggestivi, nei quali si esalterebbe la positività per l'ambiente di prodotti e processi produttivi "verdi" e/o "rinnovabili", e che favorirebbero il fenomeno psicologico di framing informativo (par. 87 del provvedimento gravato in prime cure);
- messaggi imprecisi circa la portata dei claims sulle riduzioni di gas e dei consumi (par. 91 e ss. del provvedimento gravato in prime cure).
Ancor più nel dettaglio, i claim utilizzati da Eni s.p.a., in quanto a contenuto green, sarebbero consentiti solo per prodotti a impatto zero o con un impatto positivo sull'ambiente (parr. 78 e 87), come ad esempio l'energia ottenuta da fonti quali la luce solare, il vento, le maree (par. 89). Per contro non potrebbero in nessun caso essere associati a prodotti come i carburanti, data la loro natura altamente inquinante (par. 81 e 88) e ciò anche ove essi risultino inquinare di meno rispetto alle alternative esistenti, dato che in questo caso il vantaggio ambientale risulterebbe solo "relativo" e non assoluto (par. 78).
Inoltre, sempre ad avviso dell'Autorità, la campagna pubblicitaria sul carburante Eni Diesel+ non si sarebbe concentrata, in termini relativi, sulla minore dannosità per l'ambiente di un prodotto intrinsecamente inquinante rispetto a prodotti o servizi concorrenti, bensì sulla promozione di un "positivo" impatto ambientale.
Il carattere decettivo del messaggio risiederebbe, quindi, anzitutto, nell'idea che il prodotto non avrebbe alcun impatto ambientale o addirittura un impatto positivo. In aggiunta i messaggi, per la loro composizione grafica e articolazione, sarebbero stati in grado di indurre i consumatori a confondere la componente HVO denominata "Green Diesel" con il prodotto pubblicizzato Eni Diesel+, nonché ad attribuire al prodotto nel suo complesso vanti ambientali ascritti a tale sua componente (par. 76 e ss. del provvedimento gravato in prime cure).
6.3. Il Collegio è del meditato avviso che le modalità concrete con cui Eni s.p.a. ha, nel caso di specie, condotto la campagna pubblicitaria del prodotto Eni Diesel+ non valgano, per come accertate dall'Autorità, ad integrare una pratica commerciale scorretta, sicché infondati appaiono gli addebiti mossi da A.G.C.M. in seno al provvedimento gravato in prime cure.
In primo luogo, non può dubitarsi, in linea di principio, della legittimità dell'impiego di claim "green" anche in relazione a prodotti (come nel caso di specie un carburante diesel) che sono (e restano) in certa misura inquinanti ma che presentano, rispetto ad altri, un minore impatto sull'ambiente.
Al di là della considerazione che diversamente opinando si finirebbe con l'ampliare indebitamente la "lista nera" delle pratiche da considerarsi in ogni caso scorrette ex allegato 1 della direttiva 2005/29/CE, la tesi dell'Autorità si scontra con principi elaborati negli orientamenti della Commissione europea per l'attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali i quali, con riguardo, all'applicazione della direttiva nel caso di "asserzioni ambientali" e "dichiarazioni ecologiche", non hanno escluso in radice la possibilità dell'impiego di claim "green" con riguardo a prodotti naturaliter inquinanti limitandosi per converso a stabilire quale debbano essere le modalità con cui "asserzioni ambientali" e "dichiarazioni ecologiche" vanno formulate per non integrare una comunicazione pubblicitaria ingannevole. Detti orientamenti hanno, in particolare, chiarito, da un lato, che "sulla base delle disposizioni generali della direttiva, in particolare gli articoli 6 e 7, i professionisti devono presentare le loro dichiarazioni ecologiche in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, al fine di assicurare che i consumatori non siano indotti in errore; sulla base dell'articolo 12 della direttiva, i professionisti devono disporre di prove a sostegno delle loro dichiarazioni ed essere pronti a fornirle alle autorità di vigilanza competenti in modo comprensibile qualora la dichiarazione sia contestata" e, dall'altro, che asserzioni riferite a benefici ambientali vaghi e generici potrebbero dare ai consumatori l'impressione che un prodotto o un'attività di un professionista non abbia impatti negativi o abbia solo un impatto positivo sull'ambiente (punto 5.1.2. orientamenti della Commissione per l'attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE).
Nella medesima direzione sembra, peraltro, porsi anche la linea di sviluppo ordinamentale.
Come pure suggerito dalle difese, assume primario valore interpretativo ai nostri fini, benché non ratione temporis applicabile alla fattispecie qui in scrutinio, la direttiva c.d. "Empowering" UE 2024/825 in tema di "responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell'informazione".
Detta direttiva, infatti, disegna un sistema normativo animato dalla duplice finalità di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e a compiere progressi nella transizione verde sulla base di un livello elevato di protezione dei consumatori e dell'ambiente. In esso, nel recepire e puntualizzare gli orientamenti della Commissione prima richiamati, si è stabilito che integrano pratiche ingannevoli specifiche che sono considerate sleali in ogni caso (allegato I alla direttiva):
a) "un'asserzione ambientale generica per la quale l'operatore economico non è in grado di dimostrare l'eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all'asserzione";
b) "un'asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l'attività dell'operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell'attività dell'operatore economico".
Ne discende, in maniera piana, che nel nuovo assetto:
- non è in radice vietato impiegare un claim "verde" rispetto a prodotti potenzialmente inquinanti;
- ad essere vietato, rispetto a qualsivoglia prodotto, è l'impiego di un claim "verde" che sia generico e non specifico;
- eccezionalmente può essere impiegato anche un claim "verde" generico, a condizione che l'operatore economico dimostri l'eccellenza delle prestazioni ambientali del prodotto attraverso tre strumenti tra loro alternativi (mediante la conformità al regolamento CE n. 66/2010 - c.d. "Ecolabel UE"; mediante la conformità a un sistema di assegnazione di marchi di qualità ecologica EN ISO 14024; corrispondendo alle migliori prestazioni ambientali per una caratteristica ambientale specifica in conformità di altre normative dell'Unione applicabili, come il regolamento (UE) 2017/1369 sull'etichettatura energetica);
- è in ogni caso vietata (si deve ritenere anche per l'ipotesi di eccellenza delle prestazioni ambientali) l'impiego di claim che riferiscano l'attributo "verde" al prodotto o all'attività dell'operatore economico nel suo complesso quando invece esso è da riferire ad un aspetto specifico di essi.
L'impianto della nuova disciplina, come anticipato, si pone quindi, per quanto qui più interessa, in termini di sostanziale coerenza con quella originaria applicabile ratione temporis alla fattispecie in scrutinio. Infatti, in disparte dall'introduzione dell'innovativo meccanismo della dimostrazione dell'eccellenza delle prestazioni ambientali (di cui ovviamente non può pretendersi l'applicazione in via retroattiva al caso che ci occupa) resta fermo il principio generale (applicabile con riguardo a qualsivoglia prodotto anche naturalmente inquinante) che il claim non può essere generico (anche rispetto alla riferibilità dell'aspetto verde a tutto o solo a parte del prodotto) restando essenziale, come affermato dalla direttiva UE 2014/825 "che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili. Ciò implica che gli operatori economici hanno la responsabilità di fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili".
Vi è, dunque, da ritenere che, nel quadro normativo in cui si è trovata ad operare Eni nella vicenda in esame, l'uso di claim green rispetto a prodotti naturaliter inquinanti come un carburante diesel non fosse in linea di principio vietato ma consentito seppur con l'uso di cautele specifiche rappresentate, essenzialmente dall'impiego di claim "di supporto" (id est messaggi di accompagnamento a quello principale o altri accorgimenti grafici in grado di precisare e contestualizzare l'informazione veicolata a "primo contatto").
Per impedire che si scada in una asserzione ambientale generica detti claims di supporto devono esser particolarmente chiari ed essere legati in maniera immediata (e non nascosta o ambigua) al claim principale. Ciò in quanto, come ricordato, grava sul professionista che offre un prodotto l'onere di rendere disponibili tutte le informazioni rilevanti ai fini dell'adozione di una scelta consapevole da parte del consumatore, secondo una valutazione ex ante, che prescinde sia dall'idoneità della condotta ingannevole rispetto alle effettive competenze dei soggetti che sono specificamente venuti in contatto con il professionista, sia dal concreto danno ad essi procurato.
6.4. Venendo al caso in scrutinio corre anzitutto l'obbligo di evidenziare che il professionista ha scelto un nome di prodotto (Eni Diesel+) il quale non contiene alcun claim ambientale. Detta circostanza, per quanto in sé non determinante, non può essere dequotata posto che il nome del prodotto è il primo elemento informativo che viene portato all'attenzione del consumatore ed assume, come tale, una primaria portata condizionante rispetto alle sue scelte.
Se si passano, poi, in rassegna i singoli messaggi pubblicitari (scritti, video e di altro genere), per come censiti dalla stessa Autorità (par. 4-12 del provvedimento gravato in prime cure), emerge l'impiego da parte di Eni di claim di supporto chiari e specifici che riferiscono il carattere green solo ad una componente e espongono vantaggi in termini relativi (e non assoluti né tantomeno di impatto positivo).
Così sul sito internet Eni si parla di "tante attenzioni per l'ambiente" e, soprattutto, di un prodotto che "inquini meno" e che "riduce l'impatto ambientale". E tale attributo è espressamente legato, in termini di contestualità ed immediatezza, non all'intero prodotto, ma al "15% di componente rinnovabile". Nel video pubblicato sul canale YouTube di Eni il medesimo claim risulta, peraltro, accompagnato da un sottotitolo che specifica che "il 15% di Eni Diesel+ è rinnovabile, per questo aiuta a proteggere l'ambiente" importando una "significativa riduzione delle emissioni". Analogamente, in altro video pubblicato sul canale YouTube di Eni si parla di un carburante che "inquina meno" e che "riduce l'impatto ambientale grazie al 15% di componente rinnovabile". Sul sito internet di Eni il prodotto è stato, peraltro, definito come «il nuovo gasolio premium di Eni con il 15% di "Green Diesel"», parlando espressamente di "componente rinnovabile dello stesso". In altre parti del medesimo sito si fa menzione, alla stessa maniera, di una "componente green rinnovabile" ovvero di una "componente rinnovabile green, presente al 15%".
Un sufficiente livello di precisione del messaggio pubblicitario rispetto all'impiego di claim "green" si riscontra anche con riguardo al materiale affisso e distribuito presso le stazioni di rifornimento Eni Station. Nel dettaglio, quanto alle brochure distribuite a partire dal 2017 si legge in esse che "Eni Diesel+ contribuisce a ridurre l'impatto ambientale [...] rispetto al diesel tradizionale" e che ciò avviene "grazie al 15% di componente green rinnovabile".
Quanto, in ultimo, al logo del prodotto (rispetto al quale possono svolgersi identiche considerazioni sia per ciò che attiene al cartello sovra pompa e ai messaggi diffusi sui mezzi pubblici di Torino e Venezia), preme rilevare che:
- sebbene sullo sfondo della dicitura Eni Diesel+ compaiano simboli che richiamano al green (un sole e altro) vi è, dal punto di vista grafico, un netto stacco con il riquadro (di colore diverso) che reca il claim "green 15%";
- tale accorgimento grafico appare sufficiente ad assicurare la riferibilità dell'attributo "verde" solo ad una componente del prodotto e non al prodotto nella sua interezza, a fortiori se si considera che l'immagine è accompagnato claim di supporto in forma verbale che specificano che il prodotto "contribuisce a [...] ridurre le emissioni gassose fino al 40%" e che vi è una "componente rinnovabile prodotta per idrogenazione di oli vegetali".
6.5. Sembra, peraltro, si possano, in parte, condividere le deduzioni svolte da parte appellante in ordine alle modalità (c.d. test) di profilazione del consumatore medio.
A tal fine il punto di riferimento soggettivo non può che essere quello del "consumatore medio" normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici (Corte di giustizia UE, sentenza del 12 maggio 2011, C-122/10, punto 22). Inoltre, «come risulta dal "considerando 18" della direttiva 2005/29, la nozione di "consumatore medio" non è una nozione statistica e che, per determinare la reazione tipica di tale consumatore in una determinata situazione, gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali devono esercitare la loro facoltà di giudizio» (ex multis C.d.S., Sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2371).
Non v'è, quindi, dubbio che nel caso di claim che si indirizzino a un insieme ristretto di utenti la nozione di consumatore medio debba venire anch'essa calibrata in senso restrittivo.
In questo senso, se non sembra ragionevole ritenere che l'usuario di un veicolo diesel debba avere una conoscenza superiore a quella degli usuari di veicoli a benzina circa l'impatto ambientale del carburante, pare tuttavia che detto specifico profilo di consumatore, nell'operare la scelta di acquisto, segua anche (e, con ogni probabilità, principalmente) altri parametri di comparazione tra prodotti tra cui, in primis, il risparmio economico nei consumi (aspetto differente da quello ambientale che però ricade, seppur solo collateralmente, nel fuoco delle contestazioni a Eni Diesel+).
6.6. Va poi aggiunto che ad escludere l'attitudine decettiva dei messaggi pubblicitari veicolati contribuiscono (anche se in maniera ex se non decisiva) gli esiti dell'indagine di mercato commissionata da parte appellante a Doxa (deduzione sulla quale, peraltro, la difesa erariale ha mancato di prendere specifica posizione).
Detti risultati, in assenza di elementi di segno contrario, spingono peraltro a ritenere che, nel caso di specie, non si sia concretamente verificato un effetto c.d. "framing" (fenomeno psicologico secondo cui la sensibilità della scelta economica da effettuare viene influenzata dalla modalità di presentazione degli elementi rilevanti di un prodotto) come invece apoditticamente sostenuto dall'Autorità nel provvedimento gravato (par. 87).
6.7. Rimangono da esaminare le contestazioni mosse dall'Autorità con riguardo ai vanti (ambientali e di consumo) specifici ricollegabili al prodotto (par. 91-105 del provvedimento gravato in prime cure).
Quanto ai vanti di riduzione delle emissioni e dei consumi (e, segnatamente, delle emissioni gassose "fino al 40%"; delle emissioni di CO2 del 5% in media; dei consumi "fino al 4%") deve anzitutto rilevarsi che trattasi di claim di supporto di secondo livello in quanto rappresentano una specificazione ulteriore rispetto a quella già fornita a precisazione del messaggio principale.
Ciò implica che, ferma la veridicità dei dati prospettati (qui non messa direttamente in discussione), il livello di dettaglio che può pretendersi nella loro indicazione va necessariamente contemperato con i caratteri propri di sinteticità e immediatezza di ogni messaggio pubblicitario. Del resto, fornire, in tale sede, un numero elevato di informazioni aggiuntive a specificazione e differenziazione, oltre a compromettere l'efficacia in termini comunicativi del messaggio, potrebbe addirittura ingenerare confusione nel consumatore.
In questo senso pare che l'impiego di espressioni come "fino a" o "in media", invero invalse nella prassi pubblicitaria (e che, in passato, sono state anche sottoposte all'attenzione di A.G.C.M. con esito positivo, come nel procedimento PS9212 - Facile.it - Comparatore RC Auto), non solo non veicolano un messaggio obiettivamente falso, ma neppure fuorviante perché lasciano intendere al consumatore che si tratta di un vanto dalla portata variabile a seconda dei casi e realizzano un giusto punto di equilibrio tra sintesi del messaggio pubblicitario e sua specificità.
Ciò vale a maggior ragione nel caso di specie in cui i dati indicati risultano accertati e verificati da enti terzi di omologazione e certificazione di primaria importanza (anche a carattere pubblico), facendo applicazione delle best practices di settore. In particolare, nel rivendicare la riduzione delle emissioni gassose allo scarico "fino al 40%", Eni si è basata su dei test direttamente eseguiti dal C.N.R. - Istituto nazionale motori, che la stessa A.G.C.M. ha riconosciuto, in sede istruttoria procedimentale, condotte seguendo le metodologie di riferimento per l'intero settore. Lo stesso è accaduto anche in relazione alla riduzione dei consumi "fino al 4%", con riguardo alla quale Eni si è basata su dei test condotti non solo dal C.N.R. ma anche da altro istituto esterno (I.D.I.A.D.A.).
Non ci si può, peraltro, esimere dall'osservare, con riferimento specifico al vanto della riduzione delle emissioni gassose, che il dato massimo del 40% indicato da Eni risulta, invero, specie con riguardo alle principali componenti tipiche dei motori a combustione (HC - idrocarburi incomposti e CO - monossido di azoto), complessivamente attendibile in quanto rappresentativo e prossimo al dato medio relativo alle diverse autovetture prese in considerazione (così come risulta dalla tabella indicata dalla stessa Autorità sub nota 53 del provvedimento gravato in prime cure). Né può assumere rilievo che il claim di supporto di secondo livello non abbia specificato che le sperimentazioni in parola si siano limitate alle sole categorie Euro 4, Euro 5 ed Euro 6 posto che le categorie non prese in considerazione (vetture da Euro 0 a Euro 3) rappresentavano, per stessa ammissione della Autorità (pag. 32 del provvedimento gravato), una minoranza (oscillante nelle varie annualità tra un quarto e meno di un terzo del totale) peraltro interdetta alla circolazione in molte città italiane e, in quanto più inquinanti, difficilmente riferibile al target specifico di destinatari della campagna pubblicitaria, tendenzialmente sensibili, nel compimento delle scelte di consumo, alle tematiche ambientali.
6.8. Quanto, poi, specificatamente, al vanto della riduzione in media del 5% delle emissioni di CO2 preme evidenziare che i già richiamati orientamenti della Commissione europea per l'attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, già nella versione ratione temporis applicabile al caso in scrutinio, stabilivano espressamente - nella sezione dedicata alle dichiarazioni ambientali - che oneri informativi supplementari gravano a carico del professionista solo se la dichiarazione non copre l'intero ciclo di vita del prodotto, essendo tenuto in questo caso lo stesso ad indicare quale fase è coperta oppure quali caratteristiche del prodotto stesso sono coperte. Ne consegue, a contrario, che, quando la dichiarazione, come nel caso in scrutinio, si riferisce all'intero ciclo di vita, non risulta necessario fornire ulteriori specificazioni perché l'informativa è ritenuta già in partenza completa ed esauriente.
In altri termini, l'ordinamento europeo ha da sempre espresso un favor, ritenendolo più attendibile e aderente al vero, nei confronti di un approccio olistico che guarda al complessivo impatto ambientale del prodotto.
Questa indicazione è stata confermata anche nella versione aggiornata dei predetti orientamenti (pubblicati in data 29 dicembre 2021) secondo cui "un'asserzione ambientale dovrebbe sempre riguardare gli aspetti significativi del prodotto in termini di impatto ambientale totale nell'arco del suo ciclo di vita". E ciò, in continuità con il passato, si accompagna, nel caso in cui la rivendicazione non sia riferibile all'intero ciclo di vita del prodotto, all'obbligo del professionista di specificare "a quali aspetti del prodotto o del suo ciclo di vita si riferiscono".
Ne discende che la contestazione mossa dall'Autorità (par. 96 e ss. del provvedimento gravato in prime cure) secondo cui Eni "nella predisposizione dei propri messaggi ed informazioni destinati ai consumatori, avrebbe dovuto chiaramente specificare che intendeva il vanto come riferito all'intero ciclo di vita - dalla produzione all'utilizzo - del prodotto pubblicizzato" (par. 98 del provvedimento gravato in prime cure) risulta fuori fuoco posto che un obbligo di specificazione del dato sarebbe, per converso, gravato a carico del professionista solo ove avesse optato per un claim riferibile solo ad uno o più frangenti della vita del prodotto.
6.9. In ultimo, quanto alla riduzione dei consumi, fermo quanto già osservato supra al punto 6.7 in ordine alla ammissibilità dell'utilizzo all'interno di claim pubblicitari di espressioni quale "in media" per definire un vanto ambientale, il Collegio ritiene che, a differenza di quanto sostenuto da A.G.C.M. il dato del 4% indicato da Eni s.p.a. non sia arbitrario ma, anche in mancanza di più specifiche deduzioni di senso opposto dell'Autorità, sia complessivamente attendibile. Non appare, in particolare, rilevante che esso sia il frutto di una sperimentazione effettuata in due fasi su due sole tipologie di autovetture in quanto esso si pone come rappresentativo della riduzione massima in media raggiungibile con l'impiego del carburante restando indifferente che su autovetture di cilindrata minore sia più basso (pari al 2,5%) o che vi siano scostamenti tra i risultati registrati tra le due fasi di sperimentazione. Del resto, da un lato, il dato medio è per sua natura frutto di un'approssimazione e, dall'altro, come già rilevato, esso ha trovato conferma nei rilevamenti effettuati da istituti indipendenti (I.D.I.A.D.A. e C.N.R. Motori, i quali peraltro adombrano anche, a conferma della tendenziale opinabilità del risultato, la possibilità di una ulteriore riduzione dei consumi nella misura dell'1% - così par. 101 del provvedimento gravato in prime cure).
7. L'accertata fondatezza delle censure che precedono esonera il Collegio dal pronunciarsi sul quinto motivo di appello (con cui si censura, in via di subordine, la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha respinto il quinto motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale Eni s.p.a. aveva contestato la quantificazione della sanzione irrogata dall'A.G.C.M.).
8. In conclusione, per le ragioni esposte, l'appello è, nei limiti e sensi sopra precisati, fondato e va accolto.
Per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e disposto l'annullamento del provvedimento n. 28060/2019 di A.G.C.M.
9. Sussistono, soprattutto in ragione della novità delle questioni affrontate, giustificati motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei limiti e sensi di cui in motivazione, e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento n. 28060/2019 di A.G.C.M.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione riforma Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione I, sentenza 8 novembre 2021, n. 11419.