Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 7 novembre 2024, n. 12309
Presidente: Di Stefano - Estensore: Silvestri
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nola ha applicato la pena di mesi dieci e giorni sei di reclusione nei riguardi di Savina C. per il reato di peculato; il Tribunale ha inoltre applicato, ai sensi dell'art. 317-bis c.p., le pene accessorie della interdizione dai pubblici uffici e del divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di cinque anni.
2. Ha proposto ricorso l'imputata articolando tre motivi.
Il presupposto del ricorso è che il Giudice non avrebbe considerato come la richiesta di applicazione di pena fosse subordinata alla esenzione, ai sensi dell'art. 444, comma 3-bis, c.p.p., dalle pene accessorie previste dall'art. 317-bis c.p.
Il Giudice avrebbe erroneamente ritenuto che il comma 1, secondo periodo, dell'art. 444 c.p.p., secondo cui le parti possono patteggiare, oltre che la pena principale, anche quelle accessorie, avrebbe valenza solo per il c.d. patteggiamento allargato.
Tale tesi, secondo il Tribunale, sarebbe confortata dall'art. 445, comma 1, secondo periodo, e comma 1-ter, c.p.p., che, in caso di patteggiamento a pena non superiore a due anni per i reati contro la pubblica amministrazione, riconosce al giudice il potere discrezionale di infliggere le pene accessorie.
Assume invece l'imputato che detta disposizione, introdotta con la l. 9 gennaio 2019, n. 3, sarebbe stata espressamente mitigata dal medesimo legislatore proprio con la previsione dell'art. 444, comma 3-bis, c.p.p.
2.1. In tale contesto, con il primo motivo si deduce violazione di legge.
Il Giudice, in violazione dell'accordo, avrebbe errato nell'applicare le pene accessorie di cui all'art. 317-bis c.p., sul presupposto che, trattandosi di patteggiamento ordinario, le parti non avrebbero avuto il potere negoziale in relazione alle pene accessorie.
Si sostiene che il legislatore, invece, con la l. n. 3 del 2019 avrebbe riconosciuto la facoltà per il giudice di applicare le pene accessorie e, in particolare, avrebbe previsto:
- all'art. 445 che non si applicano le pene accessorie per le sentenze di condanna ad una pena fino a due anni di reclusione, ad eccezione che per i reati contro la Pubblica amministrazione per i quali, invece, le pene accessorie restano nella discrezionalità del giudice (comma 1-ter dell'art. 445);
- avrebbe previsto all'art. 444 per detti ultimi reati (cioè quelli contro la pubblica amministrazione) il potere della parte di patteggiare anche le pene accessorie e la confisca, lasciando tuttavia al giudice solo la possibilità di rigettare l'accordo (comma 3-bis).
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge.
Pur volendo ritenere che il Giudice abbia il potere di irrogare le pene accessorie disapplicando l'accordo delle parti, il Tribunale avrebbe comunque omesso di motivare, limitandosi a fare riferimento alla pervicacia e alla spregiudicatezza (pag. 5 sentenza), senza tuttavia dare atto di una serie di circostanze.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge.
Con la sentenza impugnata, in violazione dell'art. 444, commi 2 e 3, c.p.p. e del principio di correlazione tra la richiesta e la sentenza, il Tribunale avrebbe applicato le pene accessorie sebbene la richiesta fosse espressamente subordinata alla esenzione di esse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Non è in contestazione che l'accordo intervenuto tra le parti fosse subordinato alla esenzione della applicazione delle pene accessorie (cfr. pag. 2 della sentenza).
3. La Corte di cassazione ha già chiarito come, per effetto dell'art. 1, comma 4, lett. d), della l. n. 3 del 2019, sia stato aggiunto all'art. 444 c.p.p. il comma 3-bis, ai cui sensi, nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis c.p., «la parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l'efficacia all'esenzione dalle pene accessorie previste dall'articolo 317-bis del codice penale ovvero all'estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. In questi casi il giudice, se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l'estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta».
Con l'art. 1, comma 4, lett. e), nn. 1) e 2), della legge indicata, inoltre, il legislatore ha, rispettivamente, modificato il comma 1 dell'art. 445 c.p.p., e introdotto nella stessa norma un nuovo comma 1-ter.
La prima modifica all'art. 445 c.p., incidente sulla disposizione che prevede il beneficio della esenzione dalle pene accessorie per i casi in cui il rito si concluda con l'applicazione di una pena detentiva non superiore ai due anni (cosiddetto "patteggiamento ordinario"), riguarda la specificazione in forza della quale «nei casi previsti dal presente comma è fatta salva l'applicazione del comma 1-ter».
La seconda modifica aggiunge all'art. 445 c.p.p. il comma 1-ter, in cui si stabilisce che «con la sentenza di applicazione della pena di cui all'articolo 444, comma 2, del presente codice per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis del codice penale, il giudice può applicare le pene accessorie previste dall'articolo 317-bis del codice penale».
Quanto all'ambito applicativo della nuova disciplina, non è in contestazione che essa incida sul "patteggiamento ordinario"; in tal senso depone il rinvio all'art. 445, comma 1-ter, contenuto nella clausola aggiunta al comma 1, norma quest'ultima che, come detto, si riferisce alle pene patteggiate di entità non superiore ai due anni di reclusione.
Dunque, per effetto delle modifiche introdotte dalla l. n. 3 del 2019, gli imputati per i reati contro la pubblica amministrazione non si giovano più automaticamente, in caso di "patteggiamento ordinario", del beneficio della esenzione dalle pene accessorie previste dall'art. 317-bis c.p., poiché la valutazione sul punto è ora rimessa al giudice.
In tal senso, si è fatto correttamente notare in dottrina, il primo dato che emerge dalla novellata disposizione normativa è che le modifiche apportate [all']art. 445 c.p.p. incidono su uno dei principali profili di premialità tradizionalmente tipici del patteggiamento ordinario.
Nella versione previgente, come è noto, il principio generale contenuto nell'art. 445, comma 1, c.p.p. era quello del divieto di applicazione delle pene accessorie nei casi in cui la pena applicata fosse contenuta nel limite di due anni di reclusione soli o congiunti a pena pecuniaria.
La nuova clausola di salvezza posta al termine della disposizione in esame, richiamando in modo simmetrico la previsione normativa che ha introdotto il potere del giudice del patteggiamento di decidere, per alcune tipologie di reati contro la pubblica amministrazione, se applicare o meno le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 445, comma 1-ter, c.p.p.), implica che, nei casi ed entro i limiti indicati, l'applicazione delle pene accessorie, da oggetto di un rigido divieto, viene attualmente rimodulata ad opzione decisoria, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.
Si è osservato come, per effetto dell'intervento legislativo, si sia realizzato un sistema obiettivamente mutato in quanto il combinato disposto dei commi 1 e 1-ter dell'art. 445 così come modificati dalla legge in esame implica, infatti, che il giudice "non è più confinato al ruolo di mero veicolo di decisioni - id est, applicazione obbligatoria, nella generalità dei casi; divieto di applicazione, nel caso di patteggiamento ordinario - prese a monte dal legislatore alle quali egli, pertanto, può solo passivamente conformarsi, ma assurge all'inedito ruolo di organo chiamato a decidere, su base discrezionale, sull'an di applicazione delle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione" (così Sez. 6, n. 14238 dell'11 gennaio 2023, Nucera, Rv. 284575).
4. In tale contesto il Tribunale ha ritenuto, da una parte, di esercitare il proprio potere discrezionale nonostante il patto convenuto fosse subordinato alla esenzione delle pene accessorie, e, dall'altra, che "l'applicazione delle pene accessorie non può essere oggetto dell'accordo delle parti, essendo rimessa solo alla valutazione discrezionale del giudice" (così a pag. 5 della sentenza impugnata).
Da tale presupposto il Tribunale ha fatto conseguire il corollario che la condizione a cui era stato subordinato l'accordo tra le parti dovesse considerarsi non apposta.
5. Si tratta di un ragionamento viziato.
La novella legislativa non impone alle parti di estendere il patteggiamento alle pene accessorie, ma attribuisce loro la facoltà di accordarsi in tal senso, con la conseguenza che, qualora le parti nulla abbiano previsto in proposito con il loro accordo, il giudice può applicare le pene accessorie, esercitando il suo potere discrezionale.
E tuttavia, nel caso in cui le parti si siano accordate per l'esclusione delle pene accessorie, addirittura subordinando l'intero accordo alla mancata applicazione delle sanzioni in questione, il giudice, ove ritenga in tale parte l'accordo non accoglibile, deve rigettare il patteggiamento nella sua interezza e non può limitarsi né a recepirlo nella sola parte relativa alla pena principale negoziata, e, tantomeno, ad applicare le pene accessorie, ritenendo non apposta la condizione a cui l'intero patto è subordinato.
Ciò spiega l'affermazione delle Sezioni unite, correttamente richiamata dalla ricorrente, secondo cui l'art. 1, comma 4, lett. d), della l. 9 gennaio 2019, n. 3, che ha introdotto nell'art. 444 c.p.p. il comma 3-bis, consente all'imputato di subordinare la propria richiesta alla «esenzione» dalle pene accessorie previste dall'art. 317-bis c.p. ovvero all'estensione alle stesse della sospensione condizionale, ma "con effetto vincolante per il giudice" (Sez. un., n. 23400 del 27 gennaio 2022, Boccardo, in motivazione).
Ne consegue che il Tribunale non poteva considerare non apposta la condizione cui era subordinato l'accordo, relativa alla esenzione delle pene accessorie, e poteva solo, nel caso in cui avesse ritenuto di non recepire il patto nella sua interezza, rigettarlo senza nessuna possibilità di scinderlo.
6. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio con conseguente trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Nola per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Nola per nuovo esame.
Depositata il 28 marzo 2025.