Corte di cassazione
Sezione V civile (tributaria)
Ordinanza 17 ottobre 2024, n. 26995

Presidente: Perrino - Relatore: Lo Sardo

RILEVATO CHE

1. il Ministero dell'economia e delle finanze ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia l'8 aprile 2021, n. 1418/13/2021, la quale - in controversia avente ad oggetto l'impugnazione dell'irrogazione della sanzione amministrativa per l'omesso pagamento del contributo unificato dovuto (in misura doppia) ex art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in dipendenza della soccombenza nel giudizio definito dalla sentenza depositata dalla Sezione tributaria di questa Corte il 19 gennaio 2018, n. 1312, con la conferma (e l'irrevocabilità) della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia il 27 settembre 2012, n. 146/36/2012 - aveva rigettato l'appello proposto dal medesimo nei confronti di Giovanni Battista P. avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano il 25 novembre 2019, n. 4962/13/2019, con compensazione delle spese giudiziali;

2. la Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di prime cure - che aveva accolto il ricorso originario - sul presupposto che il raddoppio del contributo unificato a carico del soccombente fosse precluso nel giudizio tributario (anche dinanzi al giudice di legittimità) e che, inoltre, la sua natura afflittiva escludesse l'irrogazione di ulteriori sanzioni;

3. Giovanni Battista P. ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO CHE

1. il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 13, 16 e 248 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l'imposizione del c.d. "doppio contributo unificato" a carico del soccombente non fosse consentita nel giudizio tributario (neanche dinanzi al giudice di legittimità), risolvendosi in un'ulteriore sanzione sulla sanzione in violazione del principio del ne bis in idem;

2. il motivo è fondato;

2.1. secondo l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115: «Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis»;

2.2. ora, nel dichiarare l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 [recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)»], in riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost., la Corte costituzionale ha specificamente chiarito che la norma censurata «fa riferimento esclusivamente a quanto dovuto a titolo di contributo unificato nel processo civile, mentre quello tributario è disciplinato dal successivo comma 6-quater, non richiamato dalla norma censurata» (Corte cost., 2 febbraio 2018, n. 18), avendo precedentemente precisato che: «Quanto alla determinazione del contributo, l'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce criteri diversi per il processo civile, amministrativo e tributario. Nel primo, per la quantificazione del contributo - come determinato dai primi sei commi del predetto art. 13 - vengono in rilievo sia la materia che il valore della controversia; nel secondo - disciplinato dal comma 6-bis del medesimo articolo - è stato adottato il criterio della differenziazione per materia; nel processo tributario - per i ricorsi davanti alle commissioni tributarie - il successivo comma 6-quater stabilisce importi crescenti per scaglioni di valore delle liti» (Corte cost., 7 aprile 2016, n. 78);

2.3. secondo l'orientamento di questa Corte, a cui il collegio ritiene di dare continuità in questa sede, in linea con l'esegesi delineata dal giudice delle leggi, il citato art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sull'obbligo di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nell'ipotesi di infondatezza o inammissibilità dell'impugnazione, non trova applicazione ai giudizi tributari, trattandosi di misura eccezionale, la cui operatività deve, pertanto, essere circoscritta al processo civile; tale misura è, invece, applicabile al giudizio di legittimità, stante la sua natura di ordinario processo civile, disciplinato dal codice di rito ed avente ad oggetto l'impugnazione della pronuncia della Commissione tributaria regionale (in termini: Cass., Sez. 6-5, 27 luglio 2018, n. 20018; Cass., Sez. 6-5, 2 ottobre 2018, n. 23980; Cass., Sez. 6-5, 10 maggio 2019, n. 12594; Cass., Sez. 6-5, 27 ottobre 2021, n. 30217; Cass., Sez. 5, 15 settembre 2022, n. 27243; Cass., Sez. 5, 26 maggio 2023, n. 14699; Cass., Sez. 5, 1° settembre 2023, n. 25612; Cass., Sez. 5, 25 marzo 2024, n. 8019); in tal senso, può considerarsi anche il generale rinvio alle norme del codice di procedura civile contenuto nell'art. 1, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che ne consente l'applicazione anche al processo tributario, per quanto non disposto dalle relative disposizioni e nei limiti della compatibilità con le stesse, dell'unicità della disciplina del giudizio di cassazione, applicabile anche al processo tributario, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 62, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., Sez. un., 13 dicembre 2023, n. 34851); per cui, il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del citato art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non ha connotazioni di "specialità", come è confermato anche dall'art. 261 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che, in materia di contributo unificato, prevede, con specifico riferimento al processo tributario (nell'ambito del titolo V, contenente "Disposizioni relative al processo tributario", della parte VIII, comprendente "Disposizioni speciali per il processo amministrativo, contabile e tributario"), che: «Al ricorso per cassazione e al relativo processo si applica la disciplina prevista dal presente testo unico per il processo civile» (Cass., Sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053);

2.4. tale interpretazione è fondata sulla disciplina dedicata dal t.u. sulle spese di giustizia al contributo unificato in materia di processo tributario; invero, il comma 6-quater dell'art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, prevede i diversi importi del contributo unificato in misura crescente per scaglioni di valore con riguardo a «i ricorsi principale ed incidentale proposti avanti le Commissioni tributarie provinciali e regionali», senza prendere in specifica considerazione i ricorsi proposti avanti la Corte di cassazione per l'impugnazione delle sentenze emanate dai giudici tributari, che, in forza del rinvio disposto dall'art. 261, sono contemplati dal comma 1-bis del medesimo art. 13 (in tema di «[processi dinanzi alla Corte di cassazione - n.d.r.]»), nell'ambito della disciplina generale dei processi civili, che è racchiusa nella sequenza sistematica dei commi da 1 a 6 del medesimo art. 13;

2.5. peraltro, secondo l'orientamento delle Sezioni unite di questa Corte, il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del comma 1-quater dell'art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non ha natura sanzionatoria, ma di tributo giudiziario, in quanto presuppone l'obbligo di versamento del "primo" contributo unificato, così partecipando della sua stessa natura di fonte di finanziamento dell'attività giurisdizionale, assolvendo all'ulteriore funzione della fiscalità di disincentivare una superflua richiesta di prestazioni giudiziarie (in termini: Cass., Sez. un., 17 luglio 2023, n. 20621 - nello stesso senso, tra le tante: Cass., Sez. 5, 5 aprile 2024, n. 9107; Cass., Sez. 5, 6 settembre 2024, n. 24069; Cass., Sez. 5, 9 settembre 2024, n. 24236);

2.6. ne deriva che la sentenza impugnata si è discostata da tale principio con l'espresso richiamo ai precedenti di questa Corte che escludono l'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in ragione della "specialità" del giudizio tributario, non avendo tenuto conto della natura di processo civile che contrassegna l'impugnazione delle sentenze dei giudici tributari dinanzi alla Corte suprema di cassazione, in ragione della disciplina unitaria del relativo giudizio;

2.7. pertanto, al solo scopo di consolidare e rinsaldare tale interpretazione, il collegio ritiene di formulare il seguente principio di diritto: «In materia di contributo unificato nel processo tributario, il raddoppio disposto dall'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per l'ipotesi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione principale o incidentale, si applica in via esclusiva ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione, in forza del rinvio del successivo art. 261 (in tema di "Spese processuali nel processo tributario dinanzi alla Corte di cassazione") alla disciplina prevista dal medesimo decreto per il processo civile, dovendo escludersene, invece, l'estensione ai giudizi dinanzi alle Commissioni tributarie regionali (ora, alle Corti di giustizia tributaria di secondo grado) in assenza di un esplicita previsione nella disciplina riservata al processo tributario dall'art. 13, comma 6-quater, del medesimo decreto»;

2.8. da ultimo, il controricorrente contesta che la «sequenza procedimentale» ex artt. 16 e 248 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sia applicabile «in via analogica» al procedimento di liquidazione e riscossione dell'ulteriore importo derivante dal raddoppio del contributo unificato in sede di pronuncia di inammissibilità, improcedibilità o rigetto dell'impugnazione, «in considerazione della natura speciale ed eccezionale della disposizione introduttiva della misura», giacché - a suo dire - l'insorgenza dell'obbligazione a carico della parte soccombente con il deposito della sentenza esclude che si debba procedere all'autoliquidazione ed al versamento, come nel caso della costituzione in giudizio ex art. 14 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115; per cui, nell'ipotesi di omesso o tardivo adempimento, si deve procedere all'iscrizione a ruolo senza l'irrogazione di sanzioni amministrative;

2.9. pervenendo alla conclusione che il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del comma 1-quater dell'art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non ha natura sanzionatoria, ma di tributo giudiziario, in quanto presuppone l'obbligo di versamento del "primo" contributo unificato, così partecipando della sua stessa natura di fonte di finanziamento dell'attività giurisdizionale ed assolvendo all'ulteriore funzione della fiscalità di disincentivare una superflua richiesta di prestazioni giudiziarie (Cass., Sez. un., 17 luglio 2023, n. 20621), le Sezioni unite di questa Corte hanno argomentato che: «Non spetta al giudice civile, al fine di rendere l'attestazione di cui al comma 1-quater dell'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, accertare la debenza del contributo unificato iniziale, che poi costituisce altresì il fatto costitutivo di diritto sostanziale tributario dell'obbligo di versare il suo duplicato. Spetta, piuttosto, al giudice civile dell'impugnazione verificare la sussistenza del fatto costitutivo di diritto processuale attinente alla conformità della decisione resa al modello legale della pronuncia di integrale rigetto, di inammissibilità o di improcedibilità del gravame. Poiché l'obbligo di versare il raddoppio è normativamente dipendente dalla sussistenza dell'obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il giudice civile dell'impugnazione nell'attestazione di sussistenza dei presupposti processuali condiziona il primo all'esistenza dell'altro: egli deve rendere l'attestazione che il comma 1-quater gli affida anche nel caso in cui il primo importo non sia stato versato per una causa diversa da quella legata alla assoluta e definitiva esenzione da esso stabilita dalla legge» (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. un., 17 luglio 2023, n. 20621);

2.10. ne consegue che l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non impone al giudice civile di dichiarare, oltre alla ricorrenza di un caso di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione, anche se la parte, in dipendenza di tale esito, sia in concreto tenuta al versamento del contributo, essendo tale accertamento rimesso all'amministrazione giudiziaria e, quindi, al funzionario di cancelleria (Cass., Sez. 3, 24 ottobre 2018, n. 26907); da qui l'affermazione del principio che la debenza dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato (c.d. "doppio contributo") pari a quello dovuto per l'impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall'adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell'attestazione resa dal giudice dell'impugnazione ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell'obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all'amministrazione giudiziaria (Cass., Sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315);

2.11. dunque, anche in caso di raddoppio, si tratta sempre del medesimo tributo, il cui ammontare è commisurato al corrispondente scaglione di valore della causa (art. 14 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), a prescindere dal momento della sua percezione (cioè, sia in occasione dell'iscrizione della causa a ruolo, che in occasione della decisione in senso sfavorevole dell'impugnazione);

2.12. in definitiva, l'obbligo di corresponsione di un ulteriore importo del contributo unificato è "normativamente condizionato" alla debenza del contributo unificato iniziale e può sorgere solo a condizione che tale contributo sia dovuto: la debenza del contributo unificato iniziale costituisce, dunque, il presupposto sostanziale della debenza del raddoppio; ora, la debenza del contributo unificato iniziale dipende dalla ricorrenza di una serie composita di fattori, del tutto indipendenti dall'esito del giudizio di impugnazione, che possono essere di tipo "oggettivo" o di tipo "soggettivo", di carattere "positivo" o di carattere "negativo"; in ogni caso, l'accertamento di tali complessi fattori, dai quali dipende la debenza del contributo unificato iniziale, compete, per sua natura, alla pubblica amministrazione, in persona del funzionario di cancelleria addetto all'ufficio del giudice presso il quale è stata proposta l'impugnazione; e tale accertamento vale ex se anche ai fini della debenza del raddoppio del contributo, che - come si è detto - è normativamente dipendente dalla debenza del contributo unificato iniziale (Cass., Sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315);

2.13. l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, chiama il giudice ad attestare di aver adottato una decisione qualificabile come pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell'impugnazione, alla quale consegue in astratto il raddoppio del contributo unificato; la ratio della previsione normativa è quella di sottrarre al funzionario amministrativo il compito di interpretare la sentenza, considerato che, a seconda delle tipologie di impugnazione, il tenore della decisione - nel suo articolato complesso "motivazione-dispositivo" - potrebbe ingenerare dubbi sulla ricorrenza di una fattispecie di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell'impugnazione; ora, sebbene letteralmente la citata disposizione preveda che il giudice dell'impugnazione deve dare atto «della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente» che determinano il raddoppio del contributo, appare evidente che la legge plus dixit quam voluit; difatti, l'attestazione del giudice può riguardare solo la ricorrenza del "presupposto processuale" che determina in astratto il raddoppio del contributo (ossia l'aver adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell'impugnazione); ma non può riguardare la sussistenza dell'altro presupposto richiesto dalla predetta norma, costituito dalla debenza del contributo unificato iniziale, il cui accertamento compete in via esclusiva all'amministrazione giudiziaria e, in caso di contestazione, alla giurisdizione tributaria; dunque, come il giudice civile non può accertare la debenza del contributo unificato iniziale e - ove sorga contestazione - la relativa questione va risolta nell'ambito di un apposito giudizio da instaurarsi dinanzi al giudice tributario con la necessaria partecipazione del Ministero della giustizia (titolare della pretesa tributaria), così il medesimo giudice non può provvedere all'accertamento in concreto della debenza della doppia contribuzione, essendo questa logicamente e giuridicamente conseguente alla prima; ed allora, l'attestazione del giudice dell'impugnazione ha la funzione ricognitiva della sussistenza di uno soltanto dei presupposti previsti dalla legge, quello di carattere "processuale" attinente al tipo di pronuncia adottata; di contro, rimane affidato all'amministrazione giudiziaria il compito di accertare in concreto la sussistenza degli altri presupposti dai quali dipende la debenza in concreto della doppia contribuzione; cosicché, se è vero che l'obbligo del pagamento «sorge al momento del deposito» del provvedimento che respinge integralmente o dichiara inammissibile o improcedibile l'impugnazione, il detto obbligo sorge a condizione che sussistano gli altri presupposti richiesti dalla legge per l'insorgere del debito tributario, da accertarsi a cura dell'amministrazione giudiziaria (Cass., Sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315);

2.14. peraltro, è significativo che il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, contenga una disciplina unitaria ed uniforme in materia di riscossione del contributo unificato (titolo VII della parte VII), senza prevedere alcuna distinzione tra l'importo "iniziale", da versare al momento dell'introduzione, e l'importo "ulteriore", da versare al momento della definizione (in senso sfavorevole) del giudizio di impugnazione; distinzione che, viceversa, sarebbe stata necessaria ove il legislatore avesse ritenuto di variare le modalità di recupero del contributo unificato in relazione alle peculiarità delle diverse fasi in cui l'obbligo di versamento insorge; né rileva che il lessico normativo sia stato calibrato sul momento dell'iscrizione a ruolo del procedimento, trattandosi dell'ipotesi ordinaria e fisiologica di pagamento del contributo unificato, che prescinde dal grado e dall'esito del giudizio;

2.15. ne discende che anche l'accertamento dell'obbligo di pagare il doppio contributo unificato - in stretta correlazione con l'accertamento dell'obbligo di pagare il contributo unificato iniziale - spetta soltanto all'amministrazione giudiziaria, e quindi al funzionario di cancelleria; in ragione di tale collegamento, anche in caso di omesso o insufficiente pagamento del raddoppio del contributo unificato, il procedimento di accertamento, liquidazione e riscossione è sempre disciplinato dagli artt. 15, 16 e 248 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, precisandosi che il riferimento ivi contenuto al «deposito dell'atto cui si collega il pagamento (...) del contributo» per la comunicazione dell'invito al pagamento deve essere rapportato al deposito del provvedimento con cui «il giudice dà atto (...) della sussistenza dei presupposti» (rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) e da cui «l'obbligo di pagamento sorge» ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la ulteriore conseguenza dell'applicabilità della sanzione amministrativa prevista dall'art. 71 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (esclusa la detrazione ivi prevista), ai sensi dell'art. 16, comma 1-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115;

2.16. pertanto, per una maggior chiarezza dei principi già enunciati, il collegio valuta di formulare il seguente principio di diritto: «In materia di contributo unificato, anche in caso di omesso o insufficiente pagamento del raddoppio disposto dall'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il procedimento di accertamento, liquidazione e riscossione è sempre disciplinato dagli artt. 15, 16 e 248 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per cui l'ufficio del giudice dinanzi al quale è stata proposta l'impugnazione è deputato a notificare alla parte soccombente l'invito al pagamento dell'«ulteriore importo» dovuto (in base al valore della causa) entro trenta giorni dal deposito del provvedimento con cui «il giudice dà atto (...) della sussistenza dei presupposti» (rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) e da cui «l'obbligo di pagamento sorge», con l'espressa avvertenza che si procederà ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, e all'irrogazione della sanzione amministrativa prevista dall'art. 71 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (esclusa la detrazione ivi prevista), in caso di mancato pagamento entro un mese»;

3. pertanto, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, che esaminerà le questioni rimaste assorbite e liquiderà le spese, anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia di secondo grado della Lombardia.