Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 19 ottobre 2023, n. 9104

Presidente: Chieppa - Estensore: Franconiero

FATTO

1. Gli appellanti indicati in epigrafe, operatori del commercio su aree pubbliche autorizzati per il territorio di Roma Capitale a posteggi fissi fuori mercato, saltuari in mercato, a rotazione e in feste e fiere, hanno impugnato nel presente giudizio la nota del gabinetto del sindaco di Roma Capitale del 17 febbraio 2021, prot. n. 8561, con cui la competente direzione mercati e commercio su aree pubbliche del dipartimento sviluppo economico e tutti i Municipi sono stati invitati a disapplicare la normativa statale relativa al rinnovo delle concessioni su aree pubbliche sino al 2032 e a revocare in autotutela le procedure di rinnovo delle medesime concessioni in precedenza avviate.

2. L'impugnazione, intesa a sostenere che l'amministrazione comunale si sarebbe illegittimamente attribuita il potere di disapplicare una normativa nazionale non in contrasto con il diritto dell'Unione europea, è stato respinto in primo grado dall'adito Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Roma con la sentenza indicata in epigrafe.

3. Questa ha stabilito che la disapplicazione delle norme inter[n]e sul rinnovo automatico delle concessioni è conforme al diritto sovranazionale, ed in particolare alla regola dell'affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica per il rilascio di autorizzazioni limitate a causa della «scarsità delle risorse naturali», enunciato dalla direttiva relativa ai servizi nel mercato interno, 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (art. 12), come interpretata dall'Adunanza plenaria per il settore delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con le sentenze del 9 novembre 2021, nn. 17 e 18. Il giudice di primo grado ha modulato gli effetti della sua pronuncia, precisando che le concessioni oggetto del giudizio mantengono efficacia fino al 31 dicembre 2023.

4. Contro la pronuncia di rigetto di primo grado i ricorrenti hanno proposto separati appelli, con cui si sostiene sotto plurimi profili che i principi enunciati per il comparto delle concessioni demaniali marittime non sarebbero trasponibili a quello del commercio su area pubblica.

5. Si è costituita in resistenza ad entrambi gli appelli Roma Capitale, la quale ha riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse ad agire, su cui la sentenza non si è pronunciata.

6. Il Ministero delle imprese e del made in Italy (già Ministero dello sviluppo economico), evocato nel giudizio d'appello iscritto al n. di r.g. 5795/2022, si è costituito per eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva nella presente controversia, già dichiarato dalla sentenza di primo grado.

7. Le parti appellanti hanno poi chiesto un rinvio della trattazione, motivato dal possibile venir meno dell'interesse ad una decisione di merito della presente impugnazione per effetto della nuova disciplina del settore contenuta nel disegno di legge sulla concorrenza per il 2023, oggetto di discussione in Parlamento.

8. Sull'opposizione al rinvio di Roma Capitale, gli appelli sono stati trattenuti in decisione all'udienza del 26 settembre 2023.

DIRITTO

1. Va disposta in via preliminare la riunione degli appelli, ai sensi dell'art. 96 c.p.a., poiché proposti contro la stessa sentenza.

2. Devono inoltre essere respinte le istanze di rinvio della trattazione formulate dalle parti appellanti, posto che esso è consentito dal codice del processo amministrativo «solo per casi eccezionali» (art. 73, comma 1-bis), e che in questa previsione non può essere ricondotta l'eventuale improcedibilità del ricorso per effetto di possibili modifiche normative sopravvenute, incerte nell'an e nel contenuto, destinate ad operare per il futuro, a fronte dell'interesse dell'amministrazione resistente, nel caso di specie manifestato con formale opposizione al rinvio, a sapere se il proprio operato è legittimo a fronte delle contestazioni mosse in giudizio.

3. Va inoltre dichiarato il non luogo a provvedere sull'eccezione di difetto di legittimazione passiva riproposta dal Ministero delle imprese e del made in Italy, già pronunciata in primo grado e nei confronti della quale non è stato formulato alcun motivo di impugnazione, con conseguente formazione del giudicato interno sul punto.

4. Definite le questioni preliminari rispetto al merito, con l'appello iscritto al n. 5795/2022 di r.g. si premette che la sopra citata direttiva sui servizi nel mercato interno è stata recepita in Italia con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che inizialmente aveva incluso il comparto del commercio su aree pubbliche nell'ambito di applicazione del decreto attuativo, attraverso l'art. 70, rubricato «Commercio al dettaglio sulle aree pubbliche»; quest'ultima disposizione delegava ad una intesa in Conferenza unificata la definizione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare alle concessioni in essere ed a quelle prorogate. Sennonché - prosegue l'appello - la medesima disposizione del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, è stata poi abrogata, dall'art. 1, comma 686, della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021). Ad essa ha quindi fatto seguito il d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (recante Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19; convertito con modificazioni in l. 17 luglio 2020, n. 77) che, all'art. 181, comma 4-bis, ha previsto il rinnovo d'ufficio per la durata di dodici anni di tutte le concessioni di posteggio per l'esercizio del commercio su aree pubbliche aventi scadenza entro il 31 dicembre 2020, secondo le linee guida del Ministero dello sviluppo economico, e con modalità stabilite dalle Regioni, previa verifica del possesso in capo a ciascun operatore dei requisiti di onorabilità e professionalità ed iscrizione nei registri camerali quale ditta attiva. In attuazione della disposizione di legge da ultimo richiamata, con decreto ministeriale del 25 novembre 2020 è stato stabilito l'obbligo per i Comuni di avviare d'ufficio i procedimenti di rinnovo delle concessioni su aree pubbliche entro il 31 dicembre 2020 e la facoltà per gli operatori di continuare ad esercitare la propria attività fino al 30 giugno 2021. Con specifico riguardo alla regione Lazio, con delibera di giunta n. 1042 del 22 dicembre 2020, sono state definite le procedure e le modalità per l'avvio e la conclusione dei procedimenti d'ufficio.

5. Tutto ciò premesso, con un primo motivo d'appello la sentenza viene censurata per avere falsamente applicato al settore del commercio su aree pubbliche i principi enunciati in materia di concessioni marittime a finalità turistico-ricettive, sulla base di un'«acritica assimilazione» tra i due comparti, che invece sarebbero connotati da «profonde differenze». Si sottolinea che queste sarebbero ricavabili innanzitutto dal fatto che con scelta riservata al legislatore nazionale, ai sensi dell'art. 1, par. 3, secondo cpv., della direttiva, l'esclusione da essa del settore del commercio su area pubblica trova le proprie ragioni dall'assenza del presupposto della limitatezza della risorsa che invece in base al citato art. 12 della direttiva medesima è stato considerato determinante per l'Adunanza plenaria per ritenere il comparto delle concessioni demaniali marittime assoggettabile agli obblighi di evidenza pubblica stabili a livello sovranazionale.

6. Con il secondo motivo d'appello la sentenza viene censurata nella parte in cui ha affermato che nel territorio di Roma Capitale i posteggi per l'esercizio del commercio sono «un bene limitato» e che il settore riveste un'«elevata attrattività» per gli operatori economici interessati. In contrario viene evidenziato che per un verso l'attrattività non costituisce presupposto ex art. 12 della direttiva sui servizi del mercato interno per l'obbligo di gara e per altro verso che questa caratteristica è predicabile per il patrimonio costiero nazionale, ma non anche per il commercio su area pubblica. Nel lumeggiare le differenze tra i due comparti, il motivo d'appello sottolinea che mentre gli operatori del settore turistico-ricreativo titolari di concessione demaniale traggono la loro fonte di guadagno «dallo sfruttamento di una risorsa naturale», quelli del commercio su aree pubbliche non devono la loro redditività «allo sfruttamento del suolo pubblico ove questa viene esercitata», per cui lo spazio loro assegnato sarebbe «perfettamente fungibile con altro spazio». Inoltre, il bene demaniale in questione difetterebbe sia della qualificazione di risorsa naturale, sia del carattere della scarsità. Sotto il profilo della conformità della normativa nazionale con quella eurounitaria viene inoltre posto in rilievo il differente meccanismo operativo della proroga legale delle concessioni per il commercio su area pubblica rispetto a quelle del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative, e in particolare che a differenza di queste le prime non sarebbero automatiche, ma sarebbero subordinate alla verifica in concreto del possesso di requisiti specifici. Infine, la disapplicazione della normativa nazionale di proroga su base locale darebbe luogo a disparità di trattamento.

7. L'appello iscritto al n. di r.g. 5859 del 2022 censura la sentenza per avere supposto che la direttiva sui servizi nel mercato interno sarebbe autoesecutiva, benché ciò non sia mai stato affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, e malgrado la stessa demandi agli Stati membri di individuare quali risorse limitate far rientrare nel suo ambito di applicazione, ai sensi del sopra citato art. 1, par. 3, secondo cpv. La sentenza avrebbe pertanto errato nell'applicare al settore del commercio su area pubblica i principi enunciati dall'Adunanza plenaria nelle sopra citate sentenze del 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, relative al diverso settore delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, e nello stabilire che le aree pubbliche per il commercio costituiscono una risorsa limitata avrebbe invaso le prerogative del legislatore.

8. Vengono del pari prospettati sintomi di eccesso di potere per disparità di trattamento, che in tesi deriverebbero dalla disapplicazione della normativa nazionale sulla proroga delle concessioni per il commercio su area pubblica, e dedotte ulteriori illegittimità.

9. Le censure così sintetizzate sono infondate. Dal loro rigetto discende l'assorbimento delle eccezioni pregiudiziali di inammissibilità dei ricorsi riproposte in appello da Roma Capitale.

10. Le contestazioni di merito nei confronti della decisione di quest'ultima amministrazione locale di disapplicare la normativa nazionale si infrangono sul rilievo che si tratta invece di una scelta legittima, nella misura in cui con essa si riespande il sovraordinato diritto dell'Unione europea. La citata direttiva sui servizi nel mercato interno, 2006/123/CE, ha infatti un ambito di applicazione generalizzato, concernente i «servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro» (art. 1, par. 1), e in cui per converso sono tassative le esclusioni, elencate al par. 2 della disposizione ora richiamata.

11. Il commercio ambulante, o commercio su area pubblica, è una attività di vendita di merci al dettaglio, effettuata su aree di proprietà pubblica, ovvero su piazzole o posteggi assegnati, oppure in forma itinerante e tale attività rientra senza alcun dubbio nella nozione di servizi di cui alla direttiva 2006/123 (cfr. al riguardo, Corte giust. UE, 30 gennaio 2018, C-360/15 e C-31/16). Si tratta di una attività che, infatti, era stata originariamente inclusa nell'ambito di applicazione del citato d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, con cui è stata recepita la menzionata "direttiva servizi" (l'art. 70 del decreto legislativo aveva demandato a una intesa in sede di Conferenza unificata l'individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche).

Successivamente, la parimenti richiamata legge di bilancio 2019 (l. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 686) ha escluso dal campo di applicazione del d.lgs. n. 59/2010 il commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, abrogando il citato art. 70 e introducendo una esclusione espressa con i modificati artt. 7, lett. f-bis), e 16, comma 4-bis, dello stesso decreto legislativo.

12. L'esclusione dell'attività del commercio su aree pubbliche dal campo di applicazione del d.lgs. n. 59/2010 e, quindi, della direttiva servizi si pone in diretto contrasto con le previsioni di tale direttiva, che, come sopra detto, prevedono in via tassativa le ipotesi di esclusione e tra esse non rientra il commercio su aree pubbliche. Contrariamente a quanto si deduce negli appelli, gli Stati membri non hanno, quindi, alcun margine di discrezionalità nel prevedere ulteriori ipotesi di esclusione dall'ambito di applicazione della direttiva e ogni questione sulle modalità di applicazione delle disposizioni della direttiva servizi si pone logicamente dopo la corretta definizione del suo ambito di applicazione; conseguentemente, le citate disposizioni della legge di bilancio 2019 vanno disapplicate, come correttamente effettuato dal T.A.R.

13. Tale conclusione è perfettamente in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una normativa regionale che escludeva il settore del commercio su aree pubbliche dall'ambito di applicazione dell'art. 16 del d.lgs. n. 59/2010 e, quindi, della direttiva servizi (Corte cost. n. 291/2012, che ha fondato la declaratoria di incostituzionalità in primo luogo sulla violazione del primo comma dell'art. 117 della Costituzione, in relazione alla menzionata direttiva, per inosservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario).

14. Parimenti prive di fondamento sono le censure mosse dagli appellanti dirette a contestare la acritica estensione alla situazione del commercio su aree pubbliche delle conclusioni raggiunte dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in relazione alle concessioni demaniali marittime. Infatti, le attività di commercio su aree pubbliche, contrariamente a quanto dedotto negli appelli, in analogia con il demanio marittimo, esibiscono il connotato dalla scarsità la quale ai sensi del più volte richiamato art. 12 della direttiva servizi giustifica la selezione "per il mercato", in cui l'accesso al settore economico avvenga mediante procedure ad evidenza pubblica. Non persuadono sul punto le deduzioni con cui pongono in rilievo le asserite differenze che connoterebbero il settore turistico-ricreativo esercitato sul demanio marittimo rispetto al commercio su aree comunali. In entrambi i casi l'attività economica è consentita solo attraverso l'utilizzo del bene pubblico, il quale pertanto, sulla base della sua naturale limitatezza, giustifica la selezione degli operatori economici mediante criteri obiettivi e trasparenti, propri dell'evidenza pubblica.

15. Tale elemento è ancor più evidente nel caso di specie in cui oggetto del giudizio sono le aree pubbliche da destinare al commercio di Roma capitale, per le quali è dato notorio che il numero delle concessioni sia limitato per via della scarsità del suolo pubblico di Roma da destinare a tali attività, ed altrettanto notoria è l'appetibilità commerciale rivestita dalle aree pubbliche a ciò destinate.

16. Tra i due settori è quindi ravvisabile un minimo comune denominatore, dato dall'esistenza di una domanda che dal mercato si rivolge a risorse pubbliche, la cui limitatezza esige di regolarne l'accesso attraverso modelli imparziali di selezione, quale quello dell'evidenza pubblica sancito dall'art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Contrariamente a quanto si sostiene negli appelli, a quest'ultimo non può invece essere ricondotto il meccanismo di rinnovo delle concessioni previa verifica dei requisiti di legge, previsto dalla legislazione emergenziale interna (art. 181, comma 4-bis, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34). In esso sono infatti assenti gli elementi apertura al mercato e concorrenzialità propri dell'evidenza pubblica, rivolta indistintamente non solo ai soggetti già operanti nel settore economico, ma a nuovi potenziali operatori. Nella medesima direzione va sottolineato il rinnovo automatico e generalizzato per una considerevole durata (dodici anni) dei titoli di concessione, stabilito dalla medesima legislazione emergenziale, peraltro disposto in via diretta all'interno di un quadro normativo palesemente in contrasto con la disciplina dell'Unione europea e neanche quindi con una disposizione transitoria diretta ad accompagnare - nei limiti di compatibilità eurounitaria - il ripristino delle regole previste dalla direttiva servizi e la disciplina della modalità di selezione dei diversi candidati all'esercizio di tali attività.

17. Per le ragioni finora esposte risulta quindi corretta la sentenza di primo grado nella parte in cui ha considerato estensibili al settore del commercio su area pubblica oggetto del presente giudizio i principi enunciati dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, nelle sentenze del 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, sopra richiamate, ivi compreso il potere dell'amministrazione pubblica nazionale di disapplicare la normativa interna in contrasto con quella sovranazionale. Al medesimo riguardo, non hanno poi rilievo in contrario gli assunti secondo cui l'accertamento del carattere limitato della risorsa andrebbe svolto in concreto, nella competente sede amministrativa. Fermo restando quanto detto in precedenza sulla evidente scarsità delle aree pubbliche da destinare al commercio in Roma Capitale, occorre prima rimuovere gli ostacoli che a livello normativo consentano il perpetuarsi dello status quo. In ragione di quanto ora rilevato va dunque ribadito che non sono ravvisabili i presupposti per un rinvio della trattazione del presente giudizio, la cui definizione, al contrario, si pone nella direzione intrapresa con il riordino del settore in sede di legge sulla concorrenza ora in discussione in Parlamento, il cui contenuto resta con evidenza estraneo all'oggetto del giudizio e i cui effetti potranno essere valutati dall'amministrazione appellata in caso di sua approvazione prima del 31 dicembre 2023.

18. Con riguardo alle contestazioni volte a lumeggiare le possibili applicazioni "a macchia di leopardo" della normativa sovranazionale sul territorio dello Stato, laddove rimesse alle singole amministrazioni comunali, va ricordato che queste ultime sono i livelli di governo cui fa capo la gestione della risorsa pubblica di interesse del settore economico in cui operano i ricorrenti, e che ciascuna dispone in via esclusiva della propria porzione con i limiti delineati dalla richiamata giurisprudenza nazionale e comunitaria.

19. Devono infine essere disattesi gli argomenti incentrati sull'assenza di interesse transfrontaliero del settore economico oggetto di controversia e sul carattere non autoesecutivo della direttiva sui servizi del mercato interno. Quest'ultimo assunto è smentito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, che con la già richiamata sentenza 30 gennaio 2018 (C-360/15 e C-31/16) ha sancito il principio secondo cui la medesima direttiva si applica «non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato» (§ 103) e dunque «anche in situazioni puramente interne» (§ 105). Pertanto, l'interesse al rispetto dei moduli imparziali dell'evidenza pubblica va riferito anche ad operatori economici interni per l'accesso al mercato parimenti interno, senza necessità di accertare l'esistenza di una potenziale domanda da parte di operatori insediati in altri paesi europei.

20. In conclusione, gli appelli vanno respinti, dacché va confermata la sentenza di primo grado. Le spese di causa possono nondimeno essere compensate in ragione della natura delle questioni controverse.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, li respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.