Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
Sezione II
Sentenza 1° settembre 2022, n. 5563

Presidente ed Estensore: Corciulo

FATTO

I signori Bozza Enrico Maria e Ceriello Cristiano, rispettivamente, il primo nella qualità di legale rappresentante pro tempore della lista "Partito Animalista - UCDL - 10 Volte Meglio", il secondo quale delegato della lista "Partito Animalista - UCDL - 10 Volte Meglio" hanno proposto innanzi a questo Tribunale ricorso per l'annullamento della decisione del 25 agosto 2022, n. 18 dell'Ufficio Elettorale Centrale Nazionale presso la Corte Suprema di Cassazione con cui è stata confermata la ricusazione della lista "Partito Animalista - UCDL - 10 Volte Meglio" dichiarata il 23 agosto 2022 dall'Ufficio Centrale Circoscrizionale Campania 1, così escludendo la predetta lista dalla consultazione elettorale per il rinnovo della Camera dei Deputati prevista per il giorno 25 settembre 2022. Espongono i ricorrenti che il movimento politico "10 Volte Meglio", nel corso dell'ultima legislatura, si era costituito in gruppo parlamentare alla Camera dei Deputati, la cui formazione nell'ambito del gruppo misto era stata autorizzata il 18 aprile 2019 e proseguita, con cambiamenti di denominazione ed uscita ed ingresso di alcuni componenti, fino a concludersi in data 17 dicembre 2019, per essere venuto meno il requisito della rappresentanza di un partito o movimento politico richiesto ai sensi dell'art. 14, comma 5, secondo periodo, del regolamento della Camera dei Deputati. In vista delle prossime consultazioni elettorali, il movimento "10 Volte Meglio" ha deciso di formare le proprie liste insieme ad altri due movimenti politici, segnatamente l'UCDL «Unione per le Cure, i Diritti e le Libertà» ed il Partito Animalista. L'Ufficio Centrale Circoscrizionale - Circoscrizione Campania 1 presso la Corte di Appello di Napoli, con verbale del 23 agosto 2022 ha escluso la lista di candidati presentata per il collegio plurinominale n. 2 della Circoscrizione Campania 1, avendo ritenuto che non ricorresse la causa di esenzione prevista dall'art. 18-bis, comma 1, d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 come modificato dall'art. 6-bis del d.l. 41/22 convertito in l. 84/2022, in quanto la lista non era costituita in gruppo parlamentare alla Camera dei Deputati alla data del 31 dicembre 2021. Il provvedimento di esclusione è stato confermato in sede di ricorso all'Ufficio Elettorale Centrale Nazionale presso la Corte Suprema di Cassazione.

Con il primo motivo di impugnazione parte ricorrente assume che «la regola di cui all'articolo 6-bis del decreto legge n. 41/2022, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 84/2022, secondo la quale l'esenzione dalla raccolta firme per le liste elettorali si applica anche ai partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021, costituisce senza dubbio una norma "ghigliottina" ovvero, per usare a contrario la sintassi della sentenze eurounitarie, una regola non chiara e non prevedibile che, di fatto, nell'interpretazione data dall'Ufficio Centrale Elettorale Nazionale presso la Corte Suprema di Cassazione, garantisce in maniera incredibilmente paradossale tutte le liste e/o componenti politiche che, in ipotesi, si costituiscano il 31 dicembre 2021, ma vengano meno il 3 gennaio 2022 per la morte naturale dei loro componenti». Parte ricorrente specifica che l'esclusione qui contestata sarebbe ancora più grave, dal momento che «la componente politica 10 VOLTE MEGLIO, durante la legislatura ancora in corso, si era costituita in gruppo parlamentare sin dal 2019 e ciò a dimostrazione che la suddetta componente era dotata di una rappresentanza molto prima che la norma sulle elezioni politiche fosse modificata con la norma "ghigliottina" dell'articolo 6-bis del decreto legge n. 41/2022». L'impugnata esclusione sarebbe poi illegittima per contraddittorietà rispetto alla decisione dell'Ufficio Centrale Circoscrizione Campania 2 del 23 agosto 2022 che aveva invece ammesso senza riserve la lista elettorale, assumendo che la stessa avesse diritto all'esonero dalla raccolta firme. Parte ricorrente ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6-bis d.l. 41/2022, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 84/2022, sia per contrasto con l'art. 1, comma 2, della Carta, in quanto la norma come formulata impedirebbe l'esercizio del diritto di voto attraverso una scelta consapevole dei soggetti da eleggere, sia per contrasto con l'art. 3, comma 1, essendo palese la disparità di trattamento tra le formazioni politiche costituitesi in gruppi parlamentari nel corso della legislatura e formazioni politiche costituitesi in gruppi parlamentari "al 31 dicembre 2021". Parte ricorrente ha altresì proposto domanda cautelare di ammissione alla competizione elettorale.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Giustizia, il Ministero dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del Governo di Napoli e l'Ufficio Elettorale Nazionale presso la Corte di Cassazione.

All'udienza pubblica del 1° settembre 2022, fissata ai sensi dell'art. 129 c.p.a., trattandosi di giudizio in materia elettorale avente ad oggetto un provvedimento di esclusione, previa rinuncia di parte ricorrente alla domanda cautelare, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, si dà atto che all'odierna udienza è stata sollevata d'ufficio eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione.

Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione.

In punto di fatto non è contestabile che oggetto del presente ricorso elettorale è la decisione del 25 agosto 2022, n. 18 con cui l'Ufficio Elettorale Centrale Nazionale presso la Corte Suprema di Cassazione ha confermato l'esclusione della lista dei ricorrenti dalle prossime elezioni politiche fissate per il 25 settembre 2022, dichiarata in data 23 agosto 2022 dall'Ufficio Centrale Circoscrizionale Campania 1.

In disparte la questione dell'attrazione del thema decidendum anche dell'atto di esclusione della lista pronunciato in data 23 agosto 2022 dall'Ufficio Centrale Circoscrizionale Campania 1 ed avverso il quale era stato proposto il ricorso conclusosi con il provvedimento espressamente impugnato, ad escludere radicalmente la giurisdizione amministrativa sulla controversia è il chiaro disposto dell'art. 126 c.p.a., secondo cui «il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia». Ne discende che non rientra nella cognizione di questo adito Tribunale l'impugnazione di un provvedimento che interessa una consultazione elettorale che non figura nel tassativo elenco contenuto nella citata disposizione processuale, trattandosi, nel caso di specie, del rinnovo dei membri del Parlamento nazionale.

D'altronde, la giurisprudenza amministrativa ha pacificamente affermato che «il contenzioso pre-elettorale è ripartito tra l'Ufficio centrale nazionale - competente per quanto concerne le controversie relative alla esclusione di liste e candidature - e le Assemblee di Camera e Senato, cui è attribuito il controllo del procedimento elettorale, in virtù di una norma eccezionale di carattere derogatorio, basato su un regime di riserva parlamentare strumentale alla necessità di garantire l'assoluta indipendenza del Parlamento e riconducibile all'autodichia. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 126 e 129 c.p.a., in sostanza, il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, ma non anche in materia di elezioni "politiche" nazionali» (C.d.S., Sez. III, 16 febbraio 2018, n. 99).

Esclusa la giurisdizione di questo Tribunale e, quindi, dovendosi dichiarare l'inammissibilità del ricorso, non manca tuttavia il Collegio di rilevare l'insegnamento della Corte regolatrice della giurisdizione, secondo cui «le controversie aventi ad oggetto i diritti di elettorato attivo e passivo appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, la quale non viene meno per il fatto che la questione relativa alla sussistenza, o non, dei diritti suddetti sia stata introdotta mediante l'impugnazione del provvedimento di proclamazione o di convalida degli eletti, perché anche in tali ipotesi la decisione non verte sull'annullamento dell'atto amministrativo impugnato, bensì direttamente sul diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato suddetto» (Cass., Sez. un., n. 13403 del 26 maggio 2017).

Al riguardo, non ignora il Collegio che secondo la giurisprudenza citata in subjecta materia il difetto di giurisdizione presenta carattere di assolutezza, dal momento che «nella specifica materia è intervenuta anche la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 259 del 2009) che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 87 del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui non prevedono l'impugnabilità davanti al giudice amministrativo delle decisioni emesse dall'Ufficio Elettorale Centrale Nazionale. È stata in tal modo esclusa non soltanto la sussistenza di un vulnus giuridico di tutela in relazione alle situazioni soggettive vantate dai candidati ma anche l'esistenza (contrariamente a quanto affermato dall'appellante) di un vuoto normativo nel sistema legislativo ordinario, con la conferma che i diritti dei candidati esclusi dalla competizione elettorale politica sono assistiti dai rimedi giurisdizionali innanzi a ciascuna delle Assemblee legislative nazionali, competenti a dirimere le controversie pre-elettorali restando così preclusa qualsivoglia possibilità di intervento da parte del giudice ordinario o del giudice amministrativo. Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione è orientata in tal senso avendo precisato che "né il giudice amministrativo né il giudice ordinario sono dotati di giurisdizione" in relazione a controversie concernenti l'ammissione e/o l'esclusione delle liste dei candidati (cfr. Cass., Sez. un., n. 9151 del 2008), ponendo in evidenza che gli organi a cui risulta affidato il compito di definire le controversie di cui si discute, seppure privi della natura giurisdizionale, sono comunque in grado di garantire la necessaria imparzialità e indipendenza, fornendo un servizio di verifica delle fasi preliminari e delle operazioni preparatorie del procedimento elettorale che può assimilarsi a quello svolto in sede giurisdizionale. Peraltro, l'attribuzione della competenza a decidere i reclami contro le esclusioni delle liste e dei candidati adottate, ai sensi dell'art. 22 del d.P.R. n. 361 del 1957, dall'Ufficio Centrale Circoscrizionale (costituito presso la Corte d'Appello o il Tribunale competente) innanzi all'Ufficio Elettorale Centrale Nazionale (costituito presso la Corte di Cassazione), tenuto conto della sua composizione soggettiva (essendo i relativi membri tutti magistrati, ai sensi degli artt. 12 e 13 del d.P.R. n. 361 del 1957), garantisce la necessaria imparzialità e indipendenza, in quanto organo neutrale e titolare di funzioni di controllo esterno espletate in posizione di terzietà ed indipendenza» (C.d.S., Sez. III, 16 febbraio 2018, n. 999).

Tuttavia, va osservato come tale orientamento sia stato oggetto di ulteriore e recente riflessione da parte della giurisprudenza costituzionale con sentenza della Corte del 26 marzo 2021, n. 48.

Nella predetta decisione è dato leggere che «... la sentenza n. 259 del 2009 ha nuovamente affrontato una questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale nei confronti degli artt. 23 e 87 del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui non prevedono l'impugnabilità davanti al giudice amministrativo delle decisioni dell'Ufficio centrale nazionale. Anche in tal caso la pronuncia è stata d'inammissibilità, ma ad essa si è giunti attraverso affermazioni di rilievo per il caso ora in esame.

La sentenza osservava che, pur non essendosi in presenza di un vuoto di tutela, si versava in una situazione di "incertezza" sul giudice competente, frutto di una "divergenza interpretativa" sul significato degli artt. 23 e 87 del d.P.R. n. 361 del 1957, da risolvere "con gli strumenti giurisdizionali, comuni e costituzionali, esistenti". Affermava, inoltre, che il diniego di giurisdizione da parte del Parlamento sulle situazioni giuridiche soggettive, in ipotesi lese nel procedimento elettorale preparatorio alle elezioni politiche, comporterebbe, al più, che sulla questione "possa sorgere un conflitto di giurisdizione, che non spetta a questa Corte risolvere" (analogamente, nell'ordinanza n. 117 del 2006, era stato dichiarato "irricevibile" un ricorso per conflitto tra poteri che richiedeva, in realtà, la risoluzione di un conflitto negativo di giurisdizione).

Peraltro, la sentenza n. 259 del 2009 negava l'esistenza di un vuoto di tutela sottolineando, soprattutto, che "le questioni attinenti le candidature, che vengono ammesse o respinte dagli uffici competenti, nel procedimento elettorale preparatorio, riguardano un diritto soggettivo, tutelato per di più da una norma costituzionale, come tale rientrante, in linea di principio, nella giurisdizione del giudice ordinario" (ciò che, in quel caso, giustificava l'inammissibilità della questione, volta invece a ottenere, come si è detto, con sentenza additiva, l'impugnabilità davanti al giudice amministrativo delle decisioni dell'Ufficio centrale nazionale: mentre soltanto una legge, ai sensi dell'art. 103 Cost., potrebbe introdurre in materia un'ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva).

Confortava, inoltre, nella medesima direzione la vigenza dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che delegava il Governo - con delega i cui termini non erano scaduti nel momento in cui la Corte decideva la questione - ad introdurre, appunto, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Per questa parte, la delega è poi stata lasciata scadere. Quel che ora conta, tuttavia, è che questa Corte - affermando, pur solo in principio, la giurisdizione del giudice ordinario in materia - già allora riteneva che la forza precettiva dell'art. 66 Cost. non copre il contenzioso pre-elettorale, che perciò ben può essere escluso dal perimetro di efficacia della norma costituzionale.

[...] A distanza di oltre un decennio, scaduta inutilmente la delega ricordata, consolidatosi il citato "diritto vivente" della giurisprudenza di legittimità, condiviso da quella amministrativa, confermatasi la ricordata prassi interpretativa delle Giunte parlamentari, questa conclusione - già presente nella sentenza n. 259 del 2009 - va ribadita e ulteriormente argomentata.

Essa è coerente sia con il tenore testuale dell'art. 66 Cost., sia con l'ispirazione fondamentale che guidò i Costituenti nell'approvazione di questa norma costituzionale: garantire l'autonomia delle Assemblee parlamentari nella decisione circa le controversie relative ai titoli di ammissione dei propri componenti e perciò, deve intendersi, dei proclamati eletti, e solo di questi ultimi.

In Assemblea Costituente fu vivacemente discussa la scelta se riservare la verifica sulle elezioni alle Camere o ad organi (anche giurisdizionali) ad esse estranee, ma non venne mai messo in dubbio che la verifica da disciplinare in Costituzione dovesse avere ad oggetto esclusivamente l'accertamento della condizione di quanti, a seguito del voto, fossero stati proclamati eletti. Ad esempio, il riferimento esplicito ad un accertamento da condurre solo nei confronti di chi fosse "eletto deputato" era stato svolto dall'on. Ambrosini nella seduta del 19 settembre 1946 della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione; e nella stessa seduta l'on. Codacci Pisanelli evidenziava come alle Giunte parlamentari fosse rimesso il compito di accertare l'esistenza "negli eletti" di determinati requisiti.

Ferma, quindi, questa ratio essenziale, come emerge dai lavori dell'Assemblea costituente, il tenore dell'art. 66 Cost. non sottrae affatto al giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti, la competenza a conoscere della violazione del diritto di elettorato passivo nella fase antecedente alle elezioni, quando non si ragiona né di componenti eletti di un'assemblea parlamentare né dei loro titoli di ammissione.

È, del resto, il rilievo stesso del diritto di elettorato passivo, "aspetto essenziale della partecipazione dei cittadini alla vita democratica" (sentenza n. 141 del 1996), a imporre questa soluzione. La giurisprudenza costituzionale riconosce in effetti nell'elettorato passivo un diritto politico fondamentale, che l'art. 51 Cost. garantisce a ogni cittadino con i caratteri propri dell'inviolabilità ex art. 2 Cost. (ex multis, sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007, n. 160 del 1997, n. 344 del 1993, n. 539 del 1990, n. 571 del 1989 e n. 235 del 1988).

Inoltre, se è vero che una tutela dei diritti effettiva richiede l'accesso a un giudice (art. 24 Cost.: tra le tante, sentenze n. 182 del 2014 e n. 119 del 2013), risulta ancora più evidente che il presidio della tutela giurisdizionale deve assistere un diritto inviolabile, quale quello ora in esame.

Previsione del diritto inviolabile e garanzia del ricorso al giudice per assicurarne la tutela devono insomma coesistere e sorreggersi reciprocamente. Del resto, questa Corte non ha esitato ad ascrivere il diritto alla tutela giurisdizionale "tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio" (sentenza n. 18 del 1982, nonché, nello stesso senso, n. 82 del 1996). Particolarmente nella prospettiva dell'effettività, "[a]l riconoscimento della titolarità di diritti non può non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi a un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale" (sentenza n. 26 del 1999): pertanto, l'azione in giudizio per la difesa dei propri diritti è essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli artt. 24 e 113 Cost., da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto. "Né è contestabile che il diritto al giudice ed a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili è sicuramente tra i grandi principi di civiltà giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo" (sentenza n. 238 del 2014).

In definitiva, se "la 'grande regola' del diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale effettiva dei propri diritti, in quanto scelta che appartiene ai grandi principi di civiltà del tempo presente, non può conoscere eccezioni", salvo quelle strumentali alla necessità di garantire l'indipendenza del Parlamento (sentenza n. 262 del 2017), non vi sono ragioni per attribuire all'art. 66 Cost. il significato di estendere, anziché ridurre, quelle eccezioni.

Spetta naturalmente alla giurisprudenza comune tenere in conto questa interpretazione, quanto alla conseguente lettura delle disposizioni di legge ordinaria che con l'art. 66 Cost. fanno sistema, e fra queste, soprattutto, dell'art. 87 del d.P.R. n. 361 del 1957».

In estrema sintesi, la Corte ha affermato che non esistono disposizioni o principi costituzionali che si oppongano a che il giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti, possa conoscere di violazioni del diritto di elettorato passivo nella fase antecedente alle elezioni politiche (escludendo ogni ipotesi di giurisdizione amministrativa, anche esclusiva), ove non si controverta di componenti eletti di un'assemblea parlamentare, né dei loro titoli di ammissione, rimettendo alla giurisprudenza comune di tenere conto di tale principio con riferimento alla lettura di disposizioni di legge ordinaria che con l'art. 66 Cost. fanno sistema, e fra queste, soprattutto, dell'art. 87 del d.P.R. n. 361 del 1957.

Ferma, pertanto, restando l'inammissibilità del ricorso, in quanto proposto innanzi al giudice amministrativo, opzione che non trova conforto, né aperture di sorta nemmeno nella recente giurisprudenza costituzionale citata, quest'ultima induce tuttavia il Collegio a ritenere che il difetto di giurisdizione potrebbe non assumere carattere di assolutezza, dovendo di conseguenza ogni questione di legittimità costituzionale, sia di natura processuale in punto di sussistenza di un diritto all'azione, sia, eventualmente, di natura sostanziale, riferita alle questioni sollevate nel merito della controversia, essere rimessa al giudice ordinario, innanzi al quale la causa dovrà essere riproposta ai sensi e per gli effetti dell'art. 11, secondo comma, c.p.a.

Le spese seguono la soccombenza con condanna di parte ricorrente al relativo pagamento in favore delle Amministrazioni costituite, nella misura di euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa, potendo il processo essere riproposto innanzi al giudice ordinario funzionalmente o territorialmente competente entro il termine perentorio di cui all'art. 11, secondo comma, c.p.a.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore delle amministrazioni costituite nella misura di euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.