Corte costituzionale
Sentenza 3 giugno 2025, n. 78
Presidente: Amoroso - Redattore: Viganò
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 30-bis, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, nel procedimento penale a carico di V. M., con ordinanza del 3 giugno 2024, iscritta al n. 198 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2024.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2025 il Giudice relatore Francesco Viganò;
deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ordinanza del 3 giugno 2024, il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30-bis, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il reclamo debba essere proposto entro ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza relativo ai permessi di necessità.
1.1.- Il Tribunale di sorveglianza rimettente è chiamato a decidere sul reclamo avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza che ha rigettato una richiesta di permesso di necessità ai sensi dell'art. 30 ordin. penit. presentata da V. M. il 22 febbraio 2024. Il richiedente aveva chiesto di essere autorizzato a far visita alla sorella, affetta da patologia tumorale con varie metastasi, e in condizioni tale da impedirle di recarsi a colloquio presso il carcere nel quale egli era detenuto.
Con provvedimento depositato il 4 aprile 2024 e notificato all'interessato il successivo 6 aprile, la richiesta è stata rigettata dal magistrato di sorveglianza, in ragione da un lato della persistente pericolosità sociale dell'istante, resosi per anni latitante in Venezuela, e dall'altro dell'assenza di imminente pericolo di vita della sorella, secondo quanto riferito dal medico legale.
Lo stesso 6 aprile 2024 il detenuto ha proposto reclamo, «con riserva dei motivi a mezzo difensore».
L'8 aprile 2024 il provvedimento del magistrato di sorveglianza è stato notificato anche al difensore dell'interessato. Il giorno successivo questi ha chiesto alla cancelleria del Tribunale di sorveglianza il rilascio di copia della relazione del medico legale e delle note della Questura di Reggio Calabria e della Direzione nazionale antimafia. Ricevute le copie il 15 aprile, il giorno seguente il difensore ha proposto reclamo corredato dai motivi, nel quale chiedeva tra l'altro che fossero sollevate questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30-bis ordin. penit., nei termini poi ritenuti rilevanti e non manifestamente infondati dal Tribunale.
1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente ritiene anzitutto pacifico che il termine di ventiquattro ore di cui alla disposizione censurata abbia natura perentoria. Osserva poi che la giurisprudenza di legittimità assimila il reclamo in oggetto ad un'impugnazione, nella quale debbono essere enunciati, a pena di inammissibilità, motivi specifici, senza che sia possibile riservarne l'articolazione oltre il termine stabilito per il reclamo (sono citate, ex multis, Corte di cassazione, settima sezione penale, ordinanza 29 maggio-13 dicembre 2013, n. 50338; prima sezione penale, sentenze 7 marzo-22 aprile 2013, n. 18339 e 24 gennaio-27 aprile 2006, n. 14542).
Un simile assetto normativo contrasta, ad avviso del giudice a quo, con il diritto di difesa del ricorrente.
Il termine di ventiquattro ore per proporre una impugnazione motivata risulterebbe eccessivamente compresso e non consentirebbe all'interessato, nella maggior parte dei casi, di redigere e depositare un atto in grado di confutare utilmente il decreto del magistrato di sorveglianza. Emblematica a questo proposito sarebbe la stessa vicenda del procedimento a quo, nella quale i risultati dell'attività istruttoria, non disponibili per le parti fino al deposito del provvedimento impugnato, sarebbero stati decisivi per orientare la decisione del giudice di prima istanza. Nel termine di ventiquattro ore, dunque, il ricorrente avrebbe dovuto chiedere e ottenere copia di tali documenti, redigere il reclamo e depositarlo: adempimenti tutti inesigibili in un lasso di tempo così breve. Tanto che il detenuto nel caso in esame aveva potuto soltanto inoltrare il reclamo lo stesso giorno in cui il provvedimento gli era stato comunicato, rinviando poi a una successiva articolazione dei motivi da parte del difensore, il quale a sua volta aveva potuto depositare reclamo motivato soltanto dopo avere ricevuto copia dei documenti, a termine di legge ormai scaduto.
Il rimettente ricorda poi come un'analoga questione di legittimità costituzionale sia stata dichiarata fondata da questa Corte con sentenza n. 113 del 2020, con riferimento all'identico termine di ventiquattro ore, in origine previsto per il reclamo contro il provvedimento di diniego di un permesso premio di cui all'art. 30-ter ordin. penit. La considerazione che la questione ora all'esame concerna il permesso di necessità ai sensi dell'art. 30 ordin. penit. non giustificherebbe una conclusione differente con riguardo alla congruità di tale termine. In particolare, non varrebbe quale ragione giustificativa della diversità di disciplina l'urgenza che caratterizza il procedimento di concessione dei permessi di necessità, dovendosi osservare come sia lo stesso istante ad avere «tutto l'interesse ad inoltrare quanto prima reclamo motivato avverso un provvedimento di diniego»; sicché il termine "ordinario" di quindici giorni, stabilito dalla stessa sentenza n. 113 del 2020 in luogo di quello originario di ventiquattro ore, «non determinerebbe aggravi e disfunzioni di sorta» nemmeno con riferimento ai permessi di necessità.
Da tale ultima considerazione discenderebbe «l'ulteriore contrasto con l'art. 3» Cost.
1.3.- Nessun dubbio sussisterebbe, infine, sulla rilevanza delle questioni prospettate, «atteso che dalla documentazione medica in atti emerge che la sorella del detenuto è affetta da gravissima patologia tumorale con vari[e] metastasi [...], che fonda la richiesta di permesso ex art. 30» ordin. penit.
2.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.
2.1.- L'Avvocatura generale dello Stato sostiene che la brevità del termine perentorio in esame trova «la propria ragion d'essere nella necessità di improntare» la procedura di reclamo «ad estrema semplicità e rapidità», assicurando tempi il più possibile brevi per il riesame del provvedimento.
L'istituto dei permessi di necessità, fondato sul principio di umanità della pena e connesso a «presupposti oggettivi ed eccezionali» non connaturati alle dinamiche dell'esecuzione della pena, non sarebbe assimilabile a quello dei permessi premio, come affermato altresì in varie pronunce di questa Corte (sono citate le sentenze n. 113 del 2020 e n. 235 del 1996). Pertanto, la disciplina dei permessi premio non potrebbe costituire un idoneo tertium comparationis da cui far discendere una violazione del principio di eguaglianza-ragionevolezza. Con riferimento ai permessi di necessità, d'altra parte, la brevità del termine per il reclamo sarebbe correlata alla situazione di urgenza allegata dall'interessato a fondamento della propria richiesta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30-bis, terzo comma, ordin. penit., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che il reclamo debba essere proposto entro ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza.
L'art. 30-bis ordin. penit. disciplina il procedimento di concessione al detenuto dei cosiddetti "permessi di necessità", previsti dal precedente art. 30 e così denominati nella prassi per distinguerli dai permessi premio di cui al successivo art. 30-ter.
Il censurato terzo comma dell'art. 30-bis prevede che il provvedimento (positivo o negativo) che statuisce sulla richiesta di permesso formulata dal detenuto sia comunicato immediatamente al pubblico ministero e all'interessato, «i quali, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, possono proporre reclamo» contro il provvedimento medesimo.
Ad avviso del giudice a quo, tale termine è inadeguato a garantire il diritto di difesa del detenuto, con conseguente violazione dell'art. 24 Cost.
Inoltre, la previsione del termine in parola si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in relazione alla parallela disciplina oggi vigente del reclamo contro il provvedimento in materia di permessi premio. La sentenza n. 113 del 2020 di questa Corte ha infatti dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 30-ter, comma 7, ordin. penit., nella parte in cui prevedeva - mediante rinvio al terzo comma dell'art. 30-bis, in questa sede censurato - che il provvedimento relativo ai permessi premio era soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché entro quindici giorni.
2.- Le questioni sono ammissibili.
Il giudice a quo deve infatti decidere sul reclamo di un condannato contro il provvedimento del magistrato di sorveglianza che gli aveva negato un permesso di necessità. Il reclamo era stato presentato lo stesso giorno in cui il provvedimento di diniego gli era stato comunicato, ma senza articolazione dei motivi. Dieci giorni più tardi, il difensore del condannato - dopo avere ottenuto copia dei documenti posti alla base del provvedimento - aveva nuovamente presentato reclamo, questa volta corredato dei motivi, con ciò esercitando il proprio autonomo potere di impugnazione del provvedimento (in questo senso, Corte di cassazione, prima sezione penale, sentenza 30 marzo-30 maggio 2023, n. 23559).
Sulla base, dunque, dell'attuale formulazione della disposizione censurata, il Tribunale di sorveglianza rimettente, per un verso, dovrebbe dichiarare inammissibile il reclamo del condannato in quanto privo di motivi (in questo senso, ex multis, Corte di cassazione, prima sezione penale, sentenza 17 settembre 2013-10 aprile 2014, n. 15982); e, per altro verso, dovrebbe dichiarare tardivo il reclamo del difensore, in quanto presentato oltre il termine di ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento. In caso, invece, di accoglimento delle questioni prospettate - e in particolare nell'ipotesi in cui il termine fosse esteso a quindici giorni, sul modello di quanto stabilito dalla citata sentenza n. 113 del 2020 - quanto meno il secondo reclamo dovrebbe essere considerato ammissibile e dovrebbe essere esaminato nel merito.
Il che assicura la rilevanza delle questioni.
3.- Nel merito, è fondata la questione formulata in riferimento all'art. 24 Cost., restando assorbita la censura ex art. 3 Cost.
Così come osservato nella sentenza n. 113 del 2020 in relazione ai permessi premio, «[i]ngiustificatamente pregiudizievole rispetto all'effettività del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. è [...] un termine così breve rispetto alla necessità, per l'interessato, di articolare compiutamente nello stesso reclamo, a pena di inammissibilità, gli specifici motivi in fatto e in diritto sui quali il tribunale di sorveglianza dovrà esercitare il proprio controllo sulla decisione del primo giudice».
Ciò non solo con riferimento - come già osservato in quella pronuncia - «alla oggettiva difficoltà, per il detenuto, di ottenere in un così breve lasso di tempo l'assistenza tecnica di un difensore, che pure è - in via generale - parte integrante del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento (sentenze n. 143 del 2013, n. 120 del 2002, n. 175 del 1996, e ulteriori precedenti ivi richiamati)»; ma anche in relazione alla pratica impossibilità, per una persona ristretta in carcere, di ottenere entro il termine di ventiquattro ore copia di tutti i documenti acquisiti ex officio dal giudice che ha pronunciato il provvedimento di cui il ricorrente si duole. Documenti che il reclamante potrebbe non conoscere affatto, dal momento che il provvedimento impugnato è assunto de plano dal giudice, al di fuori di ogni contraddittorio con le parti.
4.- Il rimedio al vulnus riscontrato, anche in questo caso, può essere assicurato dalla disciplina di cui all'art. 35-bis ordin. penit. sul reclamo giurisdizionale avverso le decisioni delle autorità penitenziarie che riguardano il detenuto, che «fornisce [...] un "precis[o] punto di riferimento, già rinvenibil[e] nel sistema legislativo" (sentenza n. 236 del 2016) [...] ancorché non costituente l'unica soluzione costituzionalmente obbligata (sentenze n. 242, n. 99 e n. 40 del 2019, nonché n. 233 e n. 222 del 2018)» (sentenza n. 113 del 2020; in senso analogo ora, ex multis, sentenze n. 37 del 2025, punto 6.2. del Considerato in diritto; n. 31 del 2025, punto 8.3. del Considerato in diritto; n. 46 del 2024, punto 4.1. del Considerato in diritto).
La pur indubitabile differenza di ratio dei permessi di necessità rispetto ai permessi premio, sulla quale pone l'accento l'Avvocatura generale dello Stato, non osta a che il termine per proporre reclamo, per il detenuto, sia reso omogeneo dalla presente pronuncia in relazione a entrambi i benefici, come già - del resto - accadeva nell'originario disegno del legislatore. In presenza di ragioni di particolare urgenza, sarà interesse del detenuto presentare il più presto possibile la propria impugnazione, sì da porre il giudice del reclamo in condizione di pronunciarsi a sua volta entro i dieci giorni successivi, come prescritto dal quarto comma dell'art. 30-bis.
Non muta, invece, l'attuale termine di ventiquattro ore per il reclamo da parte del pubblico ministero stabilito dal terzo comma dell'art. 30-bis ordin. penit. La questione ora decisa è, in effetti, unicamente calibrata sull'esigenza di garantire il diritto di difesa del detenuto che si sia visto respingere la propria istanza di permesso di necessità. D'altra parte, l'estensione del termine anche per il reclamo del pubblico ministero, nel caso opposto in cui l'istanza del detenuto sia accolta, determinerebbe la sospensione dell'esecuzione del provvedimento in pendenza dell'intero nuovo termine per l'impugnazione, ai sensi del settimo comma dello stesso art. 30-bis ordin. penit., quanto meno con riferimento ai permessi per eventi familiari di particolare gravità previsti dall'art. 30, secondo comma, ordin. penit. Il che comporterebbe - rispetto alla disciplina ora vigente - un effetto pregiudizievole per lo stesso detenuto, frustrando le stesse ragioni di urgenza poste alla base del permesso.
Valuterà il legislatore se riconsiderare la complessiva disciplina in esame, eventualmente ricalibrando per entrambe le parti i termini per l'impugnazione e la complessiva disciplina relativa alla sospensione dell'esecuzione del permesso in pendenza di tali termini, in modo comunque idoneo a consentire il pieno esplicarsi del diritto di difesa.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 30-bis, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che il provvedimento relativo ai permessi di cui all'art. 30 è soggetto a reclamo, da parte del detenuto, entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché entro quindici giorni.