Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 15 gennaio 2025, n. 14344
Presidente: De Amicis - Estensore: D'Arcangelo
RITENUTO IN FATTO
1. In data 16 gennaio 2024 il Pubblico Ministero del Tribunale di Catania ha chiesto l'applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di Antonino N. in relazione al delitto di cui all'art. 416-ter c.p.
Secondo l'ipotesi di accusa, N., sindaco di Paternò, agendo in concorso con Pietro C., consigliere comunale e assessore alle politiche agricole e imprenditoriali, politiche del lavoro e sviluppo locale, quale intermediario, in cambio del sostegno elettorale in occasione delle elezioni comunali del 12 giugno 2022, avrebbe promesso a Vincenzo M. e Natale B., esponenti di vertice del clan mafioso L.-M.-R., l'assunzione di soggetti vicini all'associazione mafiosa nella Dusty s.r.I., società aggiudicataria del servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti del Comune di Paternò, avrebbe fatto assumere da questa società nel mese di luglio 2021 a tempo determinato Giuseppe Michael V. (figlio di Vincenzo V., affiliato alla medesima associazione mafiosa) e Vincenzo S. (cognato di Emanuele Salvatore P., affiliato alla medesima associazione mafiosa) e, di seguito, avrebbe fatto sì che il loro contratto, in scadenza a marzo del 2022, venisse prorogato.
N., inoltre, avrebbe nominato, sia nel dicembre 2021 che all'esito della tornata elettorale, Salvatore Co., uomo di fiducia dell'associazione mafiosa, assessore in un settore reputato strategico per le attività economiche del sodalizio criminoso quale quello delle attività produttive e delle politiche agricole e imprenditoriali, benché fosse privo di specifiche qualifiche e di esperienza politica.
2. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, con ordinanza emessa in data 24 aprile 2024, ha rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti di Antonino N., in quanto la promessa dell'assunzione di soggetti vicini all'associazione mafiosa e la nomina di Co. ad assessore non sarebbero «"utilità" suscettibili di essere oggetto di immediata monetizzazione» e, dunque, sarebbero irrilevanti ai sensi del primo comma dell'art. 416-ter c.p.
3. Il Pubblico Ministero ha interposto appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p. e con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Catania, in accoglimento del gravame, ha applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Antonino N., in quanto ritenuto gravemente indiziato del reato di scambio elettorale politico-mafioso contestato al capo 22).
4. Gli avvocati Maria Donata Licata e Vincenzo Maiello hanno proposto ricorso avverso questa ordinanza e ne hanno chiesto l'annullamento, deducendo quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo i difensori hanno censurato l'erronea applicazione dell'art. 416-ter c.p. e il vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine al contenuto del patto di scambio politico-elettorale.
Il Tribunale di Catania avrebbe, infatti, illegittimamente ritenuto che il patto «non [sia stato] formalizzato in un momento preciso ma nei fatti perseguito dall'aprile 2021 fino al giugno del 2022»; questa motivazione, tuttavia, sarebbe meramente ipotetica e disancorata dalla prova dell'avvenuta conclusione del patto elettorale mediante l'incontro delle volontà dei contraenti.
L'assunzione di V. e S., peraltro, risalirebbe a un anno e due mesi prima delle elezioni e, dunque, si collocherebbe in un momento di gran lunga anteriore all'apertura del procedimento elettorale, quando il ricorrente N. non rivestiva ancora la posizione di candidato.
Sarebbero, del resto, estranei alla fattispecie di cui all'art. 416-ter c.p. accordi conclusi ben prima della competizione elettorale.
L'assunzione dei due lavoratori, peraltro, avrebbe avuto ad oggetto il patto di scambio elettorale politico-mafioso concluso da Pietro C., all'epoca assessore, con l'associazione criminale; il Tribunale avrebbe fatto risalire a N. anche le diverse pattuizioni di C. e Co. con il sodalizio criminoso, lasciandosi suggestionare dall'inserimento di questi candidati in liste che appoggiavano la candidatura a sindaco del ricorrente.
Il Tribunale di Catania, invece, avrebbe dovuto soffermarsi sul rapporto tra tali distinte intese e sulla loro coesistenza.
Parimenti il Tribunale non avrebbe considerato che a Co. è stata contestata la messa a disposizione in favore dell'associazione della sua futura attività politica in un momento precedente al preteso accordo di N. con il sodalizio.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe esorbitato i limiti dell'interpretazione consentita in materia penale, in quanto, in ossequio ai principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale, il sintagma di «altra utilità» deve essere riferito a un vantaggio diretto del soggetto che propone i voti e non già di un terzo; nella disposizione di cui all'art. 416-ter c.p., infatti, a differenza di quanto previsto nell'analoga fattispecie di corruzione elettorale, non figura l'espressione «per sé o per un terzo».
4.2. Con il secondo motivo di ricorso i difensori hanno dedotto la violazione dell'art. 416-ter c.p., in quanto, essendo stata la condotta di scambio elettorale politico-mafioso realizzata attraverso l'intermediazione di un soggetto estraneo all'organizzazione, sarebbe necessaria la dimostrazione, anche in via indiziaria, del metodo mafioso.
Posto, dunque, che Pietro C., secondo il Tribunale di Catania, non sarebbe un intraneo dell'associazione mafiosa, ma solo un concorrente esterno, l'oggetto della pattuizione avrebbe dovuto ricomprendere anche le «modalità mafiose» di procacciamento dei voti e, dunque, la realizzazione della campagna elettorale mediante il ricorso all'intimidazione.
4.3. Con il terzo motivo, i difensori hanno eccepito il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, relativamente alle modalità di realizzazione dello scambio elettorale politico-mafioso attraverso la promessa di N. di "influire" sull'assunzione presso un'azienda privata di soggetti estranei alla consorteria mafiosa.
Il Tribunale avrebbe ritenuto, con motivazione meramente apparente, che l'utilità promessa fosse ravvisabile nella raccomandazione per l'assunzione di due lavoratori, ma la stessa non sarebbe suscettibile di immediata monetizzazione.
Il Tribunale, inoltre, non avrebbe motivato in ordine alle censure mosse sul punto nella memoria depositata nel giudizio di appello; in questa memoria i difensori hanno rilevato la regolarità e la complessa articolazione delle procedure di assunzione dei due lavoratori, la natura dell'attività politica svolta da N., quale sindaco, in ordine alle problematiche sorte tra i sindacati e l'azienda incaricata della raccolta dei rifiuti, e la carenza del nesso di corrispettività tra la richiesta di raccomandazione ai mafiosi di uno dei lavoratori e la successiva assunzione.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe travisato il significato dell'intercettazione prog. 99726 del 24 aprile 2021 e non avrebbe tenuto conto della diversa interpretazione fornita dal consulente di parte, senza disporre perizia sul punto.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso i difensori hanno dedotto che, con riferimento alla nomina ad assessore di Salvatore Co., quale oggetto di scambio nel patto elettorale politico-mafioso, gli indizi sarebbero del tutto inesistenti.
Le conversazioni poste dal Tribunale a fondamento della propria valutazione sarebbero anteriori di oltre un anno alla competizione elettorale; il Tribunale, ancora una volta, non si sarebbe confrontato con le censure proposte dalla difesa nel procedimento di appello, concretamente idonee a scardinare la motivazione dell'ordinanza impugnata, e con la ricostruzione resa dal ricorrente in sede di interrogatorio.
5. Con istanze tempestivamente depositate in data 26 novembre i difensori di N. hanno chiesto la trattazione orale del ricorso.
6. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 30 dicembre 2024, il Procuratore generale, Antonietta Picardi, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
2. Con la prima censura proposta nel primo motivo di ricorso i difensori hanno dedotto l'erronea applicazione dell'art. 416-ter c.p., in quanto il Tribunale del riesame ha ritenuto che l'accordo politico-mafioso contestato sarebbe stato concluso quando il ricorrente N. non rivestiva ancora la posizione di candidato.
Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, tuttavia, non potrebbe essere consumato a mezzo di accordi conclusi ben prima della competizione elettorale e, comunque, anteriormente alla convocazione dei comizi elettorali, come sarebbe chiarito dal terzo comma dell'art. 416-ter c.p., che prevede l'aggravamento della pena in caso di elezione all'esito della «relativa consultazione elettorale».
3. Il motivo è infondato.
La fattispecie di cui al primo comma dell'art. 416-ter c.p., nella formulazione vigente, delinea un reato comune, che può essere integrato sia dal candidato alle elezioni, sia da colui che intenda partecipare alla competizione elettorale, prima dell'indizione della stessa; ai fini della integrazione di tale delitto, dunque, non è necessaria la qualità effettiva di candidato.
Il reato di cui all'art. 416-ter c.p., infatti, postula che l'accordo illecito tra il procacciatore di voti e il candidato sia realizzato in funzione del voto da esprimere in una determinata e prossima competizione elettorale, ma non già che il patto illecito intervenga nell'imminenza delle consultazioni elettorali e, segnatamente, dopo la convocazione dei comizi elettorali.
La fattispecie di scambio elettorale politico-mafioso non pone limiti temporali quanto alla sua consumazione, purché l'accordo sia stato effettivamente concluso e la competizione elettorale sia individuata.
Il reato di scambio politico-elettorale è, infatti, integrato per il solo fatto che sia stata raggiunta l'intesa illecita, venendo così anticipata la punibilità, a tutela del regolare svolgimento delle consultazioni elettorali, rispetto alle iniziative che dovessero (o anche non dovessero) essere concretamente adottate per la ricerca e il procacciamento di quei voti (in questo senso, Sez. 6, n. 9442 del 20 febbraio 2019, Zullo, non massimata sul punto).
Principi di diritto analoghi, del resto, sono affermati dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità con riferimento all'analogo delitto di corruzione elettorale.
Ai fini della integrazione del delitto di cui al primo comma dell'art. 86 del d.P.R. n. 570 del 1960, non è, infatti, necessaria la qualità effettiva di candidato, attraverso una corretta esegesi del testo normativo, che descrive un reato comune, che "chiunque" può commettere, non essendo necessaria, diversamente dall'ipotesi di corruzione ordinaria, la presenza attiva di un pubblico ufficiale o di un soggetto politico candidato alla competizione elettorale (Sez. 1, n. 45152 del 17 marzo 2016, Rv. 268035; conf. Sez. 5, n. 19922 del 12 aprile 2021, Rv. 281254; Sez. 5, n. 1039 del 30 settembre 2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282966-01), coerentemente con la duplice ratio legis individuabile nella tutela della libertà di voto, e nella necessità di impedire qualunque interferenza nella formazione o nella manifestazione del voto da parte dell'elettore.
La censura proposta dai difensori è, dunque, infondata, sotto il profilo della violazione di legge, in quanto la circostanza che l'assunzione dei due lavoratori vicini alla cosca sia avvenuta un anno e due mesi prima delle elezioni non elide ex se il reato contestato.
4. Con la seconda censura proposta nel primo motivo di ricorso, i difensori hanno censurato l'inosservanza dell'art. 416-ter c.p., sotto il profilo della mancanza di motivazione in ordine all'espressa pattuizione del ricorso al metodo mafioso.
Posto, infatti, che, secondo il Tribunale, il patto di scambio elettorale politico-mafioso sarebbe stato concluso attraverso l'intermediazione di un soggetto non affiliato all'organizzazione criminale, ma solo di un concorrente esterno, sarebbe necessaria la dimostrazione, anche in via indiziaria, che le parti abbiano pattuito che la raccolta dei consensi dovesse essere attuata sfruttando l'assoggettamento e l'intimidazione di cui è portatrice l'associazione mafiosa.
5. Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'impegno al procacciamento del consenso elettorale con le "modalità mafiose" è sussistente in re ipsa ove il promittente sia per certo intraneo ad un sodalizio criminale di stampo mafioso ovvero abbia agito in nome e per conto di tale associazione delinquenziale, mentre il ricorso a tali modalità deve essere provato come oggetto della intesa se il promittente abbia operato "a titolo individuale" oppure non risulti affiliato ad un clan di tipo mafioso.
Questa Corte, a più riprese, ha statuito che, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, come previsto dall'art. 416-ter c.p. nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 62 del 2014, solo quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso, e agisce per conto e nell'interesse di quest'ultima, non è necessario che l'accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità contempli l'attuazione, o l'esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni, poiché esclusivamente in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all'art. 416-bis, terzo comma, c.p. può dirsi immanente all'illecita pattuizione. Ed invece, qualora il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi sia una persona estranea alla consorteria di tipo mafioso, ovvero un soggetto intraneo che agisca uti singulus, è necessaria la prova della pattuizione delle modalità di procacciamento del consenso con metodo mafioso (in questo senso, tra le tante: Sez. 5, n. 42651 del 3 ottobre 2024, Ponticelli, Rv. 287238-02; Sez. 6, n. 15425 del 12 dicembre 2022, dep. 2023, Lombardo, Rv. 284583-01; Sez. 6, n. 16397 del 3 marzo 2016, La Rupa, Rv. 266738; Sez. 1, n. 19230/16 del 30 novembre 2015, Zappalà, Rv. 266794; Sez. 6, n. 25302 del 19 maggio 2015, Albero, Rv. 263845).
Il Tribunale di Catania, nei limiti propri della delibazione cautelare, ha non incongruamente argomentato l'intervenuta pattuizione tra N. e i vertici del clan mafioso sulla base delle intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite.
Nel caso di specie, tuttavia, nella valutazione non incongrua del Tribunale di Catania, è stato non già Pietro C., che non sarebbe un intraneo dell'associazione mafiosa, ma solo un concorrente esterno, a impegnarsi a procacciare i voti, ma gli esponenti apicali del sodalizio Vincenzo M. e Natale B.; correttamente, dunque, il Tribunale di Catania ha ritenuto non necessario dimostrare che la pattuizione illecita abbia avuto per oggetto il procacciamento dei voti a mezzo del metodo mafioso.
6. Con un'ulteriore censura proposta nel primo motivo di ricorso, i difensori hanno dedotto il vizio di inosservanza dell'art. 416-ter c.p., in ordine alla nozione di utilità come definita dal Tribunale di Catania, e al vizio di motivazione sul punto.
Il Tribunale avrebbe, infatti, riferito l'utilità promessa da N. nello scambio politico-elettorale a terzi estranei al patto illecito (i lavoratori, non associati al sodalizio, assunti dalla Dusty s.r.I.) e non al promissario dei voti.
Questa interpretazione avrebbe esorbitato i limiti dell'interpretazione consentita al giudice in materia penale, in quanto, il sintagma di «qualunque altra utilità», in ossequio ai principi di tassatività e determinatezza, deve essere riferito a un vantaggio diretto del soggetto che propone i voti e non già di un terzo, che non ha partecipato all'accordo.
Nella disposizione di cui all'art. 416-ter c.p., infatti, non figura l'espressione «per sé o per un terzo» cui il legislatore, come nell'analoga fattispecie di corruzione elettorale, ricorre per riferire la nozione di utilità anche a soggetti diversi dall'autore del reato.
Diversamente dal reato di corruzione elettorale, dunque, nello scambio elettorale politico-mafioso i beneficiari dell'utilità pattuita non possono essere i terzi, ma esclusivamente i «soggetti appartenenti alle associazioni di cui all'art. 416-bis c.p.» o l'associazione mafiosa stessa.
7. Il motivo è infondato.
La circostanza che il sintagma «per sé o per un terzo» non figura nella fattispecie di cui all'art. 416-ter c.p. non esclude che in tale fattispecie di reato l'utilità promessa possa essere rivolta ad un soggetto diverso dal procacciatore dei voti.
Il reato di corruzione elettorale e il delitto di scambio elettorale politico-mafioso differiscono, infatti, tra loro in quanto nel primo viene punito il candidato che, per ottenere il voto, offre, promette o somministra danaro, valori ovvero qualsiasi altra utilità, mentre nel secondo la promessa di voti viene fatta, in cambio di erogazione di denaro, da un aderente ad associazione mafiosa mediante l'assicurazione dell'intervento di membri della medesima (Sez. 1, n. 27655 del 24 aprile 2012, Macrì, Rv. 253387-01).
Posto che il patto elettorale politico-mafioso è stipulato dal procacciatore di voti nell'interesse dell'associazione mafiosa, il sindacato volto ad accertare la sussistenza dell'utilità deve essere svolto in relazione all'interesse del sodalizio criminoso e non già del mero promittente.
Il Tribunale di Catania, dunque, non ha violato il disposto dell'art. 416-ter c.p., nel ritenere che gli associati M. e B. abbiano concordato le assunzioni dei lavoratori nell'interesse dell'associazione di tipo mafioso cui appartenevano, ancorché le stesse avessero beneficiato non associati, ma stretti parenti degli stessi.
8. Con ulteriore censura i difensori hanno dedotto la violazione dell'art. 416-ter c.p., in quanto il Tribunale ha affermato che N. ha promesso non già l'assunzione di V. e di S., ma «di interessarsi per l'assunzione di congiunti dei mafiosi locali», e il vizio di motivazione sul punto.
La mera promessa di esercitare il proprio potere di influenza sugli enti controllati dal Comune, tuttavia, non sarebbe sussumibile nella nozione di «qualunque altra utilità» di cui al primo comma dell'art. 416-ter c.p., in quanto sarebbe suscettibile di essere oggetto di monetizzazione solo in via mediata.
9. Il motivo è fondato nei limiti che di seguito si precisano.
9.1. Nella formulazione originaria del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, introdotta dall'art. 11-ter d.l. 8 giugno 1992, n. 306, recante «Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa», convertito dalla l. 7 agosto 1992, n. 356, il reato di cui all'art. 416-ter c.p. puniva la condotta del soggetto che, aspirando a vincere una competizione elettorale, avesse ottenuto dall'appartenente all'associazione mafiosa la promessa di voti in cambio della erogazione di denaro.
Il soggetto attivo del reato, dal lato dei soggetti politici, era, dunque, solo il candidato e la controprestazione del patto illecito di procacciamento dei voti era costituita solo dalla dazione di danaro.
L'art. 1 della l. 17 aprile 2014, n. 62, ha, tuttavia, riformulato l'art. 416-ter c.p., ampliando l'oggetto della controprestazione rilevante ai fini della configurazione della fattispecie, sino a ricomprendere la corresponsione o la promessa di «altre utilità» e, dunque, ha eliso il riferimento esclusivo al denaro quale controprestazione per l'associazione mafiosa.
Il legislatore, in questo modo, ha inteso ovviare a uno dei principali difetti dell'originaria formulazione del delitto, che ne frustrava l'efficacia punitiva, in quanto, nella realtà effettuale, la controprestazione da parte dei politici della promessa di procacciamento di voti non sempre e non solo era costituita dalla promessa o dalla dazione di danaro.
Con questa modifica della disposizione, inoltre, il legislatore ha positivizzato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, fortemente criticato dalla dottrina, in quanto ritenuto radicalmente contrastante con il divieto di analogia in malam partem; questo orientamento riteneva che l'oggetto materiale dell'erogazione offerta in cambio della promessa di voti potesse essere costituito non solo dal denaro, ma anche da beni traducibili in valori di scambio immediatamente quantificabili in termini economici, quali i mezzi di pagamento diversi dalla moneta, i preziosi, i titoli o i valori mobiliari, restando invece escluse dal contenuto precettivo della norma incriminatrice le altre "utilità", suscettibili di essere oggetto di monetizzazione solo in via mediata (ex plurimis: Sez. 6, n. 20924 dell'11 aprile 2012, Gambino, Rv. 252788-01; Sez. 2, n. 47405 del 30 novembre 2011, D'Auria, Rv. 251609-01; Sez. 2, n. 46922 del 30 novembre 2011, Marrazzo, Rv. 251374-01).
Il legislatore, dopo aver elevato la cornice edittale della fattispecie di cui al primo comma dell'art. 416-ter c.p. con l'art. 1, comma 5, della l. 23 giugno 2017, n. 103 («Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario»), è tornato nuovamente sulla formulazione dell'oggetto del reato di scambio elettorale politico-mafioso.
L'art. 1 della l. 21 maggio 2019, n. 43 («Modifica all'articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso»), ha, infatti, ulteriormente ampliato l'oggetto della controprestazione del reclutatore dei voti, facendo riferimento a «qualunque altra utilità» e alla «disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa».
La giurisprudenza di legittimità, anche dopo questo intervento di riforma, ha ribadito il proprio orientamento in ordine alla necessità che l'utilità corrisposta o promessa dal politico sia suscettiva di "immediata monetizzazione" (Sez. 2, n. 51659 del 17 novembre 2023, Bianco, Rv. 285679-01, che ha escluso che l'utilità potesse rinvenirsi nel cambio di destinazione urbanistica di un fondo, finalizzato a consentire alla locale parrocchia la realizzazione di una mensa per poveri, dalla quale non derivava alcun vantaggio economica per l'imputato; più di recente, non massimate sul punto, Sez. 1, n. 46006 del 1° giugno 2023, Scozzari, e Sez. 1, n. 17455 del 30 gennaio 2018, Alesci).
Secondo una recente sentenza della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, nel testo successivo alle modifiche introdotte dalla l. 21 maggio 2019, n. 43, l'oggetto materiale dell'erogazione offerta in cambio della promessa di voti può essere costituito da «qualunque altra utilità», termine che ricomprende qualsiasi effetto vantaggioso, anche non quantificabile economicamente (Sez. 6, n. 43186 dell'11 settembre 2024, Sorbello, Rv. 287271-02, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il delitto nella promessa di un candidato sindaco di promuovere presso un magistrato di sua conoscenza la scarcerazione anticipata di uno dei componenti del clan, in cambio dell'impegno da parte dei membri del gruppo criminale di procacciare voti in suo favore nella competizione elettorale).
In questa sentenza la Corte ha rilevato che, se nella formulazione previgente il legislatore definiva l'utilità oggetto dell'erogazione o della promessa alternativa al danaro quale «altra utilità», nella formulazione attuale il legislatore ha fatto riferimento a «qualunque altra utilità».
Questa interpolazione, altrimenti inutile, non può spiegarsi se non con l'intento del legislatore - in coerenza, del resto, con la ragione dell'intervento normativo di riforma - di ampliare il novero delle condotte penalmente rilevanti, ricomprendendovi qualsiasi effetto vantaggioso e superando, quindi, la precedente giurisprudenza per la quale potevano rilevare, sotto il profilo in esame, soltanto i beni traducibili in valori di scambio immediatamente quantificabili in termini economici.
9.2. Il Collegio ritiene di dare continuità a questo ultimo orientamento, ribadendo che la nozione di «qualunque altra utilità» di cui al primo comma dell'art. 416-ter c.p. ricomprende qualsiasi vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dal danaro, che abbia valore per l'associazione di tipo mafioso i cui esponenti abbiano promesso il procacciamento dei voti.
Il legislatore, infatti, anteponendo l'aggettivo indefinito «qualunque» alla locuzione «altra utilità», ha inteso superare ogni distinzione operata dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al carattere patrimoniale o non patrimoniale della stessa, alla sua idoneità a essere "monetizzata" immediatamente o in via solo mediata.
Questa «altra utilità» può, dunque, essere rappresentata anche dalla promessa di comportamenti indebiti e vantaggiosi per l'associazione di tipo mafioso, come l'assegnazione di appalti, l'assunzione di lavoratori e l'adozione di provvedimenti favorevoli (quali la nomina ad assessore in settori nevralgici nella gestione politica del territorio di un soggetto succube ai dettami dell'associazione mafiosa o, comunque, contiguo alla stessa).
Parimenti può integrare la promessa di utilità rilevante ai sensi del primo comma dell'art. 416-ter c.p. la "raccomandazione" o, comunque, l'impegno del politico di spendere il proprio specifico potere di influenza nell'interesse dell'associazione mafiosa (come nel caso deciso da Sez. 6, n. 43186 dell'11 settembre 2024, Sorbello, Rv. 287271-02, sopra citato).
Ritiene, tuttavia, il Collegio che la generica e indeterminata promessa da parte dell'esponente politico "di interessarsi" per l'assunzione di lavoratori, direttamente evocata dal Tribunale di Catania in alcuni punti dell'ordinanza impugnata, non possa integrare la promessa di altra utilità nel significato precisato dal primo comma dell'art. 416-ter c.p.
Questa promessa, infatti, non implicando ancora l'assunzione di un impegno di specifica attivazione da parte del contraente politico, non può risolversi in alcun effettivo vantaggio per l'associazione mafiosa, né integra, stante la vaghezza del suo contenuto, «la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa», contemplata dalla formulazione vigente dal primo comma dell'art. 416-ter c.p.
Questa disponibilità, infatti, pur destinata a concretizzarsi in futuro, in relazione alle mutevoli esigenze dell'associazione, è già vincolante e precettiva all'atto della stipulazione del patto illecito e comporta l'onere, per l'attore pubblico, di attivare i propri poteri o, comunque, di spendere la propria influenza nell'interesse dell'associazione di tipo mafioso.
9.3. Sul punto della prestazione asseritamente promessa dal ricorrente, il Tribunale di Catania ha, peraltro, motivato contraddittoriamente, in quanto ha individuato, di volta in volta, la stessa nella promessa di interessarsi per l'assunzione di congiunti dei mafiosi locali, nella promessa di influire sull'assunzione di lavoratori subordinati e nella promessa di assunzione dei lavoratori.
Queste espressioni, tuttavia, non sono equivalenti, in quanto designano pattuizioni con un diverso grado di precettività per il promittente e che, come rilevato, non sono tutte sussumibili nell'ambito applicativo del primo comma dell'art. 416-ter c.p.
10. Più in generale, sono fondate le censure proposte dai difensori quanto al vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine al momento dell'effettiva stipulazione del patto di scambio politico-elettorale e al suo contenuto.
Questa Corte ha, infatti, chiarito più volte che, in tema di scambio elettorale politico-mafioso, l'esistenza di un'intesa per il procacciamento di consensi elettorali con modalità mafiose può essere desunta anche in via indiziaria, mediante la valorizzazione di indici fattuali della natura dell'accordo, quali la fama criminale del procacciatore, l'assoggettamento alla forza intimidatrice promanante dagli affiliati ad associazione di tipo mafioso e l'utilità del loro apporto per il reclutamento elettorale nella zona d'influenza dell'organizzazione criminale (Sez. 5, n. 42651 del 3 ottobre 2024, Ponticelli, Rv. 287238-02; Sez. 5, n. 26426 del 7 maggio 2019, Merola, Rv. 275638-01; Sez. 6, n. 9442 del 20 febbraio 2019, Zullo, Rv. 275157-01).
La possibilità di ricostruire in via indiziaria lo scambio elettorale politico-mafioso, tuttavia, non esime il giudice dalla necessità di ricostruirne accuratamente lo specifico contenuto, per verificarne la corrispondenza al tipo delineato dall'art. 416-ter c.p. e, dunque, per affermarne o escluderne la punibilità.
Il Tribunale di Catania ha, infatti, rilevato che il patto di scambio elettorale politico-mafioso contestato al capo 22) «non [sia stato] formalizzato in un momento preciso, ma nei fatti perseguito dall'aprile 2021 fino al giugno del 2022».
Con questa motivazione, tuttavia, il Tribunale di Catania ha fatto derivare dalla constatazione della mancata formalizzazione dell'accordo illecito l'incompiuto accertamento del momento della sua stipulazione e del proprio contenuto.
Nell'ordinanza sono, infatti, riportate le intercettazioni ritenute indizianti, ma manca una compiuta definizione dell'accordo, quanto all'assunzione dei lavoratori presso la Dusty s.r.l. e quanto alla nomina ad assessore di Salvatore Co.
I giudici dell'appello cautelare, inoltre, non hanno motivato in ordine alle specifiche censure mosse dai difensori nella memoria depositata in data 19 settembre 2024 nel giudizio di appello e non si sono confrontati con le dichiarazioni rese dal ricorrente nell'interrogatorio reso all'esito delle indagini preliminari, che hanno opposto argomenti decisivi, in quanto astrattamente idonei a confutare la prospettazione accusatoria.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, del resto, l'omessa valutazione di memorie difensive non determina certo la nullità del provvedimento impugnato, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive (Sez. 6, n. 269 del 5 novembre 2013, dep. 7 gennaio 2014, Cattafi, Rv. 258456; Sez. 6, n. 18453 del 28 febbraio 2012, Cataldo, Rv. 252713), con la conseguenza che la motivazione risulta indirettamente viziata per la mancata considerazione degli argomenti illustrati nella memoria, in relazione alle questioni devolute con l'atto di impugnazione (Sez. 1, n. 37531 del 7 ottobre 2010, dep. 20 ottobre 2010, Pirozzi, Rv. 248551).
L'accoglimento di questi motivi, in ragione della loro valenza preliminare, determina l'assorbimento delle ulteriori censure proposte da parte del ricorrente.
11. Alla stregua di tali rilievi, l'ordinanza impugnata deve essere annullata e deve essere disposto il rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Catania, che dovrà nuovamente motivare sull'appello proposto dal Pubblico Ministero, uniformandosi ai principi stabiliti da questa Suprema Corte.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catania.
Depositata l'11 aprile 2025.