Corte dei conti
Sezione II centrale d'appello
Sentenza 21 maggio 2025, n. 116

Presidente: Loreto - Estensore: Sciancalepore

FATTO

I. La Procura contabile per la Regione Molise, con atto di citazione del 30 maggio 2023, ha chiesto la condanna, per dolo, del sig. Nicandro O. al pagamento, in favore della Regione Molise, di complessivi euro 270.996,71 (oltre accessori di legge) di cui euro 170.996,71 per danno patrimoniale ed euro 100.000,00 per danno all'immagine.

L'attore pubblico, richiamando le varie sentenze del correlato giudizio penale nel quale la Regione Molise si è costituita parte civile e l'art. 651 c.p.p. riguardante l'efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno, ha riferito che l'O., in qualità di consigliere regionale e, più precisamente, di capogruppo del gruppo consiliare "Italia dei Valori", negli anni dal 2007 al 2011 si sarebbe illecitamente appropriato di una parte dei contributi erogati dalla Regione Molise al citato gruppo consiliare, in applicazione della l.r. n. 20/1991, per un importo totale di euro 170.996,71 (euro 19.491,18 nell'anno 2007, euro 29.499,57 nell'anno 2008, euro 63.944,14 nell'anno 2009, euro 32.205,82 nell'anno 2010 ed euro 25.856,00 nell'anno 2011).

Secondo la Procura regionale, questa ricostruzione dei fatti troverebbe riscontro nelle varie sentenze penali di condanna a carico dell'O. riferite alla vicenda. Infatti, in primo grado, con sentenza n. 263/2020, il Tribunale di Campobasso ha condannato l'odierno appellante, per il reato di peculato, a 3 anni di reclusione, al pagamento delle spese processuali, all'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, alla confisca di euro 203.109,33 (pari, secondo il Tribunale di Campobasso, alla somma complessiva oggetto di illecita appropriazione) e al risarcimento dei danni alle parti civili costituite (Regione Molise e associazione A. Caponnetto).

La Corte d'appello di Campobasso, con sentenza n. 528/2021, in parziale riforma della citata sentenza di primo grado, ha dichiarato la prescrizione per le condotte di peculato fino al 5 febbraio 2009, ha rideterminato la pena inflitta in 2 anni e 3 mesi e, ribadendo la responsabilità penale dell'O., ha ridotto l'importo imputato per l'anno 2011 da euro 57.968,62 a euro 25.856,00 (l'importo complessivo contestato in sede penale si riduce conseguentemente da euro 203.109,33 a euro 170.996,71 corrispondente alla richiesta di condanna erariale).

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 34533/2022, depositata il 19 settembre 2022, ha annullato, senza rinvio, la menzionata sentenza di appello per le condotte fino al 6 agosto 2009 per prescrizione; ha annullato la stessa sentenza, con rinvio alla Corte d'appello di Salerno, per la rideterminazione della pena, per le statuizioni civili e per la quantificazione della confisca e, ai sensi dell'art. 624 c.p.p., ha dichiarato l'irrevocabilità della sentenza in ordine alla responsabilità penale dell'imputato.

Il requirente erariale ha precisato che la parziale prescrizione del reato per condotte fino al 6 agosto 2009 non ha rilevanza nel giudizio contabile, sia perché la dichiarazione di prescrizione penale non ha autorità di cosa giudicata nel giudizio contabile, sia per la costituzione di parte civile nel giudizio penale da parte dell'Amministrazione regionale danneggiata e, inoltre, che la confisca disposta in sede penale non riduce il danno erariale.

Con riferimento al danno all'immagine, la Procura contabile, dopo un excursus del quadro normativo e giurisprudenziale che ha disciplinato la materia, ha concluso sulla indubbia applicabilità, nella specie, della disciplina restrittiva, quanto ai casi di azionabilità del danno all'immagine, prevista dall'art. 17, comma 30-ter, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78 (vigente all'epoca delle condotte illecite) e, avuto riguardo alla sua quantificazione, esclusa l'applicabilità alla fattispecie in esame del criterio c.d. del duplum introdotto con la l. 6 novembre 2012, n. 190, entrata in vigore dopo la commissione dei fatti in rassegna, ha quantificato il nocumento all'immagine, in via equitativa, nella misura di euro 100.000,00, secondo i criteri obbiettivo, soggettivo e sociale sanciti dalla giurisprudenza di legittimità, i quali tengono conto fondamentalmente della gravità dell'illecito, della posizione occupata dal convenuto nell'Amministrazione danneggiata e del clamor fori in una realtà territoriale circoscritta.

II. La Sezione giurisdizionale per il Molise, con l'appellata sentenza n. 10/2024, ha condannato l'O. al pagamento, in favore della Regione Molise, di euro 190.996,71, di cui euro 170.996,71 per danno patrimoniale ed euro 20.000,00 per danno all'immagine.

Il giudice di primo grado ha respinto l'eccezione di prescrizione formulata dal convenuto in virtù dell'effetto interruttivo permanente della costituzione di parte civile della Regione Molise nel correlato giudizio penale; ha accolto integralmente la richiesta di condanna per il danno patrimoniale di euro 170.996,71 in considerazione di quanto irrevocabilmente accertato in sede penale ex art. 651 c.p.p. e, quindi, per l'illecita appropriazione di somme, di pari importo, liquidate dalla Regione Molise per il funzionamento del menzionato gruppo consiliare e, infine, considerate le condotte di peculato accertate irrevocabilmente in sede penale e la risonanza della vicenda, ha ritenuto sussistente il danno all'immagine, rientrando il reato di peculato, accertato con sentenza definitiva, tra i delitti previsti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale, ma ha ritenuto di rideterminarne equitativamente l'importo in euro 20.000,00.

III. L'appellante ha chiesto la riforma della indicata sentenza n. 10/2024 della Sezione giurisdizionale per il Molise, con integrale rigetto della domanda di condanna formulata dalla Procura contabile per i seguenti motivi.

Con un primo motivo, l'appellante ha reiterato l'eccezione di prescrizione dell'azione contabile, in quanto i fatti contestati risalgono agli anni dal 2007 al 2011, la Procura erariale ha avuto notizia della vicenda già in data 16 dicembre 2015 (data di ricezione della comunicazione della Procura della Repubblica di Campobasso della richiesta di rinvio a giudizio dell'appellante) e ha acquisito l'intero fascicolo penale in data 14 marzo 2017, mentre l'invito a dedurre è stato notificato il 23 marzo 2023. La prescrizione andrebbe fatta decorrere, secondo l'appellante, dalla comunicazione della Procura della Repubblica di Campobasso (acquisita dalla Procura erariale, come detto, il 16 dicembre 2015) e, quindi, l'invito a dedurre sarebbe stato notificato all'interessato ben oltre il termine quinquennale previsto per la prescrizione dell'azione erariale.

Con un secondo motivo, facendo riferimento al danno patrimoniale, l'appellante ha fatto presente che il giudice di prime cure si sarebbe limitato a recepire acriticamente le conclusioni della Procura regionale, senza considerare gli aspetti rilevati dalla difesa, tra i quali la circostanza, che sarebbe stata riportata nelle sentenze penali di merito riferite alla vicenda, secondo la quale alcune voci di spesa (non meglio identificate) contestate all'O. erano invece riconducibili al regolare funzionamento del gruppo consiliare.

Per quanto riguarda, infine, il danno all'immagine della Regione Molise, per il quale la Corte territoriale non ha accolto integralmente la domanda della Procura, l'appellante ha sostenuto che la condanna al risarcimento del danno medesimo, come pure la sua quantificazione in via equitativa (euro 20.000,00 anziché euro 100.000,00 richiesti dalla Procura regionale) non sarebbero stati motivati, essendo presente in sentenza solo un generico richiamo al clamor fori generato da alcuni articoli di stampa e alla tipologia di reato contestato. Viene chiesto, quindi, di rigettare integralmente la corrispondente domanda di condanna o, in subordine, di disporre una ulteriore riduzione. In ulteriore subordine, l'appellante ha chiesto l'esercizio del potere riduttivo.

IV. La Procura generale ha depositato le proprie conclusioni in data 20 marzo 2025, con cui ha chiesto il rigetto dell'appello per inammissibilità o, in subordine, per infondatezza, con condanna alle spese di giudizio. Secondo la Procura generale, violando l'art. 190, comma 2, c.g.c., l'eccezione di prescrizione viene riproposta dall'appellante senza argomentare nulla in merito alla costituzione di parte civile della Regione Molise nel correlato giudizio penale; per quanto riguarda il danno patrimoniale, l'appellante non specifica quali voci di spesa contestate sarebbero riconducibili al regolare funzionamento del gruppo consiliare; con riferimento al danno all'immagine, considerato che l'importo richiesto dall'attore pubblico è già stato fortemente ridotto e che il clamor fori incide solo sulla quantificazione del danno e non sulla sua sussistenza, la Procura generale ritiene che l'importo stabilito dal giudice territoriale vada confermato.

V. Alla odierna pubblica udienza, l'avv. Mario Tedino, in sostituzione dell'avv. Demetrio Rivellino, per l'appellante e il rappresentante del Pubblico Ministero hanno chiesto l'accoglimento delle proprie rispettive conclusioni.

L'avv. Tedino ha affermato che, se si propendesse per l'autonomia dell'azione erariale da quella penale, la costituzione di parte civile nel processo penale non dovrebbe esplicare alcun effetto interruttivo sul giudizio contabile; di contro, se si dovesse ritenere che la costituzione di parte civile produca effetti interruttivi nel giudizio contabile, si dovrebbe coerentemente propendere per un esito processuale escludente il bis in idem.

Il Pubblico Ministero ha precisato che la giurisprudenza, anche della Corte di cassazione, ha più volte affermato che l'unicità del danno comporta che la costituzione di parte civile nel giudizio penale produce effetti interruttivi sulla prescrizione dell'azione erariale, senza che si ponga un problema di bis [in] idem nei termini esposti dall'appellante.

DIRITTO

1. Il presente giudizio riguarda l'appello per la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Molise n. 10/2024 che, per le motivazioni riportate in fatto, ha condannato Nicandro O., già consigliere regionale e capogruppo del gruppo consiliare "Italia dei Valori", al pagamento, in favore della Regione Molise, di complessivi euro 190.996,71 di cui euro 170.996,71 per danno patrimoniale ed euro 20.000,00 per danno all'immagine. Secondo il giudice di prime cure, l'O. si sarebbe illecitamente appropriato di una parte dei contributi erogati dalla Regione Molise al citato gruppo consiliare, in applicazione della l.r. n. 20/1991, per un importo corrispondente alla condanna e avrebbe arrecato un danno all'immagine della medesima Amministrazione regionale.

2. In via preliminare, non si condivide l'eccezione di inammissibilità del primo motivo di gravame sollevata dal Procuratore generale, per violazione dell'art. 190, comma 2, c.g.c.

In proposito si osserva che, secondo consolidata giurisprudenza contabile, il requisito della specificità dei motivi di appello non va inteso in senso formalistico, dato che esso sostanzialmente richiede che dall'atto di appello siano comprensibili le ragioni di fatto e di diritto che contraddicono le argomentazioni della sentenza impugnata e i riferimenti critici agli specifici contenuti argomentativi della decisione impugnata, in maniera tale che il giudice d'appello sia posto in condizione di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo, tuttavia, che l'appellante alleghi, e tantomeno riporti, analiticamente i passaggi argomentativi della decisione impugnata, quando l'appellante abbia esposto la sua doglianza in modo incompatibile con l'argomentazione complessiva (Sez. II app., sentt. nn. 195, 250, 265, 353 e 398 del 2023; n. 373 del 2022).

Nel caso di specie, pur rilevandosi una incompletezza del motivo di appello, la genericità del medesimo non giunge al punto tale da impedire al giudice di comprendere a quale parte della pronuncia impugnata il motivo sia riferito.

3. In ogni caso, il Collegio reputa del tutto infondata l'eccezione di prescrizione dell'azione risarcitoria con la quale, peraltro, l'appellante si è limitato a reiterare le medesime considerazioni formulate in primo grado, senza espressamente contestare l'efficacia interruttiva della costituzione di parte civile effettuata dall'Amministrazione regionale danneggiata e riportata nella sentenza impugnata.

Per univoca e consolidata giurisprudenza, la costituzione di parte civile in un processo penale, da parte di una Amministrazione pubblica che manifesti la volontà di ottenere il risarcimento di tutti i danni arrecati dalla condotta dell'imputato, è atto idoneo a interrompere il decorso del termine prescrizionale dell'azione risarcitoria spettante alla Procura contabile in relazione ai danni arrecati alla finanza pubblica con la condotta contestata in sede penale (ex plurimis, Sez. I app., 20 settembre 2018, n. 355). Questa valenza interruttiva opera anche nel caso in cui sia ravvisata la prescrizione del reato (Sez. II app., 23 novembre 2015, n. 805). La costituzione di parte civile impedisce il decorso di un nuovo termine prescrizionale fino alla conclusione del giudizio penale (ex plurimis, Sez. III app., 9 gennaio 2015, n. 2).

Posto quanto premesso in linea generale, venendo al caso di specie deve ribadirsi che, come attestato dalla sentenza del Tribunale di Campobasso n. 263/2020, l'Amministrazione regionale risulta costituita come parte civile nel correlato processo penale già nell'udienza del 12 ottobre 2016 e fino a definizione del medesimo processo. Pertanto, anche se la condotta dannosa contestata all'O. risale agli anni dal 2007 al 2011 e la Procura erariale ha avuto notizia della vicenda in data 16 dicembre 2015 (data di ricezione della comunicazione della Procura della Repubblica di Campobasso di richiesta di rinvio a giudizio dell'appellante) e ha acquisito l'intero fascicolo penale in data 14 marzo 2017, pur tuttavia la notifica all'interessato dell'invito a dedurre, avvenuta il 23 marzo 2023, risulta tempestiva in considerazione dell'efficacia interruttiva della costituzione di parte civile nel correlato giudizio penale che, avvenuta in data 12 ottobre 2016, si è protratta sino a conclusione del processo penale con la sentenza n. 34533/2022, depositata il 19 settembre 2022. Infatti, fino a questa data, la costituzione di parte civile da parte della Regione Molise ha impedito il decorso del termine prescrizionale.

4. Non ricorre, infine, nella fattispecie in esame alcuna violazione del principio del ne bis in idem, in quanto, per orientamento giurisprudenziale consolidato, la responsabilità amministrativa e quella penale operano su piani e ambiti diversi, avendo la prima natura risarcitoria e la seconda sanzionatoria, come del resto riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), nella sentenza emessa il 13 maggio 2014 su ricorso (n. 20148/09, caso Rigolio c. Italia) in un procedimento in cui era stata, tra l'altro, dedotta la violazione del principio del ne bis in idem.

Queste Sezioni di appello hanno già avuto occasione di precisare, al riguardo (Sez. II app., nn. 8/2023 e 321/2021; Sez. I, n. 123/2021), la diversità di oggetto e di funzione, tra il giudizio civile introdotto dalla P.A. mediante l'esercizio dell'azione civile in sede penale e quello promosso dal Procuratore contabile innanzi alla Corte dei conti per danno erariale. E infatti, mentre il primo ha ad oggetto l'accertamento del danno derivante dal reato, con funzione essenzialmente riparatoria e integralmente compensativa, finalizzata al conseguimento del pieno ristoro a protezione dell'interesse particolare facente capo alla singola Amministrazione costituitasi parte civile, il secondo ha a oggetto l'accertamento dell'inosservanza dei doveri inerenti al rapporto di servizio, con funzione di tutela dell'interesse generale al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse pubbliche (in termini, Cass. civ., Sez. III, ord. n. 32929/2018; Sez. un., n. 14831/2011). Cosicché la proponibilità dell'azione di danno in sede penale o civile - o, nell'ipotesi inversa, dell'azione di responsabilità - trova, dunque, un unico limite nell'integrale ristoro di tutti i danni patiti dalla Pubblica Amministrazione; solo in tale ipotesi le azioni di danno e di responsabilità si pongono in rapporto di reciproca preclusione: circostanza del tutto assente nel caso di specie (Cass., Sez. VI, n. 3907 del 13 novembre 2015).

5. Infondato appare anche il secondo motivo d'appello con cui si contesta la quantificazione del danno patrimoniale.

E infatti l'appellante non ha indicato quali voci di spesa, considerate dal giudice di prime cure per la quantificazione del danno patrimoniale, sarebbero, a suo dire, riconducibili al regolare funzionamento del gruppo consiliare. Risulta comunque evidente che l'importo del danno patrimoniale riportato nella sentenza di condanna impugnata (euro 170.996,71) corrisponde esattamente all'importo, risultante dal giudizio penale, di cui l'appellante si è illecitamente appropriato. Da quanto emerso in sede penale, come illustrato innanzi, si evince, infatti, chiaramente e univocamente, che l'O., capogruppo del gruppo consiliare "Italia dei Valori", nel corso di un lungo arco di tempo (anni dal 2007 al 2011) e mediante plurime condotte dolose (es. spese per ristoranti, alberghi, viaggi, ecc. per finalità non istituzionali), si è appropriato di una parte dei contributi erogati dalla Regione Molise al citato gruppo consiliare, in applicazione della l.r. n. 20/1991, per l'importo complessivo di euro 170.996,71 (euro 19.491,18 nell'anno 2007, euro 29.499,57 nell'anno 2008, euro 63.944,14 nell'anno 2009, euro 32.205,82 nell'anno 2010 ed euro 25.856,00 nell'anno 2011). Per questa ragione, come indicato in fatto, l'O. è stato condannato, in via definitiva, per il delitto di peculato.

L'operato del giudice di prime cure risulta, dunque, del tutto corretto, sia perché la suddetta condanna penale irrevocabile per peculato, ai sensi dell'art. 651 c.p.p., ha efficacia di giudicato nel presente giudizio, in ordine all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (ex plurimis, Sez. II app., 21 aprile 2021, n. 123), sia perché il giudice contabile può comunque utilizzare per il proprio convincimento elementi probatori raccolti nel corso di altri processi o di indagini penali (ex multis, Sez. II app., 9 settembre 2024, n. 222).

L'illecita dolosa appropriazione di tali risorse regionali da parte del consigliere regionale-capogruppo appellante, in quanto tale in rapporto di servizio con l'Amministrazione regionale danneggiata, costituisce evidentemente un danno erariale. Queste risorse sono, infatti, fondi pubblici, erogati dalla Regione al gruppo consiliare per finalità istituzionali, quindi con un preciso vincolo di destinazione, per i quali andava escluso ogni utilizzo per scopi personali o, comunque, per scopi diversi dalle finalità istituzionali per le quali erano stati erogati.

6. Deve altresì essere respinto il terzo motivo di appello, relativo al danno all'immagine, con conferma della condanna dell'O. al risarcimento, in favore dell'Amministrazione regionale, nella misura di euro 20.000,00.

In primo luogo, appare opportuno evidenziare che la natura del reato per il quale l'appellante è stato definitivamente condannato (peculato), il carattere reiterato degli episodi di appropriazione, la riscontrata diffusione della notizia delle condotte illecite su testate giornalistiche, oltre, naturalmente, agli esiti riportati dalla sentenza penale irrevocabile, costituiscono elementi sufficienti per giustificare la sussistenza del discredito all'Amministrazione regionale di appartenenza e, dunque, la condanna al risarcimento per danno all'immagine. Il reato di peculato rientra, infatti, tra i delitti contro la Pubblica Amministrazione contenuti al capo I del titolo II del libro II del c.p. per i quali l'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 (convertito in l. n. 102/2009) prevede e limita l'esercizio dell'azione da parte delle procure erariali per il risarcimento del danno all'immagine.

Oltretutto, in ordine alla rilevanza del clamor fori, va puntualizzato che secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente il clamor fori, comunque attestato nella vicenda in esame per la presenza di articoli di stampa, non incide sulla sussistenza ma solo sulla quantificazione del danno all'immagine, quale circostanza aggravante, atteso che la diffusione della notizia comporta un effetto amplificativo del danno cagionato al prestigio e alla credibilità dell'Amministrazione, la cui consumazione risale alla consapevole violazione degli obblighi di correttezza e di fedeltà ai doveri di ufficio (ex plurimis, Corte dei conti, Sez. II app., nn. 110/2025, 25/2025, 75/2025, 60/2024, 265/2023; Sez. I app., nn. 376/2023, 490/2021; Sez. III app., nn. 210/2024, 259/2024; Sez. riun., n. 10/QM/2023).

7. In secondo luogo, non ha alcun fondamento l'affermazione dell'appellante secondo la quale il giudice di prime cure avrebbe quantificato equitativamente il danno all'immagine senza una motivazione. Dalla sentenza impugnata risulta, invece, chiaramente, che il giudice di primo grado, che peraltro ha fortemente ridotto l'importo del risarcimento del danno all'immagine rispetto alla richiesta della Procura regionale (da euro 100.000,00 a euro 20.000,00), ha espressamente motivato la propria scelta con la natura e la gravità dell'attività delittuosa, la qualità del soggetto coinvolto (consigliere regionale) e la risonanza della vicenda.

Considerati la natura del fatto, le modalità di consumazione dell'illecito (molteplici illecite appropriazioni in un arco di tempo pluriennale), l'entità del danno patrimoniale arrecato, il rilevante ruolo rivestito dall'appellante nell'ambito dell'Amministrazione danneggiata (capogruppo regionale) e la diffusione della notizia all'interno e all'esterno dell'Amministrazione regionale, risulta comunque evidente che l'importo del risarcimento per l'indubbio danno all'immagine della Regione Molise, quantificato nella sentenza impugnata in euro 20.000,00, quindi in misura largamente inferiore a quanto richiesto dalla Procura regionale (euro 100.000,00), non può essere ulteriormente ridotto.

8. Va, infine, respinta la richiesta dell'appellante, peraltro priva di una specifica motivazione, di applicazione del potere riduttivo. Per costante giurisprudenza, tale istituto, avente lo scopo di ridurre l'importo della condanna in presenza di particolari condizioni, oggettive e soggettive, rimesse alla valutazione del giudicante, le quali consentano che una quota del danno resti non risarcita, non risulta applicabile in presenza, come nella vicenda in esame, di condotte illecite dolose (ex plurimis, Sez. II app., 8 gennaio 2025, n. 2).

9. In conclusione, l'appello del sig. Nicandro O. va respinto, con integrale conferma della sentenza di primo grado.

Ai sensi dell'art. 31 c.g.c. le spese del presente giudizio sono a carico dell'appellante e vengono quantificate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d'appello, definitivamente pronunciando, rigetta l'appello in epigrafe e, per l'effetto, conferma la sentenza n. 10/2024 della Sezione giurisdizionale per la Regione Molise impugnata.

Pone a carico del soccombente le spese del presente giudizio, liquidate in euro 112,00 (centododici/00).

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.