Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Sezione III
Sentenza 5 aprile 2024, n. 420
Presidente: Adamo - Estensore: Ieva
FATTO E DIRITTO
1. Con il ricorso depositato come previsto in rito, l'istante cittadino extra-comunitario impugnava il provvedimento di diniego al rilascio del c.d. permesso di soggiorno in attesa di occupazione.
In fatto, accadeva che, dopo aver conseguito regolare visto d'ingresso "per lavoro stagionale", all'atto della sottoscrizione del contratto di soggiorno, il datore di lavoro agricolo rifiutasse immotivatamente di assumere il lavoratore; indi, veniva preclusa la possibilità del rilascio del permesso di soggiorno per lavoro stagionale. Di conseguenza, chiedeva il rilascio di un permesso in attesa di occupazione.
In diritto, la parte ricorrente lamentava la violazione dell'art. 22, lett. a), della direttiva 2014/36/UE, degli artt. 1, 8 e 14 CEDU, dell'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, nonché dell'art. 2 del d.lgs. n. 286/1998, nonché l'eccesso di potere per difetto assoluta di istruttoria, per motivazione erronea, perplessa, frettolosa, illogica ed irrazionale; per abnormità e vizio della funzione; per violazione dei princìpi di buon andamento, di imparzialità, di ragionevolezza, di proporzionalità, di efficienza, di buona fede, di lealtà e collaborazione nei rapporti con i privati; invocava la sussistenza delle condizioni per il rilascio del mod. 209, ai fini dell'ottenimento del permesso di soggiorno per attesa occupazione a tempo determinato.
2. Si costituiva l'Amministrazione intimata, resistendo.
3. Alla fissata camera di consiglio, per l'adozione di misure cautelari, dopo una breve discussione, previo avviso, il ricorso veniva trattenuto per la decisione immediata con sentenza in forma semplificata, sussistendone i presupposti.
4. Il ricorso è infondato.
Fulcro del gravame è la qualificazione della fattispecie concreta, nella quale è incorsa il lavoratore extracomunitario stagionale, che, in possesso di regolare visto ingresso nel territorio nazionale, non ha potuto perfezionare il titolo di soggiorno, seppure a carattere precario, ossia per lavoro stagionale, a seguito del rifiuto dal datore di lavoro all'assunzione.
Orbene, in base ai documenti depositati, emerge che l'omessa sottoscrizione del contratto di lavoro sia dipeso da un rifiuto immotivato del (promissario) datore di lavoro.
Secondo la migliore giurisprudenza in materia, dal combinato disposto delle norme contenute nell'art. 22 (Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato) e nell'art. 24 (Lavoro stagionale) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in caso di mancata instaurazione del rapporto di lavoro tra l'immigrato e l'impresa, dopo l'ingresso dello straniero in Italia, il nulla-osta al lavoro dipendente subordinato, specie se stagionale, risulta privo di efficacia.
Ciò in quanto esso è rilasciato per l'assunzione dell'extracomunitario presso uno specifico datore di lavoro e il conseguente permesso di soggiorno risulta condizionato all'esecuzione di quello specifico contratto di lavoro subordinato ed all'effettivo espletamento dell'attività lavorativa presso il predetto datore di lavoro; di conseguenza, in tale situazione, il permesso di soggiorno va legittimamente negato (ex multis: T.A.R. Basilicata, 27 novembre 2008, n. 901; C.d.S., Sez. III, 15 settembre 2022, n. 8006; C.d.S., Sez. III, ord. 21 ottobre 2022, n. 5053).
Nel caso di specie, l'ingresso nel territorio nazionale era motivato solo per assunzione in qualità di lavoratore stagionale e non è allegato, né è documentato alcun caso di forza maggiore (es.: morte, fallimento, evento calamitoso, etc.), che abbia impedito al datore di lavoro di assumere il lavoratore, quale unica circostanza che la giurisprudenza citata ammette per il rilascio, in via eccezionale, del c.d. permesso (provvisorio) per ricerca di occupazione.
E, difatti, l'assunzione del lavoratore extracomunitario è lecitamente possibile, a mente del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, soltanto in obbedienza alla sequenza procedurale, che vede in via successiva tra loro combinarsi i seguenti atti necessari: a) c.d. decreto flussi, che determina la c.d. "capienza" degli ingressi possibili (art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 286 cit.); b) richiesta da parte del datore di lavoro del nulla-osta (art. 22 del d.lgs. n. 286 cit.) o del nulla-osta per lavoro stagionale (art. 24); c) rilascio, a richiesta dell'extracomunitario, del visto d'ingresso (art. 4, comma 2); d) sottoscrizione da parte dell'extracomunitario dell'accordo di integrazione, nei casi contemplati (art. 4-bis, comma 2); e) sottoscrizione del contratto di soggiorno (anche stagionale) da parte del datore di lavoro e dell'extracomunitario (artt. 5-bis, 5, comma 3-bis, e 24, comma 11); f) rilascio del permesso di soggiorno all'extracomunitario, che può essere anche solo di tipo stagionale (artt. 5 e 24).
La verificazione della presenza dei predetti atti consente la concessione al cittadino extracomunitario di poter lavorare e quindi di poter essere regolarmente assunto presso un datore di lavoro operante in Italia. L'assenza di alcuno degli stessi, al contrario, configura un rapporto di lavoro di fatto irregolare, che, in presenza degli estremi previsti dalla fattispecie può configurare una fattispecie di reato, di cui risponde il lavoratore e/o il datore di lavoro, a seconda delle ipotesi previste (artt. 10-bis, 12 e 22, comma 12, del d.lgs. n. 286).
L'ingresso di cittadini extracomunitari, per motivi di lavoro, nel territorio nazionale, è una forma di concessione sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo, giammai un diritto soggettivo; quando infatti l'ordinamento prevede un diritto, come accade per l'ingresso per altre motivazioni, ad esempio, per esercizio del diritto di asilo o per protezione internazionale, opera una diversa sequenza procedurale per l'accertamento della posizione soggettiva dell'extracomunitario, sottoposta invece alla delibazione del giudice ordinario in caso di rigetto dell'istanza.
L'Amministrazione dell'interno, in materia di immigrazione, può adottare soltanto provvedimenti e atti, in conformità al principio della tipicità e nominatività, che sono previsti espressamente dal d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e dal relativo regolamento di attuazione, di cui al d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, esclusivamente per i casi ivi contemplati. Non può adottare provvedimenti atipici o immaginare, in materia, indeterminate "più ampie casistiche", per legittimare, ex post, al di fuori di provvedimenti straordinari di sanatoria (c.d. emersione da lavoro irregolare), la presenza di un extracomunitario nel territorio nazionale.
L'unica ipotesi contemplata espressamente per il rilascio del c.d. permesso di soggiorno in attesa di occupazione è quella di cui all'art. 22, comma 11, ove si prevede che "La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno [...]. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può rendere dichiarazione di immediata disponibilità al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro [...], e beneficiare degli effetti ad essa correlati per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore [...]". Dev'esserci in tale ipotesi pur stata comunque un'assunzione valida.
Al contrario, nella fattispecie del lavoro stagionale, la mancata perfezione dell'iter prefigurato dalle sopra rammentate disposizioni normative comporta la "perdita della stagionalità", ragion per cui, a fortiori, non v'è ontologicamente spazio per poter ammettere alcun rilascio di permesso provvisorio per motivi di "attesa di occupazione". D'altro canto, la stagionalità delle lavorazioni, specie nella produzione agricola - come nel caso dell'odierno ricorso -, vede, nel corso dell'annata agraria, essere assunti, alle dipendenze delle imprese agricole, operai stagionali, secondo le necessità, sia italiani sia stranieri, con periodici ingressi e rimpatri di lavoratori extracomunitari. La perdita della stagionalità, per qualsiasi motivo occorso, non consente la permanenza nel territorio nazionale. Trattasi, infatti, di una tipologia di rapporto di lavoro c.d. precario per qualsivoglia lavoratore, anche cittadino italiano.
Più specificamente, l'instaurazione del rapporto di lavoro stagionale è disciplinata dall'art. 24, commi 7 e 8, del d.lgs. n. 286 cit., il quale prevede che "Il nulla osta al lavoro stagionale autorizza lo svolgimento di attività lavorativa sul territorio nazionale fino ad un massimo di nove mesi in un periodo di dodici mesi", inoltre: "[...] Al termine del periodo di cui al comma 7, il lavoratore deve rientrare nello Stato di provenienza, salvo che sia in possesso di permesso di soggiorno rilasciato per motivi diversi dal lavoro stagionale". Inoltre, a mente dell'art. 24, comma 10, esclusivamente: "Il lavoratore stagionale, che ha svolto regolare attività lavorativa sul territorio nazionale per almeno tre mesi, al quale è offerto un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, può chiedere allo sportello unico per l'immigrazione la conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato, nei limiti delle quote di cui all'articolo 3, comma 4".
Risulta dunque evidente che non sussistono margini per poter ritenere che, ad un extracomunitario, ammesso peraltro ab imis nel territorio nazionale con visto d'ingresso (solo) stagionale, possa essere rilasciato alcun'altro permesso di soggiorno, in carenza dei relativi presupposti di fatto e normativi.
Restano ferme le eventuali responsabilità sussistenti inter partes tra promissario datore di lavoro e cittadino extracomunitario, circa la mancata perfezione dell'assunzione, le quali però non incidono sul procedimento di rilascio del permesso di soggiorno, oramai non più possibile. E, difatti, l'art. 24-bis, comma 14, del d.lgs. n. 286, nel caso di attività stagionale, pur prevede che, in ipotesi di revoca del nulla-osta al lavoro e/o di revoca del permesso di soggiorno per lavoro stagionale: "il datore di lavoro è tenuto a versare al lavoratore un'indennità [...]"; questa è quindi la specifica tutela prevista dall'ordinamento in consimili evenienze.
Di conseguenza, la mancata instaurazione di alcun rapporto di lavoro stagionale e di svolgimento di regolare attività lavorativa, sul territorio nazionale, per almeno tre mesi, ai sensi dell'art. 24, comma 10, del d.lgs. n. 286 cit., non può dar luogo ad alcun un contratto di lavoro a tempo determinato e, quindi, al rilascio del propedeutico mod. 9 anelato da parte ricorrente.
5. In conclusione, per le sopra esposte motivazioni, il ricorso va respinto.
6. Le spese del giudizio sono compensate per la peculiarità della materia e parziale novità delle questioni poste.
7. Nulla compete al difensore per gratuito patrocinio, in quanto l'istanza prodotta risulta carente della prevista certificazione rilasciata dall'autorità consolare competente, ai sensi dell'art. 79, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sui redditi prodotti all'estero.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate. Nulla per gratuito patrocinio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.