Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 7 ottobre 2024, n. 763
Presidente: de Francisco - Estensore: Francola
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado l'appellante LUEN s.r.l.s. ha domandato l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 13502 del 9 novembre 2023 con la quale il Comune di Palermo ha disposto la chiusura per 5 giorni consecutivi dell'esercizio di somministrazione alimenti e bevande denominato AMAZING SUSHI BAR dalla medesima società gestito per l'accertata violazione dell'art. 6, comma 5, della d.C.c. 435/2015 (ossia del "Regolamento sullo sviluppo sostenibile ai fini della convivenza tra le funzioni residenziali e le attività di esercizio pubblico e svago nelle aree private, pubbliche e demaniali"), secondo cui "In ogni caso, altresì, l'attività musicale svolta all'interno del pubblico esercizio o locale di pubblico spettacolo con impianti elettroacustici di amplificazione e diffusione sonora, comunque intesi, ancorché conformi alla normativa, in nessun modo può avere proiezioni acustiche all'esterno".
Con sentenza n. 335/2024 pubblicata il 29 gennaio 2024 e pronunciata in forma semplificata, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., all'esito della camera di consiglio del 10 gennaio 2024 fissata per la trattazione dell'istanza cautelare proposta dalla predetta società ricorrente il T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, Sez. III, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, spettando il sindacato sulla controversia al giudice ordinario.
Secondo quanto, infatti, sostenuto dal T.A.R. anche in altre pronunce (cfr. T.A.R.S., Palermo, Sez. III, sent. 24 novembre 2023, n. 3521), le sanzioni amministrative irrogate per la violazione del regolamento del Comune di Palermo, di cui alla d.C.c. n. 435/2015, rientrano nel novero delle sanzioni amministrative accessorie previste dall'art. 20 l. 24 novembre 1981, n. 689, la cui cognizione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.
Con il proposto appello si lamenta l'erroneità della decisione del T.A.R. poiché: a) la sanzione amministrativa in questione non potrebbe ritenersi accessoria ai sensi dell'art. 20 l. n. 689/1981; b) la sanzione in questione sarebbe esplicativa di un potere discrezionale a fronte del quale si configurano interessi legittimi e non diritti soggettivi; c) a favore dell'affermazione in questi casi della giurisdizione del giudice amministrativo vi sarebbero già autorevoli precedenti (Cass. civ., Sez. un., 4 aprile 2016, n. 6461; C.d.S., Sez. V, 11 aprile 2022, n. 2692).
Si costituiva in giudizio la Questura di Palermo opponendosi all'accoglimento dell'appello in quanto infondato.
Con memoria depositata il 14 giugno 2024 l'appellante replicava alle difese avversarie, insistendo nell'accoglimento dell'appello.
Nella camera di consiglio del 27 giugno 2024 il Collegio, dopo avere udito i procuratori delle parti presenti, tratteneva l'appello in decisione.
DIRITTO
1. L'appello è fondato.
1.1. Come noto, ogni potere amministrativo deve soddisfare il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto.
Il che non consente «l'assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l'effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (Corte cost., sent. n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentt. n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982).
Non è, dunque, sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa (Corte cost., n. 115/2011).
Il che, quindi, non implica la legittimità soltanto di poteri rigidamente vincolati in ogni loro aspetto, in ragione dell'impossibilità per il legislatore di prevedere e valutare a priori ogni possibile sviluppo ed implicazione o riflesso tanto per l'interesse pubblico perseguito, quanto per gli interessi pubblici e privati eventualmente coinvolti dall'esercizio di un determinato potere.
Donde, la legittima facoltà per il legislatore di riconoscere alla competente autorità amministrativa margini di operatività, più o meno ampi, idonei a consentire una corretta calibrazione del potere esercitato in base alle peculiarità del caso concreto, nell'ottica del migliore soddisfacimento dell'interesse pubblico da soddisfare. E poiché spesso l'agire autoritativo dell'Amministrazione coinvolge interessi (pubblici e privati) anche confliggenti di non agevole, né (a volte) prevedibile composizione a livello normativo, le leggi attributive disciplinanti poteri pubblici solitamente riconoscono alle autorità competenti una certa discrezionalità in relazione a quei profili dell'esercizio del potere (ed ossia l'an, il quid, il quomodo, il quando) sui quali è opportuno demandare ad una valutazione caso per caso il suo concreto determinarsi.
Nell'ambito, quindi, di un settore contraddistinto dall'accoglimento del principio di legalità in senso forte (Corte cost., n. 115/2011), in cui cioè la legge deve determinare tutti gli aspetti fondamentali dell'esercizio del potere in modo da mantenere costantemente una pur elastica copertura legislativa dell'azione amministrativa, devono ritenersi sussistenti margini di discrezionalità implicanti valutazioni di opportunità presupponenti un contemperamento degli interessi pubblici ed eventualmente anche privati coinvolti, ogniqualvolta il legislatore non vincoli l'agire autoritativo dell'Amministrazione in tutti i suoi aspetti, dovendosi seguire, quindi, il criterio interpretativo secondo cui ubi lex noluit tacuit.
Può, dunque, affermarsi che, in linea di principio, il potere pubblico amministrativo è discrezionale, salvo che non risulti diversamente dalla norma che lo prevede o che ne regolamenta l'esercizio.
1.2. Diversa dalla discrezionalità amministrativa è, poi, la c.d. discrezionalità tecnica che, come noto, rileva (a monte) sul diverso piano della verifica dei presupposti normativamente previsti per l'esercizio del potere (discrezionale o vincolato che sia), allorché il relativo accertamento presupponga l'applicazione di una regola tecnica dai concetti indeterminati o, comunque, suscettibili di apprezzamenti opinabili financo implicanti l'attribuzione di un giudizio di valore (C.d.S., Sez. IV, 19 ottobre 2007, n. 5468).
1.2.1. L'opinabilità, infatti, è altro rispetto all'opportunità. Sul punto basti considerare che la prima rileva nell'ambito della valutazione di fatti suscettibili di vario apprezzamento costituenti presupposto del potere esercitato, e quindi presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo emanato dall'Autorità amministrativa competente, mentre la seconda opera in un momento successivo, traducendosi in una scelta fra interessi contrapposti una volta già ritenuti sussistenti i presupposti per l'esercizio di quel potere.
Se, dunque, la discrezionalità tecnica concerne (a monte) i presupposti del potere, la discrezionalità amministrativa (o pura), invece, riguarda le modalità (a valle) di esercizio del potere, identificabile nella normativamente riconosciuta (in modo espresso o implicito) facoltà di scelta tra più soluzioni possibili, in ordine all'an o al quid o al quomodo o al quando o a tutti o soltanto ad alcuni dei predetti profili dell'agire autoritativo.
1.3. Il potere nell'occasione esercitato rinviene il suo fondamento nell'art. 3, commi 16 e 17, l. n. 94/2009 secondo cui: "16. Fatti salvi i provvedimenti dell'autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall'articolo 633 del codice penale e dall'articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l'immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell'esercizio fino al pieno adempimento dell'ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni. // 17. Le disposizioni di cui al comma 16 si applicano anche nel caso in cui l'esercente ometta di adempiere agli obblighi inerenti alla pulizia e al decoro degli spazi pubblici antistanti l'esercizio".
1.3.1. Come è agevole evincere dal tenore testuale delle richiamate disposizioni normative, la legge riconosce al Sindaco, per quanto di interesse in questa sede, un potere chiaramente discrezionale, prevedendo la facoltà e non la doverosità di disporre la chiusura dell'esercizio commerciale in caso di violazione degli obblighi inerenti alla pulizia ed al decoro degli spazi pubblici da parte dell'esercente.
Il Sindaco, infatti, in questi casi "può" e non "deve" irrogare la predetta sanzione amministrativa.
Inoltre, quand'anche ritenga di doverla irrogare, il Sindaco può determinare anche la durata della sanzione, con l'unico limite imposto dalla legge in ordine alla durata minima, non potendo disporsi la chiusura dell'esercizio per un periodo inferiore a 5 giorni.
Il potere in esame è, dunque, discrezionale sia nell'an che nel quantum (vale a dire, il quomodo delle sanzioni amministrative).
Donde, in linea di principio, l'affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo secondo il criterio del petitum sostanziale concepito e seguito dalla giurisprudenza sin dal c.d. "concordato del 1930" tra Corte di cassazione (Sez. un. del 15 luglio 1930, n. 2680) e Consiglio di Stato (Ad. plen., 14 giugno 1930, n. 1, e 28 giugno 1930, n. 2), in ragione della qualificazione quale interesse legittimo della posizione giuridica soggettiva di colui il quale sia destinatario, come nella circostanza, di un provvedimento amministrativo esplicativo dell'esercizio di un potere discrezionale.
Né a differente conclusione può pervenirsi in virtù della regolamentazione locale del predetto potere disposta dal Sindaco del Comune di Palermo.
Con l'ordinanza sindacale del 1° dicembre 2015, n. 328, infatti, il Sindaco ha ritenuto che la violazione dell'art. 6, comma 5, della d.C.c. 435/2015 (ossia del "Regolamento sullo sviluppo sostenibile ai fini della convivenza tra le funzioni residenziali e le attività di esercizio pubblico e svago nelle aree private, pubbliche e demaniali"), secondo cui "In ogni caso, altresì, l'attività musicale svolta all'interno del pubblico esercizio o locale di pubblico spettacolo con impianti elettroacustici di amplificazione e diffusione sonora, comunque intesi, ancorché conformi alla normativa, in nessun modo può avere proiezioni acustiche all'esterno", integra gli estremi di una condotta gravemente lesiva del decoro cittadino e, pertanto, deve essere sanzionata ai sensi dell'art. 3, comma 17, l. n. 94/2009 con la chiusura dell'esercizio da parte del S.U.A.P. per un periodo non inferiore a cinque giorni, oltre che con la sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra un minimo di euro 25,00 ed un massimo di euro 500,00 già prevista dall'art. 8 della citata d.C.c. 435/2015.
Il Sindaco ha, dunque, regolamentato in via generale l'esercizio del potere di cui all'art. 3, comma 17, l. n. 94/2009, prevedendo la doverosa irrogazione della sanzione amministrativa ivi contemplata da parte del S.U.A.P. (ossia dell'ufficio all'uopo espressamente delegato con la predetta ordinanza sindacale) in caso di violazione dell'art. 6, comma 5, della d.C.c. 435/2015, così vincolando il potere in questione in relazione al profilo dell'an ma non anche con riguardo a quello del quantum che rimane ancora discrezionale e che implica la qualificazione in termini di interesse legittimo della posizione giuridica soggettiva degli esercenti attinti da provvedimento di chiusura del loro esercizio commerciale, con la conseguente e, quindi, persistente affermazione sulle relative controversie della giurisdizione del giudice amministrativo in ragione del richiamato criterio generale di riparto della giurisdizione fondato sul c.d. petitum sostanziale.
Né, peraltro, può affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario in ragione dell'asserita natura "accessoria" che contraddistinguerebbe la sanzione in questione, essendo siffatta tesi smentita sia dal diritto positivo che dalle peculiarità caratterizzanti la sanzione stessa.
Il T.A.R., invero, ritiene che il sistema sanzionatorio definito dal Comune di Palermo sarebbe contraddistinto da: «(a) un divieto (la diffusione sonora esterna in ore notturne); (b) una sanzione principale (il sequestro amministrativo dell'apparecchiatura musicale, ex art. 13 l. n. 689/1981); (c) una sanzione accessoria (la chiusura dell'attività per almeno cinque giorni, ex art. 3, comma 17, l. n. 94/2009)».
Ma il Collegio osserva che: 1) il potere di cui all'art. 3, comma 17, l. n. 94/2009 è disciplinato da una normativa differente rispetto alla l. n. 689/1981; 2) è attribuito alla competenza del Sindaco, anziché rientrare tra le attribuzioni dei dirigenti, ai quali di regola compete l'esercizio della potestà sanzionatoria; 3) soprattutto, la legge istitutiva del potere sanzionatorio in esame, ossia l'art. 3, commi 16 e 17, l. n. 94/2009, non si esprime affatto in termini di accessorietà, non qualificando la chiusura dell'esercizio commerciale come sanzione accessoria rispetto alla sanzione amministrativa pecuniaria irrogata con l'ordinanza-ingiunzione che - in tesi opposta - dovrebbe costituire la sanzione principale (affinché la chiusura ne possa essere considerata quale accessoria ex art. 20 l. n. 689/1981); 4) ciò è significativamente confermato dal fatto che, sul piano economico, il rapporto di accessorietà ritenuto sussistente dal T.A.R. risulta invertito, considerato che i riflessi economici della chiusura di un esercizio commerciale e del danno in termini di possibile perdita dell'avviamento implica di regola un pregiudizio per l'esercente ben più rilevante della sanzione amministrativa pecuniaria di cui all'art. 8 d.C.c. n. 435/2015, compresa tra un minimo di euro 25,00 e un massimo di euro 500,00, che in tesi opposta dovrebbe costituire la sanzione principale.
Siffatti elementi inducono a ritenere che quella in questione non possa, dunque, definirsi quale sanzione "accessoria" ai sensi dell'art. 20 l. n. 689/1981 rispetto a quella pecuniaria che dovrebbe identificarsi come "principale", con conseguente confutazione della motivazione addotta dal T.A.R. a fondamento della decisione di declinare la giurisdizione sul contenzioso in esame.
Invero, che sulle controversie aventi a oggetto la sanzione amministrativa della chiusura degli esercizi commerciali ai sensi dell'art. 3 l. n. 94/2009 sussista la giurisdizione del giudice amministrativo si è espressa anche la Corte di cassazione a Sezioni unite, precisando che in tema di occupazione abusiva di suolo pubblico, l'art. 3, comma 16, della l. n. 94 del 2009, stabilendo che il sindaco "può" - e non "deve" - ordinare il ripristino dello stato dei luoghi e la chiusura dell'esercizio commerciale, gli attribuisce un potere discrezionale, che incide su interessi legittimi, sicché l'impugnazione dell'ordinanza è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo (Cass., Sez. un., 4 aprile 2016, n. 6461).
In tal senso si è pronunciato anche il Consiglio di Stato, il quale ha chiarito che «In via preliminare sussiste la giurisdizione del G.A. sulla sola chiusura disposta ai sensi del citato art. 3 della l. n. 94 del 2009 (così Cass. civ., 4 aprile 2016, n. 6461, secondo cui: In tema di occupazione abusiva di suolo pubblico, l'art. 3, comma 16, della l. n. 94 del 2009, stabilendo che il sindaco "può" - non "deve" - ordinare il ripristino dello stato dei luoghi e la chiusura dell'esercizio commerciale, gli attribuisce un potere discrezionale, che incide su interessi legittimi, sicché l'impugnazione dell'ordinanza è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo). // Dunque la parcellizzazione delle rispettive iniziative giurisdizionali (multa pecuniaria davanti al G.O. e ordine di chiusura davanti al G.A.) costituisce pratica processuale comunemente assecondata dalla giurisprudenza» (C.d.S., Sez. V, 11 aprile 2022, n. 2692).
L'esclusione, per le ragioni esposte, del carattere di accessorietà (ex art. 20 cit.) della sanzione qui controversa rispetto a quella pecuniaria implica (naturalmente solo per la prima) la sussistenza della presente giurisdizione, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado.
Sussistendo la giurisdizione del giudice amministrativo l'appello è fondato e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.
2. Le spese del doppio grado di giudizio sin qui svolto seguono la soccombenza e, avuto riguardo ai parametri di cui al d.m. 55/2014, aggiornati dal d.m. 37/2018 prima e poi dal d.m. 147/2022, nonché all'attività difensiva svolta dalle parti, si liquidano, a carico delle Amministrazioni appellate in solido tra loro, in euro 2.000,00, oltre spese generali, C.P.A. e I.V.A. come per legge, in favore dell'appellante.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sezione giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la sussistenza della giurisdizione amministrativa annullando la sentenza impugnata e rimettendo la causa al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sede di Palermo.
Condanna le Amministrazioni appellate, in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali del doppio grado di giudizio fin qui svolto, che liquida in euro 2.000,00 oltre spese generali, C.P.A. e I.V.A., come per legge, con rifusione del c.u. per il presente appello se versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Sicilia, sez. III, sent. n. 335/2024.