Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 27 luglio 2023, n. 7371

Presidente: De Felice - Estensore: Maggio

FATTO E DIRITTO

Con decreto 12 marzo 2008 la Provincia autonoma di Bolzano ha espropriato un edificio adibito ad abitazione, di proprietà della sig.ra Maria W., avente una volumetria di 578,89 mc.

La sig.ra W., unitamente alla Guntschna Residence s.a.s. di Peter Stadler & C. (d'ora in poi solo Guntschna Residence), hanno, quindi, chiesto al Comune di Bolzano di poter ricostruire il fabbricato espropriato su un'area (p.f. 136/1) di proprietà della detta società, localizzata in zona di verde agricolo, avvalendosi della facoltà accordata dalla norma contenuta nell'originario art. 107, comma 12, secondo periodo, della l.p. 11 agosto 1997, n. 13 (resa applicabile in via transitoria dall'art. 32, comma 4, della l.p. 2 luglio 2007, n. 3), in base alla quale: "... Gli edifici espropriati per motivi di pubblica utilità ai sensi della legge provinciale 15 aprile 1991 n. 10, e presenti nel verde agricolo al 1 Ottobre 1997, possono essere ricostruiti nel verde agricolo dello stesso territorio comunale a condizione che la cubatura ricostruita non superi gli 850 metri cubi e sia mantenuta la destinazione d'uso precedente".

Dopo un primo diniego, annullato dal T.R.G.A. - Bolzano, il Comune ha rilasciato la concessione edilizia 19 novembre 2018, n. 583, con cui ha assentito la realizzazione di un edificio ad uso abitativo di 923,27 mc.

Ritenendo la concessione edilizia illegittima, i sig.ri Felipe B. e Brizia C., proprietari di un terreno confinante, l'hanno impugnata con ricorso al T.R.G.A. - Bolzano, davanti al quale, con successivi motivi aggiunti, hanno gravato anche la concessione edilizia in variante 1° ottobre 2019, n. 591, mediante la quale, in particolare, si era posto rimedio a una violazione delle distanze che connotava il progetto approvato con la precedente concessione edilizia.

L'adito Tribunale ha accolto l'impugnazione con sentenza 20 febbraio 2020, n. 53.

Avverso la sentenza hanno proposto appello la sig.ra W. e la Guntschna Residence.

Si sono costituiti in giudizio i sig.ri B. e C., nonché il Comune di Bolzano, i primi due per resistere al ricorso, l'Amministrazione comunale a sostegno delle ragioni degli appellanti.

Con successive memorie le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 13 luglio 2023 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo si denuncia l'errore commesso dal Tribunale nel respingere l'eccezione con la quale le odierne appellanti avevano dedotto l'inammissibilità del ricorso per difetto d'interesse degli istanti.

E invero, il giudice di prime cure ha motivato la reiezione rilevando che la vicinitas sarebbe elemento sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione sia dell'interesse a ricorrere.

La tesi non sarebbe, tuttavia, condivisibile in quanto l'azione postulerebbe l'interesse di colui che agisce a rimuovere uno specifico pregiudizio derivante dal provvedimento impugnato, mentre i sig.ri B. e C., che non contestano né l'esistenza dello ius aedificandi, né la posizione del nuovo edificio, né l'altezza consentita, né la violazione delle distanze (a seguito della concessione in variante i ricorrenti avevano dato atto del venir meno della relativa censura), ma unicamente un asserito eccesso di cubatura, si sarebbero limitati ad allegare un generico deprezzamento del loro fondo derivante dalla scomparsa di un vigneto già esistente sull'area interessata dalla censurata attività edilizia, vigneto che sarebbe, in ogni caso, scomparso anche in caso di realizzazione di un volume minore.

La doglianza è fondata.

Un ormai prevalente orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, consolidatosi a valle della sentenza dell'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, 9 dicembre 2021, n. 22, afferma che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione ad agire, non vale da solo e in automatico a dimostrare, anche, la sussistenza dell'ulteriore condizione dell'azione concernente l'interesse al ricorso [artt. 39, comma 1, c.p.a. e 100 c.p.c.; per espliciti riferimenti all'interesse al ricorso nell'ambito del c.p.a., si vedano gli artt. 35, comma 1, lett. b) e c), e 34, comma 3].

Si afferma, in particolare, che quest'ultimo va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato in relazione al quale grava sul ricorrente l'onere di allegare e comprovare puntualmente la lesione subita, anche se in termini solamente eventuali o potenziali (C.d.S., Sez. VI, 7 dicembre 2022, n. 10715; 19 maggio 2022, n. 3963; 3 febbraio 2022, n. 756; 21 dicembre 2021, n. 8495; Sez. IV, 21 aprile 2023, n. 4084; Sez. II, 23 gennaio 2023, n. 738; 27 giugno 2022, n. 5307).

Nel caso di specie, come correttamente dedotto dalle appellanti, i sig.ri B. e C. non hanno comprovato l'esistenza dell'interesse al ricorso, né questo risulta altrimenti evidente.

E invero, costoro hanno specificamente ricollegato la sussistenza della detta condizione dell'azione alla circostanza che "... la nuova edificazione, che viene prevista in diretta confinanza con il loro immobile", avrebbe comportato "... un considerevole deprezzamento dello stesso per diminuzione dell'ottima qualità di vita garantita dalla presenza del pregiato vigneto che viene eliminato per far posto ad un nuovo edificio ad uso residenziale..." (si veda ricorso di prime cure pag. 4).

In questo grado di giudizio gli appellati, mutando prospettiva, affermano, depositando all'uopo anche apposita perizia tecnica, che il contestato intervento inciderebbe negativamente su visuale e luce della loro abitazione, nonché sulla viabilità (stante la ridotta larghezza dell'unica via d'accesso), con conseguente perdita di valore del proprio immobile.

Sennonché, come più sopra rilevato, ai fini della sussistenza dell'interesse al ricorso occorre che il pregiudizio lamentato discenda in via immediata dal provvedimento impugnato, e l'eliminazione del preesistente vigneto non ha, all'evidenza, tale stretta connessione col rilascio dell'avversato titolo edilizio.

Ma la sussistenza della condizione dell'azione di che trattasi non può ritenersi dimostrata nemmeno con riguardo alla lamentata incidenza negativa della nuova costruzione su visuale e luce dell'abitazione degli appellati, e sulla viabilità.

Costoro, per sostenere le proprie affermazioni, hanno depositato un'apposita perizia tecnica.

Quest'ultima è stata prodotta in violazione del disposto dell'art. 104, comma 2, del c.p.a., tenuto anche conto che sarebbe stato onere degli interessati dimostrare, sin dal primo grado di giudizio, la sussistenza dell'interesse ad agire, ma può prescindersi dal dichiarare inammissibile la produzione, in quanto non sono, comunque, condivisibili le conclusioni a cui il perito di parte è giunto.

Nella perizia, infatti, si assume, apoditticamente, che un edificio di cubatura inferiore avrebbe una minore incidenza negativa su visuale, luce e viabilità. Tuttavia, non è dimostrato che un fabbricato di volumetria conforme a quella realizzabile secondo la normativa urbanistica di riferimento non possa mantenere forme tali da pregiudicare (stavolta legittimamente) in egual misura visuale e luce. Altrettanto indimostrati risultano gli effetti negativi sulla viabilità del contestato esubero di volumetria.

Con la memoria di replica depositata in data 22 giugno 2023, i sig.ri B. e C. deducono che:

a) non risulterebbe documentato che gli appellanti, prima della scadenza del termine triennale per la conclusione dei lavori, abbiano presentato una specifica istanza di proroga finalizzata a impedire la decadenza del titolo edilizio;

b) ove quest'ultimo fosse scaduto, non sarebbe più consentito, sulla base della vigente disciplina, ricostruire, in zona destinata a verde agricolo, edifici espropriati.

Tali nuove deduzioni risultano inammissibili, in quanto estranee ai contenuti propri della memoria di replica, i cui confini restano segnati dall'esigenza di contrastare le difese svolte nella memoria conclusionale avversaria, onde evitare che il deposito degli scritti di replica si traduca in un mezzo per eludere il termine di legge per il deposito delle memorie conclusionali (C.d.S., Sez. II, 15 ottobre 2020, n. 6261; 30 settembre 2019, n. 6534).

L'appello va, in definitiva, accolto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Sussistono eccezionali ragioni per disporre l'integrale compensazione di spese e onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.