Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
Sezione III
Sentenza 4 dicembre 2024, n. 3330

Presidente: Valenti - Estensore: Bonfiglio

FATTO E DIRITTO

1. Con l'atto introduttivo del giudizio le ricorrenti hanno premesso di essere le attuali proprietarie di un immobile nel territorio di Bagheria (frazione di Aspra) via Andrea Scordato n. 75, realizzato in assenza di regolare titolo edilizio; fabbricato costruito dai loro genitori su terreno di proprietà esclusiva della madre, sig.ra Giacoma C. (oggi scomparsa) la quale ne ha trasferito in parte la proprietà alle figlie mercé atto di donazione del 14 settembre 1989, trascritto al R.G. generale n. 19458 ed al R.G. particolare n. 6370. La parte restante del suddetto fabbricato è stata acquistata dalle ricorrenti in un secondo tempo, in forza di successione legittima della madre. Le germane B. hanno aggiunto che al fine di regolarizzare la situazione urbanistico/edilizia dell'immobile era stata presentata dai loro genitori una prima richiesta di condono edilizio, a cui hanno fatto seguito altre quattro istanze, esattamente una prima istanza presentata congiuntamente dalle odierne ricorrenti per il condono delle parti comuni dello stabile; nonché altre tre istanze presentate singolarmente dalle B. in relazione alle tre frazioni di piano del fabbricato in discorso. Invero ciascuna delle sorelle B. ha la proprietà esclusiva di una delle suddette frazioni di piano. Il Comune competente per territorio, nell'esitare favorevolmente le superiori richieste, ha subordinato tuttavia il rilascio del titolo edilizio in sanatoria al nulla osta paesaggistico (da esitare ai sensi dell'art. 167 d.lgs. n. 42/2004, recante il codice beni culturali) da parte della competente Soprintendenza bb.cc.aa. Detto parere è stato in effetti rilasciato, con irrogazione contestuale delle sanzioni seguenti: a) pagamento di euro 12.004,73 a carico di B. Giuseppa Maria (in relazione all'unità abitativa accatastata al foglio 7, particella 1043, sub 8); b) pagamento di euro 11.806,06 a carico di B. Caterina (unità abitativa foglio 7, particella 1043, sub 4); c) pagamento di euro 11.806,06 a carico di B. Angela Rita (unità abitativa foglio 7, particella 1043, sub 5); d) pagamento di euro 29.408,85 in solido a carico delle predette, per le parti d'immobile ancora indivise e ricevute iure hereditario (unità abitative di cui al foglio 7, particella 1043, sub nn. 11, 12, 13, 14, 16). Dopo aver richiesto inutilmente l'annullamento in autotutela dell'atto soprintendizio nei punti relativi all'irrogazione delle superiori sanzioni, le signore B. hanno adito questo Tribunale, deducendone l'illegittimità per i motivi seguenti:

I) violazione di legge, esattamente dell'art. 7 l. n. 689/1981;

II) eccesso di potere per travisamento dei fatti;

III) violazione di legge;

IV) violazione di legge, esattamente dell'art. 8 l. n. 689/1981.

Nello specifico, con il primo motivo di ricorso è stata lamentata la violazione della l. n. 689/1981 ed in particolare del suo art. 7, nel punto in cui vieta la trasmissione agli eredi delle sanzioni amministrative pecuniarie. Stante il suddetto divieto, il provvedimento gravato sarebbe da considerare illegittimo e meritevole di annullamento per avere irrogato delle sanzioni amministrative pecuniarie a dei soggetti non autori materiali dell'illecito paesaggistico. Invero le germane B. hanno appreso la natura abusiva del fabbricato oggetto dei fatti di causa soltanto al momento della devoluzione dell'eredità materna. Di talché le medesime devono essere considerate alla stregua di un proprietario "incolpevole" dell'abuso edilizio, avendo fatto legittimamente affidamento, fino a quel momento, sulla regolarità urbanistico/edilizia dell'immobile. Pertanto non avrebbero potuto essere irrogate delle sanzioni a loro carico. Con il secondo motivo di gravame, invece, è stato dedotto in linea di subordine che nessuna sanzione era irrogabile nei confronti delle ricorrenti visto il legame stringente che avvince le figure del destinatario delle sanzioni edilizie, da un canto e della parte richiedente la regolarizzazione del fabbricato abusivo, dall'altro. Soltanto quest'ultimo, secondo quanto prospettato dalle B., può essere legittimamente ritenuto destinatario del provvedimento sanzionatorio. Nel caso di specie una corretta ricostruzione dei fatti di causa avrebbe dovuto portare l'Amministrazione intimata ad individuare nel padre (purtroppo anch'egli scomparso) delle B. il "vero" destinatario delle sanzioni amministrative pecuniarie, dal momento che era stato il medesimo a presentare la prima richiesta di regolarizzazione edilizia del fabbricato oggetto di lite nella sua qualità di costruttore dell'immobile. La già dedotta intrasmissibilità agli eredi (per effetto dell'art. 7 l. n. 689/1981) avrebbe, poi, impedito la devoluzione in danno delle ricorrenti del relativo debito. Con il terzo motivo è stata lamentata invece la violazione del principio d'irretroattività della legge (di cui agli artt. 25 Cost. e 1 della l. n. 689/1981) causata dall'applicazione di una sanzione prevista dal legislatore soltanto nell'anno 2004 per fatti commessi nel corso degli Anni Settanta. Infine con il quarto motivo di gravame è stata dedotta la violazione della disciplina sul concorso formale degli illeciti amministrativi, di cui all'art. 8 della l. n. 689/1981.

2. Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione soprintendizia ha controdedotto innanzitutto escludendo qualsiasi profilo di legittimo affidamento in favore delle ricorrenti. Le stesse, infatti, erano ben consapevoli fin dall'inizio dell'irregolarità urbanistico/edilizia del fabbricato, tant'è che hanno presentato a titolo personale delle istanze di condono edilizio per le unità immobiliari trasferite in loro favore dalla madre con l'atto di donazione di cui ampiamente sopra. Sugli altri profili di gravame l'Amministrazione ha eccepito l'inapplicabilità della disciplina prevista l. n. 689/1981 alla materia delle sanzioni paesaggistiche, in considerazione della natura di sanzione "reale" (piuttosto che afflittiva) di queste ultime. In merito, poi, al motivo di ricorso pertinente la violazione della regola dell'irretroattività delle sanzioni amministrative la Soprintendenza bb.cc.aa. ha controdedotto ulteriormente, rilevando che al momento dell'adozione dell'atto gravato, l'unica fonte normativa effettivamente rilevante per stabilire la disciplina applicabile ai fatti di causa, vale a dire il codice dei beni culturali, di cui al d.lgs. n. 42/2004, era entrato già in vigore. Sicché nessuna censura di retroattività illegittima può essere mossa sotto questo aspetto al suo operato.

3. All'udienza pubblica del 23 ottobre 2024, ascoltati sia il difensore delle ricorrenti che quello dell'Amministrazione, la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Il ricorso delle signore B. è infondato, di talché deve essere rigettato per le motivazioni che seguono. Innanzitutto la documentazione versata in atti dalle stesse ricorrenti conferma la fondatezza di quanto controdedotto dalla Soprintendenza intimata in merito all'affidamento, che le B. hanno affermato di aver posto sulla regolarità urbanistico/edilizia del loro fabbricato. L'assunto in discorso è irrimediabilmente smentito tuttavia dal fatto, provato documentalmente, che le ricorrenti hanno presentato nel 1986 delle istanze di condono edilizio per le porzioni di piano del fabbricato in proprietà esclusiva; porzioni di cui le B. hanno ricevuto formalmente la proprietà per donazione da parte della madre soltanto nel successivo 1989. In altri termini già molto tempo prima dell'acquisto della signoria dominicale sui beni oggetto di lite le ricorrenti erano consapevoli della natura abusiva e mai sanata del fabbricato realizzato dai loro genitori. Sugli ulteriori profili di gravame, riassumibili sinteticamente nella lamentata violazione delle previsioni della l. n. 689/1981, questo Tribunale condivide e fa proprie le considerazioni che hanno già portato il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ad escludere l'applicabilità di tale fonte normativa agli abusi paesaggistici. La sanzione pecuniaria di cui all'art. 167 d.lgs. n. 42/2004, recante il codice dei beni culturali, ha invero delle peculiarità, che ne impediscono la sussumibilità nel genus delle sanzioni amministrative pecuniarie disciplinate dalla l. n. 689/1981. Infatti l'obbligo del suo pagamento deriva direttamente dalla legge e diviene attuale con l'accertamento positivo della conformità paesaggistica dell'intervento edilizio. Segnatamente l'an della debenza è reso certo al momento della verifica (positiva) di conformità paesaggistica del manufatto. Nondimeno, posto che il relativo credito dell'Amministrazione non è ancora liquido, il medesimo non è esigibile fino all'avvenuta determinazione del quantum debeatur. La quantificazione di tale importo è connotata dalla cura dell'interesse paesaggistico, essendo effettuata in base a una stima nel maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito. L'irrogazione della sanzione in discorso è riconducibile inoltre alla ratio di curare l'ambiente. In tal senso il parametro di quantificazione prescelto dal legislatore non è avulso dalla necessità di superare la prospettiva ripristinatoria, di per sé rinvenibile nella sola riduzione in pristino ed è riconducibile alla necessità di calmierare l'esternalità negativa derivante dalla trasgressione paesaggistica, connessa ad un interesse in parte adespota, anche in relazione alla sua connessione con il valore dell'ambiente e delle esigenze di preservarlo per le generazioni future. Ciò è reso evidente dall'utilizzo delle somme così ricavate per l'esecuzione delle rimessioni in pristino e per finalità di salvaguardia, nonché per interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione degli immobili e delle aree degradati o interessati dalle rimessioni in pristino (vd. il comma 6 dell'art. 167 d.lgs. n. 42/2004) nonché dalla quantificazione della stessa in modo non avulso dalla trasgressione commessa, dal momento che uno dei parametri è costituito dal danno arrecato. In tal senso si può interpretare la condanna pecuniaria in esame come una "sanzione riparatoria alternativa" al ripristino dello status quo ante, con il corollario di ritenere non applicabile la disciplina contenuta nella l. n. 689/1981 e, in particolare, la norma sulla trasmissibilità agli eredi. Il ripristino non deve, infatti, intendersi quale riaffermazione della situazione precedente all'abuso (che l'istituto in esame è volto proprio a superare) ma sta a indicare la finalità di risolvere, pro futuro, l'intervenuta turbativa degli interessi, al fine di presidiare questi ultimi, attraverso la debenza di una somma di denaro commisurata alla maggior somma fra il danno prodotto e le connesse conseguenze profittevoli (cfr. C.G.A.R.S., Sez. giur., sent. 14 giugno 2021, n. 533 ed in senso conforme C.d.S., Sez. VI, sent. 21 dicembre 2020, n. 8171; Sez. II, sent. 30 ottobre 2020, n. 6678; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 10 novembre 2021, n. 2493). Neppure può essere apprezzata favorevolmente la deduzione di parte ricorrente sulla dedotta violazione del principio d'irretroattività della sanzione. Invero anche con riguardo a tale aspetto Il Consiglio di Giustizia Amministrativa ha avuto già modo di chiarire che bisogna fare riferimento al momento di adozione del provvedimento, piuttosto che a quello di commissione dei fatti presupposti, per valutare la disciplina applicabile al caso concreto (cfr. la già citata C.G.A.R.S., Sez. giur., sent. 14 giugno 2021, n. 533, nonché C.G.A.R.S., Sez. giur., sent. 25 febbraio 2021, n. 139). Pertanto l'odierno gravame, incentrato complessivamente su di una lamentata violazione della disciplina prevista dalla l. n. 689/1981, non può che esser giudicato altro che infondato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza. Pertanto sono poste a carico solidale delle ricorrenti e liquidate in euro 2.000,00 oltre rimborso forfettario, IVA e CPA.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente nei sensi di cui alla motivazione al pagamento delle spese di lite, che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.